Da Reset-Dialogues on Civilizations
Nel mese di febbraio la guerra in Ucraina ha rappresentato uno dei temi principali all’interno dei media russi. È interessante notare come la narrazione russa degli eventi sia assai diversa da quella europea. La stragrande maggioranza dei giornali e dei siti web privilegia infatti un taglio “nazionalista”, molto vicino alle posizioni governative ed è difficile trovare voci “fuori dal coro”. In questa ottica, il governo di Kiev viene spesso dipinto come dominato da elementi “fascisti” o addirittura “filo-nazisti”, mentre Poroshenko appare una figura piuttosto debole, alla mercé di un vero e proprio “partito della guerra”. In tal senso, è molto eloquente l’intervento di Vladimir Golstein ripreso da Russia Insider. L’autore lancia una invettiva molto dura contro i Paesi europei, rei di avere un atteggiamento a priori ostile contro Mosca e di essere troppo dipendenti dalle direttive statunitensi. Questo pregiudizio mina la capacità di leggere appieno l’evoluzione delle vicende politiche in Ucraina. Ancora più duro il commento di Oleg Tsarev, speaker del Parlamento delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, riportato da Echo Moskvy. Nell’articolo si critica aspramente il cinismo dei politici europei e americani, veri artefici della guerra in Ucraina, che ha privato il Paese non solo della pace, ma anche della possibilità di “siglare contratti ultramilionari con Mosca nel caso in cui Kiev fosse entrata a far parte dell’Unione Euroasiatica”.
A fare da contraltare a queste posizioni, ci sono contributi più critici nei confronti della politica adottata dal Cremlino e del modo in cui la crisi viene presentata al pubblico russo. Molto interessante l’intervento di Igor Jakovenko pubblicato su Ezhedevnij Zhurnal. L’autore attacca la parzialità (definendola “mediafrenia”) con cui le notizie vengono diffuse nel Paese, sottolineando come la strategia comunicativa del Cremlino si basi su “tre pilastri” fondamentali: la politica, i giornalisti e gli esperti. Vladimir Ryzhkov su Echo Moskvy critica il livello di isteria che la propaganda del Cremlino ha creato nella popolazione, un odio paranoico verso il nemico esterno che impedisce di affrontare i veri problemi del Russia. Una strategia che tuttavia sta avendo successo, come confermano i dati del sondaggio della “Fondazione di Opinione Pubblica” (Фонд Общественное Мнение -ФОМ). L’indagine rivela che nel mese di febbraio il livello di gradimento di Putin ha raggiunto il suo massimo storico dell’85 per cento. Quattro sono gli eventi legati alla crisi ucraina che hanno dominato il dibattito sui mezzi di comunicazione russi: la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, le trattative del “Quartetto di Normandia” a Minsk, l’anniversario delle proteste di Euro-Maidan, che ha segnato l’inizio della rivoluzione (o secondo alcuni “guerra civile”) e il tragico assassinio di Boris Nemtsov.
La Conferenza Internazionale per la Sicurezza di Monaco
La maggioranza dei media russi ha sostenuto le posizioni forti prese da Putin e dal Ministro degli Esteri Sergej Lavrov, circa le modalità di gestione del conflitto in Ucraina orientale. Si segnalano in tal senso i contributi di Kira Latuchina e Evgenij Shestakov che sottolineano come la Russia non possa accettare di vivere in una condizione di “semi-occupazione” da parte degli Stati occidentali nel suo vicinato. L’Occidente deve pertanto scegliere se l’architettura di sicurezza europea debba includere Mosca, oppure no.
Minsk 2.0 vincitori e vinti
Grandissimo spazio è stato ovviamente riservato ai colloqui di pace tenutisi a Minsk tra i rappresentanti del “Quartetto di Normandia” (Francia, Germania, Russia e Ucraina). La maggioranza dei giornali russi ha interpretato l’accordo raggiunto come una vittoria diplomatica del Cremlino – e dei separatisti filorussi – e come una sconfitta per Kiev e Poroshenko. Leonid Radzichovskij sottolinea dalle pagine di Rossijskaja Gazeta come Putin sia riuscito a raggiungere un buon compromesso sullo status del Donbass. Mosca ha infatti ottenuto che Kiev accettasse finalmente di discutere della federalizzazione dello Stato. Un po’ più scettico Kirill Benediktov che su Izvestija sottolinea come l’accordo contenga ancora delle lacune, in particolare relativamente al controllo della zona del “cessate il fuoco”. L’autore mette inoltre in guardia dal “partito della guerra” di Kiev, la cui intenzione è quella di prendere tempo per riarmarsi e usare la zona demilitarizzata per riconquistare – con l’aiuto degli Stati Uniti – la “Novorossija”. Sulla stessa falsariga il già citato Tsarev, il quale partendo dal presupposto che Kiev sia una marionetta nelle mani di Washington e che l’obiettivo nascosto di Obama sia quello di indebolire Mosca con una guerra economica che porti ad una “rivoluzione colorata”, sostiene la necessità che l’Ucraina torni ad essere un Paese neutrale in cui le popolazioni russofone possano decidere il loro destino – unirsi alla Russia o essere parte di un’Ucraina federale. Anche Vasilij Kashin esperto del “Centro di analisi strategiche” su RosBusinesKonsulting ritiene che Putin e i filorussi abbiano ottenuto una serie di importanti risultati, tra cui il fatto che l’Unione Europea dovrà vigilare affinché Kiev mantenga le promesse fatte sulla riforma costituzionale. Fallimentare invece si è rivelata la strategia Euro-atlantica, secondo cui le sanzioni e la crisi economica avrebbero fatto cambiare idea a Mosca.
Accanto a queste posizioni mainstream, non mancano però voci critiche. La redazione della piattaforma Meduza analizza in modo un po’ disilluso una serie di questioni lasciate irrisolte dalle trattative di Minsk. In primis il tema dello status del Donbass. Kiev si è impegnata ad avviare il dibattito sulla federalizzazione del Paese, ma questa deve passare necessariamente attraverso una riforma costituzionale. Ciò tuttavia prevede una maggioranza di due terzi nella Verchovna Rada di Kiev, scenario al momento piuttosto irrealistico. Dello stesso avviso Andreij Babitskij che sulle colonne di Vedomosti sottolinea come l’accordo sia troppo sbilanciato a favore di Mosca. Putin ha fatto in modo che Mosca non fosse ufficialmente riconosciuta come parte del conflitto – nonostante un articolo comparso su Novaja Gazeta sveli un piano del Cremlino di annettere le regioni orientali dell’Ucraina. Gli accordi di Minsk fanno ricadere tutto il peso sulle spalle di Kiev, ma non si capisce come le istituzioni nazionali possano riacquistare il controllo nell’est, visto che le milizie continueranno a gestire i tribunali regionali. Interessante anche l’intervento dell’ex Primo Ministro russo Michajl Kasjanov, leader del Partito Repubblicano Russo – Partito della Libertà Popolare (RPR-PARNAS) sulle pagine di Echo Moskvy. L’autore ritiene che l’accordo produca solo una perdita di sovranità per Kiev, con la promessa di ripristinare l’integrità territoriale ucraina solo dopo la legalizzazione delle strutture di potere delle regioni di Donetsk e Lugansk. In altre parole, l’autore afferma che le trattative di pace rappresentino una “punizione eccessiva” per il popolo ucraino per la sua voglia di vivere liberamente e di determinare autonomamente il proprio destino.
Non mancano contributi di giornalisti che vedono l’accordo come positivo per entrambe le parti in causa. Sergej Aleksashenko su Echo Moskvy ritiene che sia Putin che Poroshenko abbiano motivo di essere ottimisti. Il primo infatti ha evitato una nuova ondata di sanzioni economiche contro un Paese la cui economia mostra evidenti segnali di crisi. Il secondo può beneficiare del nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale, che aiuterà il governo a evitare il collasso economico. Infine da segnalare un articolo molto duro nei confronti del Governo da parte di Boris Vishnevskij (del partito di opposizione “Jabloko”). Secondo l’autore Putin non ha ottenuto tutto quello che voleva dagli accordi di Minsk, in quanto l’Ucraina non è stata trasformata in uno “Stato vassallo” della Russia. L’autore si scaglia contro l’ideologia patriottica e nazionalista del Cremlino, che ha leso la credibilità internazionale del Paese, trasformandolo in un vero e proprio “Stato canaglia” e mettendo in ginocchio l’intera economia.
L’anniversario di Euro-Maidan
Infine molta attenzione è stata data all’anniversario delle proteste di Euro-Maidan. La maggior parte dei giornali ha tratto un bilancio negativo dell’ultimo anno in Ucraina. Sul celebre sito di informazione russo in inglese (pro-Governativo) Russia Today si sottolinea come la realtà abbia tradito le aspettative del popolo ucraino. Il PIL è crollato del 6 per cento nel corso dell’ultimo anno, l’inflazione ha raggiunto un livello del 27 per cento, mentre la disoccupazione è salita al 9 per cento. La guerra economica contro la Federazione Russa ha fatto crollare l’interscambio commerciale con Mosca, con una perdita stimata di 160 miliardi di dollari. Infine la recente decisione del FMI di fornire ulteriori finanziamenti a Kiev non produrrà effetti positivi per l’economia nazionale, ma potrebbe addirittura portare ad un aumento del 280 per cento delle bollette. Dalle colonne di Rossijskaja Gazeta Rostislav Ishenko attacca duramente il Presidente Poroshenko. L’autore non esclude che si possa assistere ad un “nuovo Majdan”. Poroshenko è un Presidente debole, che non gode del sostegno dell’esercito e che fa fatica a contenere le forze centrifughe in alcune regioni dello Stato. Il Presidente è inoltre circondato da falchi e da partiti “filo-nazisti” che non hanno gradito il modo in cui l’Ucraina ha silenziosamente accettato le condizioni dei colloqui di pace di Minsk. L’autore chiosa dicendo che il conflitto è destinato a continuare perché Kiev e i separatisti hanno visioni diametralmente opposte sul futuro assetto politico dell’Ucraina. Kiev non può accettare la federalizzazione, perché il suo governo si poggia su una rigida centralizzazione e una “politica del terrore”.
Altra lettura molto critica viene proposta da Andrew Korybko su Sputnik International. Euro-Maidan viene descritto come un “colpo di Stato” che ha consentito ad un governo pro-occidentale di insediarsi illegalmente a spese delle democrazia. Nell’articolo si sottolinea inoltre come quegli elementi destabilizzatori che hanno portato alla fuga di Yanukovich siano ancora presenti e rischiano di portare ad una completa dissoluzione del Paese. A differenza delle “rivoluzioni colorate” dei primi anni Duemila, Euro-Maidan si è contraddistinto sin da subito per la sua violenza, soprattutto a causa della presenza di movimenti di estrema destra e filo-nazisti che hanno poi trovato rappresentanza all’interno delle istituzioni nazionali – primo fra tutti il Partito “Pravij Sektor”. La guerra nel Donbass è il simbolo della ribellione delle popolazioni russofone contro un’autorità illegale e della volontà di difendere il principio di “auto-determinazione”. In altre parole, Euro-Maidan ha tradito quegli ideali di “libertà di pensiero” e “democrazia”, mentre c’è il rischio che le forze estremiste organizzino un nuovo golpe e prendano definitivamente il sopravvento. Di diverso avviso Leonid Kanfer che su Echo Moskvy sottolinea che Euro-Maidan ha segnato una tappa storica per il Paese, dolorosa ma fondamentale per iniziare un processo di cambiamento. L’alternativa – che domina ancora invece in Paesi come Russia e Bielorussia – è uno “stagnante conservatorismo”, in cui le élites politiche si servono di un “nemico esterno” per proiettare il malcontento della popolazione verso altre tematiche, usandoli come veri e propri “soldati” per una guerra in cui non c’è nulla in palio.
Intanto il 21 febbraio a Mosca è stata organizzata una manifestazione del movimento “Anti-Majdan”. Secondo le stime ufficiali, più di trentamila persone hanno preso parte a questa marcia. Al grido di “Не забудем, не простим” (“Non dimentichiamo, non perdoniamo”) i partecipanti hanno manifestato contro la possibilità che la Russia possa essere coinvolta in una rivoluzione sanguinosa come quella ucraina. Ovviamente accanto a descrizioni entusiastiche dell’evento, non sono mancati commenti critici tra cui l’accusa apparsa su Novaja Gazeta, secondo cui molti dei partecipanti sarebbero stati pagati dalle autorità del Cremlino.
L’assassinio di Nemtsov
Il mese di febbraio si è chiuso con la tragica notizia dell’assassinio di Boris Nemtsov. Dal suo blog su Echo Moskvy e dalle pagine di Novaja Gazeta, Nemtsov non aveva mai esitato a criticare Putin per l’ingerenza del Cremlino nella guerra in Ucraina. Nemtsov era in prima linea nell’organizzazione della manifestazione – poi annullata – “Весна” (Primavera) contro la crisi economica e la guerra nel Donbass. La sua morte ha suscitato reazioni diverse nella stampa. Nei giornali più conservatori come Izvestija c’è un sostanziale allineamento alla posizione ufficiale del Cremlino – che ha definito l’omicidio una “provocazione” – che spesso si affianca ad analisi critiche del passato politico di Nemtsov. Ashkerov e Prokhanov per esempio ricordano come il politico russo (definito “l’Amleto post-sovietico”) appartenesse a quel gruppo di persone (El’cin, Gajdar) che negli anni Novanta hanno distrutto politicamente ed economicamente la Russia.
Dall’altro lato della barricata Sergej Aleksashenko sostiene che Nemtsov sia stato ucciso perché contrario al sistema politico verticale e clientelare creato da Putin, “un sistema che non è in grado di discutere con i nemici, ma solo di eliminarli”. Muratov e Ganapolskij ritengono che la Russia sia ormai sprofondata in un clima di isteria collettiva come ai tempi dell’Unione Sovietica, e che l’idea della “fortezza circondata” non faccia altro che alimentare l’estremismo e l’odio nei confronti di qualunque forma di dissenso. Infine, molto interessante l’articolo di Aleksandr Baunov del Carnegie Moscow Centre. L’autore afferma che l’omicidio di Nemtsov rappresenti un segnale del degrado dell’autoritarismo del Cremlino, la cui propaganda dipinge gli oppositori come membri di una “quinta colonna” che mira solo alla distruzione del Paese e dei suoi valori fondamentali.
Daniele Fattibene offre una panoramica di grande interesse. Non è frequente avere dati così variegati dalle testate giornalistiche in lingua russa. La prospettiva che si apre è di uno strumento di comunicazione vincente, laddove purtroppo spesso l’informazione sulla zona e molto parziale.