Da Reset-Dialogues on Civilizations
“Dichiariamo di comune accordo il nostro fermo impegno nel rispetto dei principi articolati nella Carta di Medina, che contiene una serie di direttive che regolano il contratto di cittadinanza sul piano costituzionale. Fra queste vi sono la libertà di movimento, il diritto alla proprietà, la solidarietà reciproca e la difesa, così come i principi di giustizia ed eguaglianza davanti alla legge.
Gli obiettivi della Carta di Medina forniscono un quadro adeguato per le Costituzioni nazionali nei Paesi a maggioranza musulmana; la Carta delle Nazioni Unite e i relativi documenti, fra i quali la Dichiarazione universale dei diritti umani, sono in armonia con la Carta di Medina, ivi compreso il punto in cui si prende in considerazione il problema dell’ordine pubblico.
La riflessione profonda sulle varie crisi che affliggono l’umanità sottolinea il bisogno urgente e inevitabile di cooperazione fra gruppi religiosi: affermiamo dunque che questa collaborazione deve essere fondata su una “parola comune”, e che vada oltre la tolleranza e il rispetto reciproco, affinché garantisca piena protezione ai diritti e alle libertà di tutti i gruppi religiosi, in un’ottica civile che rifugga la coercizione, il biasimo e l’arroganza”.
(Leggi la Dichiarazione integrale)
Il cuore della Dichiarazione di Marrakesh, firmata il 27 gennaio scorso da 250 fra leaders, studiosi ed esperti di legge musulmani, è il concetto di cittadinanza come essenza comune per superare le differenze e le discriminazioni nei confronti delle minoranze. Una risposta internazionale che parte dal mondo arabo contro l’aggressione e alla lotta armata, e a favore della pacifica convivenza. Alla base di questo documento, nato al termine di una tre giorni promossa dal re del Marocco Mohammed VI, dal Ministero degli Affari Islamici marocchino e dall’associazione Religions for peace, che dal 1970 si occupa della promozione della pace e del dialogo fra le fedi nel mondo, c’è la riflessione sulle crisi di oggi, e sul deterioramento delle condizioni di vita delle minoranze in molti paesi, a causa di guerre e violenze.
Quanto sta accadendo nel mondo arabo, con l’esplosione della violenza di gruppi criminali che agiscono in nome di un islam distorto e lontano dai suoi principi fondamentali, sta mettendo in pericolo intere popolazioni, in un contesto in cui le autorità di governi legittimi o imposti si è andata a indebolire. E questo principio è stato condiviso da tutti gli intellettuali, provenienti da 120 nazioni, che si sono dati appuntamento a Marrakesh, per ribadire concetti che, seppure non scontati, sono già stati scritti 1400 anni fa nella Carta di Medina, una sorta di contratto costituzionale fra il Profeta Maometto e la popolazione, che allora garantiva libertà religiosa a tutti, indipendentemente dalla fede professata.
Nel 600 d.C. il documento era stato scritto per mettere fine al conflitto fra i clan di Medina, e in quella occasione erano già stati individuati diritti e responsabilità anche per gli israeliti e i pagani, collocati tutti all’interno di una nuova struttura sociale, la Umma.
“Nessun ebreo verrà offeso per il fatto di essere ebreo, i nemici degli ebrei che ci seguono non verranno aiutati, la pace dei credenti dello stato di Medina non può essere divisa, è o pace o guerra per tutti. Non può essere che una parte della popolazione sia in guerra con gli stranieri e l’altra parte in stato di pace. Le condizioni della pace e della guerra e gli agi o le sofferenze che ne conseguono devono essere eque e giuste per tutti i cittadini allo stesso modo.”
L’idea di sviluppare una giurisprudenza fondata sul concetto di cittadinanza trasversale ed inclusivo dei vari gruppi, radicata nella tradizione islamica ma che allo stesso tempo tenga conto dei cambiamenti globali, chiama in causa studiosi e intellettuali, ma anche scuole e autorità che devono programmare la formazione, affinché affrontino i temi dell’aggressione e dell’estremismo per contrastarli. Gli esperti riuniti a Marrakesh si sono anche rivolti ai politici e ai decision maker, perché intraprendano passi politici e giuridici nell’ottica di un contratto di cittadinanza fra le persone, sostenendo tutte le iniziative che possano favorire e rafforzare la comprensione fra gruppi religiosi nel mondo musulmano. Agli artisti, ai creativi e alle organizzazioni della società civile è stato invece chiesto di lavorare per la nascita di un movimento sempre più ampio che promuova la consapevolezza dei diritti umani. Infine, si invitano gli stessi gruppi religiosi uniti dal medesimo tessuto nazionale a ricordare secoli di vita in comune e superare le differenze in nome di una tradizione di convivialità e fiducia reciproca, oggi minata da estremisti che hanno compiuto atti di terrore.
La conferenza è l’ultimo passo di un percorso cominciato ad Abu Dhabi nel 2014 con la nascita del Forum for peace, guidato da Abdallah Bin Bayyah e patrocinato dal ministero degli Esteri degli Emirati, per la ricerca di una soluzione comune contro gli estremismi. Nel dicembre di due anni fa, il Forum ha cominciato a collaborare con la più grande organizzazione interreligiosa Religions for peace per denunciare l’uso strumentale della fede nella giustificazione della violenza, e cercare di contrastarla. Il primo lavoro è stato svolto in Nigeria, con un gruppo di leader religiosi minacciati dall’estremismo di Boko Haram, e successivamente Bin Bayyah è stato invitato al summit delle Nazioni Unite per discutere di pace. Lo stesso Ban Ki-moon ha presieduto l’apertura dell’evento a Marrakesh.
Un’occasione per condannare ufficialmente, come paesi a maggioranza musulmana, la violenta ideologia dello Stato Islamico, e ribadirne la sua totale distanza dalla religione, opponendo alla filosofia radicale l’Islam tradizionale fondato sul concetto di cittadinanza inclusiva dei diversi gruppi. Il percorso per il Marocco si è definito a partire dal 2011 quando, a seguito delle prime proteste, la nuova Costituzione del primo luglio ha consacrato la centralità degli organi decisionali e ha sancito la rappresentanza reale dello stato e non della nazione. Mohammed VI, pur avendo mantenuto il controllo delle decisioni strategiche, ha rinunciato a una serie di poteri esecutivi che sono passati in mano al capo di governo.
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