L’Ucraina, per salvarsi, deve rinunciare a una parte del potere di Kiev. “Chiamatela come volete: decentralizzazione, federalizzazione, regionalizzazione. L’etichetta fa poca differenza. Kiev ha bisogno di trasferire alcuni dei suoi poteri sostanziali, compresi quelli relativi a educazione, lingua, leggi e tasse, alle regioni”. A mostrare questa come l’unica soluzione possibile per risolvere la crisi ucraina è Keith Darden su Foreign Affairs. Secondo il professore della School of International Service dell’American University, infatti, la piega internazionale presa dalla situazione che già ha fatto lanciare a molti l’allarme di una seconda guerra fredda, sarebbe una reazione alle problematiche interne del Paese. Darden ripercorre la storia dell’Ucraina, spiegando rispettivamente con l’annessione al regno asburgico nei primi del Novecento e con l’unione alla Russia già dalla fine del 1700, i rancori tra Ovest e Est del Paese. Secoli di cultura europeista – da una parte – e filo-russa – dall’altra – hanno infatti finito per generare una corrispondenza di amari sentimenti tra la popolazione da un lato all’altro del paese, destinata a non risolversi nemmeno con le elezioni: “L’unico modo per farlo – scrive infatti Darden – è attraverso una qualche forma di cambiamento costituzionale.”
E in effetti, il federalismo era considerato una delle migliori ipotesi per l’Ucraina anche dagli esperti Pavel Bykov, Olga Vlassova e Gevorg Mirzaïan che, su Courrier International avevano immaginato per l’Ucraina, “Sei scenari per una vita senza la Crimea” già all’indomani del referendum che aveva fatto vincere la separazione della regione da Kiev. “Con degli obiettivi precisi e con l’appoggio delle potenze internazionali, questa soluzione potrebbe essere una buona alternativa al feudalesimo oligarchico (un’opzione che, secondo gli autori, verrebbe a crearsi con la vittoria del movimento Euromaiden, sponsorizzato dagli oligarchi anti-russi – ai quali già sono andati posti di rilievo, dopo la destituzione di Yanukovich, ndr.). Il federalismo potrebbe aumentare le possibilità dell’Ucraina di rimanere una nazione unita: in effetti le regioni occidentali potrebbero mettere in atto un progetto di cooperazione con l’Unione Europea e avere la loro propria politica culturale, mentre le regioni orientali potrebbero mandare avanti la loro politica con la Russia senza sentirsi costretti ad aderire a una qualunque europeizzazione ideologica e linguistica. In tutt’altra configurazione politica, l’est del Paese cercherà di difendere i propri interessi con tutti i mezzi possibili, rischiando di seguire lo stesso cammino della Crimea.” Erano i primi giorni di marzo, quando i tre esperti mettevano nero su bianco la loro previsione. Circa un mese dopo, nell’Est dell’Ucraina, nasceva la Repubblica popolare di Donetsk. E il rischio di “uno Stato con due nazioni” (e di vedere presto una nuova Jugoslavia, “solo più grande”) veniva evidenziato anche da Jochen Bittner, prestato per l’occasione da Die Ziet al New York Times: “Il referendum è stato un catalizzatore per la disintegrazione. Le differenze culturali e le identità etniche che un tempo coesistevano pacificamente già appaiono adesso come minacce reciproche. Agli occhi di buona parte del 60 percento degli abitanti della Crimea che si identificano come russi, sono gli abitanti ucraini (circa il 40 percento della popolazione) a incasinare le loro vite. Dopo 20 anni di quelli che loro considerano esperimenti di democrazia finiti nel caos, adesso vogliono tornare alla mano forte e ordinatrice di Mosca.”
“È il Cremlino, non la lingua a dividere l’Ucraina”, tuonano invece Matthew Light e Maria Popova sul The Globe and Mail. La voce dei due ricercatori di scienze politiche arriva – non a caso, dal Canada – per rivendicare l’appartenenza nazionale della popolazione ucraina e instillare il dubbio che dietro i separatismi e i conflitti etnici in corso nell’Est dell’Ucraina c’è l’opera di Mosca. A non farli credere all’autenticità di quanto sta accadendo è la convinzione che l’amor patrio dell’Ucraina è molto più sentito di quello che traspare: “L’identità civica dell’Ucraina non dipende principalmente dalla lingua. Perfino tra gli ucraini che preferiscono parlare russo, solo una minoranza si considera di etnia russa. Molti russofoni si identificano orgogliosamente come ucraini.”