Il Corriere della Sera: “Sì al Jobs act, strappo nel Pd. Via libera alla Camera, il testo va al Senato. Mancano quaranta voti democratici. Bindi: se Renzi non cambia, un nuovo partito. Berlusconi: Salvini il nostro attaccante”.
A centro pagina, con foto: “Il verdetto che infiamma l’America. Scagionato l’agente che sparò al ragazzo”.
E poi: “Frenata sul canone Rai. Non entrerà in boletta”. “Legge di stabilità: e non si pagherà per le seconde case”.
L’editoriale è dedicato alla visita del Papa a Bruxelles: “Il Papa scuote un’Europa spenta”. “‘Infertile e chiusa in se stessa’”.
La Repubblica: “Passa il Jobs Act ma si spacca il Pd. Berlusconi, patto su Italicum e Colle”, “Alla Camera 33 deputati dem non votano la riforma. Il Cavaliere lancia Salvini: io regista, lui bomber”.
In prima il richiamo ad un’intervista a Pierluigi Bersani: “Sul lavoro Matteo sbaglia, ma niente scissioni”.
In apertura a sinistra, foto del Papa ieri al Parlamento europeo: “Papa Francesco sferza l’Europa, ‘Non dico no a dialogo con l’Is’”.
A centro pagina, foto delle proteste negli Usa dopo l’assoluzione dell’agente che uccise un ragazzo nero: “Ferguson, il verdetto che infiamma l’America”.
Nella colonna a destra si rinvia alla pagina delle idee e all’inserto R2, con due contributi. Il primo è dello scrittore Jonathan Littel ed è dedicato ai rapimenti dell’Isis: “Pagare il riscatto, il dilemma dell’Occidente”. Il secondo è di Mario Pirani e si occupa della proposta di legge del governo Nethanyau per arrivare a definire Israele come Nazione degli ebrei: “La Nazione ebraica a uso elettorale”.
La Stampa: “Passa il Jobs Act ma Renzi perde oltre 30 deputati”, “Il Pd si spacca: Civati guida il fronte dei dissidenti. Il premier: avanti tutta. In Senato ci sarà la fiducia”.
A destra la foto di Papa Bergoglio a Strasburgo: “Francesco sferza ‘Nonna Europa’”, “Il Papa a Strasburgo salutato da 11 applausi. ‘Senza lavoro non c’è dignità’”.
Un’altra foto in prima si riferisce alle proteste negli Usa: “La sentenza che infiamma gli Usa”, “Non incriminato l’agente che uccise un giovane di colore: violenze a Ferguson”.
A centro pagina: “Slitta il canone Rai nella bolletta elettrica”, “’Tempi stretti’, si pensa a un decreto”, “Il governo: non sarà nella legge di stabilità”.
Sotto la testata: “’Eternit bis, lo Stato sarà parte civile’”, Dal premier i parenti delle vittime. Il sindaco chiede 56 milioni di compensazione per i danni subiti”.
E la vendita della Lucchini: “L’acciaio di Piombino diventerà algerino”.
Il Sole 24 Ore: “Sì della Camera al Jobs Act. Pd diviso. Renzi: più tutele. La delega passa con 316 voti favorevoli, 30 democratici lasciano l’Aula. Ora l’k finale al Senato”.
In alto: “Il Papa scuote l’Europa: ridare dignità al lavoro”.
A centro pagina: “Legge di stabilità, via libera Ue”. “Il ‘piano Juncker’ all’Europarlamento. Moody’s: Italia e Spagna ancora vulnerabili”. “Il Pil Usa (+3,9 per cento) spinge Borse e bond. Tassi Btp al 2,15 per cento”.
Di spalla il quotidiano offre un forum con l’Ad di Enel, Francesco Starace: “Hi-tech elettrico modello per conquistare nuovi mercati all’estero”.
Il Fatto torna sui dati dell’astensione alle elezioni regionali e sulle parole con cui il presidente del Consiglio li ha commentati : “I 750.000 ‘secondari’ azzoppano Renzi”, “Indebolito dall’astensionismo, il premier si salva alla Camera per un voto sul Jobs Act (40 dissidenti Pd se ne vanno e 2 votano No). E fa retromarcia sul canone tv nelle bollette. B. conferma il Nazareno, ma non controlla più FI”.
In prima il richiamo ad un’intervista a Pippo Civati: “Civati avverte: ‘O rottama il patto col Cav. O faccio un nuovo centrosinistra”.
In taglio basso, sull’ospedale Spallanzani in cui è ricoverato il medico di Emergency che ha contratto il virus Ebola in Sierra Leone: “Ebola, quei 55 milioni al laboratorio che non c’è”, “Nell’avveniristico centro clinico di Roma” manca “la ‘cabina’ bsl-4 destinata alla coltura dei virus più letali. Eppure si continuano a spendere cifre spropositate”.
E in prima anche il caso Google: “Fermate Google. Sta uccidendo i giornali e le tv”, “L’Europarlamento deciderà sul gigante Usa: controlla gli utenti per ottenere il monopolio pubblicitario. Ma l’Italia con chi sta?”
Il Giornale: “Il patto del panettone”, tra Lega e Forza Italia. “Berlusconi apre: ‘Salvini premier del centrodestra? Ci penso. Lui goleador, io regista’. E rassicura gli azzurri: ‘Non mollo. Per la democrazia sono pronto all’estremo sacrificio'”. E poi: “Sì al jobs act, ma Renzi perde per strada il Pd”.
A centro pagina, con foto: “E il vecchio leone Bossi benedice l’unione”.
Un’altra foto è per Barbara D’Urso: “La casta dei giornalisti vuole processare la D’Urso”, “nel mirino per aver intervistato i vip senza essere giornalista”.
A fondo pagina: “Scoppia la rivolta dei neri contro il presidente nero”. “L’odio razziale infiamma gli usa”.
Berlusconi-Salvini
Su La Stampa: “Berlusconi lancia Salvini: ‘Io regista, lui goleador’”, “L’ex premier, a sorpresa, apre al segretario della Lega. Mano tesa ad Alfano: i tradimenti li lascio alle spalle”.
La Repubblica: “Berlusconi: Salvini mio vice, resto io leader”, “Il capo di Forza Italia sul leghista: lui può essere il goleador del centrodestra. Ma Alfano lo gela: non ci starò mai. Ancora caos tra gli azzurri: l’ala nordista contraria a ‘consegnarsi’ al Carroccio. Oggi resa dei conti con la corrente di Fitto”. Scrive Carmelo Lopapa che quella nei confronti di Salvini è “una mezza investitura” e che annunci e aperture di Berlusconi in questi mesi sono comunque sufficienti a “destabilizzare ancora di più Forza Italia”.
Il Fatto: “B. non sa dir di no ai Matteo. Patto salvo e Salvini leader”, “Il capo del Carroccio alla guida del centrodestra? ‘Lui il centravanti e io il regista, ma a dire il vero mi ha chiesto la vicepresidenza del Milan’”.
Da Il Fatto segnaliamo anche un articolo di Enrico Fierro dedicato al segretario della Lega: “Dal comunismo padano al fascioleghismo russo”, “La riscossa elettorale del Carroccio passa per la sovraesposizione tv di Matteo Salvini: basta ampolle e secessione, sì a Casa Pound e a Mosca”.
Scrive Adalberto Signore sul Giornale che le parole di Berlusconi su Salvini sono “una sorta di semi-incoronazione”, “un quasi patto del panettone per un tandem azzurro verde”, visto che Salvini “è bravo a fare gol” anche se “ha bisogno di una squadra dietro”, e il leader di Forza Italia si dice pronto a fare “non solo il regista ma anche il capitano”. Il quotidiano ricorda che in Calabria la Lega non si è neanche presentata “perché avrebbe probabilmente fatto fatica a raccogliere le firme” per candidarsi. Aggiunge il quotidiano che a questo punto “quella delle primarie potrebbe essere una via su cui ragionare” per fornire a Salvini “una legittimazione”, politica e territoriale.
Lo stesso quotidiano intervista Umberto Bossi che “benedice l’unione”, consiglia a Berlusconi di “non farsi svuotare il partito”, dice che “i contrasti non sono utili a nessuno, tantomeno a Berlusconi e al centrodestra nel suo insieme”, e si schiera contro Tosi, che “ha cercato di massacrare la Lega nel Veneto, quelli che non sono amici suoi li ha fatti fuori”.
Sul Corriere: “‘Sono a disposizione’. Ma il leader leghista chiederà le primarie”. Salvini si attesta sulla linea spiegata qualche giorno fa proprio in una intervista al Corriere, ovvero “per decidere il leader del centrodestra ci vogliono le primarie”. Si dà conto anche del parere del sindaco di Verona Tosi, secondo il quale “le fortune della Lega non coincidono con quelle del centrodestra”, se si guardano i risultati dell’Emilia Romagna, e dunque “Salvini non sarebbe il candidato migliore. ‘Decideranno i cittadini, io alle primarie ci sarò anche perché, insiema a Giorgia Meloni, sono partito per primo’. Quello di Berlusconi, secondo Tosi, non è stato un via libera al segretario della Lega. ‘Intanto ha assegnato a se stesso il ruolo di regista. E nessuno dimentichi che il Cavaliere il consenso ce l’ha ancora’”.
Articolo 18
Scrive La Stampa che ieri alla Camera Sel, M5S, Fi, Lega e Fratelli d’Italia sono usciti dall’aula per far mancare il numero legale durante le votazioni sul Jobs Act: ma la mossa tattica è andata a vuoto, scrive Carlo Bertini. Si è spaccato però il Pd, con una minoranza di una trentina di deputati, molti dei quali erano scesi in piazza con la Cgil: “nasce così sotto le bandiere di Bindi, Boccia, Cuperlo e Fassina un nuovo correntino che metterà i bastoni fra le ruote al premier sulle riforme”. Un drappello destinato a crescere, secondo i promotori: “l’area del dissenso si allargherà”, prevede il deputato bersaniano D’Attorre. Mentre i renziani commentano: “Eravamo partiti con 150 deputati”, “oggi siamo arrivati a 30, domani scenderanno a quindici”. I dissidenti puntano in alto: alla riforma del Senato, visto che Bindi lancia la proposta di un Senato elettivo, ieri in Commissione alla Camera. A votare contro il Jobs Act sono due: Civati e Pastorino. Altri due civatiani si astengono e 29 non votano, firmando un documento con le ragioni del no. Si innesta così un forte attrito nella corrente Area riformista, che “va in frantumi”.
Sulla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, Il Sole 24 Ore scrive che il governo ha intenzione di utilizzare il nuovo contratto a tutele crescenti per incentivare le aziende a superare la soglia dei 15 dipendenti, al di sopra della quale si applica l’articolo 18. Visto che le nuove regole non si applicano ai lavoratori già assunti con un contratto a tempo indeterminato, e solo per le nuove assunzioni in caso di licenziamento economico ingiustificato si applica il solo indennizzo, il governo intenderebbe estendere anche ai dipendenti precedenti le nuove regole. “Ipotesi del governo: nuove regole per tutti i dipendenti delle aziende che superano i 15 dipendenti”, è il titolo dell’articolo, che cita il responsabile economico del Pd Taddei, che ieri ha detto: “Stiamo valutando tutti gli strumenti che possano incentivare la crescita aziendale”. Il quotidiano ricorda un “precedente”: una proposta di D’Alema, poi ritirata, di sospensione per tre anni dell’applicazione dell’articolo 18 alle aziende con meno di 15 dipendenti che avessero deciso di assumere.
Secondo Il Giornale con il voto di ieri – la riforma dovrà essere votata di nuovo al Senato, in ogni caso – si ha una “riforma annacquata”, perché “resta decisivo il parere del giudice sui reintegri per ragioni disciplinari e discriminatorie”, e “la certezza di poter licenziare varrà, come oggi, solo per i licenziamenti economici”. Ma occorrerà attendere i decreti delegati del governo.
Pd
Il Sole 24 Ore intervista il vicesegretario Lorenzo Guerini: dice che il suo partito coglie positivamente le parole di Berlusconi “quando dice che per ‘senso dello Stato’ Forza Italia accetterà anche il premio alla lista e non più alla coalizione”, e che il Pd verificherà se il partito di Berlusconi “sosterrà la determinazione espressa dal suo leader”. Ribadisce che il Pd non vuole andare al voto nel 2015, e “rigira la domanda” chiedendo al suo intervistatore se non sarebbe peggio cambiare la legge elettorale in scadenza di legislatura. Sulle obiezioni dei costituzionalisti sull’Italicum dice ritiene “non sia necessaria” una norma transitoria, e che comunque deciderà il Senato.
Nel commento di Lina Palmerini, “Politica 2.0”, il quotidiano di Confindustria si sofferma sui dissidenti Pd e sulla scelta di non partecipare al voto sul Jobs Act ieri: “il limbo del non voto fa pensare che i trenta – con il Jobs act – vogliano aprire un’altra partita che guarda al Quirinale. Una tattica per negoziare altro, insomma”.
La Repubblica intervista Pierluigi Bersani: “La nostra gente non vuole scissioni, ma Matteo non faccia finta di nulla”, “Ho votato sì sul Jobs Act per disciplina di partito ma nessuno, anche chi è uscito, può negare i passi avanti compiuti”. Dice che sul fronte del lavoro “c’è tempo per correggere”: “la vera sfida al mondo del lavoro, sindacati compresi, doveva venire sul lato della produttività e quindi da una flessibilità dell’organizzazione aziendale, da una sfida sul tema decentramento e partecipazione. Avere invece affrontato cose minori come l’articolo 18 o altro, o avere creato un ulteriore canale che differenzia la situazione dei lavoratori sullo stesso banco di lavoro è un approccio negativo”. Sul dato delle astensioni alle regionali, che definisce “agghiaccianti”, dice che il messaggio di quegli elettori non è “uscite dal Pd” ma “risolvete tutti insieme”. Il messaggio è: “noi elettori del Pd ci siamo come autosospesi ma non vogliamo andare da nessun’altra parte’. Non a caso le forze della sinistra alternativa prendono poco o niente, percentuali dello zero virgola”.
Il Corriere intervista Rosy Bindi: “Si torni all’Ulivo o noi usciamo. Matteo ha deluso, è già in caduta”. Bindi nega che gli avversari di Renzi si siano divisi al momento del voto sul Jobs Act, “gli obiettivi di chi ha votato no e di chi ha lasciato l’Aula come me erano gli stessi”. Sul voto alle Regionali: “Sono stati rottamati 750 mila elettori in un colpo solo, non la Bindi”, “questa categoria è servita a Renzi per vincere, ma ora, per continuare a governare, deve prendere per mano la povertà, le periferie, il dissesto del territorio, la crisi industriale”. Dice che è “irricevibile” la riforma costituzionale, e sul suo partito dice che se il Pd “torna ad essere il partito dell’Ulivo”, allora “non ci sarà bisogno di alternative”, ma se “sarà quello degli ultimi mesi è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova”. “Il voto sul Quirinale sarà una resa dei conti?”, chiede il quotidiano. Bindi risponde di auspicare una scleta “fatta ricercando l’unità del Paese”, una persona “la cui autorevolezza sia considerata indiscussa, da tutti”.
“Al nuovo risiko sul Quirinale nessuno ha i numeri per imporsi”, è il titolo di un retroscena dello stesso quotidiano.
Il Fatto intervista Pippo Civati, che dice: “Patto senza B. o nuova sinistra”. Rompe con il Pd? “Ora nel Pd c’è un fatto politico gigantesco, l’area del dissenso s’è allargata. Fino a ieri ero solo io, oggi no. Voglio ricostruire il centrosinistra”. Di fianco, intervista a Gianni Cuperlo: “Fuga di elettori, non convince più”. Sta pensando di uscire dal Pd? “Nessuno di noi ha questa intenzione”
Papa
Sul Papa a Strasburgo ieri (“Storica visita al Parlamento Ue”) Il sole 24 Ore si sofferma sul “richiamo” del Pontefice ai parlamentari europei, cui ha chiesto “una casa che non si basi solo sull’economia”. Il commento di Adriana Cerretelli: “Ci voleva un Pontefice a Strasburgo per smontare, dall’economia all’etica dei dis-valori comuni, il pensiero unico dominante in Europa insieme al suo modello di sviluppo”.
Il Corriere intervista l’europopolare tedesco Elmar Brok: “Sì, abbiamo sbagliato: il mercato va controllato”. “Nella Ue gli abbiamo lasciato troppo spazio, non l’abbiamo controllato a sufficienza”, e questa “mancanza di controllo” ha “innescato la crisi del 2008”
Il Giornale si sofferma sulla “Unione che non vuole il Pontefice” con un articolo dedicato al “neogiacobino Jean-Luc Melenchon, “tribuno del Fronte di sinistra, partito neocomunista francese”, che ha “abbandonato l’aula all’arrivo del Pontefice rivendicando di ‘venire da un Paese in cui si è messo fine a tre secoli di guerra civile grazie alla laicità'”. Melenchon ha detto di non ammettere la presenza di religiosi nell’emiciclo parlamentare “quando si parla di leggi”. Il quotidiano si chiede cosa avrebbe fatto se a Strasburgo avesse parlato “un leader islamico”.
Gentiloni
La Repubblica intervista il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “La Libia è al collasso, se l’Onu ce lo chiede, pronte le nostre truppe per aiutare il Paese”, “non dobbiamo ripetere l’errore di mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere, ma certo un intervento di peace keeping, rigorosamente sotto l’egida Onu, vedrebbe l’Italia impegnata in prima fila”. Sulla lotta all’Is: “L’impegno della coalizione ricade anche su di noi. Giusto unire le forze, impensabile non coinvolgere anche l’Iran”. Gli vien chiesta un’opinione anche sulla legge in discussione in Israele sulla natura ebraica dello Stato: “Non tocca a me giudicare ipotesi legislative che riguardano, vedremo con quale testo, la Knesset. Ma una cosa è certa: un quinto della popolazione israeliana è costituito da cittadini di origine araba e questi devono godere di una incontrovertibile parità di diritti”.
Ferguson
Il Corriere intervista la scrittrice afro-americana Toni Morrison: “Non sono affatto stupita da questa iniqua sentenza perché nella storia americana è da sempre difficile ottenere l’incriminazione contro un poliziotto. Su oltre 2mila casi è accaduto solo 11 volte”. “Il giorno in cui mi diranno che un poliziotto ha sparato alle spalle di un giovane bianco saprò che il razzismo della polizia è un cimelio del passato”. Secondo la Morrison “l’arrivo di Obama alla Casa Bianca ha peggiorato enormemente le cose”, perché “una certa America bianca, vecchia e conservatrice è terrorizzata dal fatto che il leader più influente del pianeta sia un nero”.
Sullo stesso quotidiano Sabino Cassese commenta la decisione, e spiega come funziona il Grand Jury, che ha “funzioni accusatorie e di investigazione, come una sorta di udienza preliminare”. Davanti ad esso “non si svolge un processo in contraddittorio” e le sue decisioni “bloccano, anzi, un esame aperto, contenzioso”. I giurati sono scelti per sorteggio e tenuti al segreto, non rappresentano un campione della società e non son preparati per svolgere funzioni investigative”. Le sue conclusioni impediscono un processo vero e proprio perché devono solo accertare se sia probabile che sia stato commesso un crimine, non se sia stato commesso. Il poliziotto Wilson “non è stato condannato né assolto”, “semplicemente non viene accusato”.
La Stampa intervista l’avvocato Alan Dershowitz, che difende la sentenza del Grand giurì a accusa i media di aver contribuito ad accentuare il clima di tensione con l’intento di fare di Ferguson uno show. Sul “primo round” di colpi sparati dal poliziotto “non ci sono dubbi che si è trattato di legittima difesa”, dice Dershowitz. Quanto alla seconda sparatoria, “potrebbe essere un ‘close case’, un caso con maggiori margini di certezza, ma in fin dei conti non poteva esserci un’incriminazione. Questa è stata la decisione giusta, non c’erano prove per procedere”.
Il Sole 24 Ore scrive che la decisione del Gran Giurì che ha deciso di non incriminare l’agente bianco Wilson per l’omicidio del giovane nero Michael Brown è arrivata dopo ore di testimonianza dell’agente, che ha detto di essersi sentito minacciato fisicamente da Brown, e di aver temuto che avesse una pistola; e soprattutto dopo “70 ore di testimonianze con circa 60 persone, rapporti forensi, documenti medici, registrazioni delle comunicazioni tra poliziotti ed FBI che ha sentito i passanti”. I documenti – subito resi noti dopo al giudizio, al contrario di quel che avviene di solito”, erano “migliaia di pagine”, e qualcuno è convinto che i membri del Gran Giurì se siano stati “sopraffatti”. Se emergeranno nuove prove il caso potrebbe essere esaminato da un nuovo Gran Giurì.
Sul Giornale si legge che il Gran Giurì ha concesso “quello che il Washington Post chiama ‘il beneficio del dubbio'”. La ricostruzione, “come spesso capita”, è controversa, e se la possibilità di accertare quel che è accaduto e di arrivare ad una condanna è “ridotta al lumicino” allora “lo stesso processo diventa una perdita di tempo”, e “meglio non cominciare nemmeno a discutere”. Anche per un “pregiudizio favorevole” che differenzia la giustizia Usa da quella italiana, dove invece “una certa cultura vede con sospetto, quasi con sospetto preventivo, un agente che fa fuoco”.
E poi
Il Corriere offre un commento del vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen e Werner Hoyer: “La fiducia che serve per non disperdere i 300 miliardi della Ue”. “La Commissione e la Bei si preparano a dare il via a una iniziativa triennale per sbloccare gli investimenti. Ma occorre rimuovere gli ostacoli normativi”.
Sono a rischio i dati economici su fiducia dei consumatori, delle imprese, sui prezzi, sull’occupazione. Scrive Il Sole 24 Ore che “la diffusione era prevista per oggi, domani e venerdì ma “nella migliore delle ipotesi saranno pubblicati privi di briefing di presentazione”, perché i 372 lavoratori dell’Istat con contratto a tempo determinato in scadenza a fine anno sono in stato di agitazione. Due terzi di loro, “a causa di un mix di interventi legislativi per l’austerity emanati dagli ultimi due governi”, perderanno il lavoro il 31 dicembre.