Egitto: la società civile nel mirino
Sciopero della fame in carcere

Da Reset-Dialogues on Civilizations

I prigionieri politici egiziani hanno iniziato uno sciopero della fame a oltranza in carcere. A dare il via all’opposizione non violenta erano state le migliaia di Fratelli musulmani in prigione, dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi alla presidenza della Repubblica, nonostante il boicottaggio del voto della maggioranza degli egiziani, nel maggio scorso. A loro si sono aggiunti, in questi giorni, attivisti laici e di sinistra. A cominciare da Alaa Abdel Fattah, che sconta una condanna a 15 anni di reclusione e al pagamento di una multa pari a 100 mila ghinee (11 mila euro) nella prigione di Tora per aver partecipato a una manifestazione nel novembre scorso in violazione della legge anti-proteste.

La protesta dei leader dei movimenti giovanili

Alaa appartiene ad una famiglia di noti attivisti egiziani di sinistra, inclusa la zia, la scrittrice Ahdaf Soueif, e la sorella Sanaa, anche lei in carcere dallo scorso giugno con le stesse accuse, e in sciopero della fame. Alaa è stato detenuto tre volte dall’inizio delle rivolte nel gennaio 2011 e ha spesso denunciato gravi episodi di tortura in carcere, a cui ha assistito direttamente.

Allo sciopero di Alaa si sono aggiunti il fondatore del movimento, messo fuori legge, 6 Aprile, Ahmed Maher, gli attivisti Mohamed Adel, Ahmed Douma e il fotoreporter Mohamed al-Noubi. Il processo a carico di Douma è stato rinviato per mesi e dovrebbe aver luogo il prossimo 3 settembre. Douma dovrebbe comparire davanti ai giudici insieme ad altri 269 attivisti, accusati di aver attaccato le forze di sicurezza e di possesso di armi in riferimento a varie manifestazioni, che hanno avuto luogo al Cairo nel 2011 alle porte del palazzo del governo in via Qasr al-Aini. Ha aderito all’iniziativa anche l’attivista, vicina al movimento operaio, Mahiennur el-Massry, condannata dalla Corte di Alessandria a due anni di reclusione, in seguito ridotti a sei mesi.

Lo stop alle associazioni universitarie

Come se non bastasse, a conferma che nel mirino sono principalmente i movimenti giovanili, il ministero dell’Educazione ha annunciato la messa al bando di ogni attività politica all’interno degli atenei. La censura delle associazioni universitarie entrerà in vigore con l’avvio dell’anno accademico. La Rete araba per i diritti umani (Anhri) ha duramente criticato la decisione definendola «una grave violazione dei diritti umani, delle libertà di espressione, a detrimento della partecipazione politica». Non solo, le associazioni studentesche hanno promesso che saranno sempre più impegnate nella resistenza alle nuove norme.

I campus egiziani sono stati al centro delle proteste contro il colpo di stato militare del 3 luglio 2013. In particolare il dormitorio dell’Università al-Azhar, a due passi da Rabaa al Adaweya, è stato teatro degli scontri più cruenti tra islamisti e polizia. Ma anche nel campus dell’Università di Ayn Shams si sono registrati duri scontri, morti e feriti negli ultimi mesi. Proprio piazza Nahda, dove sorge l’Università del Cairo, era stata scelta dagli islamisti per uno dei sit-in a sostegno della legittimità dell’ex presidente Mohammed Morsi, deposto dai militari ormai più di un anno fa. Per limitare il dissenso, gli atenei erano stati chiusi durante le elezioni presidenziali del maggio scorso che hanno incoronato Sisi nuovo presidente.

Infine, la nuova legge sulle organizzazioni non governative limita i diritti di espressione in Egitto. È quanto denuncia un report di Amnesty International, pubblicato pochi giorni fa, che stigmatizza la «repressione della società civile», perpetrata dalle nuove norme che faciliteranno i controlli di sicurezza sulle ong egiziane. Non solo, gli operatori della società civile, secondo le linee guida del ministero della Solidarietà sociale, sono obbligati a registrarsi entro il due settembre 2014, in riferimento ad una vecchia legge (84/2002) che fissava in questa data la scadenza finale per la legalizzazione delle ong che operano in Egitto. Secondo la norma, le autorità potranno procedure alla chiusura di tutte le associazioni non registrate e confiscare i loro beni. Nel mirino del ministero della Solidarietà sociale ci sono soprattutto le ong dei Fratelli musulmani (1.107 sono le ong islamiste chiuse in un anno, secondo la confraternita).

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Immagine: l’attivista Alaa Abdel Fatteh in piazza Tahrir

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