Si avvicina la data delle elezioni in Russia e con essa anche la più che scontata vittoria di Vladimir Putin per il suo quarto mandato come presidente della Federazione Russa. Se la sua rielezione appare garantita, altrettanto non può dirsi per l’affluenza alle urne, vero indicatore del sostegno popolare di un leader.
È proprio su questo punto che si scontrano le opposizioni. Da un lato Aleksey Navalny, politico e attivista da sempre in prima linea contro la corruzione – attualmente escluso dalla competizione elettorale a causa di uno scandalo finanziario orchestrato ad arte – ha esplicitamente chiesto ai russi di non andare a votare in segno di protesta contro un sistema corrotto dal profondo, che nega il pluralismo e i valori democratici.
Dall’altro la giornalista ex conduttrice Ksenia Sobchak, che si propone di promuovere una “evoluzione” e non una “rivoluzione” anti-Putin, invitando i russi a votare per lei nella speranza di innescare un cambio di mentalità nel segno di una rinnovata fiducia nella politica e nelle istituzioni. A un’occhiata più attenta, le posizioni della Sobchak risultano tuttavia ambigue e generano non pochi dubbi sulla genuinità delle proposte.
Figlia del primo sindaco di San Pietroburgo democraticamente eletto, Anatoly Sobchak – mentore sia di Putin che dell’ex presidente Dmitry Medvedev – e di Lyudmila Narusova, attiva in politica e membro del partito di finta opposizione “Russia Giusta”, Ksenia ha iniziato la sua carriera come conduttrice e poi giornalista.
Nonostante il suo background familiare sia stato preso di mira dai media, la Sobchak ha ricevuto molto più spazio sulle reti televisive nazionali in confronto a Navalny o altri candidati. Di recente, la giornalista ha intrapreso un viaggio a Washington dove è stata ospite del Center for Strategic and International Studies e ha rilasciato dichiarazioni piuttosto ambigue.
Pur insistendo su temi cari al mondo occidentale come la democrazia, lo stato di diritto e liberalizzazioni, nel suo discorso la Sobchak fa riferimento a una Russia “tenuta ai margini dell’Europa”, esclusa dai processi di integrazione perché gli Europei “non hanno mai superato il loro istintivo timore della Russia e non hanno mai invitato la Russia ad unirsi al loro grande progetto”.
Se è vero che la storia dei rapporti Russia – Occidente è tappezzata di incomprensioni, è anche vero che una narrativa così costruita ben si adagia nel solco politico, retorico ed identitario di cui Putin è manifestazione. Su questa linea, insiste su una transizione politica graduale e rifiuta il “regime change”, cambiamento di regime, tanto temuto da Putin e di cui il presidente accusa l’Unione Europea e gli Stati Uniti con riferimento alle sorti politiche dell’Europa orientale.
Alle domande più specifiche sul suo programma, Sobchak non ha dato risposte concrete, ma si è limitata a parlare di un cambiamento culturale per convincere i russi a rompere i cliché sull’associazione tra il caos degli anni ’90 e le riforme economiche liberali di stampo occidentale, al contrario sostiene che Putin sia il responsabile delle condizioni economiche disastrose in cui versa il paese. Tuttavia, secondo la Sobchak, il presidente preferirebbe di gran lunga riposare a Sochi piuttosto che governare, ma il sistema da lui creato è estremamente centralizzato e non gli lascia scelta. Per questo motivo a suo dire è importante assicurare una transizione senza grossi scossoni e garantire l’impunità futura del presidente.
Sul piano delle relazioni internazionali la giornalista ammette le responsabilità della Russia in Crimea e Donbass e suggerisce lo stop al sostegno della guerriglia in Ucraina orientale e un referedum sotto controllo internazionale circa il futuro della penisola. D’altro canto, la Sobchak non si pronuncia sul ben più delicato tema delle infiltrazioni russe nella campagna elettorale statunitense dello scorso anno, affermando di non saperne nulla.
Quello che colpisce di questa figura è per l’appunto la convergenza su temi del Cremlino e la loro riproposizione in una formula più diplomatica capace di aprire finestre di dialogo con l’Occidente. Non a caso, la Sobchak ha affermato che il suo viaggio negli Usa è stato motivato dalla necessità di stemperare la tensione nei rapporti Mosca-Washington.
Per quanto si possa discutere sull’autenticità della sua candidatura – che a suo dire mira a preparare il terreno e il dibattito politico in vista delle elezioni del 2024 – è innegabile che attirare i russi alle urne legittimi il regime vigente e non dia un segnale forte di cambiamento come invece farebbe il boicottaggio invocato da Navalny. Quanto ancora saranno disposti ad aspettare i russi per questa “evoluzione”?