Da Reset-Dialogues on Civilizations
“La Tunisia deve stare in allerta sia per le infiltrazioni dalla Libia, sia per le cellule dormienti nel paese, ma dopo il clamoroso insuccesso di Ben Guardene, Daesh ci penserà a lungo prima di ritornare alla carica”. È il pensiero di Mokhtar Ben Nasr, colonello maggiore dell’esercito tunisino in pensione, oggi presidente del Centro tunisino di studi per la sicurezza globale (CTESG).
Ben Nasr fa riferimento ai violenti combattimenti tra l’esercito tunisino e i miliziani di Daesh del 7 marzo scorso al confine tra Tunisia e Libia quando gruppi jihadisti hanno cercato di conquistare la cittadina tunisina frontaliera ma sono stati bloccati dall’esercito coadiuvato dai cittadini. Per fronteggiare i rischi di nuovi attacchi il ministro della Difesa tunisino, Farhat Horchani, ha fatto sapere che la Tunisia applicherà nel sud del paese un sistema di difesa complementare e integrato. Questo includerà muro di sabbia e fossato, controllo elettronico di videosorveglianza messo a punto grazie alla cooperazione di specialisti tedeschi e americani e il ricorso a droni per la sorveglianza dei confini terrestri e le acque territoriali tra Tunisia e Libia. Inoltre il ministro ha annunciato la preparazione di un quadro normativo, da votare a breve in Parlamento, che permetterà ai paesi amici di formare le forze armate tunisine con propri uomini e mezzi sul suolo locale, nell’ambito delle relazioni bilaterali con la Tunisia.
Colonnello Ben Nasr, secondo lei in che modo la Tunisia può contrastare e sconfiggere il terrorismo?
La Tunisia conduce una feroce battaglia contro i gruppi terroristici già dal 2011, seguendo una strategia multidimensionale basata su tre azioni: di combattimento, di prevenzione e di cooperazione. Una strategia che non è solo securitaria ma comprensiva anche di una dimensione sociale, economica, culturale e religiosa, molto attenta alla gioventù e alle regioni sfavorite. Questa strategia ha dato ottimi risultati nel corso degli ultimi cinque anni. L’organizzazione Ansar al-Sharia, che è stata l’origine del male, è stata completamente distrutta. I suoi pochi capi sono scappati in Libia. Le differenti ali di quest’organizzazione – politica, logistica, operativa, mediatica -, sono ridotte al nulla. Alcuni piccoli gruppi si nascondono al confine montagnoso algerino, anche se non hanno alcun supporto logistico, né più sostegno popolare. Credo che la Tunisia stia vincendo la scommessa, malgrado i tre attentati dell’anno scorso, Bardo, Sousse, Tunisi. Ma le due operazioni di Gafsa condotte nel 2015 dalle forze di sicurezza hanno indebolito questi gruppi terroristici, venti dei loro leader sono stati uccisi in due agguati separati. Il colpo di Sabratha in Libia (40 morti e molti arrestati), seguito da quello a Ben Guerdane (50 morti e 15 arrestati), ha dato il colpo di grazia a questi gruppi terroristici. Centinaia di cellule dormienti sono state arrestate. Molti attentati sventati. Gli sforzi dei militari e delle forze di sicurezza proseguono senza sosta.
La Tunisia necessita di una coalizione internazionale o è in grado di difendersi da sola?
Il terrorismo non è un nemico solo della Tunisia. Il terrorismo è un male locale, regionale e internazionale. La Tunisia è in grado di difendersi adeguatamente, ma una cooperazione con i paesi fratelli e amici è necessaria. L’appartenenza a una coalizione non può che rinforzare la lotta contro il terrorismo, sia sul piano di scambio di informazioni, sia nel coordinamento di azioni comuni.
A che scenari deve prepararsi per il futuro la Tunisia? E che previsioni sulla Libia?
Tra gli scenari possibili potrebbe esserci un altro colpo a sud, in risposta all’insuccesso totale a Ben Guerdane. Oppure i terroristi potrebbero pensare di far muovere a nord ovest alcuni piccoli gruppi radicati nelle montagne. In ogni caso, poiché potrebbero passare ad azioni spettacolari con autobombe, è necessario che la vigilanza e lo stato di allerta siano mantenuti per il maggior tempo possibile.
Riguardo al futuro della Libia, credo che il nuovo governo non sia in grado di ripristinare la sicurezza nel paese senza un aiuto sostanziale dell’esercito libico riconosciuto/legittimo. Un intervento della NATO è probabile e ci attendiamo che una risoluzione dell’ONU sia emanata a seguito di una richiesta del governo libico. La situazione comunque rimarrà poco chiara per alcuni anni.
Pensa che siano più pericolose le cellule dormienti tunisine o la possibilità di infiltrazione tra i rifugiati nelle zone di frontiera?
Le cellule dormienti e le possibili infiltrazioni sono entrambi minacce sostanziali in Tunisia. Per questo, negli ultimi mesi, forze di polizia, guardia nazionale ed esercito sono stati impegnati in una strategia rigorosa di controllo sulle frontiere, in incursioni quotidiane e persecuzioni nelle città, nei villaggi e tra montagne.
Cosa dimostra l’episodio di Ben Guardene?
L’azione di Ben Guerdane era prevedibile. I terroristi si propongono di conquistare i punti nevralgici e quindi distribuire le armi ai cittadini e occupare le città per usarle come “testa di ponte” per Daesh, ossia come posizioni relativamente sicure. A Ben Guerdane hanno fatto affidamento su un’insurrezione ma tutti i loro calcoli erano basati su falsi presupposti. Credevano che le forze armate e di sicurezza fossero deboli e che potevano sorprenderle. È stato un errore strategico. Un paio di giorni prima le forze armate avevano rintracciato ed eliminato un gruppo terroristico nella stessa zona, dimostrando grande vigilanza. A Ben Guerdane la reazione dell’esercito è stata molto veloce ed efficiente. Quindici terroristi sono stati uccisi dall’inizio dell’attacco davanti alla caserma. La popolazione ha affiancato le forze armate giocando un ruolo molto importante nell’azione, fornendo informazioni sulla posizione dei terroristi. Alla fine questi hanno subito un clamoroso insuccesso e certamente ora ci penseranno a lungo prima di ritornare alla carica.
A differenza delle forze dell’ordine egiziane, quelle tunisine non sono coinvolte nella vita politica ed economica. Secondo lei quali sono le ragioni di questa identità specifica?
Le ragioni sono molteplici. L’esercito tunisino è sempre stato apolitico e molto disciplinato. I suoi ufficiali si formano nelle Accademie. Seguono in genere i corsi degli Stati Maggiori e le Scuole superiori militari in Europa e negli Stati Uniti. I regimi politici per paura di colpi di Stato hanno allontanato completamente l’esercito dalla vita politica. L’esercito tunisino, come ha detto lo scrittore americano Zaltan Barany, infatti, “è stato un esercito democratico in un sistema totalitario”.
Alcuni studiosi affermano che il cammino di successo della Tunisia verso la democrazia dipenda dai militari che hanno sostenuto la rivoluzione e la successiva transizione. Che ne pensa?
Sostengo pienamente questa idea, il ruolo dell’esercito è importante per la stabilità del paese, ma anche per il successo dell’esperienza democratica. Durante la rivoluzione il Capo di Stato Maggiore dell’esercito ha avuto l’occasione di chiarire il ruolo dei militari quando alcune voci si sono sollevate per chiedere loro di prendere il potere e salvare il paese dal partito Ennahda. Ha dunque affermato che l’esercito sarebbe rimasto fedele alla sua missione, restando apolitico, per garantire il successo della rivoluzione e raggiungere gli obiettivi di libertà, democrazia e sviluppo.
Gli ufficiali in pensione rafforzano la già attiva società civile tunisina? In che modo?
Sì, attraverso il loro impegno, sostenendo alcuni centri di ricerca e studio, e attraverso la partecipazione attiva alla vita della comunità, in modo da essere una forza propositiva per migliorare l’esperienza democratica che sta vivendo il paese.
Di che si occupa il Centro tunisino di studi per la sicurezza globale?
Il Centro tunisino per gli studi sulla sicurezza globale è un’associazione della società civile nata il 5 dicembre del 2013 e riunisce dirigenti, accademici, addetti alla sicurezza militare, esperti e specialisti in molti settori e pensionati. La sua missione consiste nel condurre studi strategici nel campo della sicurezza globale, diffondere i nuovi concetti di sicurezza, sviluppare la strategia di controllo e di lotta al terrorismo, aiutare le organizzazioni della società civile e dei partiti politici attraverso seminari e workshop per diffondere la cultura della cittadinanza e le politiche di sicurezza e di difesa, cooperare con organismi analoghi per far evolvere il concetto di sicurezza cittadina.
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