Le elezioni siciliane erano da più parti considerate il banco di prova delle alleanze per il voto di primavera. E con un Berlusconi che da un paradiso kenyota s’interroga se staccare o meno la spina al governo Monti, c’è poco da scherzare. Questa è l’impressione degli osservatori internazionali. E se ad aver vinto è stato in primis l’astensionismo, Grillo può cantar vittoria vedendo confermata la forza del suo movimento, mentre la débâcle partitica siciliana lascia anche sul supertecnico Monti qualche ammaccatura.
Monti, ovvero l’agenda europea
Da quella geografia marginale le picconate anti-austerity di Grillo sono guardate con preoccupazione dai mercati. Specie ora che Bruxelles accelera sull’integrazione politica. Le decisioni dello scorso Consiglio europeo hanno segnato la road map per mettere in funzione il nuovo meccanismo anti-spread (anche se la sua entrata in vigore, prevista per il 1° gennaio 2013, è già slittata). Sono giorni di riunioni tecniche per chiarire la situazione greca; e entro novembre probabilmente la Spagna ufficializzerà la sua richiesta di finanziamenti. La filosofia degli aiuti seguirà questo principio: più solidarietà, ma anche più controlli attraverso consistenti cessioni di sovranità: in tale direzione va visto anche l’endorsement di Draghi, intervistato da Der Spiegel, alla proposta del ministro delle Finanze tedesco Schaeuble di istituire un eurocommissario che vigili sui bilanci nazionali. Ma dalle parti della politica non si capisce più chi sia a favore di un simile percorso. E al quadro s’aggiunge la bomba a orologeria Grillo. Già un lungo reportage del Washington Post aveva formalizzato le euroansie nei confronti della scalata politica del comico, così ferocemente contrario alla cura Monti. Cura che in questa fase continua a perdere sostegni da parte della coalizione che sostiene il governo, così che prende corpo quello che all’estero è chiamato il “rischio politico italiano”, ovvero lo spettro delle urne anticipate.
Siria, una tragedia nell’indifferenza
Apocalissi quotidiane in Siria: sono quelle descritte da un reportage per Le Monde di Alain Frachon. Ogni giorno i bombardamenti aerei, ogni sera la conta dei cadaveri. A decine vengono impacchettati dentro sacchi di plastica oppure avvolti con lenzuola. Le bombe RBK-250 e AO-1Sch sganciate dai caccia del regime liberano decine di mine che esplodono al primo contatto, uccidendo in modo indiscriminato. Quella che doveva essere una rivolta pacifica è diventata una guerra civile che ha macinato già tra i 20 e i 40 mila morti. Per non parlare delle devastazioni immense: interi quartieri cittadini cancellati, villaggi distrutti. L’inverno alle porte promette altro spavento. Le condizioni dei campi profughi in Turchia e Giordania sono disastrose, manca l’acqua e l’elettricità. Solo dei missili anti aerei permetterebbero ai ribelli di sconfiggere i caccia di Assad, ma i primi nemici da sconfiggere sono l’attendismo europeo e l’ostruzionismo russo.
L’incubo Sandy mette in standby i comizi
L’uragano Sandy per il momento ha spazzato via i comizi di Obama e Romney nei battlegroung States. “Safety first”, è il motto bipartisan, ma il fattore Madre Natura potrebbe diventare assestare un colpo mortale al presidente uscente, responsabile d’ultima istanza se qualcosa non funzionerà. Sul fronte sondaggi la situazione resta confusa e capricciosa, gli esperti in questa fase si scatenano a produrre ogni nanosecondo una previsione di voto che cestina tutte le rilevazioni precedenti.
Per questo motivo l’atteggiamento più scientifico da adottare in questo momento è seguire questo simpatico consiglio del NY Times: tastare il posto dell’elettorato in luoghi non convenzionali come i negozi di ciambelle e nei discount. Oppure guardando alle vendite di maschere dei due presidenti per Halloween, dove il faccione plasticato di Obama ha già stracciato quello del competitor Romney.