Il Corriere della Sera: “Apertura di Bersani a Monti. Il leader Pd: pronto a collaborare. La risposta del premier: sì, ma per fare le riforme”. E poi: “No di Maroni al condono proposto da Berlusconi”.
La Stampa parla di “prove di alleanza” tra Monti e Bersani.
La Repubblica: “Monti e Bersani: pronti all’intesa”.
Il Giornale: “Bersani prende ordini da Berlino, deve allearsi con Monti e Fini. Sondaggi giù: ora la sinistra ha paura del sorpasso e fa l’ammucchiata. Berlusconi, la Corte dei conti benedice lo sconto fiscale”.
L’Unità: “Bersani: fermiamo la destra. Il leader Pd risponde a Monti: siamo pronti a collaborare ma non a tutti i costi”. A centro pagina: “Sì della Gran Bretagna ai matrimoni gay”.
Il Foglio: “Perché l’exploit europeo di Bersani segna una svolta nella campagna Pd. Le convergenze con Monti, le parole sulla Germania, la reazione del Cav e il senso dei messaggi del segretario. ‘Prontissimi a collaborare’”.
Europa, con foto di Monti e Bersani: “L’intesa c’è (e anche la maggioranza)”. “Aperture reciproche tra Bersani e Monti, ‘ma solo per fare riforme serie’. Si blocca sul nascere la rimonta berlusconiana”.
Il Sole 24 Ore: “Italia, emergenza lavoro. A gennaio aumento record (+61,6 per cento) della cassa integrazione. La riforma Fornero ha irrigidito la flessibilità in ingresso: bloccati i contratti a termine e il sistema dei voucher”. Di spalla: “Obama chiede a S&P 5 miliardi: ‘Scatenò la crisi dei subprime’”.
Il Fatto quotidiano: “’Montepaschi controllato dai massomi’. ‘Mussari è stato iniziato libero muratore quando cominciò la sua scalata al potere’. Gioele Magaldi, uno dei capi della massoneria, racconta come a Siena le logge influenzino le varie cordate bancarie. E parla di Amato, Luigi Berlinguer, Verdini”.
Bersani, Monti
Il Giornale sintetizza con un titolo: “I sondaggi vanno male, Bersani e Monti siglano l’inciucio dalla Merkel”. Secondo il quotidiano ci sarebbe “euforia nell’entourage berlusconiano, dove si assicura ce i sondaggi ancora non possono registrare appieno i risultati della ‘proposta choc’ sull’Imu: ‘Finora ha raggiunto solo il 40 per cento degli indecisi, dunque la sua potenzialità di penetrazione è ancora altissima’, spiegano dallo staff”. Da qui la mano tesa di Bersani a Monti: “Siamo prontissimi a collaborare con tutte le forze contro il berlusconismo e il populismo. E quindi certamernte anche con il premier Monti”, ha detto ieri Bersani, “prodigo di riconoscimenti verso il modello Germania”, aggiunge Il Giornale, e disposto a “prendere le distanze dalla Cgil: certo, i sindacati vanno ‘ascoltati, anche ‘per fare meno errori’. Ma poi la politica deve ‘sapere dove arrivare’ e la concertazione ‘non deve bloccare l’azione del governo’ né ‘paralizzare le decisioni’”.
Massimo Franco, sul Corriere della Sera, scrive che quella di ieri tra Monti e Bersani “ha l’aria della tregua, personale e, indirettamente, politica. Suggerita dalla esigenza di rassicurare un’Europa e un’America spaventate dalla crescita del populismo di Berlusconi e di Grillo, mentre leader del Pd e premier si azzuffano”. Bersani ieri, dopo il suo incontro a Berlino con il ministro delle finanze tedesco Schauble, “ha affermato di essere ‘prontissimo’ alla collaborazione con Monti, anche se non ‘ a tutti i prezzi’. Evidentemente ha avuto la conferma del prestigio di cui Monti gode: forse più all’estero che in Italia. E ha verificato l’inquietudine che la crescita nei sondaggi di Berlusconi e di Grillo provoca nelle Cancellerie occidentali. Dedurrre che siano state gettate le basi per una collaborazione dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio, è prematuro. E’ più corretto dire che il riconoscimento da parte di entrambi di aver ecceduto serve a scongiurare l’impossibilità di collaborare se le elezioni restituissero una Italia parlamentare in bilico”.
Anche su La Stampa si spiega come il clima più sereno tra Bersani e Monti getti le basi per una alleanza all’indomani del voto: ma tutto dipende dall’esito delle urne, con i sondaggi che al momento non garantiscono una vittoria della coalizione Bersani-Vendola al Senato, con la crescita di Grillo e il recupero del Cavaliere. Insomma, l’apporto di Monti potrebbe rivelarsi decisivo. E tenendo presenti alcune battute pronunciate dal Professore durante il videforum con La Stampa, si parla di una “suggestione” del Professore e di una “svolta” nella sua strategia, ovvero quella di una “grande coalizione” con Pd e Pdl. Ha spiegato Monti a La Stampa: “La nostra logica è quella di portare tutti i riformisti, magari in una grande coalizione, ad una operazione che sia capace di cambiare in meglio l’Italia”, e per questo “non avrei preclusioni verso i riformisti che ancora ci sono nel Pd e nel Pdl”. Sulla prima pagina di Europa è il direttore Menichini ad analizzare quella che appare come una “reciproca intenzione di collaborare dopo le elezioni”: “può esser considerata una non notizia o può diventare la vera svolta della campagna”. Le controindicazioni: da una parte si riapre la ferita a sinistra, con Vendola insidiato da Ingroia, e dall’altra, benzina per la propaganda berlusconiana contro un Monti subalterno alle sinistre. Ma per Menichini i vantaggi sono superiori, perché agli elettori Bersani non sono dice che il centrosinistra rimane saldamente avanti, ma aggiunge la rassicurazione che esiste un paracadute, pronto ad aprirsi in ogni caso, perché ci sarà una maggioranza parlamentare tanto alla Camera quanto al Senato.
Anche sulla prima pagina de Il Foglio si analizzano le convergenze Monti-Bersani e si scrive che quest’ultimo ha scelto un palcoscenico non casuale per duettare a distanza con Monti. Dinanzi al German Council on Foreign Relations di Berlino e al ministro delle finanze tedesco Schauble, Bersani ha dichiarato: “Noi siamo prontissimi a collaborare con tutte le forze contro il leghismo, il berlusconismo, il populismo, e quindi certamente anche con Monti”. Il messaggio numero 1 di Bersani per il Foglio è rivolto ai tedeschi, poiché li invita a non credere a chi racconta la favola della rimonta di Berlusconi. E da questo punto di vista Bersani ha voluto rassicurare che il centrosinistra non considera la Germania un nemico da combattere ma, semplicemente, il “nostro primo grande partner culturale, economico, politico”. Messaggio numero 2: “Cari mercati, non fatevi prendere dal panico, il leader del centrosinistra è autorevole e non ha intenzione di chiudersi nel suo recinto, ma vuole aprire la sua maggioranza anche alle forze responsabili del centrodestra come il vostro amico Monti”.
Obama
“Frodi sui mutui, Obama fa causa a Standard and Poor’s”, titola La Stampa, dando conto della decisione del governo Usa di scagliarsi contro la più grande delle agenzie di rating, accusata di aver ingannato gli investitori sui mutui subprime. Il governo chiede danni per 5 miliardi di dollari. E’ la prima causa intentata da una Amministrazione contro una agenzia di rating finanziario, e le dimensioni della offensiva legale sono massicce. Il primo passo è stato compiuto nella corte federale di Los Angeles, e 16 Stati, dal Mississippi all’Illinois si sono associati, mentre il procuratore federale di NY vuole aprire un nuovo fronte. La Sec, la Consob Usa, ha iniziato una sua indagine ad hoc, ipotizzando la violazione dei regolamenti di Wall Street.
Nel testo della denuncia del Dipartimento di Giustizia si afferma che dal settembre 2004 all’ottobre 2007 Standard’s and Poor’s ha “consapevolmente frodato ed ingannato” la clientela, mettendo in atto “uno schema ingannevole a danno degli investitori” basato sulla promozione di prodotti finanziari legati a mutui subprime dei quali conosceva la tossicictà. Secondo il governo S&P avrebbe assegnato ratings positivi e accattivanti a prodotti finanziari destinati a divorare il denaro degli investitori, innescando la crisi finanziaria del settembre 2008. I cinque miliardi di risarcimenti chiesti equivalgono a cinque volte il totale delle entrate della agenzia di rating nel 2011.
Gli investigatori del Dipartimento della giustizia hanno consultato oltre 20 milioni di email tra i top manager: fra queste, ve n’era una in cui si scriveva che “questo mercato si sta avvitando in maniera selvaggia e finirà male”. L’agenzia accusa il governo di aver preso a caso email fuori contesto.
Il quotidiano intervista l’economista JK Galbraith, che considera quella di Obama una iniziativa dal forte impatto simbolico, ma sottolinea che si apriranno una serie di contenziosi lunghi ed onerosi, perché si dovranno presentare prove a carico non sempre semplici da recuperare. Francesco Guerrera, sullo stesso quotidiano, evidenzia come Obama abbia scelto un obiettivo chiaro e facile, essendo stato criticato dalla opinione pubblica per aver fatto poco o nulla per punire i grandi della finanza. Le agenzie di rating sono state un disastro prima e dopo la crisi, poiché non predissero il crollo del mercato immobiliare e gonfiarono una bolla che esplose nella economia mondiale; ingabbiate da conflitti di interesse atavici, poiché le società che vendon obbligazioni pagano le agenzie di rating per loro opinioni, S&P e sorelle sono state affondate da un misto di incompetenza e sfortuna. Ma resta da vedere se le loro azioni sono state illegali: “Non è chiaro, per esempio, che gli analisti sapessero che le obbligazioni erano una accozzaglia di mutui subprime destinati a marcire con la crisi del mercato immobiliare. Stupidi senz’altro, criminali non si sa”.
Il Sole 24 Ore evidenzia come per Obama si tratti di una svolta del suo secondo ed ultimo mandato. Anche perché la decisione di portare in tribunale S&P fa seguito ad un’altra scelta importante dell’Amministrazione Usa in meno di un mese: la nomina di un ex Procuratore federale d’assalto nella lotta alla criminalità finanziaria del calibro di Mary Jo White alla presidenza della Sec. La White, prima di dimettersi con la nomina di George W. Bush alla Casa Bianca, è stata infatti il motore delle grandi inchieste degli anni 90 contro i giganti di Wall Street che manipolavano le Ipo e la Borsa. Era stata isolata da Bush, ora torna in prima linea dalla parte della Giustizia. L’ultimo tassello è la previsione nel bilancio 2013 da parte della Sec e del Dipartimento di Giustizia di un cospicuo aumento di assunzioni di avvocati esperti in materia finanziaria. Per dimostrare anche in Tribunale che nessuno è “too big to jail”.
Cameron e Hollande
Scrive La Repubblica che sul fronte del matrimonio tra omosessuali, dopo Olanda, Belgio, Spagna, Scandinavia, Sudafrica, Argentina, e dopo la Francia socialista di Hollande, anche la Gran Bretagna del conservatore David Cameron ha approvato una legge: con il voto della Camera dei comuni, 400 sì e 175 no, è passato il matrimonio omosessuale, sia con rito civile che con rito religioso, perlomeno per le confessioni che lo accetteranno. La legge deve essere votata anche dalla Camera dei Lord, che se ne occuperà in maggio. Il quotidiano sottolinea la “rivolta” di oltre cento tories, che votano contro “affermando scandalizzati che il provvedimento porta le relazioni umane in una ‘dimensione orwelliana’. Ma la svolta è compiuta, e non si torna indietro”. In una lettera aperta al proprio partito, tre ministri del governo Cameron (al tesoro Osborne, agli esteri Hague e agli interni May) hanno esortato i deputati tories a “riconoscere che il matrimonio si è evoluto”.
Il premier ha spiegato che “il matrimonio tra gay non indebolisce la famiglia, bensì rafforza famiglia e società : insomma, scrive La Repubblica, nelle intenzioni di Cameron estendere il matrimonio ai gay vuol dire allargare i valori conservatori. A Parigi, naturalmente, il presidente Hollande la vede in altro modo, perché si tratta di un allargamento di valori liberali, diritti civili, di liberté, egalité, fraternité, capisaldi del pensiero di sinistra.
L’Unità scrive che la legge approvata consente alle coppie gay di sposarsi sia con rito civile che religioso, ma lascia libere le varie confessioni di non aderire. La maggior parte delle Chiese attive in Gran Bretagna hanno manifestato la loro contrarietà. Le uniche favorevoli sono alcune congregazioni ebraiche. Particolarmente rilevante l’opposizione della Chiesa anglicana, dal momento che i principi della “legge canonica” sono inglobati nell’ordinamento giuridico nazionale. Sorgeranno questioni legali, e c’è chi minaccia di ricorrere alla Corte europea per i diritti umani.
La Stampa scrive che il sì è passato grazie al sostegno compatto dei LibDem, che sono al governo, e, soprattutto, della opposizione laburista.
Il Corriere della Sera si occupa della opposizione in Francia alla legge sul matrimonio gay e, in particolare, della battaglia che promette il gran rabbino di Francia Bernheim, che rifiuta l’accusa di oscurantismo per chi contrasta il “pensiero corrente”. Il quotidiano ricorda che a contrastare il provvedimento di Hollande sono tutte le comunità religiose, da quella musulmana a quella protestante, fino ai greco-ortodossi. Le posizioni più vicine sono comunque quelle tra chiesa cattolica e comunità ebraica. Non mancano sui quotidiani i riferimenti alla situazione in Italia. L’Unità illustra come funziona il modello tedesco che piace al Pd: convivenze registrate pubblicamente, diritti analoghi alle coppie eterosessuali, con l’eccezione del regime fiscale. E limitazioni in materia di adozione. Il quotidiano intervista lo storico Massimo Salvadori, che dice: “La frattura non è tra credenti e laici, il problema vero è il clericalismo”. La Stampa intervista Niccolò Ghedini, deputato Pdl ed avvocato di Berlusconi che, sui matrimoni gay, dice: “Non sono affatto contrario. Ma credo che per superare le resistenze di natura culturale sarebbe corretto non chiamarli matrimoni”. Secondo Ghedini, in termini laici, bisogna pensare a rapporti di natura patrimoniale che ciascuno deve essere libero di orientare come meglio crede”. E sull’adozione: meglio un bambino adottato da una coppia gay che in orfanotrofio? Ghedini risponde: “Non ho dubbi che sia meglio per un bambino stare in un nucleo familiare di persone che si vogliono bene”, ma siccome “obiettivamente il fondamento della relazione naturale è l’unione eterosessuale, si pongono interrogativi che sono da discutere in maniera più approfondita”.
Internazionale
Grande spazio sul Corriere della Sera per la prima visita di un leader iraniano in Egitto: il presidente Ahmaedinejad è ospite al Cairo, ed è la prima visita di un leader della Repubblica islamica d’Iran da quando, nel 1980, le relazioni furono interrotte a seguito della rivoluzione khomeinista, all’ospitalità e poi ai funerali di Stato concessi allo Scià di Persia da Sadat, e alla pace firmata da quest’ultimo con Israele. Secondo il quotidiano al di là degli onori, il primo dei tre giorni cairoti del Presidente è stato un mezzo fallimento. Nel corso del dialogo con il Presidente egiziano Morsi, i due leader hanno discusso di come migliorare i rapporti bilaterali e risolvere il conflitto siriano senza interventi militari. Ma poco può cambiare, poiché per i Paesi del Golfo, principali sponsor dell’Egitto, l’Iran è un nemico e la sicurezza del Golfo, anche sul fronte del nucleare iraniano, è “una linea rossa che l’Egitto non supererà”, come ha detto il ministro degli esteri egiziano ieri. Sulla Siria, l’Iran è schierato con il Presidente Assad, mentre l’Egitto ne chiede la testa. Quanto al versante teologico della visita del presidente iraniano, il Corriere la descrive come altrettanto deludente: arrivato facendo il segno V di vittoria al colloquio con il grande imam di Al Azhar, il presidente iraniano si è sentito dire che il più prestigioso centro mondiale dell’Islam sunnita “respinge in modo categorico ogni tentativo sciita di intromettersi nei Paesi sunniti, a partire dal nostro fratello Bahrein” e “condanna le discriminazioni dei sunniti in Iran”. Non solo: l’imam di Al AZahr ha detto: “Avversiamo ogni tentativo di diffondere la fede sciita in Egitto”. Lo ha detto, in linea con i Fratelli Musulmani, e ancor più con i loro alleati salafiti. Ieri mattina la fondazione del partito salafita Al Nour aveva intimato al presidente Morsi di essere chiaro con il suo omologo iraniano nel ribadire l’appoggio dell’Egitto a tutte le nazioni sunnite e nel condannare il regime siriano e chi lo protegge”.
L’Unità si occupa invece delle indiscrezioni della tv israeliana canale 10 secondo cui il Presidente Obama si appresterebbe ad effettuare, nel prossimo marzo, la sua prima visita da Presidente in Israele e nei territori palestinesi. Obama è stato infatti in Israele prima di essere eletto, ma mai da quando, nel gennaio 2009, è alla Casa Bianca. La tv avrebbe appreso che funzionari americani sarebbero arrivati in Israele per discutere diversi aspetti della visita, e che nelle intenzioni di Obama si tratterà di un viaggio in cui “fare grandi cose” per “rilanciare il processo di pace”.
Il tour di Obama dovrebbe comprendere anche Turchia, Egitto ed Arabia Saudita.
Su La Stampa si dà conto degli sviluppi della inchiesta sulla strage di turisti israeliani avvenuta nella città bulgara di Burgas, nel luglio 2012. Il ministro degli interni bulgaro Tsvetanov ha annunciato che due persone residenti da tempo in Libano, con passaporto canadese e israeliano, risulterebbero tra gli organizzatori dell’attacco suicida. A Burgas morirono cinque israeliani, e ad essere accusato è il movimento sciita libanese Hezbollah.
Anche il Corriere della Sera se ne occupa, spiegando che i due accusati, nella ricostruzione fatta da Sofia, hanno vissuto in Libano tra il 2006 e il 2010, e che ci sono prove di un sostegno finanziario per compiere l’attentato da parte dell’apparato militare di Hezbollah. E soprattutto l’Ue a trovarsi in una posizione scomoda, poiché il primo ministro israeliano Netanyahu ha chiesto all’Europa di “raggiungere le necessarie conclusioni a proposito degli Hezbollah”. Finora l’Ue si è dichiarata indisponibile a seguire il percorso Usa e a dichiarare Hebzollah una organizzazione terroristica. Scrive La stampa che mettere Hezbollah nella lista nera significherebbe negare l’accesso a banche e finanza continentale. Britannici e olandesi potrebbero essere favorevoli, ma la frattura è con i francesi, che considerano gli sciiti libanesi un movimento politico e sociale, oltre che militare.