Da Reset-Dialogues on Civilizations
Nel corso del 2012 in più di 100 paesi nel mondo si sono verificati torture e maltrattamenti. In molte aree si continua a morire di povertà, e la tutela reale e diffusa dei diritti umani è ancora lontana, come pure la libertà di espressione. Amnesty International ha presentato il Rapporto annuale 2013 che documenta la situazione di 159 nazioni e territori, aggiornata a dicembre scorso.
Il primo dato complessivo che emerge dalla documentazione raccolta riguarda il concetto di sovranità, al quale gli stati si richiamano per controllare gli affari interni, senza ingerenze, e spesso purtroppo anche per nascondere uccisioni, oppressione e corruzione. I detentori del potere dovrebbero essere responsabili dell’affermazione dei diritti umani, ma spesso diventano un ostacolo alla loro tutela.
In tutto questo gli organismi internazionali non sembrano in grado di intervenire. L’esempio più recente è quello della Siria, dove nonostante gli attacchi perpetrati contro i civili dalle forze governative, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è rimasto bloccato dal veto di Russia e Cina che si appellano proprio al rispetto della sovranità nazionale.
La globalizzazione, rileva Amnesty, ha portato crescita economica ma anche un aumento delle disparità sociali e delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà. In Africa milioni di individui riescono appena a sopravvivere a causa della corruzione e del flusso di capitali nei paradisi fiscali fuori dal continente, mentre le ricchezze locali continuano ad alimentare i profitti delle multinazionali ma non migliorano la vita dei nativi. Il rovescio della medaglia del flusso di capitali è rappresentato dalle rimesse dei migranti, che corrispondono al triplo dei fondi internazionali di assistenza allo sviluppo: peccato che per molti di loro non ci siano nemmeno i diritti minimi come la possibilità di avere una casa, o condizioni di lavoro decorose. Non stupisce che la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, del 1990, non sia mai stata ratificata dagli stati “riceventi” dell’Europa Occidentale, dagli Usa, dall’Australia, dal Canada, dall’India, dal Sudafrica e dagli stati del Golfo.
Un tema che coinvolge da vicino anche l’Italia, come ha evidenziato il Rapporto, che anche nel 2012 ha continuato ad allontanare dalle proprie coste le imbarcazioni provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo.
IN AFRICA
Mali
Proprio dall’Africa arriva la crisi politica e umanitaria del Mali, paese che Amnesty Iternational considera emblema dei problemi di tutta la regione. Dalla rivolta dei tuareg e dei gruppi islamisti fino al colpo di stato e le sue conseguenze, il Rapporto ripercorre le cause che hanno originato la rivolta, e poi il colpo di stato militare a Bamako, e successivamente la divisione del paese. L’associazione ha raccolto i dati sulle esecuzioni compiute dalle forze di sicurezza e i bombardamenti indiscriminati diretti contro le zone tuareg, ma anche sul reclutamento di bambini soldato e sulla presenza di almeno 40mila persone che sono state costrette a lasciare le proprie case.
Anche nella Repubblica Democratica del Congo sono state documentate violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza e da vari gruppi armati, in Sudan sono aumentare le tensioni fra Nord e Sud, e in Nigeria almeno mille persone sono state uccise in attentati ed esplosioni messi in atto dal gruppo islamista Boko Haram. Senza contare gli abusi delle milizie governative.
Le donne continuano a subire violenze di genere, non solo a livello privato ma anche in nome di strategie di conflitto armato. Ancora oggi si registrano stupri compiuti da soldati e miliziani in Ciad, Mali e Sudan. E in Gambia sono riprese le esecuzioni dopo trent’anni.
IN MEDIO ORIENTE
Il Medio Oriente è stata una delle aree dal quadro più contrastante e frammentario del 2012. Nei paesi come Egitto, Libia, Tunisia e Yemen, che hanno vissuto il crollo di regimi dittatoriali pluriennali, la società civile ha visto aprirsi nuove opportunità, almeno apparentemente; anche se non sono mancati gli attacchi alla libertà d’espressione per motivi religiosi e di “morale”. Nel Golfo sono invece aumentati gli arresti di attivisti e persino di operatori sanitari. Come pure in Bahrein. Mentre Algeria, Giordania e Marocco hanno rafforzato il controllo sui mezzi di informazione.
Siria
Fra le situazioni più gravi il primato è siriano, e non a caso Amnesty definisce il 2012 come “un anno buttato per il paese”, visto che il conflitto armato in atto continua a registrare vittime e violazioni gravissime dei diritti umani, oltre che crimini contro l’umanità. Le forze governative, si legge nel Rapporto, si sono rese responsabili di attacchi indiscriminati su zone abitate da civili, e non hanno esitato ad utilizzare armi incendiarie e bombe a grappolo. Migliaia di persone, anche minori, sono state arrestate e hanno subito torture e maltrattamenti, altre sono semplicemente “sparite”. Di 550 persone si è avuta notizia di decesso in carcere.
Anche alcuni gruppi di opposizione si sono resi colpevoli di crimini di guerra: hanno fatto prigionieri soldati governativi, li hanno torturati o uccisi sommariamente.
Il problema dei profughi nel paese e in quelli confinanti, ha assunto proporzioni allarmanti. Secondo l’Unhcr i siriani registrati come rifugiati o in attesa di registrazione in Turchia, Libano, Iraq e Africa del Nord sono circa 600mila, ma si stima che le persone fuggite dal paese siano molte di più. In tutto questo, le Nazioni Unite non sono concretamente riuscite ad intervenire, bloccate dal veto di Russia e Cina, nonostante abbiano documentato le atrocità in atto anche con l’istituzione di una Commissione di inchiesta indipendente. Usa e Lega Araba hanno continuato a imporre sanzioni a Damasco, come pure l’Unione Europea ma senza grande successo.
Libano
Le ripercussioni del conflitto siriano continuano a farsi sentire in Libano, dove è stata documentata la crescente tensione fra le diverse comunità presenti nel paese, e non di rado scontri violenti si sono verificati al confine fra i due paesi, soprattutto nella zona di Tripoli, fra musulmani alawiti che sostengono il governo di Bashar Al Assad e sunniti vicini alle opposizioni.
Nel paese continuano anche a verificarsi episodi di tortura e maltrattamenti in carcere, e le discriminazioni nei confronti dei rifugiati palestinesi non sono mai diminuite.
Israele
In fatto di restrizioni alla libertà personale e abusi, il Rapporto cita il caso di Israele, dove alla fine del 2012 è stato accertato che almeno 4mila e 500 palestinesi risultano trattenuti in carcere. Il blocco militare imposto sulla Striscia di Gaza ha poi portato a ripercussioni pesanti sui civili dell’area, senza contare gli sgomberi forzati e il numero crescente di insediamenti dei coloni. In Cisgiordania risultano almeno 500 posti di blocco israeliani che hanno ostacolato il movimento dei civili e anche l’accesso alle cure sanitarie.
Egitto
Nonostante il cambiamento sulla scena politica, il presidente Morsi non ha messo in atto riforme giudiziarie per intervenire sulle violazioni dei diritti umani e sulla tortura. Molti dei manifestanti arrestati nel corso delle proteste contro il governo hanno denunciato maltrattamenti e abusi, oltre che arresti sommari in località spesso sconosciute.
Sono solo alcuni dei casi che il Rapporto di Amnesty descrive dettagliatamente, paese per paese, che oggi emergono anche grazie alle nuove forme di comunicazione, alle quali l’associazione internazionale per i diritti umani dedica una riflessione: “gli attivisti – si legge – hanno ora gli strumenti per far si che le violazioni non siano nascoste. Per questo l’informazione crea l’obbligo di agire”.
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