Da Reset-Diaogues on Civilizations
Nell’anno appena trascorso Kosice, seconda città della Slovacchia, è stata capitale europea della cultura. Sono arrivati una cinquantina di milioni di euro in finanziamenti, oltre a una buona, buonissima risonanza mediatica. Ottima vetrina, indubbiamente. Ma non necessariamente declinata soltanto al positivo. È in virtù di questa esposizione mediatica che si è infatti venuto a sapere della storia del muro anti-rom eretto nel distretto di Zapad (Ovest), un’ampia porzione del quale è stata costruita al tempo del comunismo.
Tutto è iniziato lo scorso giugno, quando le autorità di Zapad, davanti alle crescenti lamentele dei residenti in merito a una serie di furti d’auto imputati ai rom e ai comportamenti “anti-sociali”, sempre a costoro attribuiti, hanno tirato su un muro, alto due metri e lungo trenta, proprio nel fazzoletto di quartiere dove le auto erano state rubate. La barriera serve a evitare che episodi simili si ripetano. “Non è che una misura di sicurezza”, questa la tesi delle autorità.
Una banale scusa, hanno però sostenuto diverse Ong e le associazioni impegnate nell’assistenza alla popolazione rom, sottolineando il carattere razzista e discriminatorio della piccola muraglia di Kosice. L’eco della faccenda, rapidamente sospinta dal rango di capitale culturale assegnato alla città, è giunta fino a Bruxelles. La commissione europea ha chiesto al sindaco di Kosice, Richard Rasi, di abbattere quei trenta metri, descritti come una violazione dei valori su cui l’Ue si fonda. Dal canto suo Rasi ha cercato di dribblare le responsabilità, riferendo che la circoscrizione di Zapad l’ha fatto erigere dall’oggi al domani senza chiedere né permessi, né nient’altro. Dopodiché ne ha assicurato la rimozione. Questo succedeva in agosto. Al momento non si hanno notizie su quello che è successo, o non è successo, a Kosice Zapad.
C’è da dire, però, che il caso non è isolato. Secondo lo European Roma Rights Center, nel momento in cui il pasticcio di Kosice è saltato fuori c’erano in Slovacchia altri tredici muri di questo tipo, distribuiti per lo più nella parte orientale del paese, dove più forte è la presenza della minoranza rom. Uno di questi si trova a Michalovce. È stato costruito dalle autorità locali nel 2009. L’anno dopo ne è stato aggiunto un ulteriore tratto. Non con soldi pubblici, ma con una raccolta privata a cui hanno contribuito una sessantina di famiglie di etnia slovacca.
Se le associazioni che lavorano a stretto contatto con i rom bollano i muri come una violazione penosa dei diritti umani, dall’altra parte si afferma, come a Kosice Zapad, che non c’è alcuna forma di razzismo, ma solo la necessità di garantire sicurezza. In ogni caso il rapporto tra gli slovacchi e la minoranza rom è complesso e delicato, e anche in Slovacchia l’intolleranza aumenta, alimentata dalla sensazione diffusa che il welfare, anche qui in crisi, favorisca la minoranza più di quanto questa non “meriti”.
Ma la Slovacchia non è un caso sui generis. Anche se con intensità diverse gli stessi problemi si ritrovano in Repubblica ceca, Ungheria, Romania, Bulgaria e nei paesi dell’ex Jugoslavia. Lì dove, vale a dire, la componente rom è particolarmente forte. In alcuni casi sono sorti muri (come a Baia Mare in Romania o Usti nad Labem in Repubblica ceca), in altri è stata tagliata l’erogazione gratuita di acqua comunale (a Ozd, Ungheria), in altri ancora (è il caso della Repubblica ceca) ci sono grossi problemi a livello scolastico, con i bambini rom che vengono mandati a studiare in classi per alunni con problemi mentali.
Morale: in molti luoghi dell’Europa un tempo comunista si è passati dai muri ideologici a quelli razziali, che siano fisici come a Kosice o che assumano, a parità di sostanza, altre forme. Il tema dell’integrazione dei rom – quella che viene realmente offerta dagli stati, ma anche quella cercata dagli stessi rom – è enorme. E ha ricadute politiche non affatto irrilevanti. Nel corso degli ultimi anni sono nati partiti che nel proprio Dna vantano tra le altre cose una spiccata ostilità nei confronti dei rom. Ebbene, alcune di queste formazioni hanno avuto notevoli successi elettorali. Come per esempio il Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik), che alle europee nel 2009 ha ottenuto il 14% dei voti e alle politiche del 2010 è arrivato al 16%. Tra qualche mese, quando i magiari torneranno ancora alle urne, dovrebbe confermarsi grosso modo su questi livelli.
Un altro esempio è quello di Ataka, anch’esso tutt’altro che tenero con i rom, partito bulgaro che, da quando nel 2005 s’è presentato sul mercato della politica, non è mai sceso sotto il 7%, arrivando a un picco del 14%.
L’ultima novità, da questo fronte, arriva dalla Slovacchia. E così la storia si chiude da dov’è partita. Lo scorso novembre Marian Kotleba, capo di Slovacchia Nostra, partito intriso di nazionalismo, sentimento anti-rom e qualche nostalgia per il regime fantoccio filo-nazista sorto al tempo della Seconda guerra mondiale, è stato eletto governatore della regione di Banska Bystrica.
Nella foto: Lunik 9, un vero e proprio ghetto abitato dalla minoranza rom a Kosice, in Slovacchi
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