Il Corriere della Sera dedica il titolo più grande all’Ucraina: “Battaglia e sangue a Kiev”. “La polizia assalta i manifestanti, morti e feriti nelle strade”. “Per la prima volta la Germania evoca sanzioni per il regime”, scrive il quotidiano. In alto una anticipazione da un libro del cardinale Muller, firmata da Papa Francesco: “La ricchezza è un bene se aiuta gli altri”. L’editoriale è dedicato alla vicenda dei due marò ed è firmato da Danilo Taino: “Ora è rottura con New Delhi”.
La Stampa, a centro pagina: “Renzi alla trattativa finale. Il governo entro venerdì”, “I ministri saranno 18. Risolto il nodo Economia. Bernabé nella squadra”. Sotto la testata, in apertura con foto di incendi in piazza a Kiev: “L’Ucraina in fiamme. Scontri e cariche nelle piazze: 14 morti”. In evidenza a centro pagina anche la foto di un operaio disoccupato che ieri ha minacciato il suicidio a Sanremo: “Il Festival parte tra disguidi e proteste”.
La Repubblica: “Alfano, tre condizioni a Renzi”, “’Con noi mai la patrimoniale’. I grillini votano sì alle consultazioni”.
A centro pagina, con foto: “Giorno di sangue a Kiev: ‘Occidente, ferma il massacro’”.
Il Fatto ha in prima una foto di Beppe Grillo sotto il titolo: “Grillo e i licenziati. E’ il festival della protesta”.
In taglio basso: “Oggi il leader M5S incontra Renzi. Il Colle chiede cinque ministri”.
E con una foto dall’Ucraina: “Kiev, un giorno di fuoco, almeno 13 morti in piazza”
Il Giornale: “Renzi mette in riga Alfano”. “Gelido incontro tra i due. Undici senatori del centrodestra pronti a dare la fiducia”. A centro pagina: “Marò, indiani cialtroni, ora basta”, con foto delle due mogli dei fucilieri, ieri a Sanremo.
Il Sole 24 Ore: “Spread Btp-Bund sotto i 190”. Di spalla la politica: “Renzi: governo in settimana. Paletti di Alfano, no di Sel, un corsivo dal titolo “AAA ministro cercasi”. A centro pagina: “Caos in Ucraina, 14 morti a Kiev”.
Renzi, Pd
Il Corriere intervista Dario Nardella, “fedelissimo di Renzi”. Del segretario del Pd dice che “ancora una volta ha scelto con coraggio la strada più rischiosa”, e oggi “subisce un danno di immagine ma evita il danno massimo per il Paese: l’ingovernabilità”. Letta “ha rappresentato bene l’Italia all’estero, ma non è riuscito a mettere in campo il coraggio indispensabile per rompere quel grumo fatto di burocrazia, corporazioni, poteri costituiti che da anni non permette all’Italia di tirar fuori le sue energie migliori”. Dunque l’establishment deve temere Renzi? “Esatto. E non mi stupisce che proprio l’establishment si sia espresso più o meno implicitamente contro questo passaggio. Considerano Renzi un barbaro”. Nardella dice che il governo arriverà il più presto possibile, ma “senza sacrificare la qualità dell’esecutivo alla velocità”. Nardella “è stato il primo a dire che ci voleva un politico al ministero dell’Economia”, e spiega che “l’era dei ‘tecnici a prescindere è finita’”, e che “non esiste scelta più politica di decidere quali voci di spesa pubblica tagliare”. Se il ministro dell’Economia fosse Delrio “non ci troverei nulla di strano”, i sindaci sono “la migliore espressione della politica italiana”. Nardella allude anche alla Banca d’Italia, annoverandola tra quelle istituzioni che esprimono “la distanza tra la società civile e le istituzioni”, dice anche che l’Italicum si potrà cambiare mantenendo “lo schema di Renzi: le regole del gioco si scrivono con le opposizioni”, e infine parla del Pd: “Penso proprio che non ci saranno scissioni. Il Pd deve dar seguito a una decisione di cui è stato protagonista senza sacrificare la discussione interna. Anche se la parola partito non mi piace. Forse non abbiamo colto appieno la novità del congresso in cui il partito socialista europeo cambierà il nome per diventare partito dei socialisti e democratici europei”. Nardella dice che “ci sono forme nuove di partecipazione che non possono essere rinchiuse nella forma tradizionale di partito del secolo scorso”, e conclude: “I tempi sono maturi per chiamarci solo ‘Democratici’, senza ‘partito’”.
La Stampa intervista Peter Mandelson, che fu spin doctor del premier laburista britannico Tony Blair: “Attento Renzi, il cambiamento è una lotta dura”, “Anche lui parte da zero, dovrà scontrarsi con chi vuole mantenere il potere”, “Come Blair presto si accorse, il vecchio ordine è capace di determinazione nel conservare le sue posizioni”
Governo
La Stampa scrive che l’impasse sulla casella del ministero dell’Economia sarebbe stata sbloccata, sebbene il nome di chi la occuperà non sia stato ancora reso pubblico. Il quotidiano riferisce che ci sarebbe una semifinale ristretta a tre nomi: il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, l’ex presidente di Telecom Franco Bernabé e il presidente dell’Istat Pier Carlo Padoan. Nello staff di Renzi il nome di Bernabé veniva però ieri ipotizzato come probabile, ma allo Sviluppo Economico e non all’Economia. Poi si scrive anche che il prescelto potrebbe essere Graziano Delrio, fedelissimi del presidente del Consiglio incaricato.
Per Il Fatto: “L’ultima idea per l’Economia: Piero Fassino”, “In assenza di Barca, serve un politico nella casella decisiva. Per lo Sviluppo sale Bernabé, Mauro Moretti verso il Lavoro”.
Un corsivo sul Sole 24 Ore (“AAA ministro cercasi”) si sofferma sul fatto che “alla guida del Mef servono competenza indiscutibili, autorevolezza, prestigio internazionale. Ma chi è in Italia che corrisponda a questo ritratto”. Nessuno, dice il quotidiano, “e non per veti o interessi di parte ma proprio perché non sembra più esistere in natura. In Italia, oggi. E questo è il dato più preoccupante”.
Su L’Unità un articolo titolato “Rebus economia, tornano i tecnici”, dove si fa il nome di Pier Carlo Padoan, interpellato al telefono (“ossessionato dall ‘effetto Barca’”, dice il quotidiano). Padoan dice che è in partenza per l’Australia per il G20, e poi farà un altro giro per l’Ocse. Su Delrio “c’è il no di Alfano”, mentre potrebbe tornare in campo Saccomanni, scrive il quotidiano.
Le pagine 2 e 3 de La Repubblica si occupano della “trattativa”, in relazione alla formazione del nuovo governo. Pagina 2: “Le condizioni di Alfano a Renzi: ‘La maggioranza non può cambiare e se c’è la patrimoniale noi usciamo’”. Si legge poi che Renzi, tra una consultazione e l’altra, ha avuto un faccia a faccia con Gianni Cuperlo, leader della minoranza del Pd: gli avrebbe preannunciato un documento di programma e avrebbe chiesto garanzie sull’economia. Pagina 3, in riferimento alle richieste del leader del Nuovo Centrodestra: “Lo scoglio della giustizia nella trattativa, ‘Bisogna rivedere le intercettazioni’”, “No dell’Ncd al Job Act. Matteo: niente veti. Incontro con D’Alema”. Si riferisce quindi che Alfano ha chiesto la riforma della custodia cautelare, une revisione della questione intercettazioni e il varo della responsabilità civile dei magistrati. Quanto al riferimento all’incontro con D’Alema, La Repubblica spiega che l’ex premier è tornato un punto di riferimento dopo le spaccature interne alla minoranza di Cuoperlo: si tratta quindi di un incontro “che serve per ricompattare le anime democratiche”. Renzi “non ne ha bisogno, visto il consenso di cui gode dentro il Pd, certificato dal voto di ‘sfiducia’ a Letta. Ma non vuole trascurare alcuna sponda”.
Il Corriere in un retroscena scrive che “tra Matteo e Angelino è iniziato il disgelo”, parla del vertice di maggioranza che si terrà oggi, e dice che il partito di Alfano vorrebbe la cancellazione del ministero delle Riforme e una “personalità che condivida le nostre idee” al ministero dell’Economia. Si parla anche del posto di ministro della Giustizia, casella sulla quale Berlusconi avrebbe fatto capire a Renzi di non osteggiare Guido Calvi, ex senatore Pds e storico avvocato Pci-Pd. Alfano vuole che prima ancora di parlare di nomi si parli delle cose da fare – dice il quotidiano. Ma il senso della precisazione è nella volontà di evitare “maggioranze variabili” e di delimitare i confini della maggioranza.
Secondo Il Giornale “Alfano fa proclami ma Matteo lo gela e non gli dà garanzie”. Il quotidiano scrive che il Ncd ha chiesto di mantenere i ministeri dell’Interno, della Salute e delle Infrastrutture, (con il primo che resta a rischio”.
“Draghi vorrebbe il bis di Saccomanni”, scrive in prima pagina su La Repubblica in un “retroscena” Federico Fubini. Dove si ricorda che nell’inverno 2011-2012 Mario Draghi stava passando dalla Banca d’Italia alla presidenza della Bce: “l’euro era in gioco e la minaccia più grande alla moneta” era proprio il suo Paese, l’Italia. Dopo il cambio di governo e l’arrivo di Monti alla presidenza del Consiglio, la Bce ha “le spalle coperte” e si sblocca, immettendo mille miliardi lordi di liquidità straordinaria che “aiutano l’Italia a riemergere dagli inferi”. Ora tutto è diverso, ma il presidente della Bce, pur astenendosi dall’esercitare pressioni anche private, preferirebbe vedere al ministero dell’Economia Fabrizio Saccomanni. Perché la minaccia ad Eurolandia è sedata, ma non scomparsa: “la Bce -scrive Fubini- ha bisogno di un’Italia affidabile, perché sa che dovrà intervenire nei mesi prossimi per contrastare la nuova forma che la crisi ha preso: quella di una deflazione in grado di corrodere l’economia del Sud Europa e rendere insostenibili i debiti pubblici e privati”. Si legge poi che Draghi non avrebbe obiezioni su Pier Carlo Padoan, il cui nome è stato fatto in questi giorni per il ministero dell’Economia e “sul quale in queste ore si lavora molto”. Ma la crisi di governo a Roma rischia di complicare tutto, perché se l’Italia scegliesse di ignorare le regole europee, dovrebbe farlo contro il parere di Bruxelles. Lo ha ricordato ieri il commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn: se l’Italia violasse il 3% nel rapporto deficit-Pil, il debito salirebbe ancora e questo non aiuterebbe la competitività. Draghi avrebbe espresso il timore che, nel caso l’Italia andasse fuori linea, non appena lui proponesse nuove misure espansive da parte della Bce, verrebbe accusato di farlo solo per il proprio Paese.
E sullo stesso tema, ancora La Repubblica, riferisce così il pensiero del ministro dell’Economia: “Saccomanni: se sforiamo il 3% la pagheremo”, “All’Ecofin torna il caso Italia. La Ue: se volete più tempo, riforme più dure”.
Su La Stampa, invece, si evidenzia tutt’altra reazione negli ambienti europei: “L’Ue apre all’Italia: flessibilità sul deficit”, “Il capo dell’Eurogruppo Dijsselbloem: ‘Possiamo concedere più tempo in cambio di un piano di riforme’”.
Marò (e governo)
Danilo Taino, sulla prima pagina del Corriere, è dedicato alla vicenda dei due marò. Taino scrive che il richiamo dell’ambasciatore italiano in India, non è pratica usuale e segnala la rilevanza assunta dalla crisi con l’India”, ma occorre “preservare la correttezza italiana nei rapporti internazionali e salvaguardare le relazioni future con l’India. Dibattiti sugli errori di gestione nei due anni di crisi ed eventuali commissioni parlamentari sarebbe bene affrontarle alla fine della vicenda. E gesti affrettati, clamorosi ma fatui possono essere seriamente controproducenti. Ritirare ad esempio i militari italiani impegnati nelle missioni internazionali o rovesciare il problema sui rapporti commerciali europei con Delhi – come si è spesso sentito dire – significherebbe scaricare sui partner della Nato o della Ue una situazione della quale, a causa di un lungo rosario di errori, siamo responsabili in gran parte noi. Un modo per indebolire, anziché rafforzare, la solidarietà internazionale”. Taino dice anche che quel che “è stato seminato nelle ultime settimane e negli ultimi mesi dal governo uscente va conservato e portato avanti dal governo entrante. Cambiamenti quando la vicenda è vicina a momenti decisivi, anche quello del ministro degli Esteri, andrebbero evitati o comunque analizzati con grande attenzione”.
Inoltre, aggiunge Taino, “richiamare per consultazioni l’ambasciatore, e magari trattenerlo in Italia per qualche mese e forse fino a dopo le elezioni indiane di maggio, aumenta la pressione su Delhi, ma non è del tutto chiaro con quale scopo. Roma ha parzialmente riattivato, con una nota a verbale, la controversia giuridica sulla giurisdizione del caso dei due fucilieri di Marina, cioè su chi ha il compito di processarli. E i passi compiuti ieri rafforzano la controversia, finalizzata ad arrivare a un giudizio internazionale. Indipendentemente dal fatto che tra una settimana in India si decida di usare la legge antiterrorismo: se in discussione ci sono la giurisdizione e dei tempi inopinatamente lunghi della giustizia indiana, allora l’uso o meno della legge antiterrorismo diventa indifferente per le scelte italiane. Cedere su questi punti significherebbe accettare ancora la legittimità del processo in India. Con o senza un ambasciatore sul posto”.
Umberto De Giovannangeli su L’Unità (“Il caso indiano per Renzi sarà il battesimo internazionale”) scrive che non si tratta di considerare “eroi” i due marò, che “andavano e vanno sottoposti a processo”, ma in Italia, non certo in India. De Giovannangeli ricorda che lunedì Renzi dovrebbe presentare il suo governo in Senato, e nelle stesse ore la Corte Suprema indiana si riunirà per l’ennesima volta “per decidere. O per consacrare il rinvio numero 27”. Sarà dunque il primo banco di prova per il governo di Renzi, anche perché “l’indecisionismo non si addice al giovane premier”.
Economia
“Piccoli e militanti dopo sei anni di carestia” è il titolo della cronaca di Dario di Vico, sulle pagine 2 e 3 del Corriere della Sera. Si parla della manifestazione di piccoli imprenditori, artigiani e commercianti ieri, a piazza del Popolo, in sessantamila “a chiedere meno tasse e meno burocrazia”. Molti partecipavano per la prima volta nella loro vita ad una manifestazione. Di Vico racconta di una manifestazione “ordinata”, cita l’artigiano del varesotto Giorgio Merletti, che parlato dal palco davanti ai sessantamila manifestanti, che “non ha avuto timore di ricorrere al lessico da bar” ed ha coniato l’hashtag matteostaipreoccupato. Solo che oggi, che i Piccoli possono contare di più e con la manifestazione di ieri hanno esorcizzato la paura del dicembre scorso di essere cancellati dai Forconi, si trovano in un contesto che “non autorizza grandi speranze”, visto che neppure la Confindustria riesce a contare davvero.
Su La Repubblica è Gad Lerner ad offrire ai lettori la cronaca e il racconto sulla “marcia dei 60mila” a Roma. Due intere pagine: “Niente forconi ma tanta rabbia, artigiani e commercianti in piazza: ‘Basta, le tasse ci uccidono’. Da Milano a Roma, con gli imprenditori sul treno della protesta”.
Nicola Porro, sulla prima pagina de Il Giornale, parla della “marcia dei sessantamila del partito che non c’è”, e chiede al centrodestra di ascoltarne la voce.
Internazionale
Su La Stampa due intere pagine dedicate all’Ucraina: “Assalto alla piazza, 14 morti a Kiev. La polizia attacca gli oppositori. Colpi di pistola e molotov, bruciate le tende dei manifestanti. Uccisi sei agenti”. Con un reportage da Kiev di Michela Iaccarino: “Fra i manifestanti di Maidan: ‘Qui si muore per l’Europa’”, “Indossano i passamontagna, pregano e curano i feriti: ‘Scriviamo la storia’”.
Due intere pagina anche su La Repubblica: “Kiev, il giorno del sangue: 18 morti”, “La polizia fa irruzione nella tendopoli”. E poi le parole di uno dei leader dell’opposizione: “Klitschko: ‘Occidente, ferma il massacro’”. Di fianco, le reazioni internazionali: “La Ue insiste: ‘Serve dialogo’”. E si scrive che il vicepresidente Usa Joseph Biden ha chiamato il presidente ucraino Yanukovich. Poi: “Berlino minaccia sanzioni. Il vice di Obama: ritirate gli agenti”. Scrive il corrispondente da Bruxelles Andrea Bonanni che l’Ue condanna le violenze e potrebbe anche riconsiderare l’idea di imporre sanzioni, “ma prende le distanze dagli Stati Uniti che accusano esclusivamente il regime di Yanukovich”. Bruxelles “spera ancora di mediare tra governo e opposizione”.
Il Corriere della Sera, nella sua cronaca degli scontri, ricorda che oggi la Russia verserà a Kiev 2 miliardi di dollari. “un gesto di fiducia”, per dirla con Putin, o “il prezzo della schiavitù”, per Klitschko. E’ la seconda tranche del prestito da 15 miliardi deciso in dicembre, quando è saltato l’accordo di adesione all’Europa di Kiev. “Soldi benedetti da Yanukovich” visto che non ce ne sono neppure per pagare gli stipendi, e “stramaledetti dalla piazza”.
Anche sul Sole 24 Ore si parla di questo, e si ricorda che Yanukovich aveva cambiato rotta lunedì: dopo una apertura, che aveva portato i manifestanti a sgomberare le occupazioni, è arrivata da Mosca la decisione di scongelare i due miliardi annunciati: una tranche di acquisti di titoli ucraini che scatterà a fine settimana. “Probabilmente Yanukovich è riuscito a convincere il Cremlino che avrebbe ripreso il controllo della situazione”, scrive il quotidiano di Confindustria. Così ieri gli agenti hanno subito reagito quando i manifestanti si sono messi in marcia verso il Parlamento, chiamato a discutere le richieste di emendamenti costituzionali volti a ridurre i poteri del Presidente.
A stamattina i morti erano diventati 25, ndr
Da segnalare sul Corriere della Sera un articolo di Ian Bremmer dedicato al Medio Oriente. Il titolo: “La rete di Al Qaeda sulla disillusione araba”. Dove l’analista scrive che – alla luce della situazione nei Paesi toccati dalle primavere arabe – non si può che essere scettici sia sul processo di pace in Siria che sulle trattative sul nucleare iraniano. Anche perché se è vero che la “minaccia diretta di Al Qaeda” con i Paesi occidentali si è “affievolita dopo gli attacchi americani”, la sua “presa sulla regione non è mai stata così forte”, grazia alla adesione alla sua ideologia da parte di gruppuscoli armati “che puntano a obiettivi locali”.
Bergoglio
Alle pagine R2 de La Repubblica una lunga analisi del fondatore Eugenio Scalfari: “La rivoluzione di Francesco contro i mandarini del Vaticano”. E’ passato quasi un anno dall’elezione di Jorge Bergoglio è stato eletto Papa e già sono evidenti gli effetti delle sue riforme: è la rivoluzione di un gesuita contro i mandarini del Vaticano.
Il Corriere pubblica la prefazione firmata dal Papa al libro del cardinal Muller “Povera tra i poveri. La missione della Chiesa”. “Il mondo occidentale identifica la povertà anzitutto con l’assenza di potere economico ed enfatizza negativamente questo status”, scrive tra l’altro il Papa, che spiega come nel mondo di oggi “un’assenza di potere economico significa irrilevanza a livello politico, sociale e persino umano”. “Ci sono tante povertà, ma la povertà economica è quella che viene guardata con maggior orrore. In questo c’è una grande verità”. Il Papa spiega che se l’uomo non è educato, tiene per sé la ricchezza, la nasconde, la cela. “Quando invece l’uomo è educato a riconoscere la fondamentale solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini – questo ci ricorda la Dottrina sociale della Chiesa – allora sa bene che non può tenere per sé i beni di cui dispone”. Ma – “è lo stesso Gesù a ricordarcelo” – non esiste solo la povertà economica. “Originariamente l’uomo è povero, è bisognoso e indigente. Quando nasciamo, per vivere abbiamo bisogno delle cure dei nostri genitori, e così in ogni epoca e tappa della vita ciascuno di noi non riuscirà mai a liberarsi totalmente dal bisogno e dall’aiuto altrui, non riuscirà mai a strappare da sé il limite dell’impotenza davanti a qualcuno o qualcosa”.