Telecom, la rete contesa

 

Corriere della Sera: “Telecom scuote la politica”, “Il Pdl: chiarezza. Letta: vigileremo, ma il gruppo è privato”.

A centro pagina: “Obama apre all’Iran. Rouhani però evita l’incontro”.

E sulla politica italiana: “Napolitano ‘consulta’ segretari e ministri: meno risse, più impegno”.

In prima anche la cronaca politico-giudiziaria: “Verbali di 3 Procure. Tenaglia giudiziaria sul Cavaliere”.

 

La Repubblica: “Telecom, l’Italia svende”, “Bufera sulla cessione agli spagnoli. Letta: è una spa privata”.

La foto di spalla è per il presidente Usa: “Obama tende la mano all’Iran, ‘Il dialogo deve ricominciare’”.

A centro pagina: “A dicembre torna l’Imu mascherata, si pagherà l’acconto sulla service-tax”.

 

La Stampa: “Telecom spagnola, vi alibera di Letta: ‘Può migliorare’”.

A centro pagina, la foto dall’Onu del nuovo presidente iraniano Rouhani: “Obama apre all’Iran, ‘Ma ora servono fatti’”.

Sotto la testata: “Consultazioni del Colle per rilanciare il governo”, “Salta l’intesa Pd-Pdl sui soldi ai partiti”.

 

Il Sole 24 Ore: “Governo pronto a difendere la rete”, “Letta: ‘Vigileremo, ma Telecom è privata’. Il nodo Tim Brasil. Il titolo sale a Milano”.

In taglio basso: “Per evitare l’aumento Iva spunta il rincaro benzina”.

 

L’Unità: “Non svendiamo l’Italia”, “Bufera per il controllo di Telecom da parte della spagnola Telefonica. Allrame dei sindacati: si rischiano sedicimila esuberi, il governo ci convochi. Letta: vigileremo sulla cessione, ma si tratta di una società privata. Anche Alitalia in bilico: Air France vuole raddoppiare la sua partecipazione”.

A centro pagina: “il Pdl vuole i partiti in mano ai miliardari”, “Scontro sul tetto ai fondi privati, la destra dice no al limite di 100mila euro. Il Pd accusa: si tenta di stravolgere la Costituzione. La mediazione del governo”.

In taglio basso: “In manette i parenti dello stalliere di Arcore”, “Arrestati figlia e genero di Vittorio Mangano”.

 

Libero scrive che “c’è un giudice a Strasburgo” e titola: “Carcere a Belpietro, Italia condannata”, “La Corte europea dà ragione al nostro direttore, punito con 4 mesi per aver pubblicato l’articolo di un senatore. Vediamo se ora il Parlamento si deciderà a cambiare la legge”.

In taglio basso: “La Spagna compra Telecom con i nostri soldi”.

La vignetta a centro pagina raffigura un “tris di donne per il Cavaliere” (Marina, Barbara e la Pascale).

 

Il Giornale: “Napolitano prepara la stangata”, “Su tasse e manovra finanziaria il Colle detta le sue condizioni a Epifani e ad Alfano. Ma i pm se ne fregano dei tagli: 220 milioni per spiarci al telefono”.

Le foto a centro pagina sono per “le donne di Berlusconi” (Barbara e Pascale): “’Io, Silvio, l’amore’. Francesca si confessa”

 

Il Fatto: “Hanno spolpato il Paese. Svenduta anche Telecom”, “Intesa, Mediobanca e Generali cedono a Telefonica Espana il controllo del gruppo italiano. Per risolvere i loro problemi di bilancio sacrificano il futuro di un’azienda decisiva per il Paese. Un sistema industriale che continua a perdere pezzi nel silenzio della politica”.

In taglio basso: “Il Senato spende e spande, ma nessuno deve sapere”, “Impossibile risalire a chi vengono elargite le somme. Alla Camera rimborsi viaggi anche per gli ex deputati. Partiti: il Pdl vuole mantenere le maxi donazioni private e depenalizzare il finanziamento illecito”.

 

Telecom

 

“Telecom passa agli spagnoli per soli 850 milioni di euro e scoppia un caso politico”, titola La Repubblica. Gli spagnoli, per salire al 66 per cento, sottoscriveranno inizialmente un aumento di capitale da 324 milioni e successivamente un altro da 117 milioni li porterà al 70 per cento. Con un esborso di circa 850 milioni è passato di mano il controllo della quota di maggioranza relativa di Telecom Italia senza passare per il mercato di Borsa.

In un retroscena sullo stesso quotidiano: “Il Tesoro pensa a un intervento per avviare lo scorporo della rete”. Dove si legge che la rete in mani straniere è il cuore di questa vicenda, poiché è oggettivamente un asset strategico ed è anche l’unico terreno su cui forse è in condizioni di intervenire il governo. Il Presidente di Telecom Bernabè ha rassicurato in un breve colloquio il ministro dell’economia Saccomanni: “Ma Bernabè – scrive La Repubblica – è anche il manager che è sempre stato contro la separazione della rete. D’accordo con i soci di Telco, la finanziaria che controlla Telecom, di cui ora gli spagnoli hanno conquistato il 66 per cento. La rete è il valore aggiunto di Telecom. Lo scorporo avrebbe svalutato le quote dei soci finanziari (Mediobanca, Intesa e Generali) come quelle del socio industriale, Avierta, presidente della holding spagnola. A loro non conveniva, e non conviene, scorporare la rete.

Sul Sole 24 Ore: “Il governo in trincea sul controllo della rete”. Si legge che negli ambienti di governo sanno bene che quel che conta è ottenere in un tempo ragionevolmente breve garanzie sugli impegni di telefonica sui livelli occupazionali e sugli investimenti per la banda larga, in una ottica di piena parità di accesso alla rete tra l’ex monopolista e i concorrenti. Secondo Il Sole il ragionamento del ministro Saccomanni è questo: l’Italia non vuole apparire un supermarket, ma al tempo stesso non si possono imporre paletti strumentali a una grande impresa di un partner europeo come la Spagna. La rete è dunque il vero nodo, secondo Il Sole, l’unico punto sul quale si potrebbe far prevalere un concetto di ‘italianità’. Il quotidiano dà conto anche della delusione che avrebbe espresso il viceministro allo sviluppo Catricalà per le modalità con le quali i grandi soci italiani di Telecom (Mediobanca, Generali, Intesa) hanno informato il governo solo a cose praticamente fatte.

Lo scorporo della rete prevederebbe il contestuale ingresso della CDP, che potrebbe essere garante della italianità di un asset strategico come il network delle Tlc nonché lo strumento adatto per iniettare risorse pubbliche in un grande progetto per lo sviluppo della banda larga.

 

“La Norimberga del capitalismo” è il titolo di un commento di Alessandro Penati sulla prima pagina de La Repubblica: “Chi pensasse che il vero problema dell’Italia oggi sia la colonizzazione delle nostre aziende si sbaglierebbe ben due volte”, scrive Penati, dopo aver ricordato i casi Ansaldo, Bulgari, Loro Piana, Avio. “Gli stranieri comprano, e prezzo di saldo, perché le nostre aziende valgono poco; e valgono poco perché sono state gestite male per troppo tempo dagli italiani”, scrive Penati, sottolineando che “lo straniero alle porte è la conseguenza, non la causa”. Le nostre aziende riescono ad essere competitive fino a che dominano una nicchia”, e i tentativi di espansione fuori dai confini finiscono spesso con una Caporetto (Rcs, Fininvest, Enel, Finmeccanica, Indesit, De Agostini). “Meglio quindi – prosegue Penati – restare a casa e operare in settori protetti dalla concorrenza estera grazie a concessioni, licenze, regolamentazione nazionale; e dove le relazioni con la classe politica locale o nazionale sono indispensabili: banche, assicurazioni, energia e servizi di pubblica utilità, autostrade, giochi e scommesse, immobiliare”. Il problema poi non è lo straniero, ma lo straniero sbagliato, perché troppo spesso non si vende a quello che paga di più o a chi è meglio in grado di espandere l’azienda: “Si grida allo scandalo per Telefonica in Telecom, ma Telefonica è arrivata a dieci anni dalla privatizzazione, dopo che vecchia e nuova aristocrazia imprenditoriale (Agnelli, Colaninno, Tronchetti) erano solo riusciti a ridurre il valore di Telecom e ad aumentarne il debito. Telefonica in Telco poi ce l’hanno portata, e hanno stretto un patto per comandare, Banca Intesa di Bazoli e Passera, Mediobanca di Nagel e Pagliaro (e allora Geronzi) e, le Generali di Perissinotto. Ben sapendo che Telefonica, essa stessa piena di debiti e acerrimo concorrente in Brasile, sarebbe stato il peggior socio straniero”.

Scrive ancora Penati che le banche, però, sono felici, perché l’operazione di sistema ha generato perdite colossali, ma almeno rientrano dai prestiti a Telco e si garantiscono l’uscita a 1,1 euro (prezzo pagato per azione da Telefonica ai soci uscenti ndr) incassando più dei 60 centesimi di valore del titolo in Borsa. Penati sottolinea che non è possibile credere alla ingenuità dei politici, poiché dietro gli “interessi nazionali” c’è la difesa dei sindacati, che vogliono l’azionista di riferimento italiano perché meno determinato a ristrutturare e tagliare posti di lavoro, anche se c’è capacità in eccesso, il settore in declino e l’azienda inefficiente. Sono identiche quindi per Penati le storie di Alitalia, Finmeccanica eccetera: “E’ il fallimento di Italia Spa, colpevoli sono tutti, dai governi ai banchieri, dagli imprenditori “nobili e meno nobili” ai sindacati, ci vorrebbe “una Norimberga per i crimini contro il capitalismo in Italia”.

Sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore Guido Gentili stigmatizza “il risveglio tardivo della politica”. Nelle pagine sulle privatizzazioni all’italiana abbondano quelle scritte “per non intaccare comunque le cittadelle del roccioso capitalismo municipale pubblico, fonte di potere e consenso. La grande crisi ha fatto il resto”. In questa vicenda, mentre gli azionisti privati fanno ciò che ritengono più opportuno assumendosi le loro responsabilità di fronte al mercato, lo Stato non deve perdere di vista la rete, anche se è comprensibile che Telefonica punti a tenersela. Ma lo è altrettanto che lo Stato punti a salvaguardare questa infrastruttura strategica.

Su Il Fatto, Stefano Feltri: “L’Italia perde anche Telecom, agli spagnoli per spiccioli”. E due pagine di Giorgio Meletti: “Così i soliti noti da venti anni spolpano Telecom”, facendo valere “la legge del più furbo”. Meletti scrive che “un gruppo di capitalisti spregiudicati ha controllato il gruppo senza investire. Si sono arricchiti passandosi l’azienda a vicenda”.

Ne scrive anche Bruno Tinti: “Telecom, la storia è sempre quella”, “Telecom ci rimise 37 miliardi di lire, tutti finiti nelle tasche di Colaninno &C. Un paio di consiglieri diedero le dimissioni e tutto finì lì.

Il ministro Maurizio Lupi, intervistato dal Corriere, dice: “Gli stranieri non ci fanno paura. La rete? Sarà pubblica e italiana”. Dice Lupi: “Il mercato è il mercato e l’Europa è l’Europa. Il compito di un governo non è mettersi di traverso alla vendita di aziende, che peraltro sono private, ma assicurare al Paese che gli asset strategici non vengano dispersi. Per Telefonica il tema è la rete. Per Alitalia il fulcro del nostro interesse è il futuro piano industriale”. Domani Lupi incontrerà il suo omologo francese: “Ribadirò al ministro che esistono preclusioni su Air France-Klm. Ma che vogliamo capire le condizioni: che piano industriale è previsto? Il modello per Alitalia è quello Klm, che ci piace, o la regionalizzazione? Quali garanzie sulla occupazione?”. Il ministro rivendica di essersi schierato personalmente per l’opzione Lufthansa, anziché Air France, all’interno del suo partito: perchè preferiva il sistema multi hub di Lufthansa a quello centralizzante di Air France-Klm.

 

Nicola Porro su Il Giornale scrive che “l’Italia è un Paese di straordinari imprenditori, ma è un Paese povero (a dire poco) di capitalisti”. Sulla vicenda Telecom, privatizzata “dal centrosinistra in modo scriteriato”, il governo Prodi “non trovò di meglio perché obiettivamente non c’era molto in giro che affidare le tlc ad una pattuglia di capitalisti all’italiana che con quattro soldi si portarono a casa l’ex monopolista”, che “all’epoca era una gallina dalle uova d’oro”, e “i nostri capitalisti non imprenditori pensarono di usarla come una rendita”. Alla fine “era naturale che una pattuglia di imprenditori-finanzieri nostrani la scalasse”. Al “terzo giro del vapore” entrò in scena Marco Tronchetti Provera, il cui punto debole fu “che la politica non lo accettò”. La sua vicenda, scrive Porro, finisce con “il solito zampino di una incredibile vicenda giudiziaria poi finita nel nulla (rispetto al clamore che aveva suscitato)”. In sintesi dunque la storia Telecom è raccontata in tre fasi: quella dei rentier del vechio salotto buono, quello degli scalatori affascinanti ma scarsamente dotati di capitali e quello dell’unico imprenditore dotato di capitali che ha perso la sua battaglia con la politica”. E quella di Alitalia, scrive Porro, è una “storia del tutto simile”. Secondo Porro però non è vero che si sarebbe potuto vendere ad Air France cinque anni fa: “Air France, quando nel 2008 fu affidata ad una improvvisata pattuglia di patrioti italiani, aveva già alzato molto l’asticella delle sue pretese”, “se oggi sarà svendita, allora lo era altrettanto”.

 

Berlusconi

 

Su indicazione dei pm di Milano le Fiamme Gialle, scrive La Stampa, si sono recate alla Farnesina per acquisire la documentazione che riguardava la rogatoria con Hong Kong sulla frode fiscale d 170 milioni che sarebbe stata architettata da Fininvest negl ianni 90. Da quelle indagini, ricorda Guido Ruotolo, è nato il processo Mediatrade. La Finanza cercava un appunto del console generale italiano ad Hong Kong Alessandro de Pedys, che avrebbe raccontato a Sergio De Gregorio, durante una sua missione ad Hong Kong, della richiesta di rogatoria. De Gregorio, in un suo interrogatorio il 10 settembre scorso, avrebbe specificato di aver ricevuto dal console un appunto riservato successivamente trasmesso alla Farnesina nel quale venivano anticipate le mosse delle autorità di Hong Kong per respingere le istanze dei pm.

Sulla stessa pagina si dà conto dei verbali relativi all’inchiesta romana sui soldi che Berlusconi avrebbe versato al faccendiere Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini. In una lettera del 13 settembre 2011 Lavitola sosteneva di aver ricevuto soldi in cambio dei documenti originali sulla casa di Montecarlo utilizzati contro l’allora presidente della Camera Fini. La missiva è stata ritrovata nel computer di Lavitola, Berlusconi dice di non averla ricevuta, ma dice anche che è un insieme di cose vere e cose totalmente false. Non ha mia promesso a Lavitola di dargli un incarico governativo, né è vero che abbia rimborsato una somma di 500 mila euro a Lavitola per la sua attività per la casa di Montecarlo, è vero invece che il senatore eletto all’estero con l’Mpa di Lombardo Pintabona gli chiese, per conto di Lavitola, di far assumere i 19 dipendenti de L’Avanti che erano stati licenziati.

Su La Stampa: “Il Cavaliere sentito dai pm: mai fatto promesse a Lavitola”.

Su tutti i quotidiani si dà conto della linea scelta da Berlusconi: “In campo le figlie”, scrive La Repubblica. “Figlia e fidanzata, le tre donne di famiglia che circondano Silvio” (La Stampa), Macché Giunta, per difendere Silvio schierate le donne di famiglia” (Il Fatto). Questo spiega l’attenzione al “tris di donne” data da i giornali più vicini al centrodestra, come Libero e Il Giornale.

 

Internazionale

 

“Obama apre a Teheran. Rohani: basta accuse, non siamo una minaccia. Botta e risposta all’Onu, ma nessun incontro tra i due. Il leader iraniano: non c’è soluzione militare per la Siria”

Scrive La Stampa che nel discorso del Presidente Usa alla Assemblea generale Onu è stato l’Iran il tema centrale. Ha detto Obama: “Il leader supremo Khameneei ha emanato una fatwa contro lo sviluppo di armi nucleari e il presidente Rohani che non perseguiranno l’atomica”. Ma “alle parole conciliatorie devono seguire azioni trasparenti e verificabili” sul nucleare. Obama si è detto “incoraggiato dal mandato ricevuto da Rohani per una politica più moderata”. Per verificare l’entità di tale apertura Obama ha detto di aver affidato al segretario di Stato Kerry la missione di “guidare gli sforzi con l’Iran in cooperazione con Ue, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina”, a partire dall’incontro di domani con il ministro degli esteri Zarif. Gli ostacoli – ha detto ancora Obama – potrebbero rivelarsi troppo grandi, ma la strada diplomatica va tentata. Ma il Presidente ha ribadito – scrive ancora La Stampa – che l’America “non consentirà all’Iran di avere l’arma nucleare”. E dunque, secondo il quotidiano, l’opzione militare resta sul tavolo. Un approccio simile lo ha avuto sulla crisi siriana, spiegando che vi è la determinazione dell’America ad “impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa”, e dunque ad arrivare alla distruzione dei gas proibiti di Assad “in quanto sarebbe un insulto alla intelligenza affermare che l’attacco a Damasco non è stato lanciato dalle sue forze”. Obama ha detto anche che “serve una risoluzione Onu forte che preveda conseguenze”. Il riferimento è alla necessità di richiamarsi al capitolo 7 della Carta Onu sul ricorso alla forza.

Il Corriere della Sera scrive che Obama ha pronunciato il suo discorso in un silenzio glaciale, ricevendo un applauso molto tiepido, poiché è stato un discorsi di politica estera più difficili della sua presidenza. Ha aperto a Teheran pur senza alimentare speranze eccessive, dicendo: dopo oltre trenta anni di incomunicabilità non si può pensare di risolvere i problemi in una nottata. I sospetti restano fortissimi, da tutte e due le parti. Secondo il quotidiano cautela c’era anche da parte del Presidente Rohani che, poche ore dopo, dal podio dell’Onu, ha detto che l’Iran è pronto ad un negoziato immediato sul suo programma sul nucleare, ed ha voluto “dichiarare solennemente davanti al mondo” che l’Iran non cercherà mai di dotarsi di armi atomiche, poiché “è contro la nostra dottrina di difesa e contraddice le nostre convinzioni religiose”.

“A New York i ‘vecchi cattivi’ non sono più di casa. Solo un ricordo le invettive di Ahmadinejad e le sparate di Chavez”, scrive La Stampa, che ricorda come durante l’assemblea generale Onu è da segnalare come “affondo più duro” quello di Dilma Roussef, la presidente brasiliana, per lo “scandalo del Datagate” che ha rivelato anche una “aggressione spionistica” da parte degli Usa nei confronti del Brasile.

La Repubblica evidenzia anche un’altra parte delle dichiarazioni di Rohani: il presidente ha promesso che l’Iran “non sarà una minaccia per il mondo” . Sullo stesso quotidiano, intervista a Gary Sick, ex consigliere di Carter: “Dagli Usa rispetto per Teheran, forse il ghiaccio sta per rompersi”.

 

Alle pagine R2 de La Repubblica un inserto dedicato al “talebano d’occidente”. Vittorio Zucconi e Vincenzo Nigro raccontano chi sono e da dove vengono i fondamentalisti allevati tra Europa e Usa che l’internazionale del terrore ha schierato da Boston a Nairobi. La guerra agli stati canaglia ha creato assassini cresciuti “a casa nostra”, giovani viaggiatori in missioni di morte, uniti ai loro Paesi d’origine dalla battaglia all’occidente. Si parla del coinvolgimento della moglie di un attentatore di Londra (2005) coinvolta nella strage in Kenya. E il direttore dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ieri, nel corso di una audizione al Copasir, fa sapere che dall’Italia una quindicina di miliziani sarebbero partiti per combattere Assad in Siria. Cittadini arabi, perlopuù con passaporto siriano, residenti in Italia da qualche anno. L’unico caso certo di un cittadino italiano partito per combattere in Siria è quello di Giuliano Del Nero, morto in Siria.

Su Il Sole 24 Ore ancora attenzione alla Germania dopo il voto: “i tedeschi per l’intesa Cdu-Spd, due terzi degl elettori sono favorevoli ad una grande coalizione”. Se ne occupa anche Roberto D’Alimonte, parlando degli effetti della soglia di sbarramento: “Quello 0,2 che ‘aiuta’ la Merkel a governare con l’Spd”.

La Stampa: “Verdi, l’affondo di Fischer: ‘più vecchi ma non adulti’”. E’ il pensiero dell’ex ministro Joshcka Fischer, padre nobile dei Grunen, secondo cui l’errore dei vertici del partito sarebbe stato quello di spostarsi a sinistra, parlando di tasse invece di affrontare temi come l’ambiente, l’Europa, l’istruzione, la famiglia. Errore fatale per un partito che voglia governare, e non solo con i socialdemocratici, chiosa l’inviata a Berlino Tonia Mastrobuoni.

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