Da Reset-Dialogues on Civilizations
Prima fu Elham Aminzadeh, poi Marzieh Afkham, e quindi, ancora, gli auguri per il capodanno ebraico, inviati dal presidente iraniano Hassan Rouhani e dal ministro degli esteri Javad Zarif attraverso Twitter. Due donne nel nuovo esecutivo iraniano e tweet che fino a pochi mesi fa sarebbero stati impensabili. Questione di marketing? Nuovo maquillage? O new deal persiano?
Sono in molti a chiederselo, anche all’interno della Repubblica Islamica dell’Iran dove la voglia della gente di avviare realmente un nuovo corso nelle relazioni con la comunità internazionale ha spinto, lo scorso giugno, più di diciotto milioni di persone a superare la disillusione per quanto accaduto nel 2009 e a scegliere “la moderazione sull’estremismo”.
Moderata (e inaspettata) è stata, per il momento, la risposta in 140 caratteri data da Javad Zarif a Christine Pelosi, figlia di Nancy, l’ex presidente della Camera statunitense, che sul social network aveva ripreso gli auguri del ministro iraniano ringraziando e sottolineando: “Il nuovo anno sarebbe più dolce se voi la smetteste di negare l’olocausto”.
“Iran never denied it. The man who was perceived to be denying it is now gone. Happy New Year”. Una stoccata diretta a Mahmoud Ahmadinejad: “L’uomo che veniva percepito come negazionista ora se n’è andato”, e di nuovo gli auguri, “Felice anno nuovo”.
Che sia un nuovo capitolo nelle relazioni fra Iran e comunità internazionale, almeno nell’approccio, lo lasciano presagire questi nuovi gesti di distensione che hanno la lunghezza di un sms con la capacità di cinguettare, in inglese, in ogni angolo del globo. Tanto che la velocità della rete ha fatto il suo dovere e ha portato questo messaggio ovunque, con la relativa eco mediatica.
E sempre sulla rete Rouhani ha annunciato che il dossier nucleare iraniano passerà al gabinetto retto da Zarif: “Foreign Ministry will be in charge of Iran’s #Nuclear Negotiations. Ready for constructive interaction with the world”. L’hashtag è “nucleare” e l’obiettivo dichiarato è “una interazione costruttiva col mondo”. I prossimi colloqui in agenda saranno il 27 settembre, dopo che il neo-presidente avrà parlato all’Assemblea Generale dell’Onu.
Quote rosa
Il primo segnale di apertura, almeno uno di quelli che rassicura in occidente, era giunto però nelle settimane scorse con la nomina di due donne all’interno del nuovo esecutivo. La prima, conservatrice-moderata, Elham Aminzadeh, è vicepresidente incaricata agli Affari giuridici, con in tasca un dottorato in diritto internazionale all’Università di Glasgow e un passato all’interno del Majlis, il Parlamento iraniano, tra il 2004 e il 2008, a cavallo tra l’era Khatami e quella Ahmadinejad.
Aminzadeh è stata la risposta di Rouhani a chi chiedeva seguito alle sue promesse pre-elettorali in tema di diritti civili e di apertura nei confronti delle donne. Ma è forse Marzieh Afkham il vero coniglio del capello presidenziale, fresca di nomina come vice- ministro degli esteri e portavoce del dicastero, un ruolo chiave nelle relazioni con l’occidente e nel dirimere l’annosa questione del nucleare di Teheran. Soprattutto ora, col nuovo incarico di Zarif, sarà lei il volto dell’Iran che parlerà oltreconfine.
La sua prima uscita ufficiale Afkham, che lavora al ministero da quasi trent’anni ed è stata a capo del dipartimento Relazioni pubbliche sotto l’ex presidente riformista Mohammad Khatami, l’ha fatta poco più di una settimana fa, dopo il summit della Lega Araba sulla Siria, bollando come “affrettata e motivata politicamente” la condanna a Bashar Al Assad sull’uso di armi chimiche ancora prima del risultato degli ispettori dell’Onu, e rompendo in questo modo il silenzio delle donne iraniane in occasioni pubbliche così politicamente rilevanti.
Attenzione ai facili entusiasmi però perché sono solo due le donne coinvolte nell’esecutivo. Il conservatore Mahmoud Ahmadinejad, ad esempio, ne aveva scelte tre; mentre è stato Khatami il primo a rompere un tabù riservando a Massoumeh Ebtekar un ruolo di rilievo nel suo entourage come vice presidente. L’esecutivo Rouhani è, come notano in molti, ancora un “club per soli uomini”. È la prima vola, però, che una donna riveste un ruolo così significativo ed è la prima volta, dopo la rivoluzione islamica, che una donna sta per essere nominata ambasciatore. Almeno questo si era detto alla fine del mese di agosto, annunciando la designazione di una donna a capo di una sede diplomatica iraniana all’estero. Ma per il momento, non è giunta nessuna notizia a dare corpo alla promessa. Finora l’unica ambasciatrice iraniana risulta Mehrangiz Dolatshahi, chiamata alla guida della sede diplomatica iraniana in Danimarca nel 1976, all’epoca dello shah, un periodo in cui la condizione delle donne in politica restava in ogni caso marginale.
Cento giorni
Nell’era della diplomazia su internet, oltre alle cancellerie, anche la rete punta gli occhi sull’operato di Rouhani. In particolare il Global Dialogue, un’iniziativa nata la scorsa primavera in vista delle elezioni iraniane e supportata dalla Munk School Of Global Affairs At The University Of Toronto, sta monitorando punto per punto l’attuazione delle promesse elettorali del presidente. Dopo aver seguito e analizzato i risultati del voto del 14 giugno, ora lo staff del Global Dialogue ha messo su un vero e proprio “rouhanometro” sui primi cento giorni della nuova presidenza.
Il “RouhaniMeter” (si chiama così) valuta la realizzazione delle numerose promesse su questioni socio-culturali, economiche, di politica interna e di politica estera, che poi sono state quelle che hanno tenuto banco durante la campagna elettorale e i dibattiti televisivi. E, dopo circa un mese dall’insediamento, quello che risulta è che le faccende interne (economiche e politiche) sembrano aver ricevuto maggior attenzione dei buoni propositi in politica estera e di tutti quei progetti rivolti alla società civile, alle donne in primis, e alla cultura (dodici in tutto). In generale, comunque, sono solo sei le “promesse” in lavorazione su un totale di 46. E una fra le tante ancora ai blocchi di partenza è quella di istituire un ministero per le donne. Nell’agenda internazionale, rimasta intatta, spicca invece il proposito di “migliorare le relazioni bilaterali coi Paesi del Golfo, soprattutto con l’Arabia Saudita” e quello di “maggior trasparenza sul programma nucleare”. Ma per quest’ultimo punto i primi risultati concreti potrebbero uscire già il prossimo 27 settembre a Vienna.