Da Reset-Dialogues on Civilizations
Alla vigilia conosciamo già il risultato. Quanti vogliono scommettere sulle presidenziali del 26 e 27 maggio devono osare una puntata secca per azzeccare la percentuale di voti che incasserà l’ex capo delle Forze Armate. L’ex generale Abdel Fattah el Sisi è infatti pronto a un “plebiscito” che lascerà al suo unico sfidante, Hamdeen Sabahi, solo poche briciole. Meno del 10%. È così che Sisi prenderà il posto del presidente da lui stesso deposto lo scorso 3 luglio, a seguito della manifestazione del 30 giugno, quando milioni di egiziani sono scesi in strada per chiedere elezioni anticipate.
L’Egitto si appresta a tornare quindi sui suoi passi. Se l’islamista Mohammed Mursi – il presidente deposto che, ironia della sorte, aveva messo Sisi a capo dell’esercito – era stato il primo raìs senza divisa, con Sisi – che ufficialmente ha indossato abiti civili – si torna al vecchio e “rassicurante” modello del generale presidente.
Sabahi non riuscirà infatti ad avvicinarsi al sorprendente risultato elettorale incassato nel 2012 quando, gareggiando contro altri quattro candidati, non arrivò al ballottaggio per una manciata di voti. Nasseriano, Sabahi è un personaggio storico della politica egiziana, cresciuto come leader dell’unione studentesca dell’università del Cairo nei caldi anni ’70, sbattuto in carcere per quattro anni per aver sfidato l’allora presidente Anwar al Sadat davanti alle telecamere.
Fronte del boicottaggio
Sabbahi non riuscirà a incassare voti non solo perché buona parte degli egiziani percepisce Sisi come il salvatore della patria e vuole contribuire alla sua incoronazione, ma anche perché una buona fetta del suo elettorato di riferimento, i giovani, opterà per il boicottaggio. Nella compagine non islamista, a capeggiare l’asse dei disertori è il 6 Aprile, il movimento protagonista della rivoluzione del 2011, da poco bandito dalle autorità ad interim. A nutrire le fila del boicottaggio saranno però soprattutto i Fratelli Musulmani, ex alleati di Sabahi nelle parlamentari del 2011.
Ritenendo illegittimo l’intero processo politico seguito alla destituzione di Mursi, la Confraternita – dal 25 dicembre nuovamente clandestina- non parteciperà a elezioni alle quali non ha potuto svolgere un ruolo attivo. Diversa invece la posizione dei salafiti, i cugini più radicali che sostengono Sisi.
Ritorno della repressione
Alcuni analisti dicono che il boicottaggio dei Fratelli potrebbe essere un bluff. Per capirlo basterà guardare che cosa accadrà nelle roccaforti della Fratellanza, soprattutto nella regione del Delta. È proprio nel governatorato di Minya che, tra marzo e aprile, la macchina della repressione si è espressa alla massima potenza per stringere la morsa sui Fratelli Musulmani, condannandone a morte più di 1200. Queste sentenze di massa – che presumibilmente non saranno prese sul serio – sono la cartina tornasole di una serie di abusi ai diritti umani, denunciati già a marzo da 27 stati- Italia esclusa- preoccupati per le condizioni della società civile. Secondo i pochi dati disponibili, la recente ondata repressiva sarebbe ancora più intensa di quella realizzata nel biennio più caldo dell’epoca mubarakiana.
È anche per questo motivo che alcuni organizzazioni non governative e movimenti giovanili hanno chiesto alla comunità internazionale di non inviare osservatori, per evitare di avvallare di fatto un processo elettorale che è già, in partenza, non competitivo. Ciononostante, lungo il Nilo arriveranno non solo osservatori dell’Unione europea – che hanno minaccaiato di fare le valigie- e dell’Istituto Carter, ma anche uomini dell’Unione Africana, la lega del continente che sta ora ricucendo lo strappo con l’Egitto, paese che aveva espulso all’indomani dell’ultimo intervento militare.
Sfide per Sisi
Nel corso della campagna elettorale, i candidati si sono litigati soprattutto l’eredità nasseriana, gareggiando per mostrarsi come i veri successori di Gamal Abdel Nasser. Tra i pochissimi critici di Sisi, vi è chi accusa il futuro raìs di sprecare soldi in una campagna che, sondaggi alla mano, è del tutto inutile. Ciononostante, anche se da un punto di vista elettorale Sisi può dormire sonni tranquilli, la campagna ha una certa importanza.
Povertà e disoccupazione giovanile sono le prime sfide che il presidente dovrà affrontare. Più di un quarto della popolazione vive con 2 dollari al giorno e un altro quarto è di poco al di sopra di questa soglia. Il tasso di disoccupazione è superiore al 13% e, nel 70% dei casi, colpisce giovani istruiti tra i 15 e i 29 anni.
La recente storia egiziana ha mostrato che la vera gara da vincere non è quella che porta alla poltrona presidenziale, ma quella che garantisce di rimanerci seduti, prendendo decisioni impopolari. Anche se Sisi ora preferisce rimanere sul vago, arriverà il momento in cui dovrà affrontare dossier impopolari che richiedono una chiara presa di posizione. Questo almeno se vorrà cercare di rimettere in moto, come dice, l’Egitto.
Quando questo giorno arriverà, Sisi potrà usare il consenso guadagnato anche attraverso la sua campagna per contenere il malcontento che farà traballare quella stabilità che rischia, per l’ennesima volta, di non essere sostenibile.
Leggi l’intervista con il concorrente di Al Sisi, il ‘nasseriano’ Hamdeen Sabahi