Da Reset-Dialogues on Civilizations
Rio de Janeiro. Amarildo de Souza, muratore residente nella favela di Rocinha a Rio de Janeiro, fu prelevato una sera di luglio dalla polizia mentre si trovava davanti a un bar non lontano da casa. Di lui si persero le tracce subito dopo essere entrato in un ufficio. La prima versione della polizia, fornita alla famiglia dell’uomo, fu che dopo poche domande, l’operaio era stato lasciato libero di andare via. Una versione, incerta e fumosa, cui in realtà nessuno ha mai creduto. Le denuncie della famiglia, l’intervento di alcune associazioni e l’indignazione urlata per strada da migliaia di carioca fece si che la verità venisse fuori, nonostante i tentativi di depistaggio, dopo alcune settimane. Una verità scomoda, confessata poi dagli stessi protagonisti divenuti boia. Per convincere il muratore a confessare ciò che non aveva commesso, ciò che non sapeva, era stato torturato da oltre dieci poliziotti fino alla morte. Il corpo portato via nella notte, mai più ritrovato.
Una storia come tante, se fatta risalire al periodo della dittatura, dove la tortura e la ‘scomparsa’ nel nulla di presunti elementi ostili al regime erano feroce normalità. Il problema è che la storia di Amarildo ha tenuto banco sulle cronache brasiliane per mesi, tra l’estate e l’autunno del 2013. Nel Brasile del boom. Nella città del carnevale, chiamata nel giro di due anni, prima ad ospitare i mondiali di calcio e poi, in maniera molto più invasiva per il tessuto urbano e sociale, le olimpiadi del 2016. Per di più la vicenda si è registrata in una delle favelas, Rocinha, tra quelle beneficiate dalla Upp: Unitade de Policia Pacificadora. Quella polizia di pacificazione che rappresenta un sistema nuovo, una rivoluzione, vista come possibile via alla modernizzazione degli apparati di sicurezza dello Stato di Rio, ancora quasi identici nelle strutture portanti a quelle della dittatura. La vicenda ha messo a rischio il successo e l’immagine di un progetto che, dopo tanti sforzi e dopo miliardi di Real spesi, il 19 dicembre 2013 ha compiuto i suoi primi 5 anni. Abbastanza per tracciare un bilancio di una rivoluzione che ha già catalizzato l’attenzione di moltissimi studiosi alle prese con un processo in divenire, che costringe a un’analisi continuamente aggiornata.
Il progetto delle Upp
Dopo decenni nei quali l’abbandono da parte del potere pubblico ha rappresentato la marca della ‘gestione’ delle favelas, l’unico contrasto alla criminalità organizzata delle comunità da parte delle forze di polizia è stato quello di conflitto armato: la ‘guerra’ al narcotraffico. Persa senza dubbio. Per arginare il dominio incontrastato di trafficanti di droga armati quasi come un esercito regolare, negli ultimi anni prima del 2008, sempre più frequenti sono state le ‘maxi operazioni’. Interventi militari portati avanti con tattiche di guerra che nel numero di morti, soprattutto civili, poco differenziava dagli scontri bellici ‘tradizionali’.
Il fallimento delle operazioni costrinse a sviluppare un modo nuovo di interpretazione della repressione. Si pensò dunque non più ad azioni sporadiche, inutili quanto dannose, considerata la capacità dei trafficanti di ripristinare lo status quo in pochissimi giorni, ma a un’azione continua. Una occupazione militare del territorio della favela. Il segretario della Pubblica sicurezza dello Stato di Rio, Josè Mariano Beltrame, con un piccolo staff di esperti, partorì l’idea sperimentale della Upp quasi come ultima spiaggia. Formare un nucleo di polizia militare, con un addestramento più moderno per portare avanti una ‘polizia di prossimità’, sconosciuto e poco sentito anche dalla popolazione. La prima unità di polizia di prossimità è nata il 19 dicembre del 2008. Il grande successo ottenuto nel laboratorio della piccola favela di Santa Marta, situata nell’area ‘controllabile’ del quartiere ricco di Botafogo, ha fatto ben sperare. Lo sprone anche economico delle competizioni sportive internazionali ha fatto il resto, sia in termini di investimenti, sia in termini di necessità di bonificare quelle aree che rappresentavano una seria minaccia allo svolgimento delle iniziative internazionali. Ad oggi si contate 33 Upp, alle quali se ne aggiungeranno altre, fino a giungere quota 40 entro il 2016.
Il piano di pacificazione consiste in una ‘occupazione’ delle comunità sotto il controllo di trafficanti. I criminali, di fronte a una presenza non più sporadica, ma definitiva e massiccia delle forze di polizia, sono costretti a nascondere le armi, di norma sempre bene in vista in braccio ai ragazzini delle ronde, e ‘mimetizzare’ lo spaccio.
Effetto Upp
La presenza di tanta polizia e la impossibilità di tentativi di ‘conquista’ di territori nuovi da parte delle varie fazioni in lotta per il controllo dello spaccio, ha fatto immediatamente crollare il numero degli scontri a fuoco e, conseguentemente, il numero di morti sia tra quadrilhas che tra polizia a trafficanti. Migliorando le condizioni di vita dei residenti. L’obiettivo delle autorità, così come più volte richiamato, non è eliminare lo spaccio, ma di ‘normalizzarlo’, liberando le comunità dalle ronde armate dei trafficanti dando vita nuova alla favela. Con libertà di entrata per tutti e tranquillità di vivere, senza il timore di violenti e improvvisi confronti armati con il relativo rischio di pallottole vaganti.
Se da un lato la Upp ha apportato indiscussi vantaggi, sono molti i punti critici. L’indice di omicidi nelle favelas pacificate si è attestato all’ultima rilevazione a 8,7 morti ogni 100 mila abitanti, contro una media nazionale di 24,3 ogni 100 mila (a Washington D.C. è di 19 ogni 100 mila abitanti). Nella favela di Santa Marta, la prima Upp, non si è mai più registrato un omicidio. Non gli assassinii, ma secondo i dati dell’Isp, Instituto de segurança publica, sono aumentate però le ‘scomparse’: dalle 97 del 2011, alle 112 del 2012, in 29 comunità pacificate. La conta della versione brasiliana della ‘lupara bianca’ testimonierebbe l’enorme potere dei trafficanti. E non solo.
Per i residenti delle favelas, in maggioranza lavoratori a basso reddito, il miglioramento delle condizioni di vita ha avuto un prezzo. Dal punto di vista economico, le favelas si sono trovate al centro di una deriva speculativa. Da quando sono state ‘pacificate’ le comunità, le società di servizi, non più costrette a rimanere fuori dai confini dei ‘morros’ per evitare guai, hanno visto crescere enormemente i guadagni. Così anche la grande distribuzione commerciale e alimentare. Oltre a queste chi si sta arricchendo sono anche i grandi proprietari e società immobiliari. Chiunque sia riuscito, forse consapevolmente, ad accumulare nei dintorni delle favelas, proprietà nel corso degli anni precedenti al 2008, riuscendo a strappare prezzi bassissimi. Proprietà che dopo quattro o cinque anni, hanno visto crescere le rendite con percentuali enormi. La domanda immobiliare delle multinazionali sempre più presenti in città, unita alla politica di pacificazione, ha innescato un processo di crescita della rendita immobiliare. I prezzi d’affitto degli immobili commerciali a Rio de Janeiro sono passati dall’ottavo posto al terzo tra i più cari del mondo, in appena due anni. Crescita molto simile anche per le abitazioni, sia per la vendita che per gli affitti. L’ultimo rilevamento racconta di un aumento medio del valore degli immobili del 15%, con punte però sotto il 30%.
Chi è danneggiato da tutto ciò sono i residenti storici delle comunità. Famiglie povere che non riuscendo a sostenere i costi di affitto e servizi, spesso sono costretti a spostarsi o fuori del municipio di Rio o in favelas non pacificate. A questo fenomeno noto come ‘rimozione bianca’ se ne affianca un altro: quello della rimozione ‘vera’. Cioè cittadini costretti ad abbandonare le proprie case per far spazio sia alle opere di bonifica che ai progetti urbanistici legati comunque alle iniziative sportive internazionali. Perché per molti il fuoco resta sempre la speculazione e lo sfruttamento in particolare dell’olimpiade come volano di crescita economica. E sono le fasce deboli della popolazione a dover subire gli effetti negativi. Molte critiche sono giunte poi per la scelta ‘olimpica’ della fascia urbana da bonificare. Una ‘cinturazione’ che non riflette spesso le esigenze e le condizioni delle favelas maggiormente bisognose di intervento, sia per ordine pubblico che per mancanza di servizi di base. Dopo aver bonificato tutte le favelas della zona sud, quella dei quartieri nobili e cuore turistico della città, l’azione si è allargata a tutta l’area anche della zona nord che circonda lo stadio Maracanà, spingendosi poi verso comunità strategicamente chiave come Rocinha, la più grande favelas del Sudamerica, pacificata nel 2012. Ma quasi sempre rimanendo in aree strategicamente chiave per la costruzione delle strutture olimpiche.
Le debolezze del progetto e il caso Amarildo
Al netto di tutte le valutazioni di ordine economico, quello che i residenti delle favelas chiedono oltre la polizia e la militarizzazione sono solo servizi, scuole, sanità. Ciò che per anni hanno invocato senza successo. Quello che vogliono ora è il rispetto. Personale, ma anche dei diritti umani soprattutto da parte della polizia chiamata a far cambiare opinione di sé, da violenta e corrotta a polizia di prossimità, al servizio dei cittadini. Il caso di Amarildo de Sousa la rappresenta bene quanta strada sia ancora da fare.
I grandi limiti delle Upp sono due. Il primo è di ordine teorico e pratico. Il progetto di fatto non prevede un’aggressione al crimine, non ha al centro il perseguire la criminalità e i trafficanti, ovunque si trovino in una lotta senza quartiere, ma semplicemente quello di tenerli fuori da alcune comunità. Percentuale tra l’altro non maggioritaria. I criminali giovani e non noti alla polizia continuano a spacciare nei pressi e all’interno delle favelas ‘mimetizzandosi’; i capi costretti a fuggire si spostano solo in un’altra favela ‘alleata’ per continuare a gestire i traffici. E questo pare che stia bene alle autorità. Il secondo limite è di ordine tecnico: i poliziotti delle Upp, nonostante siano spesso gli ultimi arruolati e con livello di scolarizzazione più alta, non sono in grado spesso di garantire quella ‘prossimità’ che pure è caratteristica costitutiva dell’idea di Upp. Quello che i residenti lamentano è una mancanza di rispetto nei loro confronti e una logica di contrapposizione vecchia e preconcettuale.
Se non si passa per una qualificazione e una modernizzazione, uscendo dall’ambito di formazione militare vecchio di 30 anni, non si potrà dire un processo concluso o in via di conclusione. Quando i poliziotti della Upp di Rocinha hanno voluto fare chiarezza su un grosso traffico di droga portato avanti sotto il loro naso, non hanno migliorato il loro livello di investigazione, ma hanno fatto pressione su singoli elementi. Utilizzando le uniche competenze e esperienze il loro possesso. E non hanno fatto meglio che torturare. Uccidere. E la domanda è nonostante l’impegno, nonostante la fretta, basterà per garantire una migliore Rio possibile per coppa del mondo e olimpiade?
Le foto nell’articolo e l’immagine di copertina sono di Luigi Spera
Vai a www.resetdoc.org
Analisi interessante sulla politica della pacificazione, che come giustamente sottolineato, a ormai 5 ani dall’inizio della sua attuazione è necessario valutare.
Sicuramente si sta facendo uno sforzo grande ma per capire se la direzione è quella giusta occorre valutare i vari aspetti della questione, come quest’articolo cerca di fare.
Il tema delle favelas continua ad essere di primaria importanza nelle grandi città brasiliane. Per chi volesse approfondire consiglio anche quest’articolo:
http://www.dentroriodejaneiro.it/articoli/36-la-dinamica-dellurbanizzazione-carioca-come-le-favelas-sono-diventate-un-problema.html