Il Corriere della Sera: “Lo schiaffo dell’astensione. In Emilia Romagna vota solo il 37,7 per cento: vince Bonaccini, balzo della Lega. La Calabria al Pd”. “Renzi: male l’affluenza e bene i risultati, nessuna ripercussione sul governo. Salvini doppia Forza Italia”. Sul “massiccio astensionismo” in Emilia (“Un simbolo che si spegne”) il commento di Pierluigi Battista.
L’editoriale è firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “Spesa pubblica, tentazione irresistibile”. “C’erano una volta i tagli”.
A centro pagina: “Terrore e 50 morti al torneo di volley in Afghanistan”. “L’attacco. Talebani a un’ora da Kabul”.
A fondo pagina: “Il Grande Fratello nascosto nelle email”. “I nostri gusti ‘spiati’ nella posta elettronica per lanciare le vendite su Internet”.
La Repubblica: “Regionali, fuga dalle urne”, “Affluenza shock in Emilia Romagna: crolla al 37,6%, nel 2010 era al 68%. La Calabria al 44,07%. Il centrosinistra a un passo dall’en plein, boom della Lega. Renzi: votanti in calo ma vittoria netta”.
In taglio basso: “Padoan alla Ue: supereremo gli esami”, “Il sì europeo alla Stabilità slitta a venerdì. Dubbi sulla Francia”.
La foto a centro pagina è per la prima astronauta italiana, Samantha Cristoforetti.
La Stampa: “Crolla il voto alle Regionali. Avviso a Renzi”, “Emilia Romagna, affluenza al 37,7%. In Calabria dato di poco superiore”, “Successo del Pd con Bonaccini e Oliverio”.
“Samantha, un’italiana in orbita”, è il titolo che correda la foto a centro pagina.
In taglio basso: “Stalking, l’odissea dei nuovi partner”, “I compagni delle vittime raccontano la loro angoscia: anche noi diventati oggetto delle minacce”.
Il Fatto ha in prima una foto di un boss latitante a Bali nel 2012: “Mafia, dalla coppola al selfie”, “Dopo la vita da topi di Riina e Provenzano, Cosa Nostra è nelle mani di boss latitanti a Bali, con donne, champagne e yacht. Poi foto su Facebook, pizzini e curriculum. Così li arrestano”.
Sulla politica: “Regionali, vince il non voto. Mai così basso in Emilia”, “crollo dell’affluenza anche in Calabria. Ma sia Bonaccini che Oliverio restano senza rivali”.
Il Giornale: “Renzi non tira più, fuga dalle urne”. “Crolla l’affluenza nei feudi rossi. In Emilia perde voti il Pd, tiene la coalizione di centrodestra”. Oggi il quotidiano inaugura un nuovo spazio: “Controcorrente. Il Giornale del lunedì”. I temi di oggi sono: la casa di Montecarlo di Fini, “scandalo senza fine”; il “tesoro occulto del Pd”, “500 milioni che fanno gola a Renzi”. Una intervista a Riccardo Muti e una a Patrizia Reggiani (“Mio marito Gucci? Non era degno di vivere”.
Elezioni
In Emilia Romagna il candidato di centrodestra ha avuto oltre 350 mila voti, quello di centrosinistra quasi 600 mila. Il candidato del Movimento 5 Stelle 159 mila voti (13,2 per cento), quello de ‘L’altra Emilia Romagna’ il 4 per cento. Bassissima l’affluenza (40 per cento).
In Calabria l’affluenza è stata leggermente più alta (44 per cento). Il candidato del Pd ha ottenuto il 61,56 per cento dei voti, quella di Forza Italia il 23,4, quello del Ncd l’8,7, quello del Movimento 5 Stelle il 4,8. In Calabria il Pd conquista il 24 per cento, che si somma alle molte liste che sostenevano Oliverio, a partire da “Oliverio presidente” (11 per cento). Forza Italia arriva al 12, il Ncd all’8 per cento.
“Quanto pesano quei seggi vuoti”, è il titolo dell’editoriale di Stefano Folli che compare in prima su La Repubblica: “Il dato clamoroso dell’astensione in Emilia Romagna, la regione dove tutti, ma proprio tutti andavano a votare per senso civico e fedeltà al Pd, dice molto sull’Italia della rappresentanza fragile”. Hanno votato in percentuale maggiore in Calabria, dove “si vota di meno da sempre”, fa notare Folli: e questo “mette in sordina la stessa, presunta, vittoria dei candidati Pd”. Non sarà un test sulla salute del governo, ma nemmeno potrà essere considerato come un suo successo: “è chiaro che il Pd di Renzi subisce uno sciopero del voto da parte di chi non ha condiviso certe scelte di politica economica. La Cgil è forte e influente nella Regione, così come è estesa più che altrove la rete del potere locale ancora legata al vecchio assetto del partito”, anche se “Bonaccini era tutt’altro che un candidato di rottura”. Questo dimostra, secondo Folli, che il “partito di Renzi” non è ancora “maturo”: che perdesse consensi nel vecchio mondo legato alla storia del Pci e del sindacato era comprensibile, ma il futuro politico intestato al Presidente del Consiglio sarà deciso da un fattore determinante, ovvero “la capacità del giovane leader di conquistare altri voti (parecchi voti)in settori nuovi della società, in modo da compensare quelli perduti”. Oggi comincia una nuova fase del renzismo, anche perché “se a destra cresce un personaggio, che può essere anche Salvini, ecco che l’espansione del Blair italiano può incagliarsi”. E le conseguenze non sarebbero irrilevanti: “a cominciare dal destino di quel ‘patto del Nazareno’ che in fondo non convince oggi né fautori né i detrattori”.
Il retroscena di Francesco Bei su La Repubblica: “Renzi esulta: ‘Successo per due a zero, asfaltato chi ha sostenuto la Cgil e non il governo’”. I renziani – si legge – sospettano che sia stato proprio lo zoccolo duro del sindacato rosso ad assestare un colpo politico preciso contro il governo: segnali più o meno espliciti non sono mancati alla vigilia del voto. A partire dal clamoroso invito a disertare le urne pronunciato da Bruno Paipignani, popolare leader della Fiom emiliana.
A pagina 4 de La Repubblica, le reazioni dei due vincitori. In Calabria Mario Oliverio “fa festa” e parla di “svolta” per questa regione, dove crolla il centro destra. E in Emilia Romagna Stefano Bonaccini afferma: “Ho vinto ma la gente non ha votato per colpa delle inchieste”.
“‘Alla fine doppia vittoria. Disfatta per i duri e puri'” è il titolo di un retroscena del Corriere che attribuisce al premier questo pensiero. “È due a zero per noi, ai duri e puri percentuali ridicole”. Un altro articolo: “Daranno la colpa a me ma non si votava per il governo”.
Su La Stampa, pagina 2: “La maggioranza assoluta non vota”, “Clamoroso calo dell’affluenza in Emilia Romagna, meno accentuato in Calabria. L’allarme di Prodi”. In basso: “Bonaccini tiene l’Emilia: ‘Ci aspettavamo di più, ora dobbiamo riflettere’”. Scrive il quotidiano che “a punteggiare la corsa dei candidati sono stati, molto più dei dibattiti e delle polemiche, gli avvisi di fine indagine per peculato a 41 consiglieri regionali dell’assemblea uscente, 12 dei quali si sono ricandidati, oppure la violenta contestazione dei centri sociali a Matteo Salvini, in occasione della sua visita ai campi nomadi di Bologna, o ancora l’incursione dei collettivi contro una sede Pd. Alla pagina seguente: “Il premier soddisfatto a metà: bene il risultato, male l’affluenza.
Sull’Emilia Romagna poi il quotidiano parla di “effetto Salvini”, visto che “la Lega sorpassa Forza Italia” e il candidato leghista festeggia e dice: anche qui sono stufi del Pd. E adesso -scrive il quotidiano- l’obiettivo è l’Opa per conquistare il centrodestra. In taglio basso, un’intervista al ministro Ncd Maurizio Lupi: “Se Berlusconi segue il segretario leghista allora nessuna alleanza”. Lupi dice di tifare per la Lega rappresentata da Roberto Maroni, Flavio Tosi e Luca Zaia.
Su Il Fatto, in relazione alla Calabria: “Oliverio senza rivali nel deserto del non voto”. E sull’Emilia-Romagna: “A casa più di uno su due ma Bonaccini è al sicuro”.
Su La Stampa Elisabetta Gualmini, parlando della scarsa affluenza al voto, evidenza anche come abbia giocato la sensazione che, soprattutto in Emilia, si sapesse già chi avrebbe vinto, tanto che il centrodestra e gli altri partiti hanno di fatto rinunciato ad organizzare una vera alternativa. In entrambe le Regioni il centrodestra si è presentato “in ordine sparso”, in una situazione in cui c’era “una Lega all’arrembaggio” con il segretario Salvini. Quanto al M5S, “si è semplicemente ritratto. Non solo perché manca di una classe dirigente nei territori. In Calabria Grillo aveva da tempo presagito il crollo. Fosse stato per lui, il simbolo non sarebbe stato nemmeno esposto, come in Sardegna”. E quasi la stessa cosa è accaduta in Emilia Romagna, dove l’antipolitica aveva trionfato: solo un blitz , e di malavoglia, di sera tre giorni prima delle elezioni.
Il Messaggero offre un articolo con il parere degli analisti politici Piero Ignazi, Alessandro Amadori, Enzo Risso di Swg, Stefano Ceccanti: “La sinistra paga le inchieste e il centrodestra è tutto da ricostruire”, il titolo. Il calo di affluenza è anche fisiologico, secondo Ignazi: gli italiani sono chiamati a votare troppo spesso, la portata mediatica dell’evento è molto meno forte, le Regioni contano meno di una volta. Secondo Risso comunque le elezioni non creeranno problemi all’esecutivo. E anche Stefano Ceccanti sottolinea lo scarso consenso per l’area a sinistra del Pd.
Sul Corriere Pierluigi Battista scrive che “mai avremmo potuto immaginare che l’Emilia si potesse dimostrare più astensionista della Calabria”, e che ieri l’astensionismo in Emilia “ha assunto le caratteristiche di un crollo. Un campanello d’allarme per tutti i partiti, per le Regioni, per il premier e anche per i suoi avversari. Una data spartiacque”.
Ancora sul Corriere: “La Lega doppia Forza Italia. L’urlo di Salvini: ‘È storico’”. La Lega ieri sera, a metà seggi scrutinati, era al 21 per cento contro l’8 per cento del partito di Berlusconi. Il risultato finale è 19,42 per cento per cento, contro l’8,36 degli azzurri.
Il Giornale: “Renzi non tira più. Crolla l’affluenza, segnale dell’apparato di sinistra al premier”. Il quotidiano sottolinea che il Pd, che aveva avuto il 52 per cento in Emilia, ieri si è fermato al 44 per cento, e dà conto del parere di Romano Prodi, che aveva definito “preoccupante” un eventuale risultato con affluenza inferiore al 50 per cento. Il Giornale sottolinea anche come “Alfano sparisce”.
Da segnalare sull’inserto del lunedì de Il Giornale un articolo dedicato a Landini: “Il partito di Landini è già nato”. Si sottolinea come il segretario della Fiom viene da Reggio Emilia, e che là “si sia ben guardato” dal dare indicazioni di voto in Emilia.
Economia
L’editoriale di Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina sul Corriere si sofferma sui tredici trimestri consecutivi di caduta del nostro Pil: “Non è mai accaduto in un Paese avanzato dalla crisi degli anni Trenta. I risvolti sociali si vedono. Nelle periferie delle grandi città si è accesa una guerra fra deboli, tra italiani impoveriti dalla recessione e immigrati. C’è poi un’altra guerra, quella fra generazioni: padri e madri protetti dai sindacati, e figli precari ignorati”. Secondo i due per uscirne non servono “investimenti pubblici che, se va bene, impiegherebbero un paio d’anni a produrre domanda e nel frattempo rischiano di produrre solo corruzione”, ma”occorre abbassare in modo radicale la pressione fiscale su famiglie e imprese per aiutare i consumi e dare una boccata d’aria a chi produce”. I due ricordano che “la partita che Renzi ha aperto con Bruxelles è piena di insidie. Se, come ha fatto nell’ultimo vertice europeo, egli si avvicinasse troppo a Cameron e lasciasse intendere di essere anche lui pronto a rovesciare il tavolo, i mercati e gli altri Paesi europei comincerebbero a chiedersi quanto sia solido l’impegno dell’Italia a rimanere nell’unione monetaria. A quel punto sarebbe difficile criticare chi sostiene che la Banca centrale europea, qualora decidesse di acquistare titoli pubblici dei Paesi dell’eurozona, dovrebbe escludere da tali acquisti i titoli di Stato italiani”.
Internazionale
Si occupa della trattativa sul nucleare con l’Iran La Stampa, scrivendo che “si va verso il prolungamento dei negoziati”, che avrebbero dovuto terminare oggi: “Mosca in pressing sull’alleato Iran per il nodo nucleare”, scrive Maurizio Molinari, dopo 72 ore di infruttuosi colloqui tra il segretario di Stato Usa Kerry, i colleghi europei e il ministro degli Esteri iraniano Zarif. E l’Arabia saudita fa sapere: “se gli ayatollah avranno l’atomica, l’avremo anche noi”. E alla pagina precedente: “Riad fa la guerra a Teheran a colpi di ribassi del petrolio”, “Iraniani in difficoltà se il prezzo del barile resta attorno ai 75 dollari. I sauditi sospinti dagli Usa così possono indebolire l’eterno rivale”. Si tratta anche in questo caso di un “retroscena” di Maurizio Molinari, che racconta il braccio di ferro in corso sul prezzo del greggio,a tre giorni dal summit dell’Opec, dove il ministro dell’Energia di Teheran chiederà ai 12 Paesi produttori di tagliare la produzione di 1 milione di barili al giorno per frenare il crollo dei prezzi, scesi del % dall’inizio dell’anno. Teheran può contare sul sostegno di Venezuela, Qatar, Libia e Nigeria.
Su La Repubblica un reportage dall’Iran di Vanna Vannuccini: “A Teheran i riformisti tifano per l’accordo, ma l’intesa è in bilico”, “I delegati a Vienna sono pronti ad estendere le trattative sul nucleare. ‘Il problema è il braccio di ferro politico tra Obama e Rouhani’”, il presidente iraniano.
Da La Repubblica segnaliamo anche il reportage dal Libano di Alberto Stabile: “Nel Paese senza Stato assediato dai jihadisti, ‘Siamo vicini alla resa’”, “Non c’è un presidente e il Parlamento ha rinviato le elezioni. Per la prima volta dal ’90 non si terrà la parata per la festa nazionale”. Scrive Stabile che mentre continua la lotta tra le fazioni politiche si moltiplicano gli attacchi di Al Nusra e dell’Is lungo il confine orientale con la Siria. Il capo di Stato maggiore dice: “La nostra integrità territoriale è minacciata”.
Sulla stessa pagina Fabio Scuto, corrispondente a Gerusalemme, dà conto anche dell’approvazione, da parte del governo di Netanyahu, di un disegno di legge che definisce giuridicamente Israele “lo Stato della nazione ebraica”. La decisione è arrivata la termine di un tumultuoso consiglio dei ministri che ha diviso il governo (14 favorevoli, 6 contrari) e che rischi adi mettere in crisi la fragile maggioranza su cui poggia. I ministri di due partiti della coalizione e i loro leader -Tzipi Livni, ministro della Giustizia, e Yair Lapid, ministro del Tesoro- hanno votato contro. Israele -nota Scuto- si è sempre definito come “Stato ebraico” dal 1948, ma il nuovo testo istituzionalizza la legge ebraica come fonte del diritto e fa sì che in futuro legislazione e sentenze dei giudici debbano ispirarsi maggiormente ai valori ebraici.
Se ne occupa anche La Stampa, spiegando che Lapid e Livni si sono associati ai laburisti di Yizhak Herzog condannando una legge che ritengono penalizzi “le minoranze” e che “non sarebbe mai stata approvata da Ben Gurion, Menachem Begin e Zeev Jabotinsky”, come ha detto Lapid.
Su Il Fatto Andrea Valdambrini scrive di Turchia e, in particolare, si occupa del presidente Erdogan che -scrive- “fa l’imperatore e vuole mille stanze”: il presidente turco sta ultimando un palazzo presidenziale da oltre 600 milioni di euro, esteso su 150 mila metri quadri. La costruzione del Palazzo Bianco (in turco Ak Saray), sorgerà su una collina alla periferia ovest di Ankara.
Il Corriere torna ad occuparsi della posizione dell’Egitto di Al Sisi, dopo la lunga intervista pubblicata ieri alla vigilia della visita del presidente egiziano in Italia. Al Sisi aveva dichiarato la disponibilità a offrire truppe egiziane nello Stato palestinese per “aiutare la polizia locale” e “rassicurare gli israeliani”. Oggi il quotidiano intervista Jacky Hugi, analista israeliano: “La mano tesa di Al Sisi? Positiva per Israele, inutile senza negoziati”. Dice che Netanyahu e Sisi hanno “un buon rapporto personale, rafforzato da interessi strategici”, Israele ha potuto operare in Egitto con il suo esercito e Sisi non usa la retorica anti israeliana a scopo interno.