Da Reset-Dialogues on Civilizations
La campagna Tamarrod, “ribellione”, si prefiggeva di raccogliere 15 milioni di firme in due mesi, chiedendo le dimissioni di Morsi. Lo scopo, sin dall’inizio, era la consegna delle firme raccolte con una enorme manifestazione da Piazza Tahrir al Palazzo Presidenziale il 30 Giugno, in cui richiedere il ritiro di Morsi e/o elezioni anticipate . La campagna è andata meglio del previsto, raggiungendo oltre 22 milioni di firme.
Ideata e realizzata da migliaia di giovani appartenenti e non ai vari movimenti rivoluzionari, questa iniziativa si è rivelata giorno dopo giorno sempre più efficace. Infatti gli attivisti, quasi tutti giovani e giovanissimi, raccoglievano numeri strepitosi di firme ogni volta che uscivano nei differenti governatorati, compiendo una gigantesca campagna di sensibilizzazione politica e di mobilitazione dal basso anche nelle campagne più remote, da sempre roccaforti islamiste.
Gli organizzatori sono riusciti ad incanalare la disperazione di un popolo, frustrato nella speranza di cambiamento portata dalla rivoluzione del 2011, che in pochi anni si è enormemente impoverito. Hanno anche influito le politiche autoritarie, nepotiste e neoliberiste dei Fratelli Musulmani, che hanno portato la popolarità della Confraternita sotto minimi storici. Il successo della campagna è coinciso infatti con la caduta di popolarità, già in atto da tempo, di Morsi e dei Fratelli Musulmani.
Gli attivisti della campagna Tamarrod hanno delineato un piano nazionale, per evitare gli errori compiuti dopo aver cacciato Mubarak, in cui appena Morsi decadesse, dovrebbe essere nominato un rappresentante della Rivoluzione come Primo Ministro con i poteri del Presidente, con la priorità di risollevare l’economia e adottare misure di giustizia sociale. Inoltre il nuovo Primo Ministro dovrebbe sospendere l’attuale Costituzione, ricreare una Costituente e una nuova Costituzione, per poi tornare a elezioni presidenziali seguite da elezioni parlamentari monitorate da magistratura e osservatori esterni.
I Fratelli Musulmani, insieme ai gruppi salafiti più estremisti con cui si sono alleati, radicalizzando il proprio discorso, hanno cominciato a preoccuparsi di fronte a questa iniziativa: una preoccupazione che si è concretizzata principalmente in minacce e insulti, trasmissioni, conferenze e manifestazioni ed anatemi di miscredenza (takfir) rivolti a chiunque si opponesse al crescente autoritarismo. In un discusso incontro pubblico allo Stadio del Cairo presieduto da Morsi, il leader salafita delle al Jamaa al Islamiyya, sheykh Abdel Maqsood ha esortato dal palco a uccidere i manifestanti del Tamarrod, dichiarandone halal, lecito, l’omicidio in quanto “infedeli e apostati”, mentre il Presidente accanto a lui rimaneva impassibile.
Inoltre, l’intero mese di giugno è stato segnato da forti tensioni, e sin dai primi giorni sono divampati scontri tra rivoluzionari e sostenitori del governo con decine di feriti in quasi tutto l’Egitto. Battaglie molto violente sono scoppiate già nelle prime settimane ad Alessandria, a Fayyum, a Luxor, e in tutto il Delta del Nilo, a Mahalla, al Cairo lasciando sul terreno numerosi morti e centinaia di feriti. Nell’ultima settimana nelle città del Delta e ad Alessandria come al Cairo gli scontri si sono fatti ancora più violenti.
Venerdì 28 giugno Piazza Tahrir si era già riempita di manifestanti anti-Morsi, dopo un discorso alla nazione del Presidente, dai toni assai bellicosi. Poco lontano gli islamisti manifestavano il loro sostegno al raìs cantando slogan truci e violenti verso gli oppositori. Nella stessa giornata gravissimi disordini si sono registrati al Cairo, dove il corteo pro-Morsi si è scontrato con i giovani di Piazza Tahrir e ad Alessandria dove c’è stato un tentativo di irruzione e incendio della sede dei Fratelli Musulmani. A Port Said degli “sconoscuti” hanno gettato una bomba artigianale contro i manifestanti raccolti in un presidio anti-Morsi. La stessa istituzione religiosa di Al Azhar è intervenuta il giorno stesso paventando una escalation di violenze, mentre leader salafiti hanno minacciato pubblicamente una guerra civile. Nel frattempo l’esercito ha dispiegato carri armati e camionette in tutte le città egiziane.
La sera del 29 giugno, Piazza Tahrir e numerose altre piazze egiziane erano ormai piene, mentre il 30 Giugno in tutte le città d’Egitto sono scesi in strada milioni di uomini e donne. Enormi cortei hanno colorato tutte le città del paese, e solo la solita piazza nel quartiere di Nasr City a nordest del Cairo è rimasta in mano ai sostenitori del Presidente. Quando la giornata del 30 sembrava essere passata pacificamente, verso sera sono cominciati i primi scontri in numerose città. In numerosissime città, tra cui il Cairo, sono state assaltate la sedi dei Fratelli Musulmani. Dalla sede del Cairo, durante l’attacco si è risposto con colpi d’arma da fuoco e verso le tre del mattino la diretta di On Tv ha annunciato la morte di sei persone e di 43 feriti per i proiettili sparati da dentro la sede. Sempre nella stessa diretta è stata data la notizia del ritrovamento dei cadaveri di 22 membri dei Fratelli Musulmani in una sede del loro partito, a Gharbiyya, dopo il passaggio del corteo anti-Morsi, mentre ad Assiut nella notte si è sparato violentemente e ci sono stati dei morti, e anche Bani Suef si annuncia un primo ucciso. Dopo la preghiera dell’alba gli scontri sono aumentati e nessuno sa come evolverà la situazione.
Il popolo rimane in piazza a oltranza chiedendo la caduta del regime, mentre dai vari governatorati arrivano notizie di altri morti, molti cominciano a intravedere lo spettro di una escalation sempre più feroce e alcuni chiedono l’intervento di un Esercito che per ora pare rimanere neutrale.
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