Grillo finisce sulle home page dei siti di informazione internazionale, non solo per le interviste rilasciate a quotidiani e settimanali stranieri (tre esempi: il New York Times, il magazine Time e il settimanale tedesco Focus). Un articolo del New Yorker, ad esempio, si domanda se i politici italiani siano davvero tanto più folli di quelli americani. L’autore dell’articolo, Alexander Stille, vede nel bipartitismo statunitense ciò che – almeno fino ad oggi – ha “limitato il successo di partiti più radicali, ma l’esperienza italiana mette in luce dei fenomeni che sono in atto anche negli Stati Uniti. Siamo davvero sicuri che il Congresso sia un’istituzione più sana del Parlamento Italiano?”. Nel bene e nel male, ricorda Stille, l’Italia è sempre stata un “laboratorio di innovazione politica”: la mafia, il fascismo, Berlusconi […] E adesso Grillo, “una delle prime figure politiche a costruire un movimento considerevole, fondamentalmente attraverso Internet”. Così, il M5S finisce per essere il cugino di successo del Tea Party e di Occupy Wall Street – che non sono riusciti a sfondare a casa propria, dove è stato il sistema politico a impedirglielo.
Gli americani hanno quindi poco da ridere guardando all’Italia e a pensarlo non è solo Stille, ma anche Mike Lofgren che, sul Washington Post, scrive: “Ridiamo degli italiani, ma dateci ancora quattro anni di fiscal cliff, di governi bloccati e limiti di indebitamento e gli Americani […] potranno sorprenderci con una risposta cinica al rifiuto di Washington di governare razionalmente”. E si cimenta su un’analisi del M5S anche The Brooking Institution, think tank americano, considerato tra i più autorevoli: “Certo, uno non dovrebbe farsi ingannare, dimenticando che avere un leader non eletto, di un partito il cui non-statuto è stato scritto soltanto da due persone, e mai sottoposto a una votazione, non è l’ideale. Tuttavia, benché il logo del M5S sia di proprietà di Grillo e non del movimento in sé, uno non dovrebbe confondere il fondatore con i membri. Il Movimento 5 Stelle ha le sue contraddizioni […] Ma molto può essere imparato dal movimento che potrebbe aiutare a rivitalizzare la politica italiana”.
Politica americana
Due studenti di scienze politiche, provenienti dall’Università di Berkley e dell’Università del Michigan, hanno condotto uno studio sulla visione che i politici hanno della popolazione americana. “Cosa pensano i politici dei propri elettori” – questo, il titolo del paper – mette in luce l’ “errata percezione” dell’elettorato a stelle e strisce, considerato più conservatore di quanto effettivamente sia, non solo dai conservatives stessi ma anche, seppur in maniera meno accentuata, dai liberali. L’analisi è rilanciata – estremamente sintetizzata – da The Atlantic.
Ma c’è pure un altro saggio che attrae l’attenzione dei più seguiti siti di informazione americani. Questa volta l’osservazione parte da una rivista conservatrice giunta ormai alla sua fine editoriale, a firma di un forse non notissimo intellettuale della destra, Tom Lindberg. Il suo lungo articolo è intitolato “Sinistra 3.0 – Obama e l’emergere di una nuova sinistra”. Per Lindberg il Partito Democratico di oggi ha raggiunto una maturità che mancava a quello di 20 o 30 anni fa, grazie a un’ideologia e a una organizzazione diversa, ma soprattutto maggiore consapevolezza, pazienza e scaltrezza politica. Di questo pezzo parla Salon.com, presentandolo come “il miglior saggio mai pubblicato dalla rivista Policy Review”.
“Aggiornarsi o morire”
E’ questo il titolo di un interessante argomentazione pubblicata sul sito di The New Yorker, per sottolineare il legame tra il “perfezionismo tecnologico” e il declino socioeconomico dell’America, con “la percentuale dei profitti delle aziende che va ai dipendenti al punto più basso dal 1966”. George Packer, in questo articolo, mette in evidenza un paradosso che anche al di qua dell’Atlantico è difficile ignorare: l’altissima diffusione di dispositivi tecnologici a caro prezzo che non sembra subire alcun arresto, nonostante la sempre crescente povertà della popolazione. “La mia indimostrabile ipotesi è che l’ossessivo aggiornamento e la stagnazione cronica sono intimamente legate, come le fantasie erotiche sono legate all’inibizione sessuale. […] Quando le cose non vanno nel regno materiale, le persone si rivolgono al regno dei bits. Se il mondo fisico diventa intransigente, puoi trovare riparo nel mondo virtuale…” E’ quello che Evgeny Morozov chiama il “soluzionismo”, una “ideologia pervasiva e pericolosa”, una “patologia intellettuale che riconosce i problemi come problemi basati su un solo criterio: se possono essere risolti con una soluzione tecnologica […] a nostra disposizione”. Come se potessimo convincerci che non c’è crisi e non c’è povertà, solo perché indossiamo un paio di occhiali speciali che non ce la fanno vedere.
La bufera sui collaboratori gratuiti di The Atlantic
The Atlantic è finito su tutti (gli altri) siti di informazione americani per una pratica tanto diffusa quanto controversa: quella di chiedere contenuti gratuiti ai giornalisti freelance. La bufera si è scatenata a partire dalla pubblicazione dello scambio di email tra il libero professionista in questione, Nate Theyer, e la caporedattrice di The Atlantic, Olga Kazhan. Alla richiesta di compenso per un adattamento di 1200 parole, lei rispondeva: “Sfortunatamente non possiamo pagarla per questo, ma raggiungiamo 13milioni di lettori ogni mese”. Danno rilievo alla vicenda, schierandosi dalla parte di Nate Theyer, siti come quello di New York Magazine e MediaBistro – che chiede “Più Nate Theyer, per favore”. E dello stesso parere è il commento di Roy Greenslade sul suo blog all’interno di The Guardian (titolo: “Adesso ci si aspetta che i giornalisti lavorino per niente – o per niente niente”). Altrettanto crudo, anche se prende le difese opposte, è l’articolo apparso su Forbes e firmato Timothy B. Lee, intitolato: “Lagnarsi per i pezzi non pagati non aumenterà i redditi dei giornalisti”. A fornire un contributo meno polemico e più ragionato è come sempre Poynter.org che prima dedica un po’ di spazio alle pubbliche scuse (con spiegazione) del direttore di The Atlantic, James Bennet – e poi lancia il dibattito: “Quando ha senso scrivere gratis?”.
Infografiche
La diffusione delle lingue scandinave in North Dakota e Minnesota e i dettagli sullo scandalo della carne di cavallo; chi sono i 115 cardinali che parteciperanno al Conclave e chi è considerato il più papabile; povertà ed educazione negli Stati Uniti e i rapporti tra i vari Paesi del mondo, analizzati attraverso gli scambi di email. Tutto questo in alcune delle più interessanti tra le infografiche più recenti.