Houston, la capitale Usa del lavoro

“Houston è piena di promesse”, cantavano i R.E.M. qualche anno fa, ma bisogna riconoscere alla città texana di essere in grado di mantenere la parola data. Già “calda, piatta e non così affollata come si possa pensare”, Houston adesso si scopre anche la capitale americana del lavoro. Nel marzo 2013 per ogni persona che aveva perso il lavoro durante la recessione Houston è stata in grado di offrire più di due nuovi lavori, oltre il doppio di quanto è riuscita a recuperare la città di New York.

Tuttavia, sui numeri dell’occupazione americana, la confusione è tanta e se, da qualche parte si celebra la ritorno dall’oltretomba del lavoro offerto, altrove si piange per la disoccupazione. Come capita vagliando il tema dei giovani laureati americani. Per NBC Bay Area il futuro è rosa per i californiani che conseguiranno il titolo nel 2013: “Circa la metà degli studenti che si laureano quest’anno – il 45.9% dei neolaureati – hanno almeno un’offerta di lavoro, secondo la National Association of Colleges and Employers”, si legge nell’articolo che però cozza con la prospettiva che arriva dal Baltimore Sun.

Dalla West alla East Coast, le previsioni sul futuro dei giovani cambiano al punto di essere completamente stravolte da un articolo che raccoglie le testimonianze dei giovani del Maryland, alle prese con un “mercato del lavoro difficile”. Ma nell’attesa di scoprire se le nuove capitali del lavoro americane si sposteranno verso gli Stati del sud e dell’ovest, la società americana è già cambiata – come dimostrano le ultime elaborazioni del Pew Research Center che hanno svelato come nel 40% delle famiglie, siano ormai le mamme a portare a casa la pagnotta.

La sofferente politica americana

La destra sta male, e anche Obama non si sente molto bene. Distorcere la famosissima citazione di Woody Allen aiuta a rendere la situazione in cui versa la politica americana. Alla chiusura di un maggio contrassegnato dagli scandali (ben sintetizzati dalla “guida per principianti”, pubblicata su The Atlantic), con il discorso alla National Defense University Obama si è guadagnato nuove critiche. “Non ha detto niente di nuovo sui droni, ma sembra pronto a prendere dei seri rischi per chiudere Guantanamo”, scrive Fred Kaplan su Slate – mentre il sito di Rolling Stone, oltre a ricordare lo sciopero della fame con il quale i detenuti di Guantanamo hanno riportato l’attenzione sul carcere di massima sicurezza, raccoglie le delusioni di avvocati e sostenitori della chiusura, che hanno trovato nelle parole di Obama zero fatti, poche promesse e tanta retorica. Ancora, è dalle pagine del Washington Post che Ruth Marcus promuove l’Obama studente alla Law School di Harvard, ma boccia l’Obama Presidente: “Gli Stati Uniti hanno bisogno di un leader, non di un professore di legge”.

E, in chiusura dell’articolo, si lascia andare a un giudizio finale poco pietoso anche nei riguardi dell’opposizione: “Come sempre, nel suo discorso, Obama si dimostra sobrio e pacato. Qualità necessarie ma non sufficienti per una presidenza di successo. Questa richiede un capo competente non solo nell’individuare le tematiche ma anche nel rintracciare le soluzioni e guidarle fino a una conclusione di successo – sì, anche di fronte a un’opposizione non cooperativa, perfino irrazionale”. Seppur infatti Barack Obama appaia sempre di più come un “Agonizer in Chief” – per usare ancora le parole della Marcus – alla destra americana non resta che prendere lezioni dai democrats. The Atlantic non usa mezzi termini: “Il partito è con l’acqua alla gola” e l’unica cosa da fare per salvare il Gop è prendere da esempio la rinascita democratica.

L’Africa del mobile money

“L’Australia starà anche avanzando lentamente verso i pagamenti via cellulare, ma il leader mondiale di questa nuova tecnologia è – sopresa – il Kenya”. The Sydney Morning Herald rilancia così, con un misto di stupore e amarezza, la notizia apparsa su The Economist e intitolata “Perché il Kenya è alla guida mondiale nel mobile money?”. Secondo i dati riportati dalla testata di informazione economica inglese, un keniota su tre si è abituato a pagare con il cellulare attraverso il servizio offerto da M-PESA, presentato come “il più azzeccato nel suo genere, al momento, sulla faccia della terra”. Ma non è solo il Kenya ad aver intrapreso la strada del mobile money: “Il sistema si è diffuso anche in altre parti del continente, incluso Sud Africa, Lesotho e Mozambico”, scrive sempre il quotidiano australiano. E tra i Paesi che stanno sperimentando la tecnologia, c’è anche l’Uganda, dove però il settore colpisce anche l’attenzione dei reporter di cronaca nera, impegnati a risolvere il rebus: “Chi sta uccidendo gli agenti di mobile money?”

“Il crowdfunding può aiutare a costruire una città?”

Se lo chiede Mashable, annunciando il primo passo del progetto Mi Ciudad Ideal della colombiana Prodigy Network, che consiste nella costruzione di un grattacielo a Bogotà, finanziato dalle donazioni di 300mila residenti. La versione allargata di quanto è riuscita a fare la comunità di Glyncoch, una piccola area inglese attanagliata dalla crisi economica, ma che, grazie alle donazioni online, è riuscita a costruire un nuovo centro ricreativo.

Il futuro, visto dal passato

Quali erano i nostri pronostici e quanto ci abbiamo preso. Frank Catalano, per GeekWire, presenta così alcuni appunti recuperati dal lontano 1993, sul tema del futuro delle notizie. Predizione per predizione, verdetto per verdetto, Catalano spunta dalla lista le previsioni azzeccate e quelle mancate – forse nella speranza che gli errori del passato sappiano svelarci qualcosa di più sul futuro dell’informazione.

 

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