Nessun paese del Vecchio continente può ormai dirsi immune dagli attacchi terroristici condotti o ispirati dall’Isis, sebbene il maggior numero di vittime di questa inusitata violenza si conti nei paesi del Medio Oriente (soprattutto in Siria, Iraq, Arabia Saudita, Tunisia, Egitto, Libano e Turchia). Se il controllo dei territori conquistati in nome dell’ideologia jihadista in Siria ed in Iraq si fa sempre più complesso, aumenta invece la capacità da parte del Califatto di Al-Baghdadi di radicarsi nell’Asia centrale e nel Sud-Est asiatico, così come l’attentato di Dacca, capitale del Bangladesh testimonia con l’uccisione e le sevizie perpetrate verso numerosi nostri connazionali percepiti come corpo estraneo in un paese a larga maggioranza musulmano ma che sinora era parso abbastanza immune da decisi fenomeni di radicalizzazione violenta (anche se un’escalation di violenza si era avvertita almeno dal 2014).
A stupire è poi soprattutto il profilo degli assalitori: non si tratta, infatti, di foreign fighters dalle condizioni di vita disagiate, né di ragazzi affascinati da un messaggio di riscatto violento o da prospettive escatologiche in quanto vissuti per anni nella miseria o in alcune madrasse sostenute con i fondi caritatevoli dei paesi islamici che, per esempio, erano state la fucina di Al-Quaeda, si tratta piuttosto di giovani promesse del Bangladesh-bene, formati nelle scuole private e nelle università più prestigiose del paese: insomma, il terrorismo di marca jihadista non risparmia nessuna fascia della popolazione giovanile andando ad affascinare tanto giovani disperati alla ricerca di un macabro “senso” di vita, quanto giovani di buona famiglia attirati dalle teorie jihadiste e andati “in tilt” dopo una vita passata a sudare sui libri di ingegneria.
Sono di questo tenore le riflessioni che emergono dalla lettura delle grandi testate internazionali occidentali, ma anche dalla lettura dei giornali dello stesso Sud-Est asiatico, necessitate a prendere coscienza di un fenomeno terroristico da cui Pakistan, Bangladesh ma anche India e Malesia non possono più dirsi immuni.
Sul New York Times interviene la scrittrice bengalese Tahmina Anam in un editoriale dal titolo Horror and Sorrow in Dhaka (4 luglio) in cui l’autrice di A Golden Age, storia romanzata della Guerra di Liberazione bengalese, sottolinea: «Questi assassini non provengono da contesti di disagio come uno potrebbe supporre, bensì da famiglie benestanti che hanno potuto consentire loro un’educazione privata, ragazzi che facilmente avrebbero potuto avere amicizie nella stessi cerchia delle loro vittime. A quali riflessioni deve spingerci il fatto di sapere che gli assalitori provengono da contesti privilegiati, eppure nondimeno hanno preferito scegliere il sentiero del nichilismo? Dobbiamo prendere coscienza che non era vera la storia che ci siamo voluti a lungo raccontare riguardo al mio paese: vale a dire che tutto sarebbe tornato alla normalità e che il paese non stesse approdando ad una rotta di radicalizzazione violenta e sarebbe caduto nelle mani degli estremisti, nonostante io stessa e i miei amici abbiamo assistito all’uccisione di blogger e giornalisti, di editori, di attivisti dei diritti gay, di sacerdoti induisti e di lavoratori stranieri».
Ancora sul New York Times Julfikar Ali Manik, Geeta Anand ed Ellen Barry sottolineano come l’Isis si stia facendo strada ben al di fuori del Medio Oriente sino ad affondare le sue radici anche in quei contesti musulmani che pure parevano lontani dalla fascinazione della radicalizzazione violenta. Scrivono, infatti, nel loro articolo Bangladesh Attack Is New Evidence That Isis Has Shifted Its Focus Beyond the Mideast (2 luglio): «L’attacco è testimonianza del fatto che anche i gruppi di militanti del Bangladesh hanno agganci internazionali, una preoccupazione anche per gli Stati Uniti, impegnati nel circoscrivere la forza dello Stato Islamico. Il Bangladesh è un paese di 160 milioni di abitanti per lo più appartenenti alla religione musulmana sunnita, con un picco nella fascia più giovane della popolazione, ovverosia con moltissimi giovani sotto i venticinque anni: questo può fornire un indice del perché anche il Bangladesh possa essere terreno di reclutamento per lo Stato Islamico, sempre più sotto pressione nei suoi centri di potere in Iraq e Siria». Nello stesso articolo interviene anche Shafqat Munir, ricercatore del Bangladesh Institute of Peace and Security Studies che mette in luce come «si fosse già assistito ad una serie di avvertimenti e segnali allarmanti, ma non ci si sarebbe mai attesa un’azione così audace e su larga scala».
Julfikar Manik e Geeta Anand stessi approfondiranno precisamente questi segnali allarmanti che avevano scosso il Bangladesh negli ultimi tempi nel loro contributo After Slaughter, Bangladesh Reels at Revelations About Attackers ancora una volta sul New York Times del 3 luglio: «Sono almeno tre anni che islamisti violenti hanno preso a uccidere blogger atei, membri delle minoranze religiose ed altri e nonostante sia l’Isis che un braccio regionale di Al-Quaeda abbiano sempre rivendicato i precedenti attacchi, nondimeno il governo bengalese continua ad insistere sul solo coinvolgimento di gruppi isolati. Ma invece un coinvolgimento diretto dell’Isis è apparso chiaro da subito nel caso di quest’ultimo attacco in cui l’organizzazione non si è limitata a rivendicare ma ha postato online le fotografie raffiguranti le modalità degli omicidi».
La BBC ha intervistato il padre di uno degli assalitori che ha voluto esprimere tutta la sua rabbia e il suo sconvolgimento dopo avere scoperto del coinvolgimento di suo figlio: «“Sono sgomento nell’avere appreso di quest’azione” ha detto alla BBC Imtiaz Khan, uno dei leader della Lega Awami di Dacca e Vicesegretario del Comitato olimpico bengalese: “Mio figlio ha sempre pregato cinque volte al giorno da quando era piccolo. Abbiamo una moschea proprio dietro casa ed egli ha cominciato a frequentarla con suo nonno. Ma non avremmo mai immaginato tutto questo: non c’era niente in casa, nessun libro o altro che avrebbe potuto metterci in allarme sulla piega che il ragazzo stava prendendo. Lo shock e la tristezza di questo accadimento mi lasciano senza parole, sono solo sconvolto e dispiaciuto”. Rohan era scomparso da casa in dicembre: “Quando mi sono messo alla ricerca di mio figlio, mi sono accorto che molti altri ragazzi mancavano dalle loro famiglie e stiamo parlando di ragazzi ben educati provenienti da famiglie benestanti, figli di professionisti o personale governativo. Condividevamo tutti lo stesso dispiacere» (Articolo della «BBC» Bangladesh attack: Shock over ‘elite’ Holey Cafe suspects del 4 luglio).
Anche un altro padre piange, in una testimonianza rilasciata alla statunitense CNN: si tratta di Meer Hayet Kabir, che continua a ripetere «“Non può essere mio figlio, non può essere mio figlio! Se solo io e mia moglie avessimo saputo di che cosa sarebbe stato capace, lo avremmo immediatamente fermato. (…) “Si tratta di ragazzi normali, perbene che frequentavano i caffè, facevano sport, avevano profili Facebook” conferma Faiz Sobhan del think tank bengalese Bangladesh Enterprise Institute. Resta ora da capire che cosa sia andato storto, un compito che spetta innanzitutto alle famiglie, ma anche a tutti i cittadini di Dacca. Occorre capire che cosa ha spinto questi giovani ad uccidere oltre venti persone nel quartiere diplomatico della capitale. (…) Anche se in molti appaiono sorpresi di come tre uomini provenienti da famiglie altolocate si siano trasformati in terroristi, questo aspetto non sembra sorprendere del tutto gli esperti. Per esempio uno studio della Queen Mary University di Londra ha messo in evidenza come i maggiori fattori di rischio per la radicalizzazione violenta siano legati all’educazione, alla ricchezza e al fatto di essere giovani di età. (…) L’Isis sta insomma cambiando la strategia di reclutamento. L’informatico Zeeshan Ul-Hassan Usmani sta studiando migliaia di profili a rischio di radicalizzazione o già cooptati dall’Isis e si è accorto di come la maggior parte delle reclute provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti provengano proprio da famiglie ben educate e benestanti».(Articolo della «CNN» Dhaka Attack “That is not my son” Killer’s father cries del 5 luglio).
Anche Le Monde interviene sul consolidamento della presenza di affiliati all’Isis in Bangladesh con un pezzo di Madjid Zerrouky dal titolo Au Bangladesh, la percée de l’Etat islamique (4 luglio) in cui si mette in luce come «i terroristi abbiano tra i 17 e i 21 anni e si siano radicalizzati recentemente, avendo appena giurato fedeltà allo Stato Islamico. (…) Eppure secondo Ajai Sahni, direttore dell’Istituto per la risoluzione dei conflitti, un’organizzazione che monitora il terrorismo di stanza a Nuova Delhi, non è direttamente l’Isis ad essere responsabile di oltre 40 assassinii che si sono verificati in Bangladesh dal 2013 e che hanno colpito prevalentemente gli intellettuali, i blogger, gli attivisti gay e gli appartenenti alle minoranze buddista e induista. “Mi pare che il braccio mediatico dello Stato Islamico abbia spesso rivendicato alcuni di questi attentati compiuti da estremisti solo al fine di dare l’idea di un vero radicamento internazionale” ha sottolineato Sahni».
L’analista di affari sud-est asiatici Tom Hussain, corrispondente da Islamabad, non nasconde le sue preoccupazioni sulle colonne del magazine di Al-Jazeera: «L’Isis ha cominciato con omicidi ben selezionati, per poi passare ad esecuzioni di massa come quella di venerdì, ora potrebbe radicarsi ancora prendendo di mira i politici al governo e le stesse forze di sicurezza, usando munizioni improvvisate. I miliziani potrebbero anche usare strumentalmente il territorio bengalese al fine di reclutare altri killer tra i musulmani di altri paesi come il Myanmar al fine di lanciare altri attacchi internazionali molto probabilmente verso l’India (…). Mentre la situazione è ancora in evoluzione, il governo deve rendersi conto che per combattere il terrorismo non si ha affatto bisogno di un partito unico, mentre ci sarebbe più bisogno di un dibattito franco tra le forze politiche nazionali. Con le forze di opposizione bengalesi sull’Aventino parlamentare, tuttavia, ed i leader di opposizione a Sheikh Hasina sotto processo i segnali sono molto inquietanti». (Articolo di «Al-Jazeera» Divisive politics set the stage for Dhaka attack del 4 luglio).
I quotidiani indiani non nascondono i propri timori anche per la repubblica indiana, con The Hindu che imputa l’attentato di Dacca alla grave crisi politica in corso in Bangladesh ed alle difficili relazioni con la stessa India da parte della premier Sheikh Hasina. Nell’editoriale del giornale del Tamil Nadu Dhaka attack inspired by the Islamic State (3 luglio), infatti, si mette in relazione diretta l’attentato al clima di terrore in corso dal 2014 in Bangladesh, con il governo decisamente esitante nel definire una strategia chiara per rispondere al terrorismo interno di matrice islamista: «L’attentato di Dacca è da mettere in relazione al clima di tensione politica che si respira nel paese ed alla fascinazione verso un’ondata di estremismo violento fomentata dallo Stato Islamico. A sostenerlo gli osservatori indiani che sostengono che sia la fase politica che la nazione bengalese attraversa dal 2014 insieme all’esecuzione di alcuni criminali di guerra ad avere esacerbato la violenza. (…) Le fonti provenienti dall’intelligence indiana mettono inoltre in luce come dovremmo fare i conti con l’estremismo islamico ancora per lungo tempo nonostante le sconfitte sul campo che l’Isis sta subendo in Iraq e Siria ed il giro di vite già annunciato nello stesso Bangladesh. Un funzionario del governo che abbiamo intervistato ha così concluso: “Siamo molto preoccupati dall’influenza che lo Stato Islamico può avere anche sull’India. Se in taluni casi anche le nostra agenzie governative hanno esagerato l’influenza che l’Isis può avere al nostro interno, ciononostante i segnali che ci giungono sono davvero allarmanti”».
Anche le testate malesiane si interrogano sgomente sull’accaduto a Dacca, in quanto due dei terroristi del Caffè della capitale bengalese erano iscritti all’Università Monash della Malesia. Il quotidiano di Kuala Lumpur The Star, per esempio, ha riportato che le autorità malesiane hanno già preso contatto con l’Università Monash per «capire quali legami uno studente di un’università malesiana possa intrattenere sino a divenire parte di un gruppo terroristico. Il Ministero della Formazione superiore, inoltre, ha già annunciato che avvierà un’inchiesta per determinare eventuali contatti con i gruppi militanti» (Articolo di «The Star» Second Bangladesh Militant believed to be Monash Student del 4 luglio).
Gli stessi quotidiani in lingua inglese del Bangladesh cercano di ricostruire le esatte dinamiche dell’accaduto e di capire quali cerchie ideologiche abbiano potuto spingere giovani di buona famiglia a trasformarsi in killer spietati. Il quotidiano The Daily Star, per esempio, riporta come «uno dei presunti attentatori, Nibras Islam, di ventidue anni avesse cominciato a seguire due anni fa su Twitter i due predicatori Anjem Chudary e Shami Witness che si teme possano essere reclutatori che operano in nome dell’Isis. Un altro sospetto, Rohan Imtiaz aveva scritto su Facebook che tutti i musulmani avrebbero il dovere di essere terroristi, citando le parole del controverso predicatore Zakir Nayek. Choudary è un cittadino britannico di origini pakistane sotto processo a Londra per avere contravvenuto alla disciplina britannica sull’antiterrorismo. Invece Nayek è un cittadino indiano che è già stato diffidato dalla Gran Bretagna, dal Canada e dalla Malesia: è un personaggio popolare in Bangladesh dove trasmette dalla Peace TV che in realtà è un’emittente che offende le religioni non musulmane così come alcune fasce della stessa popolazione musulmana. Sicuramente i due attentatori Nibras e Imtiaz non si sono radicalizzati in un giorno, ma erano affascinati dal messaggio jihadista almeno da uno o due anni prima di allontanarsi definitivamente dalle proprie famiglie nel febbraio e marzo scorsi». (Articolo di «The Daily Star» 2 ’attackers’ follone radical preacher, ‘IS recruiters’ del 5 luglio).
Il quotidiano bengalese The Independent ha invece desiderato riproporre il commento diramato via Facebook del figlio della Premier Hasina (ed egli stesso consigliere politico della madre) Sajeeb Wazed Joy che ha scritto sul proprio profilo: «Si è trattato di un attacco terribile ed odioso, questi assassini non sono musulmani. I terroristi non hanno religione… In primo luogo dobbiamo contrapporci al lavaggio del cervello che i nostri giovani subiscono con le bugie sulla religione. (…) Si tratta di persone educate e di buona famiglia, quanti potrebbero essere come loro? Potrebbe trattarsi dei nostri vicini, dei nostri parenti, dei nostri figli. Tutti noi abbiamo quindi la responsabilità di tenere il nostro paese al sicuro. Una delle caratteristiche principali del nostro paese è l’ospitalità verso gli stranieri. I terroristi invece vogliono fermare la nostra ospitalità e non possiamo permettere che questo accada». (Articolo di «The Independent», Get united against brainwashing of youth: Joy del 4 luglio).