Da Reset-Dialogues on Civilizations – L’Egitto ha ufficialmente una nuova Costituzione, ma la vittoria del “sì” al referendum non è bastata a sedare le proteste e le critiche al documento e alla conduzione politica di Mohamed Morsi degli ultimi mesi. Il 63,8% dei cittadini egiziani che sono andati alle urne ha votato per l’approvazione della Carta, ma l’affluenza complessiva è stata molto bassa, il 32,9%, pari a poco più di 17milioni di cittadini a fronte dei 51 milioni di elettori complessivi, secondo i dati riferiti dal Presidente della Commissione Elettorale Samir Abul Maati.
Nonostante le rassicurazioni del primo ministro Hicham Qandil e poi di Morsi, che all’indomani della ratifica ufficiale ha pronunciato un discorso alla nazione sulla necessità di unire le forze per il bene del paese, la sicurezza e il rilancio dell’economia, il Fronte di Salvezza Nazionale ha già dichiarato che se vincerà le prossime legislative come coalizione di opposizione, la Costituzione verrà riscritta.
La crisi politica che ha preceduto il referendum, e che ha visto il paese precipitare in una nuova ondata di proteste, non si è chiusa con i due turni di voto, il 15 e il 21 dicembre. Se per la Fratellanza Musulmana il “sì” deve essere considerato come una vittoria per tutto l’Egitto, per l’opposizione il nuovo testo apre la strada a un’islamizzazione crescente delle istituzioni.
Ancora prima dell’ufficialità dei risultati, dalle forze del NSF e dall’Egyptian Coalition of Electoral Observation sono arrivate le accuse di brogli e irregolarità rispetto alla conduzione delle giornate elettorali. L’Egyptian Coalition, che mette insieme 123 Ong che si occupano di diritti umani e che fanno capo alla Egyptian Human Rights Organization (Ehro), ha denunciato aperture dei seggi in ritardo e chiusure anticipate, ma anche interferenze da parte di esponenti dei Fratelli Musulmani che consigliavano il voto per il “si”, organizzavano servizi di accompagnamento ai seggi per i cittadini, distribuivano schede “pre-votate” agli analfabeti. In un clima di scarso controllo a causa del boicottaggio messo in atto dalla magistratura.
Dopo la ratifica della Costituzione, la Ehro ha diffuso un comunicato online nel quale ribadisce come molte realtà della società civile abbiano presentato delle denunce alla Suprema Commissione Elettorale, senza essere ascoltate, oltre ad aver rilevato casi di persone defunte ancora presenti nelle liste elettorali.
Il sospetto di frode elettorale ha contribuito a ricompattare l’opposizione, che ora guarda alle presidenziali, e ha riavvicinato figure come i liberali Amr Hamzawy e Osama Ghazaly El Harb al fondatore di una delle coalizioni anti Mubarak prima del 2011, George Isaq, oltre a figure come il giornalista Hussein Abdel Ghani e l’ex candidato alle presidenziali Hamdeen Sabahi. “La nuova Carta dovrebbe valere solo fino a quando un’altra non sarà scritta al suo posto sulla base del consenso”, ha dichiarato il leader del Fronte di Salvezza Nazionale Mohamed El Baradei.
Dalla comunità internazionale molte voci hanno chiesto all’Egitto un accordo in nome della stabilità: dagli Usa Obama si è rivolto direttamente al Presidente e gli ha chiesto un impegno per il superamento delle divisioni; nel documento del portavoce del Dipartimento di Stato americano Patrick Ventrell si ribadisce la responsabilità di Morsi nel processo di pacificazione delle forze del paese, mentre la presidente della Commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti Ileana Ros-Lehtinen ha lanciato un appello affinché le accuse di frode siano indagate al più presto e in maniera trasparente. Dall’Unione Europea Catherine Ashton ha preso atto del risultato del referendum ma allo stesso tempo ne ha sottolineato la scarsa partecipazione. “Esorto gli interessati al dialogo – ha detto – e soprattutto il presidente affinché intensifichi tutti gli sforzi in tal senso”. Per la Germania e il Ministro degli Esteri Guido Westerwelle “la nuova Costituzione potrà essere accettata solo se le modalità della sua adozione saranno irreprensibili”.
La pubblica risposta di Morsi non si è fatta attendere. Nel discorso pronunciato davanti alle telecamere della tv di Stato ha ribadito che il referendum si è svolto in “totale trasparenza, e che il dibattito che lo ha preceduto è stato un fenomeno sano, anche se qualcuno non ha capito la differenza fra esprimere la propria opinione e fare ricorso alla violenza”. Il primo punto che Mohamed Morsi ha voluto affrontare pubblicamente dalla ratifica della Carta è stato il futuro economico del paese, una priorità dei prossimi mesi che comporterà scelte difficili nell’ottica di una maggiore austerità, come ha chiesto il Fondo Monetario Internazionale per poter concedere il prestito richiesto dall’Egitto da quasi cinque miliardi di dollari.
La credibilità della presidenza e il futuro politico di Morsi si giocano sulle scelte economiche che saranno messe in campo da qui alle parlamentari, nella difficoltà di far rientrare i conti e allo stesso tempo non rischiare di perdere consensi con misure impopolari. Non a caso ancora prima di dare l’annuncio ufficiale della vittoria del “sì”, il Primo Ministro Hisam Kandil ha detto che il Governo è pronto a stanziare 83 milioni di dollari in misure a tutela dell’occupazione e della competitività dell’Egitto nelle esportazioni.
Nel frattempo il Presidente ha annunciato di aver concordato con il premier un rimpasto ministeriale, che si è reso ancora più necessario dopo le dimissioni dei giorni scorsi del vicepresidente Mekki oltre che del Ministro della Comunicazione, in disaccordo con le politiche di Morsi.
Una nuova, delicata fase per il paese, anche se ad oggi, nonostante le incognite della crisi economica e le critiche alla Costituzione, il referendum rappresenta la terza vittoria consecutiva per gli islamisti dalla fine di Mubarak. Nella Carta il richiamo alla Sharia come principale fonte di legislazione è esplicito nell’articolo 2, come già lo era nella Carta del 1971. Sui diritti delle donne, come già segnalato dalle organizzazioni per i diritti umani prima ancora del voto, si parla ancora di “doveri” familiari al femminile, e di protezione della morale e dell’ordine pubblico da parte dello Stato.
Un altro dei punti più controversi per le eccezioni che contiene è l’articolo 48, sulla libertà di informazione, che deve essere garantita, nell’indipendenza dei media “al servizio della comunità per esprimere le diverse tendenze dell’opinione pubblica”. Infatti la chiusura o la confisca dei media, normalmente vietata, può essere prevista da un ordine del tribunale, come pure il controllo, sempre proibito tranne in casi specifici di censura in tempo di guerra o, cosa che preoccupa i critici, di mobilitazione pubblica.