Da Reset-Dialogues on Civilizations
La video conferenza del 27 giugno 2014 di Steve Bannon, fondatore di Breibart News e recentemente nominato “chief strategist and senior counselor” dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, stava per concludersi. Ad ascoltarlo, in una sala vaticana, c’erano i membri e gli ospiti del Dignitatis Humanae Institute, che vanta quale presidente del suo comitato consultivo il cardinale Raymond Burke, il primo esponente cattolico a complimentarsi pubblicamente con Donald Trump per la sua vittoria alle recenti elezioni presidenziali e firmatario con altri tre “principi di Santa Romana Chiesa” della richiesta di chiarimenti a papa Francesco su alcune supposte incongruenze dottrinali dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, in assenza dei quali ha ipotizzato una pubblica “correzione fraterna” del papa.
C’era però ancora tempo per una domanda: “Mr. Bannon, come può l’Occidente combattere l’islam radicale senza perdere se stesso, senza smarrire la propria anima?” A quel punto Bannon ha esposto il suo punto di vista: “Se ripercorriamo la lunga storia della lotta dell’Occidente giudaico-cristiano contro l’islam, io credo che i nostri antenati abbiano mantenuto la loro posizione, e credo che abbiano fatto la cosa giusta. Lo hanno tenuto fuori dal mondo, si trattasse di Vienna o di Tours, o di un’altra città. E ci hanno lasciato in eredità l’uso della grande istituzione che è la Chiesa dell’Occidente. […] Guardate ciò che sta accadendo e vedrete che siamo in una guerra dalle immense proporzioni. I nostri antenati furono capaci di sconfiggerlo e sono stati capaci di lasciarci in eredità una Chiesa e una civiltà che è il fiore dell’umanità. Io credo che dobbiamo fare una sorta di “controllo intestinale” e realizzare quale sia il nostro ruolo in questa battaglia che abbiamo davanti.”
Questo passaggio decisivo della conferenza di Steve Bannon va subito inserito in una rapidissima contestualizzazione, per coglierne la valenza nell’insieme della sua visione. Visto che la civiltà giudaico-cristiana è il solo motore che possa consentire al mondo di tornare a funzionare, sono gli Occidentali che possono salvare il mondo d’oggi, scegliendo quattro parole d’ordine: difesa del capitalismo imprenditoriale e libertario, difesa della famiglia tradizionale, difesa della nazione, lotta all’aborto. Ma nell’Occidente si è insinuato un morbo, guidato e diffuso dal “partito di Davos”, un partito globale che vuole governare il mondo nel nome del capitalismo clientelare, “corporazionista”, legato alle élites; lo sconfiggerà un Tea Party globale, che ha nell’ Ukip di Farange e nel Front National di Le Pen i primi alleati fuori dagli Stati Uniti, seguiti dagli altri movimenti populisti europei. Per questo il primo nemico di questo Tea Party globale non è la sinistra – “ancora non siamo arrivati a questo punto”- ma la destra tradizionale. Questa guerra interna si combatte proprio negli anni in cui esplode il conflitto globale con il fascismo islamico. Per questo qualche strappo alla “regola d’oro” va fatto. Putin, ad esempio, è sì a capo di un cleptocapitalismo di stato opposto a quello invocato da Bannon, ma è indispensabile per vincere la battaglia sui valori.
Rileggere oggi quanto disse Steve Bannon è di grande interesse, non soltanto per il ruolo che ha assunto, ma per capire il ragionamento che alla base di un “Tea Party globale” che non è più nel libro dei sogni di alcuni, o degli incubi di altri. E i punti di maggior rilievo appaiono due: la questione delle élites e quella islamica. Sono, probabilmente non a caso, i temi d’apertura e chiusura della conferenza.
Steve Bannon parte dalla data scelta per questo dialogo. 27 giugno 2014, vigilia del 100esimo anniversario dell’attentato di Sarajevo: fino a quel giorno il mondo era in pace, prospero, globalizzato. Poi, all’improvviso, è cominciata un’epoca nuova, tragica, efferata, che ha causato tra i 180 e i 200 milioni di morti. La nuova barbarie della quale siamo figli. Chi ci salvò da quella barbarie non furono i resistenti polacchi o i soldati che sbarcarono in Normandia, ma l’opporsi all’ateismo dell’Occidente giudaico-cristiano, del capitalismo illuminato.
Nella visione di Bannon la storia si sta ripetendo, in questo 21esimo secolo stiamo entrando in una nuova crisi epocale: “crisi della nostra Chiesa, crisi della nostra fede, crisi dell’Occidente, crisi del capitalismo.” Cresce intorno a noi un capitalismo distaccato dai propri valori morali, dalla propria capacità etica e dalla propria forza, quella di produrre ricchezza e benessere. Questo capitalismo malvagio e malato ha due nomi: capitalismo di Stato e capitalismo clientelare. Qui Bannon non critica apertamente Bergoglio, sottolinea che “ il capitalismo di Stato” è certamente quello che Bergoglio ha conosciuto durante tutta la sua vita in Argentina. Mentre il capitalismo clientelare è quello che conosciamo noi, e che se non sarà sconfitto diventerà attraente per i nostri figli. Il capitalismo clientelare massimizza i guadagni per i suoi “adepti”, mercificando l’uomo. Lo abbiamo visto nel 2008, con la crisi finanziaria globale. “Io vi dico, il punto di partenza di questa rivolta populista globale è la crisi finanziaria del 2008. Il modo in cui coloro che governano le banche e gestiscono gli hedge founds (i fondi speculativi o fondi avvoltoio) e che non hanno mai pagato, non sono mai stati riconosciuti responsabili per quello che hanno fatto, ha alimentato gran parte della rabbia del Tea Party americano”.
Il capitalismo clientelare alleato dei vecchi conservatori è per Bannon il vero nemico del Tea Party globale, che lui già due anni fa vedeva a un passo dalla vittoria. Quei vetero-conservatori per lui erano e sono il grande nemico perché alleati di un capitalismo temibile e da sconfiggere prima che diventi l’idolo della dilagante secolarizzazione, prodotta dallo smarrimento della nostra fede “profonda”. I vetero-conservatori e i loro alleati delle grandi corporations tipo Boeing o General Electric, pensano e agiscono in tutto il mondo allo stesso modo. I popoli però preferiscono pensare e agire a modo loro, seguendo le tradizioni e le consuetudini delle loro nazioni, e hanno bisogno di un capitalismo capace di tornare a produrre ricchezza. Ecco allora che ancorarsi ai valori profondi della fede, difesa della famiglia tradizionale e lotta all’aborto in particolare, diviene fondamentale per vincere la prima battaglia, quella interna al nostro mondo. Prima che dalla guerra al fascismo islamico la necessità di un accordo con Putin nasce dalla sua ferma difesa dei valori tradizionale, sebbene sia a capo di un sistema fondato sulla cleptocrazia. Dunque nella visione di Bannon sembra che con Putin si debba fare un’alleanza. Quanto da lui affermato al riguardo merita di essere nel dettaglio: “alcuni fondamenti delle convinzioni di Putin provengono da quello che io chiamo approccio euroasianista; lui ha un consigliere che torna a Julius Evola e a diversi scrittori del XX secolo che sono davvero i sostenitori di ciò che è chiamato il movimento tradizionalista, metastatizzatosi nel fascismo italiano. Un sacco di persone che sono tradizionaliste ne sono attratte. Uno dei motivi è che loro credono che almeno Putin difenda le istituzioni tradizionali, e stia cercando di farlo con una forma di nazionalismo — e penso che la gente, specialmente in alcuni paesi, voglia la sovranità per il suo paese, vuole il nazionalismo. Non credono in questo tipo di Unione pan-europea o non credono nel governo centralizzato negli Stati Uniti. Stiamo assistendo a una reazione globale al governo centralizzato, che è il governo di Pechino o di Washington DC, o di Bruxelles. Non sto giustificando Vladimir Putin e la cleptocrazia che egli rappresenta, perché alla fine il suo è uno Stato capitalista di cleptocrazia. Tuttavia […] penso che la sovranità individuale di un paese è una buona cosa e una cosa forte. Penso che paesi forti e forti movimenti nazionalisti creino vicini forti, davvero i mattoni che hanno costruito l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, e questo è quanto abbiamo davanti a noi. Sì, penso che Putin e i suoi compari siano davvero una cleptocrazia, che sono davvero una potenza imperialista che desidera espandersi. Tuttavia io credo che in questo ambiente attuale, dove siamo di fronte ad un potenziale nuovo Califfato che è molto aggressivo, dobbiamo affrontare prima le priorità.”
Steve Bannon vede un Islam in marcia su Vienna, oggi come secoli fa: nel suo discorso il fascismo islamico è l’ISIS, ma non si colgono distinzioni tra questo e il vasto mondo dell’islam, sebbene affermi che non tutto è jihadismo, le cui metastasi però sono ovunque. Ma anche il Tea Party non si ferma ai confini dell’Occidente. Assicura che è “già in marcia […] anche in Asia, dove già la grande vittoria di Narenda Modi è stata all’insegna della reaganomics.”
Bannon non ha trattato nel suo discorso la questione migratoria, ha sorvolato su quella del possibile razzismo o antisemitismo di settori del “Tea Party globale”, rispondendo a una precisa domanda che in effetti qualche problema c’è, figlio soprattutto di disperazione, affermando comunque, “il mio punto è che nel corso del tempo tutto ciò si laverà (sbiadirà), giusto? La gente capisce che cosa li unisce e le persone ai margini penso vengano emarginate sempre di più”. Non ha mai affrontato il tema della povertà, ma solo quello della “produzione della ricchezza” per allargare i ceti medi. Ma soprattutto il discorso di Steve Bannon sembra basarsi su un’alleanza tra trono e altare, invoca una “Chiesa militante”, divide le religioni tra buone e cattive, e immagina un mondo con un solo motore, nel quale la civiltà sembra un’ideologia, con i suoi pii antenati, imitando i quali tutto si aggiusta.
Immagine: FREDERIC J. BROWN / AFP
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