Il Corriere della sera: “Crisi, venti anni per recuperare. I calcoli del Fmi sul lavoro. Per il Tesoro Fisco e Pil vanno meglio del previsto”. E poi: “Sul decreto sui tagli agli Enti locali in Senato manca quattro volte il numero legale”.
A centro pagina, accanto alla copertina del New York Magazine che raffigura 35 delle 46 donne che sostengono di esser state violentate dal comico americano Bill Cosby, le parole del Capo dello Stato italiano: “Mattarella: gli egoismi pesano sull’Europa” e “ci batteremo per i marò”.
A fondo pagina la morte dello scrittore Sebastiano Vassalli con un estratto dal suo ultimo romanzo, in uscita.
Il Messaggero: “Renzi: Roma non merita questo”. “La lettera. Il premier al Messaggero: pronti ad aiutare la Capitale, Marino dia un segnale. Oggi il rimpasto in Campidoglio, braccio di ferro sui conti. Strappo di Sel: fuori dalla giunta”.
A centro pagina le stime del Fondo Monetario Internazionale:”‘Italia, 20 anni per recuperare’. L’allarme del Fmi sul lavoro. Il Tesoro: stime errate. Crolla la Borsa di Shangai, giù le europee”.
In prima – con la cronaca del processo per l’omicidio di Sabrina Misseri – anche le parole del presidente Mattarella sulla vicenda dei due marò.
La Repubblica: “Roma sul baratro, lascia anche Sel. Sanità, è battaglia”, “Marino in bilico, oggi tenta il rimpasto di giunta. Schiaffo dal premier: se la veda il sindaco con Orfini. Salute, rivolta di Regioni e medici: no ai tagli”.
E il retroscena di Goffredo De Marchis: “E Matteo non parla alla festa dell’Unità” (che si tiene a Roma, ndr).
A centro pagina: “Disoccupazione, l’Fmi gela l’Italia: vent’anni per tornare ai livelli pre-crisi”.
Sulla giustizia: “Intercettazioni: ‘Niente carcere per i giornalisti’. Scontro con i pm”.
A fondo pagina: “Pannella, rottura con la Bonino: ‘Emma non è più una radicale’”, “Il leader accusa: pensa solo al jet set”.
In prima anche la copertina del New York Times Magazine, con le foto delle donne che hanno denunciato di aver subito molestie sessuali dall’attore Bill Cosby: “Quelle donne in copertina, il coraggio sfida le molestie”.
Sulla colonna a destra un intervento di Gustavo Zagrebelsky: “La tragedia greca e la sovranità spodestata”, “L’Europa è un deserto dove comanda il potere dei creditori”.
La Stampa: “Il crollo cinese spaventa tutte le Borse”, “Shangai -8,5% e Milano scivola del 3%”, “Il Fmi: all’Italia servono 20 anni per tornare ai livelli pre-crisi”.
E l’analisi di Mario Deaglio: “Il rischio dell’effetto domino”.
In evidenza una foto di un aereo militare in decollo dalla base di Incirlik in Turchia: “Usa e Turchia asse contro l’Isis”.
Sulla giustizia: “Registrazioni, niente carcere per i cronisti”, “Cambia la legge: sì all’emendamento Pd”.
A centro pagina anche l’omicidio Scazzi: “Avetrana, confermati gli ergastoli in appello”, “Condanna per Cosima e la figlia, 8 anni a Michele”.
Il Fatto apre con un’intervista al Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato: “’Il bavaglio istiga all’omertà’”, “’Così penalizza il contributo dei cittadini nell’accertamento dei reati, non solo quelli di mafia ma anche quelli dei colletti bianchi’. Il Pd fa lo sconto e salva i giornalisti dal carcere per gli audio-rubati”.
Sul Comune di Roma: “Festa dell’Unità, Renzi in fuga dai suoi e da Marino”.
A centro pagina: “Sanità, una cura da Troika. Il Fmi: 20 anni per riprendersi”, “Stangata sulla salute: nei tagli peggio di noi solo la Grecia”, “Palazzo Chigi vuole fare cassa con il sistema sanitario, governatori in rivolta. Il Fondo Monetario: ‘Senza accelerazione della crescita, lontanissima la riduzione della disoccupazione a livelli pre-crisi’. Gallino: ‘Jobs Act bufala neoliberista, lo Stato assuma come Roosvelt’”.
Il Sole 24 ore: “Il crollo di Shangai (-8,5 per cento) spaventa le Borse europee”. “Per il principale listino cinese la maggiore caduta dal 2007: pesa il calo dei profitti”.
In alto: “Precettati gli autisti Atac. Scioperi: verso nuove regole”.
Di spalla: “Giustizia, sulle intercettazioni arriva l’emendamento Pd: niente carcere per i giornalisti”.
A centro pagina: “Fmi: lavoro ai livelli pre crisi tra venti anni. L’Italia riparte ma la disoccupazione (anche nell’area euro) resterà a lungo un problema. A giugno 61mila contratti in più con le trasformazioni a tempo indeterminato”.
Roma
Le pagine 2 e 3 de La Repubblica sono dedicate al Campidoglio e al sindaco Marino: “Roma, Marino perde un altro pezzo. Via anche Sel, maggioranza a rischio”, “Oggi la nuova giunta: il vice sarà Causi. Il maestro di strada Rossi Doria assessore alla scuola”. E il “retroscena” di Goffredo De Marchis: “Il grande gelo di Renzi: ‘Se la sbrighino loro, non voglio più parlare alla Festa dell’Unità’”. Si legge quindi che il “blitz” serale di ieri alla “kermesse del Pd” in corso a Roma da parte del presidente-segretario è stato pensato “per preparare il forfait al comizio di stasera”.
A pagina 3 un’intervista al vendoliano Nicola Fratoianni: Sel ha deciso l’appoggio esterno alla giunta Marino. Dice Fratoianni: “Lo scontro è tutto interno al Pd, ora governino se ce la fanno”.
“Renzi concede ossigeno alla nuova giunta Marino”, titola La Stampa parlando di una “tregua” tra il premier e il sindaco. Scrive il quotidiano a proposito del sindaco Marino che nel giorno in cui è rimasto ancora più solo ( visto che è stato “mollato” da Sel ed è “senza coperture politiche” da parte del presidente del Consiglio, con un fuoco mediatico “montante”), ha faticosamente ricucito una squadra che presenterà questa mattina in Campidoglio. A fine mattinata si conosceranno i nomi, ma non si tratterà di personalità capaci di incarnare simbolicamente una “svolta”: “la ‘società civile’ a Roma è sempre stata pigra -scrive Fabio Martini- povera di spirito civico e comunque nessuno in questo momento se l’è sentita di rispondere alla ‘chiamata’ di un sindaco in difficoltà come Marino. E così, dopo il passo indietro di Sel, Roma sarà governata da un monocolore Pd, all’interno del quale nessuno dei nuovi assessori rappresenterà Matteo Renzi o ne sarà ‘l’espressione’, neppure indiretta. Da 45 giorni Matteo Renzi -convinto che Marino faccia perdere voti al Pd- è impegnato in un pubblico logoramento del sindaco della Capitale, atteggiamento originale per un presidente del Consiglio, con un comportamento che si è sostanziato in dichiarazioni molto crude (“Se è in grado, governi, altrimenti vada a casa”), ma anche nel congelamento dei fondi straordinari per il Giubileo”.
Scrive ancora Martini che Marino avrebbe gradito l’indicazione di uno o più assessori da parte di Palazzo Chigi, “ma è rimasto a mani vuote”. E il nuovo vicesindaco, Marco Causi, non è certo “un commissario renziano”.
Il Fatto: “Festa dell’Unità in incognito: Renzi scappa pure dai suoi”, “La Capitale è ancora nel caos. E ieri il premier decide di fare un blitz alla festa romana del partito per evitare il comizio anti-Marino in programma per stasera”.
Renzi interviene con una lettera al Messaggero. Ricorda che Marino è sindaco da due anni e dunque “a lui oneri ed onori”, il Pd romano vuole solo “dare una mano a Roma” che “non merita” le pagine dei media internazionali sulla incuria e gli scioperi bianchi. Marino deve però “presentare progetti credibili e concreti dalla visione strategica fino alle buche per le strade o alla pulizia dei tombini quando piove”. “Se ne sarà capace avrà il nostro appoggio”.
Il Corriere sintetizza così la linea di Renzi su Marino: “Se ha il coraggio di farlo spetta a lui andare avanti. Il via libera condizionato del premier: nessun nome per gli assessori”.
Sulla stessa pagina il quotidiano milanese offre una intervista ad Alberto Asor Rosa: “‘Il degrado? Non tocca a me pulire. E i turisti americani girano mezzi nudi’. Dice che Marino ha vinto le primarie e le elezioni ma “invece di ricevere solidarietà e sostegno è finito sotto attacco” da parte del Pd, di Renzi e di “certe forze locali molto forti”, nel senso che Marino “si chiama Ignazio” ed è “il secondo gesuita che ha poteri di governo in questa città”.
Cina
Su La Stampa, alle pagine 2 e 3: “La Cina spaventa le Borse. Milano la peggiore in Europa”, “Nuovo scivolone, Shanghai perde oltre l’8% e trascina in calo i mercati globali”. Ilaria Maria Sala, da Hong Kong: “Un crollo senza motivo. Ma Pechino sta a guardare”, “Oggi agli investitori internazionali vietato vendere azioni”. “A prima vista – scrive Sala – sembra che il venir meno della fiducia degli investitori a Shanghai e Shenzhen non sia dettato da nulla di concreto: un panico di mercato in piena regola, con reazioni eccessive alle ultime notizie economiche di scarso rilievo sui cali di produzione o degli ultimi guai del mercato immobiliare cinese. Si è saputo che le autorità locali stanno cercando di acquistare immobili in alcuni dei luoghi più sinistrati dalla bolla speculativa (ovvero, in quelle città come Ordos, dove si sono create vere e proprie ‘città fantasma’, tutte costruite ma quasi interamente disabitate) per rivenderle a metà prezzo, ma anche così non riscuotono grande interesse. E si è visto che i consumi, dopo anni di ingordigia, stanno calando in diverse metropoli. Ma nulla, per l’appunto, che giustifichi la corsa verso l’uscita di sicurezza vistasi ieri in Borsa. Quello su cui gli analisti concordano è che il massiccio intervento governativo per fermare l’emorragia di mercato di tre settimane fa è all’origine del crollo di ieri”. Proprio quei titoli “che finora erano stati protetti sono crollati di più: le aziende di Stato, incluse quelle legate al petrolio e alle banche. La China Securities Finance Corporation, l’agenzia finanziaria sostenuta dallo Stato che ha immesso liquidità sui mercati quando erano in rosso, non ha comprato nemmeno le loro azioni, lasciando tutti a chiedersi se il governo abbia deciso di lasciare che il mercato se la sbrighi da sé”. A pagina 3: “Mercato e partito, la strana alleanza che adesso influenza anche gli Usa”, di Francesco Manacorda. Che scrive, a proposito delle ragioni che dovrebbero destare preoccupazione: “Lo scoppio della bolla finanziaria cinese (dal giugno 2014 al giugno scorso Shanghai aveva guadagnato il 150%) evidenzia tutti i problemi di un sistema economico unico al mondo”, con “economia di mercato e dirigismo spinto uniti in un abbraccio impossibile”, su cui non ci si soffermava “fino a quando la Borsa saliva”. E in prima su La Stampa da segnalare l’analisi di Mario Deaglio sul “rischio dell’effetto domino”: “Gli storici del futuro si interrogheranno a lungo sull’incredibile miopia dei Paesi avanzati, e dell’Unione europea in particolare, nel tumultuoso Anno del Signore 2015. E si domanderanno perché noi europei abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla piccola Grecia, trascurando pressoché totalmente la Grande Cina”. La caduta cinese deve impensierire l’Europa e gli Stati Uniti “non tanto per i riflessi immediati sulle esportazioni verso la Cina”, ma perché l’effetto domino del rallentamento economico cinese potrebbe rivelarsi molto più profondo del previsto e trascinare in una “pericolosa battuta d’arresto le economie del Giappone e di gran parte dei Paesi del Sud est asiatico”. E se “il motore della crescita cinese continua a rallentare” o addirittura “si spegne”, la prospettiva di una “stagnazione secolare” legata a invecchiamento, carico dei debiti pubblici dei Paesi ricchi e il torrente di innovazioni troppo spesso superate da altre prima di aver potuto ripagare gli innovatori, “diventa più prossima”.
Su La Repubblica, pagina 12: “La Cina spaventa l’economia mondiale. Shanghai meno 8,4%, contagio per l’Europa”, “Dopo i dati industriali peggior crollo di Borsa da 8 anni. Gli investitori non credono più in Pechino. Milano -3%”.
Sul Corriere Guido Santevecchi scrive che per “dodici mesi di fila, dal giugno del 2014, la Borsa di Shanghai aveva continuato a segnare record, salendo del 150 per cento, mentre i giornali controllati dal partito comunista invitavano gli investitori a scommettere sul Toro inarrestabile. E decine di milioni di piccoli risparmiatori, la nuova classe media della Repubblica Popolare, hanno continuato a credere alle rassicurazioni del partito anche quando a metà del mese scorso Shanghai e la Borsa secondaria di Shenzhen hanno cominciato a ridimensionarsi e loro a soffrire. Sono seguite tre settimane di picchiata che hanno bruciato il 30% dei guadagni (oltre tre trilioni di dollari di capitalizzazione).
Nella seconda settimana di luglio il governo ha deciso di intervenire, cercando di dominare il mercato. Lo Stato ha sostenuto la Borsa con liquidità per 200 miliardi di dollari e una serie di misure che dovevano alzare una diga: metà dei titoli sospesi, divieto ai grandi azionisti di vendere le loro partecipazioni per sei mesi, la polizia mandata a caccia degli speculatori. Per tre settimane la strategia ha funzionato e Shanghai ha recuperato il 16%. Il tentativo cinese di ingabbiare il mercato ha suscitato molte critiche internazionali, ma forse servirebbe più pragmatismo, perché se si inceppa il motore di Pechino, invece di ricevere la grande massa di prodotti made in China , il resto del mondo dovrebbe fare i conti con un’altra forma di esportazione: la recessione.
Il nuovo crollo della Borsa apre infatti un grande dubbio: il gruppo dirigente di Pechino, noto per la sua efficienza tecnocratica, è caduto in trappola ed è sull’orlo di una sconfitta umiliante e di una crisi profonda? Sarebbe la prima volta da quando Deng Xiaoping lanciò all’inizio degli anni 80 l’apertura al «mercato con caratteristiche cinesi». L’altra ipotesi è che il presidente Xi Jinping e il suo primo ministro Li Keqiang abbiano deciso di ridurre il sostegno statale e vedere se la Borsa è in grado di reggersi da sola (seguendo la lezione dei professori del libero mercato a ogni costo). Una scommessa rischiosa”.
Fmi, Europa
La Stampa, pagina 3: “Il Fondo monetario: all’Italia servono 20 anni per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi”, “Ma il Tesoro non ci sta: non si tiene conto delle riforme sul lavoro”. Il quotidiano cita le parole del “pronostico infausto” del Fondo Monetario Internazionale per i Paesi del Sud d’Europa: “Senza una significativa accelerazione della crescita” alla Spagna “ci vorranno quasi 10 anni per ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi, e all’Italia e al Portogallo quasi 20 anni”. Dal ministero dell’Economia, scrive il quotidiano, arriva “una risposta piccata”, secondo cui le stime del Fmi non tengono conto “delle riforme strutturali già introdotte: quella del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro”.
Sul Sole si elencano i rilievi degli economisti Fmi che “mettono nero su bianco cinque raccomandazioni per Roma, dall’efficienza del settore pubblico al lavoro. In ordine i consigli sono: ‘L’adozione e realizzazione della pianificata riforma dell’amministrazione pubblica’, che dovrebbe trattare anche la gestione delle risorse umane per sbloccare la produttività; ‘ulteriori misure volte a migliorare l’efficienza della giustizia civile’; rafforzamento delle politiche del Jobs Act e ‘misure concrete per ridisegnare’ il cosiddetto ‘wage supplementation scheme” (la CIG) ‘in un sistema universale di sostegno’ legato alla ricerca di lavoro e al training; ‘decentralizzazione della contrattazione salariale per una maggiore flessibilità nei contratti nazionali’; rapido varo e attuazione della legge annuale sulla competizione per affrontare barriere regolamentari in settori quali retail e trasporti. Il Fondo aggiunge che ‘la piena attuazione di riforme già legiferate da tutti i livelli del governo è necessaria per migliorare il contesto imprenditoriale’. Ma precisa anche che in Italia sono già avvenuti progressi, sul fronte della giustizia civile come del mercato del lavoro con il Jobs Act”
Su La Repubblica a pagina 13: “E l’Fmi avverte l’Italia: ‘Servono venti anni per anni per riavere gli occupati come prima della crisi”. Il Fondo Monetario, peraltro, come riferisce il quotidiano, ha sottolineato, parlando delle generazioni future, delle difficoltà che incontreranno nel mettere a frutto le competenze acquisite: rischiamo che cresca una “lost generation”, una generazione perduta.
Alla pagina precedente, un’intervista a Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review, che dice: “Le riforme unica via per stimolare crescita e lavoro”.
Sul Corriere Danilo Taino fa il punto del dibattito sulla riforma dell’Europa, sia dell’eurozona che della Ue. Ricorda il rapporto dei “cinque presidenti” che mira al completamento della architettura europea tra il 2017 e il 2025. Cita i contributi “nazionali” presentati da Italia, Francia, Germania.
Giustizia
È approdata alla Camera dei deputati la riforma del codice penale, con norme che riguardano – sotto forma di delega al governo – anche le intercettazioni. Ha creato e crea tensioni una proposta del Ncd sulle registrazioni fraudolente.
Su La Stampa, pagina 7: “Video e conversazioni rubate, ecco come cambia la legge”, “Il divieto non vale nei procedimenti giudiziari, niente carcere per i giornalisti. Spiare nella vita privata di qualcuno, invece, potrà costare una condanna a 4 anni”. L’emendamento che portava la firma del parlamentare del Ncd Pagano sulle registrazioni fraudolente (ribattezzato ‘norma bavaglio’) è stato riscritto e corretto dal Pd ed ha cambiato forma: nella sostanza -scrive il quotidiano- elimina il carcere per i giornalisti che registrano video e audio di nascosto. L’emendamento Pagano -che era stato approvato in Commissione Giustizia- prevedeva che “chiunque” diffondesse immagini o registrazioni di conversazione svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate al fine di arrecare danno all’immagine altrui è punito con il carcere da sei mesi a quattro anni. E il termine “chiunque” lasciava intendere che anche i giornalisti rischiassero il carcere. Di qui la riformulazione del testo: “la punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese costituiscono prova nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o sono utilizzate per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca”.
La Repubblica, pagina 6: “Bavaglio, il Pd corregge giornalisti non punibili ma è scontro con i pm”, “I dem cambiano la norma sulle registrazioni rubate, difendono invece i 3 mesi per chiudere le inchieste”. Le toghe, scrive La Repubblica, sono in allarme per altre due norme: quella che obbliga il pm a fare le richieste entro 3 mesi (richiesta di rinvio a giudizio o archiviazione, ndr.), pena l’avocazione delle indagini da parte del procuratore generale e quella che minaccia la sanzione disciplinare se non iscrive tempestivamente gli indagati.
Il quotidiano intervista il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti: “Una mannaia assurda imporre di terminare un’indagine in 90 giorni”. E sulle intercettazioni: “Inutile una legge, è il procuratore che deve stabilire se sono così rilevanti da essere trascritte in un’ordinanza”.
Su La Stampa, un’intervista al Procuratore di Torino Armano Spataro, che dice, delle registrazioni fraudolente: “Considero questa norma una forzatura: come ha già spiegato Giovanni Maria Flick per la Cassazione la registrazione di una conversazione cui si è partecipato è equivalente al racconto orale, anzi, a un documento da valutare”, “sarebbe meglio occuparsi delle intercettazioni telefoniche”. Dice ancora Spataro di considerare “grave che il governo abbia invece confermato il limite di tre mesi per chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione, sia pure a decorrere dagli accertamenti investigativi eventualmente chiesti dall’indagato”, “così si rischiano ricadute gravissime per le indagini, i cui tempi non si possono ridurre a un meccanismo burocratico”.
Su Il Fatto, intervista al procuratore di Palermo Roberto Scarpinato: “Questa legge spinge a non denunciare i reati”, “L’emendamento che vieta le registrazioni favorirà gli illeciti dei colletti bianchi”. Va segnalato il fatto che Scarpinato dice di non condividere il giudizio dei suoi colleghi Gratteri e Sabelli, secondo cui la norma che riduce a 3 mesi dalla scadenza del termine ultimo delle indagini il tempo per decidere la sorte di un’inchiesta: “non è la mia opinione”. Serve “qualche ritocco”, “il legislatore si è mosso per rimuovere stasi anomale del processo, però bisogna stare attenti a quei casi in cui non è possibile chiedere il rinvio a giudizio entro 3 mesi previsti in modo tassativo a causa della complessità degli atti processuali, o del fatto che si attende ancora l’esito di indagini delegate o ancora per altre circostanze oggettive. Un emendamento che preveda che in tali casi eccezionali, da motivarsi e documentarsi adeguatamente, il pm possa essere autorizzato dal giudice ad una proroga del termine può costituire un correttivo funzionale”.
Internazionale
Sul Corriere intervista a Khalifa al Ghwell, primo ministro del Congresso centrale nazionale, organismo che domina sulla regione libica di Tripoli fino al confine tunisino. Lamenta che l’Italia non riconosca il suo governo come fa invece con quello di Tobruk. Dice che sono difficili le ricerche dei quattro italiani rapiti, che i rapitori sono criminali legati alle vecchie milizie verdi di Gheddafi.
Su La Repubblica, alle pagine 14 e 15: “Uno ‘stato-cuscinetto’ contro l’Is. Ecco l’accordo tra Turchia e Usa”, “Nel nord della Siria nascerà una ‘zona di interdizione’ per proteggere i rifugiati. Confermato l’uso della base di Incirlik per i raid contro i droni”. Il politologo Steven Cook, del Council on foreign relations, dice: “In questo piano troppi lati oscuri, non mi fido di Ankara”, “Questa intesa avrà un effetto limitato nella guerra contro il Califfato. Il vero obiettivo è indebolire Assad”.
Su La Stampa, pagina 4: “Zona cuscinetto sul confine siriano. Intesa Usa-Turchia per isolare l’Isis”, “Fermerà l’arrivo di ‘foreign fighters’ e sarà controllata dai ribelli filo-occidentali”.