La Stampa: “Accordo fatto: Chrysler alla Fiat. Elkann: aspetto questo giorno dal 2009. Marchionne: fatto storico. Auto, nasce il sesto gruppo mondiale: il fondo Veba cede al Lingotto il 41,5 per cento per 3,6 miliardi di dollari, Torino ne pagherà 1,75”.
A centro pagina, con foto, l’insediamento del sindaco di New York De Blasio: “La svolta di De Blasio: più tasse ai ricchi”. In alto il discorso di Napolitano, che “scuote i politici: più coraggio per cambiare il Paese”.
Il Corriere della Sera: “Tutta Chrysler è della Fiat”. “Rilevata l’ultima quota. Elkann: lo aspettavamo dal 2009. Adesso il Lingotto ha il 100 per 100 della casa Usa. Marchionne: siamo un costruttore globale”. In alto, spazio per il messaggio di Napolitano: “’Sul Colle per un tempo non lungo’. Napolitano ha incalzato i partiti raccontando le storie dei cittadini”.
La Repubblica: “Tutta Chrysler nelle mani Fiat. Il Lingotto sale al 100 per 100. Marchionne: diventiamo costruttori globali di auto. Raggiunto con Veba un accordo da 4,3 miliardi di dollari. 1,7 saranno pagati cash. L’ad: operazione da libri di storia”. A centro pagina: “Napolitano: non mi intimidiscono, anche la politica faccia sacrifici”.
Il Sole 24 Ore: “Napolitano sferza i partiti e scommette sull’impresa. L’industria che innova ed esporta modello per l’Italia”. Di spalla: “Il plauso di Letta e la sintonia di Renzi. Grillo: ‘si dimetta’. Alfano: ‘Facciamo nostre le sue parole’. Forza Italia attacca: retorica, ora si voti”.
L’Unità: “Napolitano spegne Grillo”,
Il Giornale: “Dal voto al discorso, così Napolitano ha diviso il Paese”. “Presidente di parte”, con l’editoriale titolato “Il finto pacificatore”. Il titolo più grande del quotidiano milanese è però per lo “smacco Finmeccanica”: “Giudici e indiani: schiaffo all’Italia. Delhi cavalca le inchieste dei nostri PM e ne approfitta per sospendere una commessa di elicotteri da 560 milioni. E pensare che Monti sacrificò i marò per salvare l’affare”.
Il Fatto quotidiano apre con una intervista a Renzi: “’Grillo, ti sfido sul Senato. A Letta dico: sfora il 3 per cento”.
Fiat Chrysler
Ieri la Fiat ha annunciato di aver raggiunto un accordo con Veba Trust, il fondo sanitario del sindacato americano UAW, proprietario del 41,6 per cento del capitale di Chrysler. Il Veba trust cederà la sua quota in cambio di 3,65 miliardi di dollari. Fiat verserà cash circa 1,75 miliardi, attingendo alla liquidità disponibile. Chrysler pagherà una “erogazione straordinaria” a tutti i soci del fondo pari a circa 1,9 miliardi, un “dividendo straordinario, nei fatti. Dunque non ci sarà una offerta pubblica di acquisto. Fiat ha precisato che non è previsto alcun aumento di capitale da parte di Fiat. Occorre poi aggiungere – come spiega il Corriere della Sera – la cifra ci circa 700 milioni di dollari che Chrysler verserà a Veba in base ad un accordo con il sindacato UAW, somma che verrà suddivisa in quattro quote paritetiche pagabili su base annua. Il closing dell’operazione è previsto il 20 gennaio.
Veba – ricorda il Corriere – chiedeva 5 miliardi di dollari e ne riceve circa 4,35, qualcosa in più del valore attribuito al pacchetto che deteneva il fondo (una perizia finalizzata ad una eventuale offerta di acquisto aveva stimato il valore delle azioni Veba in 4,15 miliardi di dollari). Fiat esborsa di tasca propria solo 1,75 miliardi.
Maurizio Molinari su La Stampa ricorda la “partita di poker” vinta da Marchionne, a fronte di una richiesta del fondo del sindacato Usa che non si è mai mossa dalla richiesta di 5 miliardi di dollari, e che il momento di svolta è arrivato in autunno, quando molte istituzioni americane, a partire dal Dipartimento del Lavoro, hanno diffuso documenti che stimavano il valore delle azioni in mano a Veba ad un valore decisamente inferiore ai 5 miliardi.
Federico Fubini, su La Repubblica, si sofferma a questo punto su Fiat, che sarà sottoposta presto ad un nuovo test, quello del rating. Le principali agenzie, da S&P a Fitch a Moody’s, “non hanno mai tolto il gruppo dal livello ‘spazzatura’. Nuovi declassamenti potrebbero aumentare gli oneri finanziari per Fiat-Chrysler proprio quando servono forti investimenti industriali. E l’accordo con i sindacati Usa costa 4,2 miliardi di dollari a una azienda sulla quale Marchionne per primo è stato chiaro: ‘Siamo indebitati più della maggior parte dei nostri concorrenti’, ha detto con la sua solita franchezza l’amministratore delegato agli analisti in novembre”. Fiat ha da una parte una liquidità di circa 20 miliardi di euro. Dall’altra un debito industriale netto di quasi 10 miliardi, investimenti attesi per più di 8, l’enorme onere delle pensioni di Chrysler. Nuove bocciature sul rating potrebbero spostare in peggio gli equilibri”. E visto che non sono previsti aumenti di capitale da parte degli Agnelli, Fubini accenna alla convinzione di alcuni analisti finanziari: che Fiat possa portare in Borsa, anche senza perderne il controllo, il “miglior gioiello della Corona”, ovvero Ferrari.
Sul Sole 24 Ore si spiega che l’operazione comporta un esborso da parte di Fiat di 1,75 miliardi, mentre il gorsso dei pagamenti uscirà dalla stessa Chyrsler. E dunque probabilmente “sarà la futura Fiat-Chrysler a dover ricapitalizzare – come lo stesso Marchionne aveva fatto balenare in una delle ultime conference call con gli analisti. Ciò avverrà con ogni probabilità in occasione della quotazione in Borsa di Fiat-Chrysler, dopo la fusione. Perché è proprio la fusione tra Fiat e la controllata – che dovrebbe arrivare entro il 2014 – il prossimo passo nel cammino versa la creazione di un gruppo transatlantico intrapreso da John Elkann e Sergio Marchionne nella primavera del 2009”.
Politica
Il messaggio di fine anno del Capo dello Stato è il tema principale delle pagine politiche dei quotidiani. Napolitano ha citato le lettere che gli hanno inviato alcuni cittadini italiani, “storie di sacrifici, di lavoro difficile, di crisi”, come scrive il Corriere, che “danno lo spunto per parlare di ‘uno degli anni più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica’”. Ma Napolitano ha anche fatto riferimento al suo mandato, ed ha ricordato le parole che pronunciò quando è stato rieletto. Il Corriere, con Marzio Breda, ricorda come in quel discorso Napolitano già spiegò che avrebbe lasciato il Quirinale “quando avrà visto ‘decisamente avviato un nuovo percorso di crescita, di lavoro e di giustizia per l’Italia e almeno iniziata una incisiva riforma delle istituzioni’, anzitutto quella sul sistema elettorale. Il che significa superare l’anno che è appena cominciato ed attestarsi sulla primavera del 2015 come periodo plausibile per un turn over al vertice della Repubblica”.
E sulla volontà di Napolitano di rimanere dopo il suo settennato al Colle: “Tre giorni prima che il Parlamento cominci a votare per il nuovo inquilino al Quirinale, il 15 aprile, Napolitano manda una lettera riservata a Bersani, Monti e Alfano”, scrive il quirinalista del Corriere. “Cinque pagine per sgomberare ogni equivoco sulla rielezione che diversi emissari già gli avevano chiesto: sarebbe ‘una soluzione di comodo, una non soluzione’, scrive”. Una lettera diversa e sempre di indisponibilità la spedisce al segretario del Pd invitandolo a usarla come “circolare” per i parlamentari democratici. Due prove documentali, come si direbbe in un processo, delle sue volontà. Propositi poi travolti, oltre che dalla paralisi prodotta da un risultato elettorale senza veri vincitori, dalla ‘processione’ sul Colle dei leader della maggioranza”
La Repubblica nel dar conto dell’atteggiamento delle opposizioni sul discorso di Napolitano, titola: “Boomerang del tele boicottaggio. Napolitano guadagna audience. Forza Italia: orribile silenzio su Berlusconi. E Grillo rilancia: impeachment se il Presidente non fa come Cossiga” (dimettendosi in anticipo, ndr). Il quotidiano scrive che gli ascolti hanno premiato il suo messaggio: 9 milioni 979 mila italiani hanno ascoltato il suo messaggio (nel 2012 erano stati 9 milioni 702 mila). Il quotidiano intervista Daniela Santanchè, deputata di Forza Italia: “Per quanto mi riguarda – dice – l’unica cosa positiva di quel discorso è che, non so se suonasse più come ricatto o avvertimento, Napolitano ha detto che non resterà lì a lungo”, “se fossimo in un Paese serio Napolitano si dimetterebbe”. E poi: “Se i 5 Stelle presenteranno l’impeachment io moralmente voterò con loro”. Sulla stessa pagina, intervista al deputato M5S Alfonso Bonafede, che accusa Napolitano: “Tenta sempre di etichettarci come una forza distruttiva, nel discorso di fine anno ci ha offeso. Mi chiedo se sia mai accaduto che un presidente lanci accuse del genere contro chi è eletto dai cittadini. Lui, intanto, è diventato l’alter ego del premier”, “è una specie di monarca e lo dimostra permettendosi di dire che lo calunniamo solo perché potremmo presentare l’impeachment?”. Sulla prima pagina de Il Foglio Marco Travaglio scrive che “metteva tristezza l’ottavo monito di Capodanno” del “presidente monarca”. Era triste il tentativo di recuperare uno straccio di rapporto con la gente comune dopo il crollo di popolarità nei sondaggi “inaugurando la rubrica ‘la posta del cuore’: sua maestà ha declamato alcune lettere di sudditi in difficoltà per la crisi”, “triste l’appello al cambiamento e al rinnovamento della classe politica lanciato da un veterano della casta”; “triste l’excusatio non petita (accusatio manifesta) per la rielezione, visto che non ci fu alcuna paralisi istituzionale, tenendo presente che ben quattro presidenti non furono eletti nei primi quattro scrutini (Saragat passò al 21esimo, Leone al 23esimo, Pertini e Scalfaro al sedicesimo)”; e peccato che “nessuno abbia ancora spiegato come fu che il mattino del 20 aprile, nel giro di due ore” Bersani, Berlusconi, Maroni, Monti e 17 governatori regionali su 20 abbiano avuto “tutti insieme la stessa idea di salire in pellegrinaggio al Colle, sincronizzati disciplinatamente, per chiedergli di restare”; “triste, infine, la conferma del suo ‘mandato a tempo’ e ‘a condizione’ espressamente vietato dalla Costituzione. Che, all’articolo 85, recita: ‘Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni’. Non per la durata che decide lui, né tanto meno alle condizioni che impone lui”.
Su Il Giornale il Presidente viene descritto come “il finto pacificatore” che “ha diviso l’Italia”. Vittorio Macioce scrive che “Napolitano ha stravolto il ruolo del Quirinale: né garante né arbitro, fa politica in prima persona. E’ lui il primo punto di rottura del Paese”. Secondo Macioce Napolitano “non è semplicemente il garante delle larghe intese, è qualcosa di più: le incarna. Non contano i numeri, non conta la tenuta della maggioranza. Non conta se nuovi fatti politici cambiano lo scenario. La sua ragione di vita come presidente è tutelarle il più a lungo possibile. Non è brama di potere, il Napolitano bis non si fida più della politica”.
Alle pagine seguenti: “La delusione del Cav: il Colle ha cancellato giustizia e larghe intese”, “Berlusconi in privato sottolinea le omissioni di Napolitano sulla decadenza e sulla uscita di Forza Italia dal governo”.
Su La Repubblica una intervista al presidente del Senato Grasso, che definisce “molto forte, chiaro e diretto” il messaggio di Napolitano, e aggiunge: “E’ finito il tempo delle parole, occorre che la gente veda risultati concreti che incidano sulla vita quotidiana”. Sulle riforme da fare Grasso dice che intanto l’Italia “si deve dotare di una legge elettorale in linea con la Costituzione vigente, salvo poi modificarla in relazione alle riforme costituzionali”, che comunque vanno fatte “con la stessa urgenza, e con i tempi dettati dall’articolo 138 della Costituzione”.
Il Fatto intervista il segretario del Pd Matteo Renzi, che del messaggio del capo dello Stato dice che “invita al coraggio delle riforme e ad occuparsi di lavoro, e lo condivido”. Ma gran parte dell’intervista è dedicata al Movimento 5 Stelle: “Caro Beppe, insieme faremmo grandi cose”, il titolo. Renzi dice ad esempio che “basterebbe un sì dei senatori 5 Stelle e cambieremmo la storia italiana”, con la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie. “Ma loro nicchiano”. “Una parte del Pd e tutto Ncd dicono: non possiamo abolire il Senato, facciamo una elezione di secondo grado. Io la penso diversamente: se sei presidente di una regione o sindaco, sei automaticamente senatore, senza indennità aggiuntive. E in Senato puoi esprimere il tuo parere solo sulle materie, quelle che riguardano gli enti locali. Finisce il bicameralismo perfetto e macchina burocratica drasticamente semplificata. Non capisco come Grillo possa dire di no. Chiedere l’abolizione tout court del Senato è il modo migliore per non ottenere nulla”. Renzi aggiunge: “Anche io ho resistenze interne, incontrerò i nostri senatori il 14 gennaio. Ho però un punto di forza: le primarie non le ho fatte sulle mie cravatte, sul ciuffo di Civati o sullo sguardo di Cuperlo ma sulla base di linee politiche, e io ho espresso con grande chiarezza questa posizione. Quindi la posizione delle primarie è la posizione di tutto il Pd”. Ma, “quello che mi colpisce di Grillo è che questa palla lui ce l’ha pronta. Come fa a rinunciare?”. Sull’Europa: “Se all’Europa proponi un deciso cambio delle regole del gioco, a partire dalle riforme costituzionali, con un risparmio sui costi della politica da un miliardo di euro che non è solo simbolico, un jobs act capace di creare intersse negli inestitori internazionali, fai vedere che riparti da scuola, cultura e sociale, allora in Europa ti applaudono anche se sfori il 3 per cento. L’Europa ha bisogno di un’Italia viva”. Quindi si può sforare? “E’ evidente che si può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa. Non è l’Europa che ci ha cacciato in questa crisi, ma la mancanza di visione. Lo ha detto bene il Censis: l’emergenza continua è diventata la polizza assicurativa di una classe politica che solo grazie alla crisi, vera o presunta, giustifica il proprio potere”. Sul jobs act, che Renzi dovrebbe presentare a giorni: “Ci saranno molte cose. Il Jobs act non è un trattato giuslavoristico, come pensa chi lo ha criticato senza aspettare di leggerlo, ma un documento con alcune cose concrete da fare subito e altro più di prospettiva. Nei prossimi giorni iniziativa sulle riforme, poi presentiamo il jobs act. Non c’è molto da aspettare”.
Internazionale
Su La Stampa due intere pagine dedicate all’insediamento del nuovo sindaco di New York: “New York incorona l’italiano De Blasio”, “file e posti esauriti per il giuramento del primo sindaco democratico dopo 20 anni: ‘Il mio modello è La Guardia’”. Malgrado il gelo, sono tanti i cittadini che hanno voluto vedere il giuramento del 109esimo sindaco della città, che ieri ha riempito la City Hall. De Blasio è arrivato in metropolitana e si è fatto tenere la Bibbia da una bambina homeless. “Sarà la città di tutti”, ha detto. Ha ringraziato l’Italia e poi ha rivendicato il mandato ricevuto con la sua vittoria a valanga: “Siamo chiamati a mettere fine alle diseguaglianze economiche e sociali, che minacciano di deragliare la città che amiamo. Perciò oggi ci impegniamo a prendere una nuova direzione progressista a New York”. Il programma che intende realizzare subito: “Paga garantita per chi si ammala. Costruzione di case popolari economiche per tutti, stop alla chiusura di ospedali di quartiere dove la sanità è accessibile a chiunque”. I ricchi dovranno pagare un po’ più di tasse: “l’enfasi va messa sulla parola ‘poco’. Una persona che guadagna tra 500 mila dollari e 1 milione all’anno dovrà contribuire solo con 973 dollari in più. Grossomodo il costo di un cappuccino al giorno”, ha spiegato De Blasio. Ha poi ribadito la determinazione di porre fine alle pratiche razziali discriminatorie della polizia, senza però compromettere i risultati ottenuti dai predecessori nella riduzione della criminalità.
Sulla pagina di fianco, un ampio retroscena: “Salari, istruzione, diritti civili. Un programma per l’America”, “il neosindaco vuole imporre la sua agenda, con l’aiuto di Hillary”. Punta ad ottenere risultati nel giro di 3 anni, da spendere nella campagna per le presidenziali del 2016: il suo successo potrebbe contribuire a costruire l’agenda progressista con cui Hillary vuole realizzare la staffetta con Obama alle presidenziali del 2016.
Per restare negli Usa, segnaliamo le notizie secondo cui un magnate cinese vorrebbe andare alla conquista del New York Times: Chen Guang Biao, che secondo La Repubblica ha un patrimonio personale ufficiale di 800 milioni di dollari, ha detto di esser pronto a investire 1 miliardo per diventare azionista del quotidiano. Avrebbe riunito una cordata di investitori, alcuni dei quali basati ad Hong Kong. Il capitale del giornale almeno in teoria risulta blindato, in modo che nessuno possa sottrarlo alla famiglia fondatrice, i Sulzberger: le azioni sono divise in due categorie, A e B, quelle in mano ai soci familiari hanno speciali diritti di voto. L’attuale presidente della società editrice, Arthur Sulzberger Junior ha ribadito che “il giornale non è in vendita”. Ma è noto che vi sono opinioni diverse in seno alla famiglia.
Anche sul Corriere: “Il sogno americano del ricco cinese Chen, ‘voglio il Nwt’”.
L’aspirante editore è una celebrità in Cina, dove si è fatto notare per diverse iniziative mediatiche. Nel 2008 ha organizzato camion di aiuti per i terremotati del Sichuan. E quando l’anno scorso Pechino era avvolta in una cappa di smog, ha offerto “aria di montagna in lattina”, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’inquinamento. Ha fatto fortuna con il riciclaggio di scarti di ferro.
Europa
Su La Stampa si ricorda che la Grecia ha assunto presidenza semestrale: “Europa, la nemesi greca. Atene alla guida della Ue”. Il ministro degli esteri Venizelos ha detto che il semestre europeo servirà per dimostrare “che un Paese legato a un programma di salvataggio è comunque un Paese normale”. L’altra “rivincita” segnalata dal quotidiano è quella di bulgari e romeni, che da ieri sono liberi di circolare alla ricerca di un impiego fuori dai confini nazionali: prima dovevano avere una offerta di lavoro per entrare. Il Regno Unito, sostenuto cautamente anche dai tedeschi, si era battuto per una nuova deroga del regime di restrizione alla loro libertà di circolazione.
Anche su La Repubblica: “Fine delle restrizioni per romeni e bulgari, e in Gran Bretagna scatta l’allarme-esodo”. Il quotidiano scrive che la stampa popolare è scatenata, mentre il quotidiano The Guardian ha bocciato le polemiche, sostenendo che il Paese ha bisogno di immigrazione.
Su L’Unità: “La Ue cresce ma ha paura del ‘idraulico’ rumeno”.
La Repubblica sul semestre Ue: “La cenerentola grecia al timone della Ue”. E si riprendono le parole del ministro Venizelos: “Le nostre priorità saranno lavoro e immigrazione, assieme al completamento dell’Unione bancaria”. Il semestre greco della Ue segnerà probabilmente anche l’inizio delle trattative per una nuova rinegoziazione del debito ellenico che, malgrado il taglio del 70 per cento dei crediti ai privati, è a quota 300 miliardi, al 153 per cento sul Pil. Il tema rimarrà sotto traccia fino alle elezioni europee per non regalare armi ai partiti anti-euro. Resta poi l’incognita della tenuta del governo Samaras, la cui maggioranza si è assottigliata a 152 seggi su 300.
Nella pagina di fianco, una analisi del corrispondente da Bruxelles Andrea Bonanni: “Il paradosso dell’Unione: un sogno per i popoli dell’est, una delusione per i fondatori”. In Francia, Olanda, Regno Unito e Belgio le elezioni con ogni probabilità premieranno i partiti nazionalisti, perché la crisi economica spinge gli euroscettici. Si ricorda poi che la Lettonia è entrata nell’eurozona: “Code ai bancomat e brindisi”, nel 18esimo Paese che entra nella zona euro.
Secondo La Stampa però l’ultimo sondaggio di Eurobarometro attesterebbe che solo il 39 per cento dei cittadini lettoni vede favorevolmente l’ingresso nell’euro, mentre l’80 per cento avrebbe espresso “seria preoccupazione” per un aumento dei prezzi.