“Una rivincita dell’economia reale su quella di carta”, ChinaFiles presenta così la notizia del colpo di reni impartito dai risparmiatori cinesi alle oscillazioni del prezzo dell’oro. Il crollo del costo del metallo prezioso, registrato nelle scorse settimane, ha infatti convinto le mamme cinesi a fare incetta di regali in oro per i matrimoni delle figlie, con il risultato che il prezzo è risalito in maniera quasi altrettanto straordinaria al suo calo. A offrire questa interpretazione è il cinese Global Times che attacca un articolo con questo lead: “Quando i prezzi dell’oro hanno registrato una storica picchiata, diverse settimane fa, con un conseguente rimbalzo altrettanto epocale, è bastato poco agli osservatori del mercato, per identificare la presunta forza dietro al rialzo: le mamme cinesi”.
E, altrettanto orgogliosamente, è stato il presidente della Chinese Gold & Silver Exchange Society a rivendicare la vittoria delle formiche cinesi sugli speculatori occidentali: “I sogni dei venditori allo scoperto sono stati mandati in frantumi da chi, in tutto il mondo, ha comprato l’oro reale, come ad esempio le madri cinesi che hanno colto l’occasione per acquistare un po’ di oro a prezzi convenienti”. Le sue parole sono riportate all’interno di un articolo del South China Morning Post, intitolato “Le madri cinesi battono Wall Street nel forzare il rimbalzo del prezzo dell’oro”.
Il costo dell’educazione
Come ogni domenica, Fortune rispolvera i propri archivi per riproporre sul sito qualche articolo dal passato. Questa settimana ne propone uno davvero curioso, datato 1957 e intitolato: “I college costano troppo poco”. Interpretazione storica per un argomento estremamente attuale, come suggerisce la versione online del Wall Street Journal che, all’indomani, ha pubblicato un pezzo sulle nuove strategie di prezzo dei prestigiosi e – costosissimi – college privati americani. Calcoli sulle conseguenze della crisi alla mano, i college hanno iniziato a prendere in considerazione l’idea di aumentare gli aiuti finanziari per rendere più sostenibile il costo dell’iscrizione. Un tema discusso già su The Atlantic qualche settimana fa, in un articolo diventato molto popolare e intitolato “I prestiti agli studenti stanno distruggendo l’economia?”. La risposta sta nella rilettura in chiave ottimistica di uno studio della New York Fed, che lamenta il crollo degli acquisti di case e macchine da parte dei giovani. “Quello che è davvero cambiato”, scrive Derek Thompson su The Atlantic, “è il tipo di debito che hanno. I giovani hanno barattato i mutui con i prestiti da studenti. Hanno scambiato le macchine per il college e le case per i compiti a casa. Ed è bene così! Rispetto alle macchine e alle case, l’educazione è un investimento molto più sicuro”.
News e social media
La tecnologia avanza e far finta di nulla, opponendosi al cambiamento, non risolverà i problemi di un settore fortemente in crisi – d’ identità oltre che economica – come il giornalismo. L’hanno capito i soggetti più vecchi dell’ industria dell’ informazione – le agenzie di stampa. La Reuters ha da poco presentato un sito nuovo, caratterizzato da quella che è stata subito definita una Twitterizzazione dell’agenzia – con una resa grafica del nuovo concetto dell’informazione come flusso continuo, processo piuttosto che prodotto. E anche l’Associated Press, l’agenzia di stampa più importante del mondo, di recente, ha però pensato fosse il caso di aggiornare le linee guida per il comportamento dei giornalisti sui social network. “Tutti i giornalisti AP sono invitati ad avere accounts sui social network”, considerati uno “strumento essenziale” per raccogliere le notizie e condividere il proprio lavoro. Attenzione però a ciò che si ritwitta e alle notizie non verificate – sottolinea il manuale. E che i tempi sono cambiati – e pure velocemente – l’ ha riconosciuto anche l’executive editor del New York Times, Jill Abramson che, durante un panel organizzato dalla rivista Wired, parlando dell’attacco a Boston ha individuato nella diffusione dei social network una differenza importante tra questo evento e l’altro – tragico – vissuto dalla comunità statunitense e mondiale – quello dell’ 11 settembre. Ma anche dall’altra parte – quella dei social network – sembra venire la spinta per una fusione tra questi due mondi: come dimostrano le Best Practices suggerite da Zuckerberg ai giornalisti per trovare e condividere notizie su Facebook e l’idea di Twitter di ingaggiare un giornalista, a capo delle News.
Disoccupazione e società
Dai social networks alle reti sociali, The Opinionator, la piattaforma di blog e commenti nel sito del New York Times, ospita un articolo di Nancy Ditomaso sulla disoccupazione degli afro-americani. Il 13% dei neri d’America è senza lavoro – “quasi il doppio della media nazionale”, riporta la Ditomaso che svela il motivo di questo dato con il favoritismo, ancora prima della discriminazione razziale. “Attraverso reti di questo tipo (ndr, la famiglia e gli amici), apparentemente innocue, i bianchi a tendono ad aiutare altri bianchi, perché le risorse sociali sono concentrate tra i bianchi. Se gli afro-americani non fanno parte delle stesse reti, avranno maggiori difficoltà a trovare un lavoro decente”. E, seppur senza la focalizzazione razziale, del binomio disoccupazione e società si parla anche in un articolo trovato su The Atlantic, che risponde alla domanda: “Perché la disoccupazione non scoraggia le nascite dei bambini?”
Longreads
Dalla storia di Sodeto (Spagna), “il paese più fortunato del mondo”, all’ utilizzo delle armi chimiche in Siria e il dibattito di quali mosse dovrebbero adesso compiere gli Stati Uniti. Tra sacro e profano, giornalismo vero e finzione, Longreads.com suggerisce quotidianamente letture e articoli oltre le 3000 parole – con la possibilità di scegliere tra quelli selezionati dai redattori o dalla community, o di navigare tra gli articoli più belli, suddivisi in base alla tematica.