Il Corriere della Sera: “Atene resta isolata, tempi stretti”. “La mossa di Draghi accelera la ricerca di una soluzione. Il Fondo Monetario: evitare il contagio”. “Schauble vede Varoufakis e boccia il piano greco”. “Consiglio europeo il 12 febbraio”.
In alto: “Anticorruzione, accordo nella maggioranza. Norme più severe per il falso il bilancio”.
A centro pagina, con foto: “Merkel-Hollande, missione ucraina”. “Vertice. Da Putin per un piano di pace. Mobilitazione Nato a est”.
A fondo pagina: “Expo, rilievi di Cantone. ‘Ma ce la faremo’. Il rapporto del commissario. Dall’Antimafia misure di interdizione per 46 imprese”.
La Repubblica: “Muro Ue sulla Grecia. Tsipras: basta ricatti. Atene scende in piazza”, “Schaeuble a Varoufakis: andate nella direzione sbagliata. Gelo anche dall’Fmi. Renzi approva la linea dura della Bce”.
A centro pagina: “Tv, salta lo sconto. Berlusconi: una vendetta. Anticorruzione, stretta sul falso in bilancio”.
“Il caso” raccontato in un articolo di Stefano Buzzanca: “Monti resta solo, tutti i senatori di Scelta civica lasciano il partito e vanno nel Pd”.
La foto a centro pagina ritrae un soldato ucraino: “Ucraina, svolta di Obama: ‘Pronti ad armare Kiev’”.
A fondo pagina, la decisione della Giunta per le immunità del Senato di dichiarare non processabile il senatore leghista Calderoli: “Se chiamare orango la Kyenge ‘fa parte del linguaggio politico’”, di Michele Serra.
E un appello in Parlamento contro il videogioco Grand Theft Auto: “’Quel gioco degrada le donne, fermate il videogame violento’”.
A destra, il richiamo alle pagine di R2 Diario: “Free speech un mese dopo il sangue di Charlie”, con i contributi di Christian Salmon e Timothy Garton Ash.
La Stampa: “La Germania blocca Tsipras: ‘Feve trattare con la troika’”, “Un altro no dopo l’alt della Bce. Anche Renzi approva la posizione di Francoforte”, “Il premier greco: basta ricatti. Bruxelles vuole una proposta scritta”.
La foto è per il maltempo: “Nord-Ovest, disagi per la neve”.
In apertura a sinistra la crisi ucraina: “Usa al bivio sulle armi all’Ucraina”, di Stefano Stefanini.
A centro pagina: “Anticorruzione, c’è la prima intesa”, “Falso in bilancio punibile d’ufficio”, “Milleproroghe, frequenze tv: niente sconti a Rai e Mediaset”.
Di spalla a destra, il reportage di Maurizio Molinari dalla Giordania: “La Giordania: ‘Non daremo tregua alll’Isis’”.
Il Fatto: “Gli Scilipoti di Renzi”, “Il cognome del transfuga Idv andato in soccorso del governo di B. era usato dall’allora sindaco di Firenze come insulto: ‘Traditore’. Ora che è a Palazzo Chigi, per intimidire Silvio, prepara i tradimenti di ex M5S e verdiniani. E oggi i senatori di Scelta civica traslocano nel Pd”, “Il Caimano è sotto minaccia. Il ministro Orlando: stretta sul falso in bilancio (ma è ancora tutta da scrivere). L’emendamento anti-Mediaset messo sul piatto e poi congelato, come la norma sul 3%. Trattativa continua”.
E il quotidiano intervista lo stesso Scilipoti, “Il gemello di Razzi”, che dice: “Nel 2010 l’ho fatto per l’Italia, il premier deve chiedere scusa”.
A centro pagina: “’#Alexisstaisereno’: Matteo scarica Tsipras”, “Il presidente del Consiglio (aveva detto ‘parliamo la stessa lingua’) si accoda all’offensiva di Merkel e Fmi. La Germania alla Grecia: ‘alcune vostre scelte già sbagliate, dovete trattare con la Troika’. Ad Atene migliaia in piazza: ‘Non accettiamo ricatti’”.
A centro pagina anche una foto di Carlo Tavecchio sotto il titolo: “Figc, 107 mila euro per comprare 20 mila libri di Tavecchio”, “È un testo che racconta il calcio ai bambini. Nella delibera della federazione per l’acquisto si cita il titolo, ma non l’autore”.
Il Giornale: “Altro che riforma”. “Renzi scaglia i pm contro gli italiani”. “Il governo dà pieni poteri alle toghe nelle leggi anticorruzione e sul falso in bilancio. Aziende e cittadini diventano presunti colpevoli. E spunta la norma salasso su Rai e Mediaset”.
E poi: “Il premier tradisce anche Tsipras. Grecia in piazza contro la Bce”.
A centro pagina, una intervista al “renziano Giachetti”, deputato Pd e vicepresidente della Camera: “‘Uno sbaglio rompere con Forza Italia’”. E poi: “Scoppia il caos nell’ Ncd, Giovanardi avverte Alfano: ‘Così farai la fine di Fini'”.
Il Sole 24 Ore: “Gelo tra Atene e Berlino. I bond balzano fino al 18 per cento”. “Schauble: ‘Lavorate con la troika’. Tsipras: ‘Non accettiamo ricatti’. Fmi: niente sconti”. “La Borsa greca perde il 3,3 per cento. Caute le piazze europee”.
Di spalla: “Intesa sulla corruzione. Estesa la punibilità per il falso in bilancio”. “Procedibilità sempre d’ufficio. Da sciogliere il nodo delle soglie”. “Superate le divergenze tra Pd e Ncd”.
A centro pagina: “L’Italia cresce meno degli altri Paesi Ue”. “Economie in ripresa ma resta l’incertezza”. “Verso l’ok di Bruxelles alla Finanziaria il 27 febbraio”. L’editoriale, firmato da Guido Gentili, è titolato: “All’Italia crescere (poco) non basta. Deve correre”.
Grecia
La Repubblica dedica le prime 7 pagine alla Grecia: “Berlino dice no a Tsipras: ‘tratti con la troika’. Il premier: ‘Niente ricatti’” (il premier in questione è Tsipras, ndr. ), “Schaeuble: misure sbagliate. Fmi critico. Renzi: bene lo stop Bce. E Alexis va da Putin. 60 miliardi per l’emergenza. Varoufakis: pericolo nazista”. L’articolo di Andrea Tarquini da Berlino esordisce con le parole pronunciate da Matteo Renzi: “La decisione della Bce sulla Grecia è legittima ed opportuna”. Scrive quindi Tarquini che la frase citata, pronunciata proprio mentre a Berlino si svolgeva il braccio di ferro tra i ministri delle Finanze ellenico e tedesco, Varoufakis e Schaeuble, ha chiarito i rapporti di forza nell’eurozona: Italia e Francia, pur non sposando il rigore tedesco, non lasciano sola Angela Merkel nella difesa di regole uguali per tutti.
Alla pagina seguente, un’intervista a Lorenzo Bini Smaghi, che della Bce è stato consigliere tra il 2005 e il 2011, che dice: “Draghi è stato costretto ad agire. Atene sta irritando tutta l’Europa”. Sulla ipotesi “Grexit”, di uscita della Grecia dall’eurozona, Bini Smaghi dice: “nella malaugurata ipotesi di uscita della Grecia, i 18 Paesi ‘rimanenti’ nell’euro sarebbero molto più disposti a fare quadrato pur di salvare la moneta unica. L’uscita della Grecia, non certo auspicabile, potrebbe paradossalmente spingere a rafforzare l’integrazione politica dell’Europa nel lungo periodo”.
Ancora su La Repubblica, da segnalare due intere pagine firmate da Federico Fubini: “Dai conti truccati al cappio della troika, l’odissea della Grecia vittima di se stessa”, “nel 2009 l’economia ellenica aveva accumulato uno squilibrio di dimensioni colossali con il resto del mondo. Il Paese -famiglie, imprese e Stato insieme- consumava 113 euro per ogni 100 euro che guadagnava. Una spaventosa e inarrestabile accumulazione di debito”. E, di fianco, la riproduzione di un intervento che il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha pronunciato ieri a Venezia: “Tutti i rischi del nuovo corso di Bce e commissione europea”, “nell’unione monetaria europea, il principio dell’affidabilità responsabile è la ragione per cui il Trattato di Maastricht esclude esplicitamente l’assunzione si responsabilità sui debiti di ogni Stato membro da parte di altri Stati membri”.
Su La Stampa, pagina 2: “L’Europa non cede alla Grecia”, “La Ue a Tsipras: ci faccia una proposta. Si aspetta un testo scritto all’Eurogruppo. Renzi: ‘Legittima la decisione Bce’. Atene: niente ricatti. E 5mila vanno in piazza”. Il “retroscena” dell’inviata a Berlino Tonia Mastrobuoni: “Schaeuble gela Varoufakis: ‘dovete trattare con la troika’”, “Bilancio amaro per il tour tedesco del ministro greco. Brucia l’esito negativo dell’incontro con Draghi in Bce”. Alla pagina seguente: “Senza accordo l’Italia ci rimette più di tutti”, scrive Stefano Lepri, spiegando che gli aiuti concessi alla Grecia sono pari a 623 euro per ogni cittadino italiano (per i tedeschi, che tanto se ne lamentano, il costo è più basso, visto che si attesta a 17 euro).
Il Fatto: “Tutti uniti contro la Grecia. Fmi e Germania non cedono”. Il quotidiano scrive che “Renzi molla Tsipras e difende la Bce che non accetterà più i bond ellenici”. A fondo pagina, due interviste. La prima è con l’economista tedesco Daniel Gros, direttore del Center for European Policy Studies (“Vincerà Merkel, Alexis salverà solo la forma”): è convinto che si stia trattando e che la direzione in cui si sta andando è un accordo su nuove obbligazioni da parte del governo greco, i cui pagamenti verranno ancorati alla crescita del Pil. “La Germania lo accetterà”, pronostica. Ma è una vittoria greca, allora? “Quel tipo di bond già esiste: venne dato agli investitori stranieri durante il taglio del 70% dei rimborsi sui titoli greci (l’haircut del 2012)”. La seconda è con il corrispondente della tv pubblica greca Ert, Dimitri Deliolanes, che dice: “Serve l’intesa. Così Berlino rafforza Syriza”, più i tedeschi 2si impongono”, più Syriza guadagna punti, “anche nell’elettorato conservatore”.
Il Corriere della Sera: “Il no della Germania: Atene sbaglia”. “Tsipras: niente ricatti. Varoufakis: la depressione economica portò il nazismo. Il Fmi: evitare il contagio. L’invito di Putin a Mosca”. Si parla dell’incontro tra il ministro delle finanze tedesco Schauble e il suo omologo Varoufakis. “‘Non ho potuto nascondere il mio scetticismo. Alcune delle misure non vanno nella giusta direzione'”, ha detto Schauble. Varoufakis ha ricordato che ad Atene c’è un partito nazista che il è terzo partito del Paese.
Un altro articolo del quotidiano milanese spiega che “l’Europa studia il piano di salvataggio” e che l’annuncio della Bce ha accelerato i tempi, una “esortazione a decidere” se a Bruxelles esiste lo spazio di un compromesso. Un compromesso che estenderebbe i tempi di restituzione del debito greco, magari aggiungendo miliardi freschi del fondo salva Stati che salverebbe il governo greco dal rischio di insolvenza entro l’estate. Il punto di incontro potrebbe essere il superamento della troika, in cambio del rispetto degli impegni da parte di Atene, dilazionato nel tempo. Un accordo in questo senso sarebbe già in corso, secondo il presidente della Commissione economica del Parlamento europeo Gualtieri.
“La mossa di Draghi accelera la svolta. 60 miliardi per le banche, poi il rischio crac”, articolo di Danilo Taino ancora sul Corriere. Si spiega la decisione della Bce di annunciare fin dall’11 febbraio la sospensione delle operazione di finanziamento delle banche greche, presa perché l’annuncio del governo di Atene è quello di voler uscire dai programmi di bailout, e se Atene non ha un accordo con la troika per un programma di salvataggio la Bce non può acquistare quelli che diventerebbero “junk bond” di Atene. A sollecitare la Bce ad annunciare da subito la sospensione dei finanziamenti sarebbe stata la Bundesbank, scrive Taino, ma su questo non ci sarebbe disaccordo tra i tedeschi e Draghi. La Bce vuole “vedere” le carte che ha la Grecia e soprattutto sollecitare l’Europa a prendersi la responsabilità di una decisione politica.
Su Sole, Morya Longo (“Il salto nel vuoto”) ricorda che lo scontro in corso è lo scontro “tra due concezioni opposte di Europa: quella dei tecnici e dell’austerità a tutti i costi, contro quella dei popoli e del pragmatismo sul problema comune del debito”. Ricorda che la Grecia “ha sempre meno liquidità in casa”, e rischia una forte fuga di capitali che potrebbe “stecchire Atene prima ancora che il compromesso venga trovato”. Non esistono calcoli precisi ma “si stima che solo a gennaio siano scappati 10-12 miliardi di euro dai conti correnti (8% del totale) dopo i 4,5 miliardi persi a dicembre. È chiaro perché questo accada: nel timore che i depositi bancari vengano un giorno ridenominati in dracme, i greci cercano di portare i risparmi in Paesi sicuri (con valute forti). Così facendo, però, condannano le banche alla crisi di liquidità e, dunque, al crack”. Stessa situazione per i titoli di Stato: “la sola eventualità che vengano ridenominati in dracme ha fatto balzare il rendimento dei titoli triennali fino a un massimo del 18,8% ieri: segno che nessuno è più disposto a prestare soldi ad Atene, se non per scadenze brevissime o per interessi elevatissimi”. Longo ricorda anche che quello dell’eccesso di debito non è un problema solo greco, visto che sembra secondo calcoli che “dal 2007 ad oggi il debito pubblico sia aumentato di 25mila miliardi di dollari e quello totale (anche privato) di 57mila miliardi”. La idea di ristrutturarne una parte non è solo di Atene. È vero che “una concessione del genere andrebbe affiancata a riforme strutturali serie e che probabilmente questo non risolverebbe i problemi ellenici, ma almeno lancerebbe un messaggio a tutta Europa: che alla totale austerità esiste un’alternativa. Prima del salto nel vuoto”.
Sul Corriere, Francesco Daveri scrive che il debito greco è “impossibile da rimborsare. Ma come insegna la storia dell’America Latina, i Paesi vicini al default spesso eleggono leader politici che promettono soluzioni senza sacrifici”, ma ricorda che a fallire nel caso greco furono anche le istituzioni europee, a partire dall’Eurostat, che “non si avvide” nel 2011 del fatto che il debito greco non era al 3 ma al 13 per cento. La decisione della Bce, scrive Draghi, non è “come dice qualcuno un affronto a un governo democraticamente eletto e a un Paese fiaccato da anni di austerità fiscale da parte di un’istituzione di burocrati”, ma ciò che la Bce deve fare. “La Bce può acquistare e vendere titoli pubblici se questi sono già sul mercato. Non può invece tappare una falla nei bilanci pubblici di questo o quel governo incapace di finanziare con mezzi propri la sua spesa pubblica. La regola può essere cambiata domani. Ma oggi la si applica”. In questo modo Francoforte indica ai responsabili UE il compito di “recitare responsabilmente la propria parte nella ricerca di un compromesso. Un compromesso sui tempi della restituzione dei prestiti ricevuti da Atene, ma anche sui fondi necessari per avviare un possibile salvataggio. A meno che non si scelga di abbandonare la Grecia al suo destino”.
Isis, Obama, Free speech
Su La Stampa due intere pagine dedicate alla Giordania e alla reazione del Paese dopo la messa al rogo del suo pilota da parte dell’Isis. A pagina 8, il reportage da Amman di Maurizio Molinari, corredato da una foto del re Abdullah II con la divisa dell’aviazione: “Re Abdallah si mette la divisa. ‘Colpiremo l’Isis senza sosta’. Trenta F-16 hanno bombardato Raqqa. Possibili azioni di commando in Siria. Il rapporto dell’Onu: ‘Bambini crocifissi, decapitati e venduti come schiavi’”. Scrive Molinari : “Seduto per otto ore assieme ai suoi generali nella sala operativa del comando delle forze armate, re Abdallah ha varato il pugno di ferro” contro l’Is e “si è trasformato nel sovrano di una nazione in guerra. Trenat F-16 dell’aviazione reale, decollati dalla base re Hussein di Mafraq, hanno bersagliato Raqqa in Siria, capitale del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, meno di 24 ore dopo il raid notturno su sette posti di comando Isis a Mosul, nel Nord dell’Iraq. Raqqa e Mosul sono i pilastri territoriali del Califfato: re Abdullah li ha investiti di fuoco. Il re ha fatto volare i jet al ritorno su Ayy-al-Karek, il villaggio del pilota arso vivo dai jihadisti e poi ha chiamato il padre, Safi Youssef, ripetendo la frase ‘la nazione intera è in te’. Sono le azioni che descrivono la trasformazione del re: salito sul trono per una decisione a sorpresa del padre Hussein, a suo agio a Washington, Davos e Londra, nonché convinto sostenitore di pace regionale ed economia globalizzata, da tre giorni è diventato il leader determinato di una nazione beduina in cerca di vendetta dopo l’onta subita. Basta accendere la tv giordana al mattino per scoprire cosa ha in mente: immagini di guerra, con aerei, tank e obici che bersagliano posizioni avversarie sullo sfondo di inni patriottici”.
Alla pagina seguente, è ancora Maurizio Molinari a firmare un “dossier”: “Quella coalizione che non decolla. Il Califfato ferito, ma non arretra”, “In sei mesi i jihadisti costretti a ritirarsi da solo l’1 per cento del territorio. Gli unici successi sono stati ottenuti dai curdi. Che cosa va cambiato per vedere i risultati?”.
Da segnalare anche il reportage su La Repubblica firmato da Fabio Scuto. Anche qui, due intere pagine: “Nella Giordania in lutto l’ombra della guerra: ‘Attacco di terra contro l’Is’”, “Il dolore per il pilota ucciso sembra unire il paese dietro il sovrano. Nelle strade la gente piange, ma teme il contagio del conflitto”. Scrive Scuto che il volto di Muaz, “il giovane pilota ‘martire’, è ovunque, in tv, sui manifesti per le strade, sulle prime dei giornali”, “di colpo questo giovane pilota è diventato il figlio di tutta la Giordania. Seduti a fianco con la kefiah rossa dei beduini del deserto, re Abdallah e Sefi (il padre del pilota, ndr.) parlano fitto fitto”. “Re Abdallah ha ben chiaro – scrive Scuto – che il suo Paese sta per essere risucchiato dentro la nuova guerra del Medio Oriente”, quella contro l’Is: “La Giordania sarà dura – ha detto – perché questa organizzazione terroristica non solo ci combatte, ma lotta anche contro l’islam e i suoi valori”. Per il re sono stati anni difficili, ricorda ancora Scuto: era contestato per i suoi vestiti, lo accusavano di non conoscere neanche bene la lingua del Paese (“parla l’arabo che insegnano agli stranieri”, dicevano i detrattori). E clamorosa fu la lettera che nel 2010 fu firmata da 36 capi tribù che contestavano lo stile di vita dei sovrani, paragonando quello sontuoso della regina a quello della rapace moglie dell’ex presidente tunisino Ben Ali: mai nessuno prima aveva contestato pubblicamente un discendente del Profeta.
Sulla stessa pagina, un articolo di Alberto Flores D’Arcais da New York: “Obama e la religione: ‘Anche nelle Crociate ci furono crimini orribili’”. Si dà conto della preghiera multiconfessionale tenutasi anche quest’anno: fu istituita nel lontano 1953 dal presidente Eisenhower. L’Isis “è una setta della morte”, ha detto Obama, e “nessun Dio può tollerare il terrorismo”. Obama ha quindi condannato chi usa la fede per commettere azioni orribili: ma questo “non riguarda un gruppo o solo una religione, c’è una tendenza peccaminosa che può traviare la nostra fede” e anche “in nome di Cristo si sono compiuti crimini orribili”, “ricordate quanto successo durante Inquisizione e Crociate”.
Alle pagine R2 de “Il diario” de La Repubblica, due pagine dedicate al “Free speech”: “L’attentato a ‘Charlie Hebdo’ di un mese fa ha riaperto il dibattito sul diritto a esprimersi senza limiti. Anche sulla religione”. Ne parlano Christian Salmon (che sottolinea come l’attentato al settimanale satirico francese si iscriva in una lunga storia, visto che ai suoi albori il cristianesimo condannava la risata e c’era chi, come San Giovanni Crisostomo, sosteneva che l’ilarità e lo scherzo non venissero da Dio, ma dal diavolo) e Timothy Garton Ash (I metodi per opporsi al veto degli assassini”, “Gli attentatori francesi usano la logica del ‘pubblica e muori’. Per evitare il ricatto bisogna trovare nuove modalità di difesa”, “Le nostre società aperte sono già pericolosamente vicine al livello descritto da Karl Popper nel paradosso della tolleranza: ‘La tolleranza illimitata porta necessariamente alla scomparsa della tolleranza stessa’”).
Ucraina
Sul Corriere Stefano Montefiori si sofferma sul “piano di pace Merkel-Hollande” per l’Ucraina, dando conto della missione dei due a Kiev, e del loro successivo incontro con Putin. Si tratta di una azione diplomatica alternativa all’idea di fornire armamenti all’Ucraina, propugnata dagli Usa, “l’opzione del negoziato, della diplomazia, che però non può essere prolungato all’infinito”, ha detto il Presidente francese. Francia e Germania temono l’escalation e vogliono “evitare la guerra totale”. Il piano è quello di resuscitare l’accordo firmato a Minsk a settembre e “mai applicato”. Ha dato il suo appoggio alla missione la “ministra degli esteri” europea Mogherini: “‘Non esiste soluzione militare per la crisi ucraina’”.
Il commento di Franco Venturini: “Armi e diplomazia. Il doppio binario dell’Occidente per fermare Putin”.
Sul Sole 24 Ore Marco Moussanet spiega che “l’iniziativa franco-tedesca (la quale prevederebbe la garanzia a Mosca che l’Ucraina non entrerà nella Nato) ha quindi il sapore dell’ultima chance, prima che a parlare siano solo e soltanto le armi”. Si citano le parole di Kerry, ieri a Kiev: “‘Noi non cerchiamo lo scontro ma la Russia deve fare le sue scelte. È necessario che ci sia l’impegno immediato per un cessate il fuoco che non sia soltanto un pezzo di carta con delle parole ma che sia seguito da azioni concrete'”. Si ricorda anche che “i ministri della Difesa della Nato, riuniti ieri a Bruxelles, hanno deciso di rafforzare il fronte Est dell’Alleanza, approvando la creazione di una nuova forza di reazione rapida composta da 5mila uomini da dispiegare in situazioni di emergenza e con la capacità di intervenire in 48 ore”.
Sul Sole un corsivo – in riferimento alla missione franco-tedesca in Ucraina e a Mosca – si chiede se “qualcuno ha telefonato a Mrs Pesc”, rievocando la famosa battuta di Kissinger sulla politica estera europea.
Politica italiana
Sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia scrive che la designazione di Mattarella è sicuramente quella di una “persona degna e irreprensibile. Non si può dire però di pari notorietà”, nel senso che certamente fino a sabato scorso “ben pochi italiani avessero idea di chi fosse il futuro capo dello Stato”. Abbiamo così un capo dello Stato, che dovrebbe rappresentare l’unità della nazione, che “risulta però affatto sconosciuto alla stragrande maggioranza dei cittadini per non dire alla loro quasi totalità”. L’alternativa non è quella di “invocare rovinosi plebiscitarismi”. Ma sarebbe “auspicabile” che “le istituzioni stesse siano rappresentate da persone in qualche modo note, con il cui volto, con le cui idee, vi sia da parte degli stessi cittadini un minimo di familiarità”. Il Presidente “avrà letto con un certo ironico distacco la valanga di dichiarazioni e di articoli di giornali gonfi di adulazione e di retorica che si è rovesciata sulla Penisola e sulla sua scrivania in questi giorni”, che tuttavia non sarà servita a “nascondere alla sua intelligenza il carattere di separatezza, di forte lontananza dalla pubblica opinione, sotto la cui insegna è nata la sua elezione”. Mattarella dovrebbe cominciare a “parlare superando il suo naturale ma forse eccessivo amore per le poche parole e rivolgendosi agli italiani nel modo in cui chi li rappresenta deve oggi fare: con semplicità, trovando reale novità d’accenti, animando il loro senso di appartenenza alla comunità nazionale, suscitando le loro speranze”, scrive il Professor Galli della Loggia.
Il Giornale intervista Roberto Giachetti, deputato Pd, che dice di comprendere come “un fallo di reazione” la reazione di Lotti, Serracchiani ed altri dirigenti Pd che hanno salutato quasi con soddisfazione la rottura del patto del Nazareno, ma che pensa “sia un sbaglio”, perché “il valore del patto del Nazareno non sta nei numeri” ma nell’aver “cambiato verso” dopo “anni di ‘guerra civile'” nella politica. “Grazie a quel patto abbiamo sbloccato anni di scontro ideologico, ottuso antiberlusconismo contro vieto anticomunismo che hanno prodotto solo immobilismo e paralisi”. Ora “vi sono stati problemi? Abbiamo il dovere di risolverli”. Giachetti nega che sia stato il Pd a tradire il Patto, perché “è stato chiaro fin dall’inizio” e riguardava le riforme elettorale e istituzionale. E anche su Mattarella c’era condivisione sul “profilo” del Presidente. “Quanto al ‘metodo’, non siamo all’asilo, abilitati a fare i capricci”, “in politica ci vuole anche un po’ di lucidità e di freddezza’”. Secondo Giachetti Berlusconi avrebbe dovuto rilanciare, e proporre a Renzi di eleggere Mattarella al primo turno, con i voti di Forza Italia.
Su Il Foglio, del direttore Claudio Cerasa: “Patto o non patto. Perché Renzi ha bisogno di Berlusconi più di quanto Berlusconi abbia bisogno di Renzi”.
Il Corriere intervista Ennio Doris, ad di Mediolanum e grande amico di Berlusconi. Dice che finora il patto del Nazareno è stato “una cosa buona per il Paese”, e che ora sta a loro decidere. Per il resto risponde a domande su Mediolanum.
Sul Sole si fanno i conti dei numeri della maggioranza in Senato: “Al Senato 11 voti di margine e ‘riserva’ di 10 incerti”. “Possibile allargamento a 3 senatori Gal e 6 ex M5S che hanno votato per Mattarella al Colle”. Si fa riferimento ad una “campagna acquisti” che sarebbe “in corso” da parte del Governo “ma non sarà facile sostituire l’appoggio di Forza Italia”. Il quotidiano fa anche riferimento alla notizia, già pubblicata ieri dal Corriere, secondo cui Renzi vorrebbe un ministero per il Mezzogiorno “anche per blandire molti parlamentari dell’opposizione provenienti da quell’area del Paese”, ma “l’impresa sembra assai ardua”.
Sullo stesso quotidiano si dà conto del parere di Romano Prodi: “‘Se è un ministero che non ha potere di coordinamento diventa di serie B perché deve chiedere l’elemosina agli altri. Se invece ha un potere forte può essere estremamente utile'”.
Su Il Giornale Adalberto Signore scrive che la “paura fa 2018”, e che ad aiutare il premier “sono i tanti, troppi che quasi certamente non saranno rimessi in lista e che pur di restare seduti sul loro scranno fino a fine legislatura (con annesso stipendio e, soprattutto, con la pensione che scatta dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di mandato) sono pronti a sostenere qualunque maggioranza”. “Non essendoci Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, però, difficilmente si aprirà il dibattito sul mercato delle vacche e sulla compravendita di voti. Eppure quel che si sta muovendo è qualcosa di molto simile a quanto accadde nel dicembre 2010”, scrive il quotidiano.
Sul Corriere si descrive la “operazione Scelta Civica”: già oggi i senatori e parte dei deputati montiani potrebbero aderire al gruppo del Pd. Al Senato il gruppo del Pd passerebbe da 108 a 113. I parlamenti montiani “pronti” allo strappo, non ancora ufficiale, sono i senatori Linda Lanzillotta, Pietro Ichino, Alessandro Maran, Benedetto Della Vedova e Gianluca Susta. Anche il ministro Stefania Giannini ha intenzione di traslocare”. Monti resta al suo posto di senatore a vita.
Altro articolo: “La grande corsa dei responsabili. Chi può salire sul carro dei Dem”. “Villari assicura: se Verdini vuole, una decina di senatori li muove”.
Sul Sole 24 Ore, Lina Palmerini scrive che “l’Opa” del Pd, ovvero “attirare nella sua orbita il Nuovo centro-destra e Udc o Scelta civica” è importante “non solo in termini di numeri al Senato ma nella prospettiva di ciò che deve diventare il Pd con le nuove regole elettorali”.
Corruzione
Ieri è stato raggiunto un accordo nella maggioranza sul disegno di legge anticorruzione.
Secondo Il Giornale quella decisa da Renzi è la “vendetta numero uno” dopo la rottura del Patto del Nazareno. “In buona sostanza, sarà il pm a decidere di volta se perseguire l’ipotesi di reato oppure se lasciar perdere. È chiaro che su un terreno dove il confine tra la norma e la violazione è sempre sottile si lascia al magistrato un’ampia facoltà di decisione. E, senza voler essere pretestuosi, si può anche legittimamente sospettare che alcuni giudici possano approfittarne”. Si ricorda che “dopo due anni di parcheggio” il ddl anticorruzione avrà “una corsia preferenziale a Palazzo Madama”, e se Renzi “userà la maggioranza di sinistra” non solo “chi ha truccato i bilanci ma anche chi ha commesso errori di valutazione rischierà grossissimo”. Infine l’esecutivo rivedrebbe la “contestata norma sulla non punibilità penale fino al 3 per cento dell’imponibile”, “impropriamente definita ‘salva Berlusconi'”.
Sul Corriere, si dà conto del rapporto dell’Autorità nazionale anticorruzione su Expo: “Gestione del catering, servizi di vigilanza, allestimento dei padiglioni, lavori di pulizia e manutenzione: l’80 per cento delle procedure di appalto dell’Expo di Milano superiori a 40 mila euro ha subito ‘rilievi'”. Per quattro gare è stato sollecitato il commissariamento. Il Presidente Cantone dice: “Ce la faremo. La collaborazione con i vertici di Expo sta funzionando, l’importante è recepire in fretta le indicazioni che arrivano dal nostro ufficio”.