Il Corriere della sera: “Erdogan trionfa, la Turchia è sua. All’Akp del presidente la maggioranza assoluta dei seggi. E in piazza una notte di protesta”. “Sfiorato il 50 per cento dei consensi e la soglia per poter cambiare la Costituzione. I filo curdi entrano in Parlamento”.
“Le colpe europee” è il titolo dell’editoriale firmato da Franco Venturini.
A centro pagina: “Accuse dalla Libia. Tensione con Roma. E a Tripoli devastato il cimitero italiano”. Un altro articolo: “Tobruk, le mosse contro l’Onu”, di Lorenzo Cremonesi.
A fondo pagina: “Caso Tavecchio, l’irritazione del governo”. “Le comunità ebraiche contestano il numero uno della Federcalcio: frasi antisemite”.
La Repubblica: “Turchia, il trionfo di Erdogan”, “Il partito del Sultano riconquista la maggioranza assoluta, i curdi in Parlamento sul filo di lana. Tensione altissima nel paese. Esplode la rabbia a Dyarbakir, barricate e scontri con la polizia”.
Più in basso, l’intervista a Staffan De Mistura, inviato Onu per la crisi siriana: £Svolta sulla Siria dopo i raid russi”.
E “il caso”: “Attacco a Roma, in Libia distrutto cimitero italiano”.
A centro pagina, le parole del presidente Inps: “Boeri: tagli fino al 50% per i supervitalizi politici”, “Il presidente Inps: esodati, problema non risolto”.
A fondo pagina: “Ebrei e gay, le gaffe seriali di Tavecchio. Renzi: ora basta”.
E “la polemica”, con un intervento di Elena Cattaneo: “La verità, per favore, sui pericoli della carne”.
Sulla colonna a destra, il richiamo alle pagine della cultura: “La lezione del corpo mai sepolto di Pasolini”, “Da oggi su Repubblica.it e questa sera su Sky Arte il docufilm sullo scrittore”. Ne scrive Fabrizio Gifuni.
La Stampa ha in grande evidenza le foto del cimitero italiano distrutto in Libia: “Il governo libico sfida Roma, ‘Via le navi dalle nostre acque’”, “Tobruk accusa la Marina di aver ‘sconfinato’. La Difesa: notizia falsa”.
In apertura a sinistra: “Trionfo di Erdogan. La rabbia dei curdi: incendi e barricate”, “Elezioni in Turchia, record di affluenza”, “Maggioranza assoluta dei seggi al partito islamico del Presidente”.
In basso: “L’Airbus dei vacanzieri russi si è disintegrato in volo”, “I rottami sparsi su un’area di 10 chilometri quadrati. Resta il mistero sulle cause: nessuna pista esclusa”.
Sulla colonna a destra, “il caso”, raccontato da Francesco Guerrera: “Le banche centrali sono disarmate”.
E più in basso, il caso “Vatileaks”: “Già pronti due mandati di cattura”, “In Vaticano il cerchio si stringe attorno ai corvi che hanno fatto uscire le carte”.
Il Messaggero: “Turchia, il trionfo di Erdogan. Il partito del presidente conquista la maggioranza assoluta. Affluenza boom all’82,7 per cento. La rabbia dei curdi in forte flessione, scontri con la polizia. Il peso delle ultime stragi”.
L’editoriale è firmato da Carlo Jean: “Da moderati a nazionalisti la richiesta di stabilità”.
A centro pagina: “Libia, Tobruk minaccia l’Italia. ‘Attaccheremo le vostre navi’. Accusa di sconfinamenti. La Difesa: falso”.
E poi: “Tronca: ‘Roma, che sfida’. Emergenze, il vertice con Renzi. Il commissario insediato al Campidoglio. L’incontro col Papa”. In prima anche un richiamo al processo Mafia Capitale (“via il segreto dall’elenco dei 101”) e per il Pd romano (“resa dei conti, si rafforza il fronte anti primarie”.
A fondo pagina: “Pensioni, nel 2016 stop agli aumenti”.
Il Fatto, su “Mafia Capitale”: “Il governo molla la lista dei 101”, “Desecretata la relazione sui dirigenti sospetti: sarà usta in aula”.
In prima anche il richiamo ad un’intervista ad Alfredo Reichlin: “’Il Pd ha sconfitto e tradito la sinistra’”.
Sotto la testata: “I turchi incoronano Erdogan. Ora il Sultano ha tutto il potere”, “Maggioranza assoluta al partito di governo”.
E un titolo ricorda l’assassinio di Rabin, nel 1995: “Quando il fanatismo uccise la pace (e Rabin)”. Ne scrivono Leonardo Coen e Furio Colombo.
Più in basso: “Quell’Italietta peggio della Casta”, “Truffe, truffette, furbate, inciuci e connivenze: il caso dei dipendenti pubblici di Sanremo è solo l’ultimo di tanti scoperti nelle varie inchieste delle procure italiane”.
A fondo pagina, con foto di Renzi: “Vogliono commissariare tutto”, “La logica del podestà. Renzi e il fascino del comando solitario”. Di Stefano Feltri.
Poi la “Figc in crisi”: “Critiche a ebrei e gay: Tavecchio, ‘ora vada via’”.
Il Giornale: “Il nuovo ‘sindaco’ di Roma regala l’Expo ai profughi. L’ultimo atto del prefetto Tronca a Milano: destinare un pezzo dell’area espositiva a campo di accoglienza”.
E poi: “Boeri (Inps) esodati fuori controllo. E vuole dimezzare i vitalizi dei politici”.
A centro pagina: “In Libia sfregiano il cimitero italiano. Il giorno dei morti umiliati”. E poi: “In Turchia vince Erdogan ed è caos”. “Aereo russo, l’ipotesi della bomba a bordo”.
L’editoriale, firmato da Alessandro Sallusti: “Adesso chi paga i risparmiatori rovinati dai pm?”. Si parla del caso “Unicredit-Palenzona”.
Turchia
La Stampa, pagina 2: “Erdogan ritrova la maggioranza. Esplode la rabbia dei curdi”, “L’Akp riscatta il flop di giugno, sfiora il 50% e conquista più di metà dei seggi. Il partito della minoranza, ridimensionato, denuncia brogli: disordini nel Sud-Est”. È Maurizio Molinari, inviato ad Istanbul, a spiegare come il risultato a sorpresa nasca dall’Anatolia, la regione più remota e islamica del Paese, dove un’affluenza record (ha toccato l’87 per cento) ha coinciso con un significativo spostamento di voti verso l’Akp da parte di chi cinque mesi fa aveva scelto i curdi dell’Hdp e i nazionalisti.
A pagina 3 l’intervista di Marta Ottaviani a Huda Kaya, deputata del partito filocurdo Hdp, rieletta ieri a Istanbul: “La nostra gente -dice- non arrivava ai seggi. Hanno fatto di tutto per fermare i curdi”, “I conti non tornano”, “Abbiamo rinunciato ai comizi in primo luogo per motivi di sicurezza. Abbiamo scelto piccoli incontri in circoli, case private, associazioni. Si è trattato di una campagna elettorale di minore impatto”. Su cosa vi concentrerete in Parlamento? “Sui diritti, assolutamente. Questo Paese ha bisogno di una ventata di pace e di diritti”. Siete preoccupati per la deriva conservatrice del Paese? “Personalmente sono molto più preoccupata per la crescente mancanza di democrazia. Io sono religiosa e porto il velo. Ma in Turchia non solo la religione è entrata nella politica, si sta imponendo la volontà di uno a tutta la nazione”.
Su La Repubblica, a pagina 2, il reportage di Bernardo Valli, da Istanbul: “Erdogan festeggia il trionfo, così la Turchia islamica ha sconfitto laici e curdi. Affluenza record e scontri”, “Il presidente riconquista la maggioranza assoluta dei seggi. L’Hdp entra per un soffio in Parlamento. A guidare i votanti la ricerca della stabilità e l’istinto nazionale in favore della ‘turchicità’”, “Il voto di ieri offriva l’occasione, grazie al partito del giovane Demirtas, di superare le barriere e i pregiudizi etnici. La sua formazione raccoglieva i progressisti di altre comunità. Ma l’emergenza ha ricomposto una situazione in cui domina l’odio”. Valli sottolinea che almeno due milioni di voti li ha perduti il partito nazionalista di estrema destra (Lupi grigi); e un milione e mezzo di voti sono arrivati a Erdogan dal partito di centro sinistra e filo curdo (Hdp).
E a pagina 4, il racconto dell’inviato Marco Ansaldo: “La rabbia infiamma le strade di Dyrabakir, ‘Ma resistiamo in Parlamento’”, “La protesta. Nella città che si considera la capitale della minoranza, i manifestanti hanno bloccato le vie principali e lanciato sassi contro la polizia. Il leader Demirtas, avvocato dei diritti umani artefice del successo di giugno, fa nea culpa: ‘Analizzeremo gli errori, il 10% è comunque un successo’”. Il partito filocurdo ha perso 21 seggi. Erdogan -sottolinea Ansaldo- ha polarizzato la campagna elettorale.
Ancora su La Repubblica, un’intervista a Hakan Gunday, scrittore della nuova generazione di narratori turchi, che dice: “Il segnale è chiaro, sicurezza prima di tutto, i diritti vengono dopo”. Come ha fatto Erdogan a ottenere quasi 9 punti in più rispetto al voto di 5 mesi fa? “I due mesi dopo le elezioni di giugno sono stati incredibili. La Turchia è divenuta un mare di sangue. E’ stato un periodo tragicamente anormale, segnato infine ad ottobre dal massacro della stazione di Ankara”, “La reazione è stata quella di avere un solo partito al governo, in modo da sentirsi sicuri. Questa è ora la priorità. Non ha importato tanto la libertà di stampa”. Gunday accusa allo stesso tempo l’opposizione per i suoi errori: si riferisce al successo del partito curdo di giugno, dice che il fatto che fosse entrato in parlamento è stato una sorta di “miracolo”, “ma la politica seguita dai guerriglieri del Pkk non è stata invisibile: in questi mesi ha finito per uccidere nono solo i soldati dell’esercito turco, ma lo stesso partito democratico curdo. Il risultato del voto è un avvertimento: la formazione curda non deve avere collegamenti con la guerriglia”.
A pagina 4, intervista all’opinionista del quotidiano Zaman, Yavuz Baydar, secondo cui “La Turchia entra ora in una nuova fase di instabilità e di divisioni, che continueranno per lungo tempo. L’Europa allora -sottolinea- non deve perdere il suo contatto con la società civile turca”.
In prima su La Stampa Stefano Stefanini sottolinea come la Turchia si confermi “interlocutore indispensabile su Siria e profughi”. In questi anni, la politica estera di Erdogan e del primo ministro Davutoglu non hanno potuto vantare grandi successi: “la visione neo-ottomana si è rivelata un’illusione, ma la crisi dei rifugiati, oggi al primo posto delle preoccupazioni dell’Ue, fa di Ankara un interlocutore essenziale.
Su Il Fatto, l’inviata a Istanbul Roberta Zunini si concentra sull’Hdp, terzo partito, ma in calo: “La rabbia curda: ‘Intimiditi e beffati’”, “’Ci sono stati brogli. Ora il regime ci attaccherà in tutti i modi’”. Zunini scrive di uno “stato di guerra”: da 3 mesi l’esercito di Ankara ha riaperto lo scontro in Kurdistan” e “la strategia delle tensione ha funzionato”. Dice Yasemin Inceoglu, docente universitaria di giornalismo e nota femminista laica che “la repubblica parlamentare turca è finita. Con quasi il 49% dei voti a favore dell’Akp, i turchi hanno mostrato che preferiscono un’apparente stabilità alle libertà democratiche, alla verità e ai diritti civili”.
Sul Corriere una intervista ad Ahmet Insel, economista e politologo autore di vari saggi in Francia tra cui uno ddecicato alla “nuova Turchia di Erdogan, dal sogno democratico alla deriva autoritaria”. Dice che rispetto alle elezioni di giugno Erdogan ha evitato di sovraesporsi “con i suoi progetti per una Repubblica presidenziale” e “stavolta si è mantenuto abilmente in secondo piano” mentre il partito Hdp ha “fatto troppo affidamento sull’onda lunga del successo del 7 giugno”.
Nella cronaca della vittoria lo stesso quotidiano scrive che “neanche stavolta la Turchia ha concesso ad Erdogan la forza sufficiente per cambiare la Costituzione”, ma “rispetto al risultato elettorale di cinque mesi fa (…) era difficile per il presidente attendersi un esito migliore”. “’Hanno capito che non sarebbe stato Demirtas a restituire loro la pace’”, dice un funzioonariod ell’ufficio del primo ministro. “’Anche i curdi tradizionalisti hanno preferito stavolta l’Akp’”.
Sul Giornale si cita Mehmet Tanriverdi vicepresidente della Kurudsche Gemeinde Deutschland, la comunità curda di Germania, che “se la prende” con Davutoglu, “che ha scandalosamente invitato i turchi all’estero a votare per l’Akp mandando loro delle lettere con il sigillo ufficiale del governo”.
Il Corriere, con Franco Venturini scrive che “utilizzando tutti gli strumenti del potere, anche i più spregiudicati, Recep Tayyip Erdogan ce l’ha fatta: nel nuovo Parlamento turco eletto ieri il capo dello Stato avrà la maggioranza assoluta e potrà forse rastrellare i seggi supplementari che gli servono per modificare la Costituzione e varare un presidenzialismo privo di validi contrappesi. Il fondatore del partito islamico Akp ci aveva già provato nello scorso giugno, ma il responso delle urne lo aveva punito privandolo di un primato che resisteva da tredici anni”. Secondo Venturini “non è più l’ora delle ipocrisie comunitarie”. Si ricorda il viaggio di metà ottobre di Merkel in Turchia, quando la Cancelliera pose “con chiarezza a Erdogan le esigenze di una Europa frammentata culturalmente prima ancora che politicamente” ed ascoltà le contropartite che Erdogan chiedeva: “miliardi di aiuti, visti facili, accelerazione del negoziato di adesione alla Ue. Impegni indispensabili per dare tempo all’Europa e al suo terribile 2017 (elezioni tedesche, francesi e referendum britannico)”. L’Europa, scrive Venturini, avrebbe dovuto augurarsi una “parziale sconfitta” di Erdogan se avesse pensato ai suoi valori. “Pensando ai suoi malanni, l’Europa che Angela Merkel rappresentò ad Ankara il mese scorso ha segretamente tifato per Erdogan. Per la credibilità delle promesse fatte, per la stabilità del potere. Ora che le urne hanno parlato e che Erdogan ha vinto, non è però il caso di esultare. Perché se abbiamo gran bisogno di un autocrate la colpa è soltanto nostra”.
Su La Stampa, Maurizio Molinari, occupandosi del “personaggio” Erdogan, scrive a pagina 3: “Il Sultano riprende la sua corsa. Riforma presidenziale e via Assad”, “Bagno di folla nei quartieri dei Fratelli musulmani: ‘Governerà per sempre’. Ora punta ad attribuirsi nuovi poteri e a un ruolo guida in Siria: senza il raiss”.
Sul Messaggero, Carlo Jean cita le parole dell’ex presidente turco Gul che la settimana scorsa, sulle pagine del Financial Times e in una conferenza ad Oxford, si era detto preoccupato della possibilità di una schiacciante maggioranza per l’Akp, auspicando che il risultato elettorale “obbligasse la formazione di un governo di coalizione tra Akp e Chp”, “unica soluzione che garantisse alla Turchia una forte stabilità e la ripresa dell’economia e frenasse le tendenze troppo islamizzanti dell’Akp roportandolo alle sue origini moderate e liberali”. Anche Jean spiega che rispetto a giugno, quando Erdogan aveva “occupato tutti i giorni gli schermi televisivi”, stavolta “ha lasciato fare molto di più agli attivisti” del suo partito, attenuando così i timori sollevati dai suoi oppositori.
Libia
La Stampa, pagina 4: “La Libia all’attacco dell’Italia, ‘Via le navi dalle nostre acque’”, “Tobruk ci accusa di aver ‘sconfinato’. La Difesa: notizia falsa. A Tripoli vandalizzato il cimitero cattolico italiano Hammangi”. Da Tobruk – sede del governo che la comunità internazionale aveva riconosciuto – è arrivato l’avvertimento: non esiteremo -dicono a ricorrere “a tutti i mezzi” per proteggere le frontiere libiche e la sovranità territoriale. Parallelamente, segni di ostilità sono arrivati da Tripoli, dove al potere c’è “un governo islamico”, scrive Francesco Iannuzzi. Ieri è stato infatti vandalizzato il cimitero cattolico Jammangi, che ospita le salme di 7.800 nostri connazionali.
La Repubblica, pagina 9: “Tobruk contro l’Italia, ‘Via le vostre navi’. Attaccato il cimitero”, “’Avete sconfinato, ci difenderemo’. La Marina: ‘Falso’. A Tripoli profanate le tombe dei constri connazionali”.
E il quotidiano intervista Mattia Toaldo, ricercatore dell’Ecfr, che sottolinea come il generale Haftar, che è a capo dei militari di Tobruk, cerchi di “sabotare il piano Onu”. Spiega Toaldo che questi militari, capitanati da Haftar, “stanno combattendo una battaglia di potere contro il loro primo ministro Al Thinni e contro i deputati pronti a firmare un accordo di pace con Tripoli”; poi ricorda che “nelle prossime ore si aspetta un voto del Parlamento di Tobruk sul governo di unità nazionale, anche se non ci sono notizie sicure sulla data del voto. Questi militari attaccano una potenza straniera perché dicono al popolo libico ‘noi vi difendiamo dalle ingerenze di altri Paesi’. Si sceglie l’Italia perché ha una posizione equilibrata, perché non ha spostato al 100% le posizioni di Tobruk, perché non ritiene che Haftar sia accettabile come capo militare per tutta la Libia”.
Su La Stampa il “retroscena” di Antonella Rampino: “L’ala militare contro il piano Onu. Haftar non vuole uscire di scena e teme i caschi blu sul terreno”, “L’uomo forte della Cirenaica manovra ancora le forze armate. Al Palazzo di Vetro si punta alla missione di peace-enforcing”.
Anche Lorenzo Cremonesi sul Corriere descrive “il duro Haftar contro Roma”. Si citano i messaggi passati ieri alla tv libica: “’Cittadini della Libia, prendete le vostre armi e corrette sulle spiagge per difendere il nostro Paese. Le navi italiane vicino a Bengasi si dirigono verso la costa a Derna, violano le nostre acque territoriali, dobbiamo combattere una nuova invasione”’. Il quotidiano scriveche “fonti locali e diplomatici europei che da mesi lavorano per cercare una soluzione alle divisioni interne libiche non esitano a puntare il dito contro il ministro della Difesa di Tobruk, generale Khalifa Haftar. E’ stato Haftar a montare la storia italiana in netto contrasto con l’imbarazzo del primo ministro Abdullah Al Thinni, che ieri faceva dire ai suoi portave di non sapere assolutamente nulla in merito”. Cremonesi ricorda che fino a qualche settimana fa la comunità internazionale, Italia in testa, che sostiene il piano per un governo di unità nazionale libico promosso dall’inviato Onu Leon, ha sempre trovato interlocutori “molto più malleabili” nel governo di Tobruk rispetto ai Fratelli Musulmani al governo a Tripoli. “La situazione è però nettamente cambiata da quando Leon ha fatto sapere che non c’è posto per Haftar nel prossimo governo unitario”. Haftar è “fortemente sostenuto dai militari egiziani” ed ha “dichiarato guerra aperta all’inviato Onu, al suo piano e ai Paesi che lo sostengono”.
Sul Giornale, Gian Micalessin scrive che “sostenere che le accuse di Tobruk all’Italia e l’assalto ai cimiteri siano concordati sarebbe ovviamente sbagliato”, “la devastante rivalità tra le due fazioni e la distanza fisica tra Tobruk e Tripoli rendono improbabilel’ipotesi”. E’ vero però che sia Tripoli che Tobruk “sono a uno spartiacque decisivo”, e che “da entrambe le parti qualcuno può avere interesse a spiazzare l’Italia” con l’obiettivo di “sabotare il nostro ruolo nella costruzione di un governo di unità nazionale”.
Roma, Milano
Su La Repubblica, a pagina 18, gli articoli su Roma e il dopo-Marino, con attenzione per il neo-commissario Francesco Paolo Tronca, ritratto in una grande foto mentre si inchina stringendo la mano a Papa Francesco: “Tronca al lavoro: ‘Il Papa mi dà forza’”, “Il commissario s’insedia e poi incontra il Pontefice. ‘Affrontare subito le priorità, spero di vedere il premier’. Vertice di due ore con Gabrielli sulla squadra. L’esecutivo pronto a stanziare 300 milioni di euro per il Giubileo”. E Goffredo De Marchis firma il “retroscena”: “Oggi il primo vertice tra premier e prefetto. Promessa del governo, ‘Più soldi per Roma’”.
A pagina 11, due interviste su Roma. Gianni Cuperlo, leader della sinistra dem: “Renzi deve dirci se il Pd c’è ancora. Marchini non è di centrosinistra”. E’ stato un errore licenziare Marino adesso? “Penso sia stato un errore non andare subito in consiglio comunale per avere un confronto davanti alla città. Le dimissioni dei consiglieri sono un precedente serio perché un sindaco eletto, al netto delle cose buone e degli errori, esce di scena con una procedura legittima ma che indebolisce rappresentanza e sovranità”. Orfini “si è caricato di un peso notevole ma l’intero partito andava coinvolto”. L’identikit del candidato sindaco: “Incensurato, romano, di centrosinistra”. Marchini è un candidato possibile? “Per i primi due requisiti sì. Per il terzo mi pare guardi altrove”. Primarie sì o no? “Peserà l’autorevolezza della candidatura e la trasparenza del percorso”.
Di fianco, intervista all’ex sindaco Francesco Rutelli: “Marino stava sbagliando tutto. Non mi candido, darò una mano”, “Marino vuole un fronte anti-Renzi, ma qui fallivano gli appalti per i bus e la monnezza si portava a 800 km”, “Alfio Marchini il candidato del centrodestra? Presto per dirlo. Ne vedremo ancora di tutti i colori”.
In un “retroscena”, Il Messaggero scrive che “entro due settimane il premier vuole risolte le prime emergenze” e sarebbe disposto a “mettere a disposizione del commissario mezzi e risorse necessarie per affrontare l’emergenza Anno Santo”. Dunque “subito i 30 milioni promessi già da tempo dal governo in attesa di un più corposo stanziamento, circa 300 milioni, che dovrebbe essere contenuto in un apposito decreto” che il governo definirà. Il quotidiano torna anche sulla ipotesi di costruire una “squadra” attorno al prefetto, “dove spicca il nome di Marco Rettighier, in arrivo direttamente dall’Expo, che dovrebbe occuparsi di trasporti e mobilità urbana”, e poi di Carlo Fuortes, che sarebbe destinato alla Cultura, di Malagò, che dovrebbe occuparsi di sport e della candidatura per le olimpiadi del 2024, e di Gloria Zavatta “responsabile sostenibilità dell’Expo” che potrebbe essere chiamata a gestire la questione rifiuti.
Il Giornale sintetizza: “Tecnici, prefetti, supercommissari: domina la Renzicrazia dei non eletti. Da Sala a Gabrielli a Cantone, il premier punta su uomini mai votati dai cittadini”. “Le urne ormai sono solo lo spauracchio con cui minacciare gli oppositori”.
Ieri, Il Messaggero proponeva una intervista al vicesegretario Pd Guerini che diceva – a proposito delle questione se le primarie saranno lo strumento per scegliere il candidato sindaco per la Capitale – che “è lo strumento previsto dallo Statuto ma è molto prematuro dirlo”. Oggi il quotidiano scrive di una “resa dei conti in direzione” che si terrà il prossimo lunedì. Si cita il parere di Roberto Morassut: “Nominiamo pure un altro esercito di commissari e commissarini di zona. Ma fissiamo un benedetto giorno e due benedette giornate per far parlare le persone, ascoltarle e dire lor qulcosa, ragionando insieme”. Sui candidati il Messaggero scrive Renzi vorrebbe sceglierlo “fuori dal partito, tipo Sala a Milano, altrimenti sarà impossibile”, ma “per il momento si contano i no. Di Malago, Gabrielli, Cantone”.
Il Corriere cita Matteo Orfini, che ha detto che le primarie si faranno a meno che, come è successo per Chiamparino e Zingaretti, non si trovi un candidato che unisca la coalizione. “Ma quale coalizione? ‘Noi partiamo da quella uscente, Sel e Pd. Ma non dipende solo da noi’”. Su Marchini dice che “lo schiacciamento a destra non può che penalizzarlo”.
Il Corriere offre una intervista alla senatrice del M5S Roberta Lombardi, che promette che entro febbraio il suo partito avrà il candidato alle comunali. “Credo che utilizzeremo il metodo del 2013” con un “primo filtro da parte dei municipi” dei candidabili e una rosa di cinque nomi “finiti al secondo turno online per gli iscritti di Roma e provincia”. Nessun apparentamento, “in caso di vittoria pubblicheremo un avviso pubblico per cercare le migliori professionalità per Roma”.
Il Giornale: “Grandi manovre al via. Il Pd pensa a Barca per sfidare Marchini”. “Renzi vuole temporeggiare per archivare Marino. L’ex ministro in pole position su Lorenzin e Madia. L’imprenditore: mi candido ma con la mia sigla. I grillini, favoriti nei sondaggi, restano divisi sul nome da spendere”.
Su La Repubblica, intervista a Pierferdinando Casini: “Stop alla retorica destra-sinistra, magari ci fosse già il Partito della Nazione”, “Renzi abbia coraggio. Alfio è una persona seria e lo ha dimostrato in questi due anni in Campidoglio”.
Su La Stampa un’analisi di Mattia Feltri, dedicata al caso Roma e alla candidatura di Alfio Marchini: “I partiti ormai non esistono più, è l’era dell’uomo trasversale”.
Su Il Fatto, intervista ad Alfredo Reichlin, che peraltro fu candidato a Roma come sindaco negli anni Ottanta (vinse Carraro). Dice: “Lo so, noi di sinistra alla fine siamo stati sconfitti”, “Da Ds e Margherita non è nato un partito: ognuno ha mantenuto il proprio rapporto con le masse”, “Renzi è una personalità straordinaria, ma non è un fondatore di partito, e nemmeno di una cultura”. Ci vogliono le primarie a Roma? “Credi di no, deve essere il partito in quanto tale e il suo capo a indicare un candidato. Le primarie saranno un gioco tra personaggi minori, perché i pochi grandi non vogliono partecipare”. Ha qualche nome da proporre? “No, ma tenga conto di un aspetto: il sindaco di Roma conta più di un ministro”. Si è stupito della situazione drammatica del Pd romano? “Non molto, perché conosco il degrado della politica. E Roma è la Capitale”.
Ancora su La Repubblica, a pagina 12: “Berlusconi: ‘Non sarò più io il candidato premier’. Salvini: vedrò Marchini”, “Scontro nel centrodestra sulla candidatura dell’imprenditore romano. Lex ad dell’Eni Scaroni: ‘Non faccio politica, a Milano appoggerò Sala’”.
Anche il Corriere si occupa di Milano con un “retroscena”: “Milano, Scaroni non vuole correre. Ed è pronto ad appoggiare Sala. La voce di una ‘chiamata’ di Forza Italia ma l’Ad di Eni si tira fuor”. “Dopo il no dichiarato pubblicamente da Paolo Del Debbio c’è un altro ostacolo sulla strada che porterà ad individuare il candidato sindaco del centrodestra a Milano”. Scaroni, “nonostanze le attestazioni di stima di Berlusconi”, che gli avrebbe anche regalato un “pacchetto di azioni del Milan”, “vuole restare fuori dalle discussioni sui futuri sindaci di Milano e Roma”.
Sul Corriere un commento di Antonio Polito: “Il partito dei manager ha commissariato la politica. Da Milano a Roma, la classe dirigente attuale rincorre personaggi che sono estranei agli schieramenti tradizionali. È una dichiarazione di impotenza. Il centrodestra e il centrosinistra non riescono a frontegggiare l’ondata di sfiducia che è montata”.
Boeri
Sul Giornale: “Nuovo siluro firmato Boeri, l’economista radical chic che fa la fronda al governo. Da un anno alla guida dell’ente pensionistico il professore si distingue per la volontà di dettare le riforme a Renzi. Che non lo sopporta e non lo ama”. Lo stesso quotidiano, alla pagina successiva, sintetizza le dichiarazioni di ieri del presidente Inps intervistato da Lucia Annunziata. “Lo ammette persino l’Inps: caso esodati fuori controllo. Boeri dalla Annunziata: ‘Spesi 13,5 miliardi e non basta’. Poi lancia l’idea anti-casta: dimezzare i vitalizi ai politici”. Boeri ha detto che è necessario fare una riforma complessiva della legge Fornero: “Ci sono forti pressioni già per l’ottava salvaguardia. Meglio sarebbe fare un intervento strutturale introducendo la flessibilità in uscita dal lavoro”. “Mi auguro che venga fatto nel 2016, gli italiani se lo meritano”, “c’è una attenzione molto forte da parte del presidente del Consiglio, anche più forte di quella di altri membri del governo direttamente investiti del tema”. “Ennesima punzecchiatura a Poletti”, scrive il quotidiano.
Sul Messaggero: “Boeri: ai politici taglio del 50 per cento dei vitalizi. Il presidente dell’Inps: scure sugli assegni da 80-85 mila euro ma la proposta presentata a giugno al governo è stata accontonata. Per gli esodati già spesi oltre 12 miliardi ma la settima salvaguardia inserita nella Stabilità non sarà sufficiente”.
E sul Corriere: “La proposta di Boeri (Inps) sulle pensioni: taglio fino al 12 per cento sopra quota 80 mila euro. Il presidente dell’Istituto di previdenza: ‘Esodati, si va verso l’ottavo intervento di salvaguardia’”.
Telecom
Sul Corriere una intervista al presidente di Telecom Recchi, in cui si parla della ascesa di Zavier Niel nell’azionariato del gruppo. Recchi ha incontrato due giorni fa a Parigi Niel, “rientravo da una missione all’estero e ho colto l’occasione per andare a trovare il nostro nuovo socio”. Si sono incontrati a casa sua, “ho visto un imprenditore molto competente con una storia personale ben nota che è presente in diversi Paesi con un focus soprattutto sulle telecomunicazione”, “ogni investitore è benvenuto”: Niel ha “un stile amichevole”. Alla domanda su un possibile concerto con Vivendi: “Mi pare di poterlo escludere completamente viste le dichiarazioni dell’Ad di Vivendi e la conferma di Niel”.
E poi
Su Il Messaggero Azzurra Meringolo intervista il politologo ed esperto di Medio Oriente Oliver Roy, da qualche anno docente all’Istituto europeo di Fiesole. Parla del Daesh che “cerca disperatamente adepti” tra “coloro che non hanno veri e propri rapporti con la società, i reietti”, “esseri umani che attraversano una rivolta umana e personale”, “che passano giornate intere sui social network perché non si trovano a loro agio nella società in cui vivono”. Perché sono soprattutto i giovani a intraprendere la strada del terrorismo? “Perché sono i più ignoranti da un punto di vista religioso. Sono analfabeti. Non conoscono neanche i cinque pilastri dell’Islam, i cinque comandamenti che ogni buon musulmano deve rispettare”, “spesso i ragazzi che dicono di combattere il jihad non sanno bene cosa questo sia”. “Noi facciamo una grande confusione tra fondamentalismo e attivismo radicale”, “si può essere fondamentalisti ma non terroristi perché non ci si attiva”.
Il Corriere dedica due pagine alla vicenda Tavecchio, “numero uno della Federcalcio sotto accusa pr l’audio delle sue frasi omofobe e antisemite” pubblicate ieri dal sito del quotidiano. Tra l’altro la testimonianza dell’ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, che dice: “A Carlo Tavecchio noi di Israele abbiamo chiesto aiuto al Congresso Fifa, lui ce l’ha dato e non ha avuto timore a dirlo pubblicamente. Sul resto non entro nel merito”. Gilon si riferisce alla richiesta dei palestinesi di espulsione di Israele al 65esimo congresso Fifa a Zurigo, poi ritirata per le “pressioni ricevute” ad una mediazione che poi si raggiunse (Israele assicurò procedure più veloci per i giocatori e gli allenatori palestinesi e aiuti alle spese per lo sport, i palestinesi dichiararono la non ostilità nei confronti di cinque squadre israeliane basate nella West Bank).
Alla pagina successiva “la rabbia del premier. Ma il governo non può intervenire. Il presidente Figc tira dritto: ‘Registrazioni a mia insaputa, forse manipolate’”. Tavecchio dice che è una “ritorsione di una persona cui ho negato dei contributi” e poi “ascoltando l’audio le mie parole sono chiare: ho lunghi rapporti di stima personali e profesionali con gli ebrei. Anche le accuse di omofobia non mi appartengono”. Giacomini, il direttore di Soccerlife che ha diffuso l’audio, risponde che Tavecchio dimentica di dire che è stato lui a rinunciare ai contributi.
Su Il Giornale Alessandro Sallusti: “Un’altra clamorosa inchiesta giudiziaria finisce nel nulla seminando danni e macerie. E’ durato infatti meno di un mese il teorema dei pm della procura antimafia secondo il quale Fabrizio Palenzona, importante finanziere e vicepresidente di banca Unicredit, faceva parte di un associazione a delinquere che distribuiva piaceri a imprenditori considerati vicini ai vertici di Cosa Nostra. Un’accusa grave e infamante che non ha superato l’esame dell’udienza preliminare. Tutte balle, ha sentenziato il giudice, Palenzona va prosciolto per non aver commesso il fatto”. Sallusti scrive che Palenzona “non è stato l’unico a soffrire ingiustamente”, che “a rimetterci soldi e salute” sono state anche “le migliaia di risparmiatori piccoli azionisti di Unicredit il cui titolo in Borsa ha perso valore”, e “non si possono destabilizzare un’azienda e i mercati finanziari sulla base di teoremi e voci raccolte in portineria”, come “è successo” con Finmeccanica, Eni, Fastweb in passato. “Questi magistrati sono un pericolo reale, una classe politica responsabile li fermerebbe senza alcun indugio”, scrive Sallusti.