Da Reset-Dialogues on Civilizations
La crisi in Ucraina e l’annessione a Mosca della Crimea rischiano di avere ripercussioni importanti in Medio Oriente, con effetti diretti per la Siria e l’esito della trattativa sul nucleare iraniano. L’occupazione della regione a maggioranza russa, condannata dal governo di Kiev, dall’Europa e dagli Stati Uniti (e culminata poi con il referendum del 16 marzo in cui il 97% dei votanti si è espresso per l’annessione a Mosca) ha rappresentato una prova di forza per il Cremlino, un tentativo di ristabilire “sul campo” il suo status di superpotenza internazionale. Perché se è vero che Mosca è una potenza in termini energetici, è altrettanto innegabile che a livello economico, nonostante la crescita dell’ultimo decennio, non abbia ancora raggiunto i livelli di Usa, Giappone, Cina o Germania. Il suo Pil è meno di un settimo di quello degli Stati Uniti, un quarto di quello di Bejing e meno di due terzi di quello tedesco. Con una ricchezza che resta concentrata nelle aree urbane di Mosca e San Pietroburgo e nelle mani di una ristretta élite. Insomma, l’imponente dispiegamento di forze in Crimea nasconderebbe altre debolezze e dipendenze economiche del paese.
La Crimea degli ultimi anni
La politica filoatlantica in Ucraina negli ultimi anni aveva già sollevato la questione della Repubblica Autonoma di Crimea. Questo territorio, trasferito dalla Federazione Russa all’Ucraina nel 1954, al tempo dell’Urss, era stato riconosciuto come autonomo dal governo di Kiev nel 1991, dopo la fine dell’Unione Sovietica. Nel 2006, l’avvicinamento dell’allora primo ministro Yanukovich alla Nato, aveva scatenato una serie di manifestazioni da parte della comunità russa di Ucraina. Otto anni dopo, il 16 marzo scorso, gli abitanti della Crimea (russi per il 58%) sono stati chiamati a votare per scegliere l’annessione a Mosca, dopo un’occupazione militare de facto. Il governo ha continuato a definire illegale l’intera operazione, perché secondo la Costituzione un’eventuale secessione della regione avrebbe meritato il voto di tutto il paese (che andrà a elezioni il 25 maggio prossimo). Senza contare che alle urne la supervisione è stata garantita solo da milizie filo-russe e non da osservatori internazionali. Non si sa ancora quale sarà lo status giuridico della Crimea, e come saranno gestiti i rapporti con le minoranze, comunque numerose, dei tartari e degli ucraini, che dovrebbero accettare il passaporto russo, pena la decadenza dei diritti civili.
Ma se nel breve termine il mantenimento del controllo della Crimea può aumentare l’influenza della Russia sul piano internazionale, oltre che in tutto il territorio ucraino, non è escluso che i rapporti con l’Europa e gli Usa si modifichino rapidamente, anche rispetto alle questioni mediorientali, oltre che sul piano più immediato dell’approvvigionamento energetico.
Il nucleare iraniano
Secondo l’analista George Perkovich, vice presidente del Nuclear Policy Program del Carnegie Endowment for International Peace, se finora la Russia ha avuto grande influenza sull’andamento dei negoziati di Ginevra, gli obiettivi di Mosca non sono così divergenti da quelli dell’Occidente, perché nemmeno Mosca vuole un Iran in grado di produrre armi nucleari. Anzi, l’ideale modello di Putin sarebbe un Iran senza nucleare e senza rapporti privilegiati con gli Usa, in modo da lasciare a Mosca il ruolo di interlocutore privilegiato. Insomma, se l’attuale governo iraniano auspica una svolta nei rapporti con gli Usa, questa non conviene alla Russia, che d’altro canto potrebbe anche decidere di usare la questione Ucraina come grimaldello per imporre la direzione delle trattative dei 5+1. Lo stesso ministro degli Esteri Sergei Ryabkov, inviato della Russia ai colloqui con Teheran sul nucleare, il 19 marzo ha dichiarato: “la Russia considera la riunificazione con la Crimea molto più importante degli sviluppi legati al programma nucleare iraniano. Non ci piacerebbe usare questi colloqui come elemento per alzare la posta in gioco tenendo conto dei sentimenti in alcune capitali europee, a Bruxelles e a Washington, ma se ci costringono a farlo prenderemo anche qui delle misure di ritorsione”.
Si tratta di dichiarazioni che a meno di due mesi dalla scadenza dell’intesa raggiunta a Ginevra il 24 novembre scorso suonano come una minaccia. In quell’occasione, al tavolo con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu (Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra e Germania) l’Iran aveva accettato di congelare il programma nucleare per sei mesi, di bloccare l’arricchimento dell’uranio oltre il 5%, e non installare nuovi impianti di arricchimento nel paese, pur senza smantellare quelli già esistenti. In cambio, era stata garantita al paese la sospensione di una parte delle sanzioni internazionali, pari a circa 7 miliardi di dollari.
Inoltre, se si guarda la crisi ucraina con gli occhi dell’Iran, il disarmo nucleare deciso da Kiev ha privato il paese di un deterrente che in questo momento forse avrebbe tenuto a bada la Russia. Anche questo aspetto diventa un pericoloso punto di riflessione, e non solo per Teheran, ma anche per la Corea, l’India e il Pakistan: conviene davvero rinunciare ai programmi nucleari “in casa”?
La questione siriana
Anche il Siria le cose potrebbero cambiare, perché la Russia che è intervenuta in Crimea è la stessa che aveva bloccato un probabile intervento Usa a Damasco, facendosi garante della distruzione delle armi chimiche del regime siriano. Mosca ha sempre mantenuto un profilo anti interventista nei confronti di Assad. A Tartus la Russia ha la sua unica base navale con sbocco diretto sul Mediterraneo, dove è ormeggiata un’intera flotta di navi da guerra. Dalla Siria attinge gas e petrolio, e proprio alla fine del 2013, nel pieno della rivolta, la compagnia russa Soyuzneftegaz ha sottoscritto un accordo di esclusiva da 25 anni con la società statale siriana General Petroleum. L’intervento in Crimea oggi sottolinea con più forza l’appoggio al regime, e può essere letto come un monito alla comunità internazionale sul concetto di difesa dei propri alleati.
Come ha scritto Lina Khatib, direttore del Middle East Center di Beirut, la posizione di Putin verso la Crimea ha aumentato la fiducia di Assad, perché se la comunità internazionale non ha agito con decisione per l’Ucraina, sempre con meno probabilità lo farà per la Siria. Insomma la prova di forza russa rimetterebbe tutto in gioco. Anche se, è il rovescio della medaglia, se la comunità internazionale decidesse di usare efficacemente le sanzioni e i mezzi diplomatici a disposizione, la Russia potrebbe “cedere” sul sostegno alla Siria in cambio di un accordo più favorevole in Ucraina.
Di certo il Medio Oriente è diventato un terreno di attività preferenziale per la Russia: con i mezzi diplomatici all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e al contempo, in versione alternativa alle potenze occidentali, proprio come in Siria e in Iran. Nell’ottica di frenare focolai di estremismo alle porte di casa (basti pensare che negli ex stati federali sovietici vivono circa 25 milioni di musulmani) e di controbilanciare il peso politico regionale di una potenza emergente come la Turchia.
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