La Repubblica: “Renzi sul Senato: accordo possibile. Scontro con Grasso”, “Il presidente: Palazzo Madama non finirà in un museo”, “Da Verdini il sì alla riforma: entriamo in maggioranza”.
In evidenza la foto del quarantenne iracheno ucciso ieri in Germania, dove era già stato condannato per terrorismo: “Berlino, accoltella poliziotta, ucciso terrorista di Al Qaeda”.
In taglio basso: “La Fed: paura Cina, tassi invariati”, “La Bce all’Italia: usate il tesoretto dello spread per ridurre il debito”.
A fondo pagina, sulla vicenda Kyenge-Calderoli: “Se in Parlamento dire ‘orango’ non è considerato un insulto razzista”, di Chiara Saraceno.
E il dibattito in tv tra i candidati alle primarie dei Repubblicani negli Usa: “Carly Fiorina, la supermanager che vuole fermare Trump”.
Di spalla a destra: “La morte solitaria della donna invisibile”, “Trovata due anni dopo nella sua casa di Roma, la porta sigillata dai vicini”. Di Francesco Merlo.
La Stampa ha in prima una foto di profughi al confine serbo-ungherese e il reportage di Domenico Quirico dalla Serbia: “’Entreremo in Europa ad ogni costo’”.
A centro pagina: “Senato, scontro Renzi-Grasso”, “Il presidente: ‘Giorni convulsi, i prossimi saranno anche peggio’”, “Nervi tesi sulla riforma: il governo supera con ampio margine il primo test sui numeri”.
Sulle primarie repubblicane negli Usa: “Repubblicani, confronto dai toni pulp”, “I candidati alle presidenziali si accendono sui migranti e sull’accordo con l’Iran. C’è chi tiene testa a Trump”. Di Francesco Semprini.
In apertura a sinistra un editoriale di Franco Bruni sulle decisioni della Fed: “Così la Fed alimenta l’incertezza”, “Tassi Usa invariati”.
Il Corriere della sera: “Economia, i timori americani”. “‘Troppe incertezze globali’, la Fed non alza i tassi a sostegno della ripresa”. “La Bce a Roma: i risparmi dallo spread per tagli al deficit. Il governo: puntiamo sulla crescita”.
“Una scelta difficile e obbligata” è il titolo dell’editoriale di Massimo Gaggi dedicato agli Usa e all’economia.
In evidenza anche le dichiarazioni del Commissario europeo Moscovici: “‘Il debito vi danneggia’”.
Sulla politica: “Senato, la maggioranza tiene. Tensione tra Renzi e Grasso”. “La riforma in Aula. Bocciate le pregiudiziali dell’opposizione”. Sulla riforma una “analisi” di Michele Ainis: “Le sette bugie da smascherare”.
A fondo pagina la notizia del suicidio di un giovane: “Morte di Andrea in fuga dai bulli del web”. “Preso di mira sui social aveva cancellato il suo profilo. Poi non ha retto e si è ucciso”.
Infine, sulle presidenziali Usa e le primarie Repubblicane: “La grinta di Fiorina, Trump nell’angolo”.
Il Manifesto si occupa in apertura delle elezioni legislative che si terranno domenica in Grecia, con una foto del Parlamento greco: “Lotta di governo”, “’Chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare’. Nikos Kotziàas, ex ministro degli Esteri del governo di Alexis Tsipras, racconta al ‘Manifesto’ speranze e timori alla vigilia del voto greco. L’astensionismo è il vero nemico da battere, mentre gli ultimi sondaggi danno in testa Syriza”.
A centro pagina: “Anche la Croazia dice ‘Basta’. Orbàn: ‘Muro con la Romania’”.
E un intervento di Etienne Balibar: “L’emergenza che mette in movimento l’Europa”.
In prima anche una vicenda che coinvolge il centro di identificazione di Ponte Galeria, a Roma: “Rimpatriate nigeriane vittime della tratta. La decisione era stata sospesa. Alfano tace”.
Sulla colonna a sinistra: “Cgil, due modelli di democrazia: Camusso contro Landini”.
E sulle riforme costituzionali: “Renzi tra fiducia e contropiede, sfida Grasso e la minoranza Pd”.
A fondo pagina, sul Papa: “Francesco, pericoloso ‘femminista’”, di Bia Sarasini.
E un intervento di Patrizio Gonnella: “Nella legge delega sulla giustizia penale il governo si contraddice e rischia di cancellare quanto fatto di buono finora, cedendo al peggior populismo”.
Il Giornale: “Novità nel centrodestra. ‘Mi candido io a leader'”. Si parla di Alfio Marchini. “L’imprenditore romano scende in campo e lancia la sfida a Renzi”. E poi: “Senato, Renzi e Grasso si menano. E Mattarella scappa”.
Ancora sulla politica: “Per il premier è già iniziato il logoramento”, di Adalberto Signore.
Il titolo di apertura: “Trattati come uomini di serie B. L’esodo dei cristiani in fuga tra rapimenti e sgozzamenti”. “La proposta: li prendiamo noi”.
A centro pagina. “Ecco quanto guadagna la Camusso”. “Ipocrisie rosse”. “Il segretario della Cgil ha uno stipendio tre volte più alto di un operaio”.
Il Sole 24 ore: “Tassi Usa fermi allo 0,25. Manovra rinviata a fine anno. Debole Wall Street, il dollaro cede sull’euro”. “La Fed lascia il target dei Fed Funds a zero. Bassa inflazione e quadro internazionale dietro la scelta”. “Perché la Fed ha preferito non correre rischi” è il titolo dell’editoriale firmato da Fabrizio Galimberti.
Di spalla: “Senato, l’offerta di Renzi: listini nell’articolo 2. Più vicina l’intesa nel Pd”. “Modifica ‘blindata’, la minoranza apre”.
In alto: “Vertice Ue sui migranti, tensione sul confine croato”. “Consiglio straordinario il 23 settembre”.
A centro pagina i dati del Centro studi Confindustria sull’Italia: “Pil in rialzo (+ 1 per cento). Squinzi: l’Italia riparte, serve un forte slancio dalla legge di Stabilità”. Secondo le stime di Confindustria il Pil crescerà dell’1,5 per cento nel 2016 e sono attesi 500 mila posti di lavoro in due anni.
Riforme
La Stampa: “Gelo tra Renzi e Grasso. Al Senato si vota a nervi tesi”, “Il governo porta a casa con ampio margine il primo test sui numeri. Il premier smentisce: ‘Mai detto di voler trasformare il Palazzo in un museo’”. Si fa riferimento ad un articolo comparso ieri sullo stesso quotidiano: ieri di prima mattina il presidente del Consiglio ha smentito di aver pronunciato quelle parole di minaccia sul Senato. Il governo ha superato il primo test del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità sul disegno di legge Boschi con 171 voti. Ma “sale la tensione” tra il presidente del Consiglio e il presidente del Senato Grasso: il nodo è sempre quello dell’ammissibilità degli emendamenti all’articolo 2 sull’elettività dei senatori. Ha detto Renzi ieri: “Se il presidente del Senato riaprirà la questione dell’articolo due, ascolteremo le motivazioni e ci regoleremo di conseguenza”.
E intanto si continua a tessere la tela nel Pd nella ricerca di un’intesa sul merito – scrive il quotidiano – che superi le divisioni.
La Repubblica, pagina 2: “Senato, sull’articolo 2 spunta la mediazione. Primi sì in aula, Pd unito”, “I verdiniani votano la riforma. Renzi: ‘A gennaio alla Camera’. Grasso: ‘L’istituzione non finisce al museo’”. Silvio Buzzanca, che ne scrive, descrive come ottimistico l’atteggiamento di Renzi: e quest’ottimismo sarebbe basato su una “mossa a sorpresa” pensata da Palazzo Chigi, “un atto di generosità” della maggioranza che toccherebbe l’articolo 2, per inserire le richieste della minoranza dem sul listino dei futuri consiglieri-senatori da eleggere alle Regionali.
E sulla stessa pagina il “retroscena” di Francesco Bei: “E il premier apre: intesa possibile ma senza ricominciare daccapo”, “Il capo del governo: ‘Io ho i numeri ma coinvolgerò la minoranza’. L’idea di cambiare solo il comma 5: alle regioni la ratifica dei senatori”, “Palazzo Chigi: se si fa l’accordo, si approva subito anche la legge sulle unioni civili”. L’ultimo tassello della strategia di Renzi -scrive Bei – riguarda Berlusconi: da Forza Italia, ha spiegato il premier ai suoi, arrivano segnali positivi (“metteteci nella condizione di poter votare a favore delle riforme”, si sarebbe detto in Fi). La condizione posta dall’ex Cavaliere sarebbe la riforma dell’Italicum con la reintroduzione del premio di maggioranza alla coalizione (e non al partito). Almeno “per il momento” Renzi continua ad essere contrario, ma è già capitato che un suo secco “no” diventasse “prima un Ni e poi un Sì”.
Sul Sole si parla del “riavvicinamento, nel comune impegno per le popolazioni alluvionate del piacentino, tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani durante l’incontro in Prefettura ieri a Piacenza. Una stretta di mano e due minuti di colloquio che segnano tuttavia una piccola svolta, dato che i due non si parlavano dai tempi dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale”. Contemporaneamente, al Senato, un riavvicinamento di posizioni è segnato dalla “palla è stata lanciata dalla ministra Maria Elena Boschi”, che ha ricordato nella intervista al Corriere che “il quinto comma relativo alla durata del mandato dei senatori, essendo stato modificato alla Camera con la sostituzione della parola ‘nei’ con la parola ‘dei’, può essere emendato. E dunque eccolo, l’uovo di colombo: aggiungere il principio della ‘designazione’ dei futuri senatori alla fine di quel comma, prevedendo ad esempio che i senatori siano eletti ‘sulla base dell’indicazione degli elettori secondo quanto stabilito dalle leggi elettorali regionali’. Un uovo di colombo che permette a tutti un’uscita onorevole dall’impasse in cui ci stava cacciando in Senato, come fanno notare gli sherpa al lavoro: il governo può dire che viene rispettato il principio della doppia copia conforme (e soprattutto che si fa salvo il secondo comma dell’articolo 2, quello che stabilisce il principio dell’elezione di secondo grado”, mentre “la minoranza del Pd può dire da parte sua che il principio della ‘designazione’ diretta da parte degli elettori non solo c’è, ma è inserito nell’articolo che gli è proprio e cioè in quello sulla composizione e le modalità di elezione del nuovo Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali'”. L’accordo permetterebbe anche a Grasso di “fare con più serenità la sua scelta sull’emendabilità dell’articolo 2”.
Su La Stampa, intervista al senatore Vincenzo D’Anna, “fuoriuscito”, nel senso che ha lasciato Forza Italia e ha seguito Denis Verdini dopo lo strappo con gli azzurri: “Questa riforma è una fetenzìa però mi turo il naso e mi sa che la voto”, “Renzi ci porterà tutti in una grande Dc”.
E ancora su La Stampa un retroscena di Carlo Bertini e Ugo Magri: “Scout e chirurghi al lavoro per evitare che scorra il sangue”, “Tentativi di mediazione a Palazzo Chigi: dialogo a 360 gradi”. Parlando di “campagna acquisti” si scrive che con il suo pressing, Renzi ha già conquistato alla causa un paio di ex grillini e tre senatori che fanno capo al sindaco di Verona Flavio Tosi.
“Niente inciuci con Renzi, solo consulenza”, dice lo stesso Tosi, intervistato da La Repubblica dopo il suo incontro a Palazzo Chigi con il premier.
“La Carta riscritta al ‘Calciomercato’” è il titolo di un articolo de Il Manifesto a firma di Andrea Colombo. Detto che “le manovre in cui Verdini è maestro e Lotti allievo promettente dovrebbero portare al recupero di Ncd , che aveva espresso dubbi, si parla delle acquisizioni: “tre senatrici tosiane, preziosissime, sono in cassaforte”, “due cosentiniani, fedelissimi di Nick il galantuomo, hanno già fatto il salto per due posti invidiabili, sottosegretariato e presidenza di commissione”, altri due senatori ex grillini ora al gruppo misto tra cui Orellana vengono “dati per acquisiti”.
Sul Giornale, Laura Cesaretti scrive dello “scontro armato” tra Renzi e Grasso cita un esponente Pd che dice: “‘Da che esiste la democrazia parlamentare comunicare con governo e maggioranza, oltre che con l’opposizione, sulle scelte importanti è uno dei compiti dei presidenti delle Camere’ mentre ‘Grasso, ostaggio dell’alta burocrazia di Palazzo Madama che non vuole la riforma, non risponde neppure alle telefonate di Zanda o della Finocchiaro. Un gesto di maleducazione, oltre che di goffaggine istituzionale'”. Si cita anche il pensiero di Renzi su Grasso: “‘Nonostante sappia bene che, se decide di non ammettere gli emendamenti all’articolo 2, l’accordo su tutte le modifiche possibili si trova in un attimo, anche dentro il Pd'”. In ogni caso il premier avrebbe ormai “la certezza di avere i voti per far approvare in tutta serenità la riforma costituzionale”. E tuttavia se Grasso “esporrà l’articolo 2 al fuoco di fila degli emendamenti, la situazione diventerà incontrollabile. Per questo Renzi ha deciso di alzare i toni e fargli capire due cose: primo, che se lo facesse scatenerà uno tsunami politico senza precedenti e, secondo, che non ne guadagnerà nulla per se stesso. Altro che ‘governi istituzionali’ da lui presieduti: ‘Dopo questo governo c’è solo il voto’, ribadisce Renzi. E lo dirà anche nella relazione alla direzione del Pd di lunedì”.
Sul Sole, Paolo Pombeni scrive che è abbastanza ovvio che Renzi consideri il voto sulla riforma un punto sul quale minacciare le dimissioni, visto che una eventuale bocciatura significherebbe una bocciatura della linea del partito di maggioranza relativa. “Ciò che è molto discutibile è che questo comporti automaticamente lo scioglimento della legislatura. Questa decisione spetta in senso non solo formale al Presidente della Repubblica che deve fare quel passo solo dopo aver verificato che in Parlamento non esista una maggioranza capace di sostenere un nuovo governo”. E insomma è sempre possibile, in caso di crisi, un “governo del presidente “per salvare la sessione di bilancio e il varo della legge finanziaria senza la quale la ripresina in atto nel paese rischia molto (e senza la quale un aiuto da Bruxelles sull’allentamento dei vincoli comunitari è impossibile)” oltre al fatto che un voto anticipato sarebbe fatto “con la legge elettorale risultante dalla sentenza della Consulta” ovvero con il Consultellum.
Sul Corriere, Michele Ainis elenca sette “bugie” che circolano sulle riforme e sulla riforma del Senato in particolare. Che da anni non si riformi la Costituzione (“dal 1989 sono state approvate 13 leggi di riforma costituzionale”), che il governo non dovrebbe intervenire in materia (l’ha sempre fatto), che l’iter delle leggi è lento per colpa del bicameralismo e che non si riescono a fare le leggi, l’elezione diretta dei senatori che “non c’è neppure in Francia o in Germania o in varie altre contrade”, che Grasso non potrebbe decidere diversamente da Finocchiaro (c’è un precedente, quando il presidente Pera ammise alcuni emendamenti giudicati inammissibili in Commissione. Erano firmati tra gli altri dall’attuale capogruppo Pd Zanda). Ainis contesta anche l’affermazione che avremo un Senato a costo zero ricordando che “l’unico Senato gratis abita nei Paesi dove non c’è il Senato”. E ricorda che le elezioni anticipate sono una eventualità poco probabile perché si voterebbe con il “Consulutellum”, “un proporzionale puro, e il primo a rimetterci sarebbe proprio Renzi”. Più probabile invece un voto dopo la riforma del Senato, quando entrerà in vigore l’Italicum, ovvero nel 2016.
Profughi
Su La Stampa, alle pagine 2 e 3, il reportage di Domenico Quirico da Horgos, in Serbia: “Tra i profughi senza più paura, ‘Passeremo a qualunque costo’”, “Le donne e gli uomini in fuga dalla guerra, sempre più organizzati e determinati. Non chiedono accoglienza, la pretendono: ‘Perché gli altri sono entrati e noi no?’”.
E a pagina 5: “L’onda arriva in Croazia, nuova crisi. Vertice straordinario dell’Europa”, “Zagabria: posti già esauriti, stop o inviamo i militari. Bruxelles spinge per quote vincolanti. I dati del Viminale rivelano che in Italia sono sbarcati quest’anno 11 mila migranti in meno”.
Su La Repubblica il reportage di Daniele Mastrogiacomo da Tovarnik: “’Lasciateci passare’, i migranti sfondano il muro della Croazia, scontri con la polizia”, “In migliaia si accalcano davanti alla stazione di Tovarnik e danno l’assalto al cordone di agenti per salire sui treni per la Germania. Zagabria e la Slovenia: ‘Chiudiamo le frontiere’”, “Vivere a Homs -racconta Mohamed- era diventato impossibile per la guerra. Non è stato facile arrivare fin qui: in mare mi ha salvato la Marina militare”.
Su Il Manifesto: “Zagabria: ‘Stop agli arrivi’”, “Oltre 7.000 gli arrivi in Croazia. La Slovenia reintroduce i controlli alle frontiere e la Bulgaria manda truppe al confine con la Turchia”, scrive Giacomo Scotti da Zagabria.
E Massimo Congiu, da Budapest: “Il desiderio di muri di Orbàn non finisce mai”, “Il premier a Le Figaro: ‘Nuove barriere con Romania e Croazia’”.
Il 23 settembre, intanto, si terrà un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo: lo ha convocato il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk. Il Parlamento europeo ieri si è espresso con un sì alla redistribuzione di 120 mila profughi proposto dal presidente della Commissione Ue Juncker. Se ne occupa Anna Maria Merlo, che ne scrive da Parigi.
Sul Giornale una intervista alla deputata Paola Binetti che appoggia la campagna del quotidiano “li prendiamo noi” sui cristiani perseguitati nel mondo. Italia ed Europa non stanno facendo abbastanza, “ci siamo mossi tardi di fronte ad un esodo biblico. Soltanto quando quel fiume di persone è arrivato dentro casa nostra ci siamo svegliati, decisamente troppo tardi”. “É peculiarità del cristiano difendere tutti e non fare differenze. Il primo passo per l’evangelizzazione è l’aiuto dell’altro che attraverso la conoscenza dei nostri valori si apre alla possibilità della conversione. Noi non escludiamo nessuno”. E più avanti: “Non può esserci un’accoglienza ad excludendum” e comunque “una cosa mi sento di escludere: l’islamizzazione dell’Italia, non è un rischio che possiamo correre”.
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini fa il punto sui preparativi italiani in vista del consiglio Ue. “La road map inviata a Bruxelles. ‘Gli hotspot in cambio di trasferimenti e rimpatri’. Un centro in ogni regione italiana, ecco dove andranno i migranti”. Entro un anno ogni regione avrà un centro di accoglienza, in alcuni casi sarebbero già operativi e sono comunque tutti già stati identificati. La lista di hotel, caserme, edifici industriali è stata trasmessa alla Commissione Ue. Quanto agli hotspo, il quotidiano scrive che a Lampedusa è stata avviata la “sperimentazione” anche per “testare la collaborazione con i funzionari internazionali che parteciperanno alle operazioni di fotosegnalamento e identificazione degli stranieri”, 44 persone che dovranno affiancare la polizia nell’azione di registrazione dei migranti.
Sul Sole una intervista di Beda Romano a Jiri Katainen, uno dei vicepresidenti della Commissione europea e Tibor Navracsis, commissario all’istruzione. “Il nuovo Fondo Ue per gli investimenti strategici può aiutare l’Unione a gestire l’emergenza immigrazione”. L’Europa, più ancora che su strade e infrastrutture, dovrebbe investire in educazione – dice Katainen. Altri Paesi, come il Brasile o il Sudafrica, investono in istruzione una percentuale del Pil superiore a quella europea (5,3 per cento). Educazione e istruzione possono aiutare molto nell’accoglienza ai profughi, come conferma Tibor Navracsis.
Sul Messaggero viene intervistata Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i profughi e i rifugiati. Sulle critiche all’Onu e all’Unhcr che resterebbe “alla finestra” ricorda che l’Unhcr oggi si occupa di 45 dei 60 milioni di rifugiati nel mondo ma “non possiamo né vogliamo sostituirci a chi di questa emergenza ha delle precise responsabilità”, ovvero “i governi dei singoli Stati che hanno preso accordi e sottoscritto trattati”.
Is, Siria, Russia, Iran
Su La Repubblica due pagine firmate da Paolo Garimberti tracciano lo “scenario” relativo al “dilemma Assad” nelle strategie di America ed Europa per fermare la guerra in Siria: e tra gli attori si affermano la Russia e l’Iran appena sdoganato. “Siria, gli Usa pronti a discutere con Mosca. Ecco alleati e nemici nella partita contro l’Is”.
Sul Sole: “L’interesse di Putin per la pax siriana”. “L’attivismo in Medio Oriente e una possibile iniziativa per disinnescare la crisi di Damasco servono anche a far dimenticare il conflitto in Ucraina”.
Fed, Bce
La Federal Reserve, la banca centrale Usa, ieri ha deciso di non rialzare i tassi, che restano vicini allo zero (tra 0 e 0,25%). Anzi, a frenare l’economia, spiega la Federal Reserve, ‘potrebbero essere gli eventi finanziari globali’: l’inflazione resterà nel breve termine ai minimi e continuerà a salire gradualmente verso il 2% nel medio termine”. La decisione annunciata dalla presidente Yellen di non rialzare i tassi è coerente con le scelte della Fed degli ultimi nove anni. Infatti i tassi non salgono dal 2006, prima che esplodessero la crisi dei mutui subprime (2007), il fallimento di Lehman (2008) e la grande recessione, prima statunitense e poi mondiale.
Su La Repubblica: “Le Fed non alza i tassi. ‘L’economia mondiale rischia di rallentare’”, “’Meglio Pil e occupazione Usa, na ci sono incertezze esterne. L’aumento a ottobre resta una possibilità’”.
E l’analisi di Maurizio Ricci: “La sindrome cinese preoccupa la Yellen: niente stretta”, “Troppo brusca la frenata di Pechino. Il pericolo è una fuga ancora più forte dei fondi dai Paesi emergenti con possibile tempesta finanziaria”.
E il quotidiano intervista Lorenzo Bini Smaghi, che ha fatto parte del board Bce: “L’allarme di Bini Smaghi: ‘Il rinvio causerà instabilità. Così si deprime la crescita’”, “I tassi più alti avrebbero drenato un po’ di liquidità in eccesso che è causa della volatilità delle Borse”.
La Stampa: “La Fed non aumenta i tassi. ‘Preoccupa l’economia globale’”, “Yellen sceglie la cautela: ‘L’inflazione cresce meno del previsto’. L’incremento del costo del denaro però può avvenire già in ottobre”.
Il quotidiano intervista Fed Huszar, già direttore della Fed per il programma ‘Quantitative easing’, che dice, parlando della presidente della fed: “Janet ostaggio di Wall Street. Così si rischia una nuova bolla”, “bisogna agire prima del voto” (negli Usa, con le presidenziali nel novembre 2016).
Alla pagina seguente, l’analisi di Francesco Guerrera: “Investitori e consumatori festeggiano. Ma il segnale è che la crisi non finisce”, “I burocrati di Washingtom pompano ossigeno nell’economia mondiale”.
Sul Sole Fabrizio Galimbert ricorda il detto di Keynes (“è sempre l’inatteso che accade”. Stavolta è successo proprio quel che la maggioranza aspettava, la Fed ha lasciato i tassi vicini a zero, ma lo ha fatto in base ad una analisi sul futuro che corrisponde alla battuta dell’economista. “Più che nel passato, l’incertezza si estende a quel che succede nel resto del pianeta. L’analisi del comunicato non lascia dubbi sul fatto che la decisione della Fed di lasciare i tassi a minimi storici riposa sui timori di avversi sviluppi all’estero, specie nelle economie emergenti”. La Fed poteva alzare i tassi o lasciarli invariati. “Ma alzarli voleva dire correre un rischio maggiore (turbolenza nei mercati e/o rallentamento dell’economia) rispetto al rischio di lasciarli bassi (in quest’ultimo caso si può sempre intervenire più tardi)”.
Per Massimo Gaggi quella della Fed è stata “una scelta difficile ma obbligata”. Al contrario delle aspettative di qualcuno (“la stessa Banca centrale aveva creato aspettative in questo senso all’inizio dell’estate”) la Fed ha dovuto considerare “le turbolenze di agosto, la crisi cinese, i crolli asiatici e il nervosismo planetario dei mercati”. Nel suo incontro con la stampa la presidente della Fed “ha cercato di minimizzare il significato di questo ulteriore rinvio del primo passo verso il ritorno alla normalità nei mercati finanziari dopo sette anni di gestione emergenziale delle economie” ma la Fed rimane in attenta osservazione delle condizioni di “estrema fragilità” dell’economia. “La crisi cinese è gestibile, ma non abbiamo ancora visto il peggio, mentre vi saranno conseguenze negative di lungo periodo anche per il rallentamento delle economie emergenti come quella brasiliana”. “L’allarme vero adesso si sposta sull’inflazione”. Si ricorda che quest’anno la previsione di una crescita dei prezzi dello 0,7 per cento è stata ridotta allo 0,4. “I banchieri centrali ritengono che non torneremo in vista del traguardo del 2% prima del 2018 (1,7 l’anno prossimo e 1,9 quello successivo). Da qui la decisione di muoversi con ancora più prudenza”.
Su La Stampa: “Draghi taglia le stime di crescita e bacchetta l’Italia sul deficit”. Scrive Tonia Mastrobuoni che “la Bce avvisa Roma: ‘Non usi il tesoretto dei tassi di interesse per fare altre spese’”.
La Repubblica: “Bce avverte l’Italia: ‘Usi il tesoretto spread per tagliare il deficit’”, “E l’Fmi è freddo sull’abolizione della Tasi prima casa: ‘Meglio detassare il lavoro’. Oggi il Def con il Pil rivisto”, “La Confindustria alza le previsioni di crescita all’1% per il 2015 anche grazie alle esportazioni”.
Sul Sole: “L’Italia riparte ma servono misure ambiziose”. Si dà conto della conferenza stampa del presidente di Confindustria Squinzi che ha chiesto “politiche e provvedimenti ambiziosi, a cominciare dalla legge di stabilità”. Serve intervenire su burocrazia, giustizia, fisco, riforme. “Va colta l’occasione di fattori ‘straordinariamente favorevoli’ che stiamo vivendo e ai quali è dovuta ‘buona parte’ dell’aumento del pil: il prezzo del petrolio, il cambio dell’euro, i tassi bassi. ‘Sono fattori una tantum, esauriti i loro effetti positivi, in un paio d’anni, il rischio è tornare allo zero virgola, o anche peggio. Sono un’opportunità che va assolutamente colta’”. Anche il taglio delle tasse annunciato deve essere “credibile” e accompagnato da una “rigorosa spending review”.
Grecia
Le prime due pagine de Il Manifesto sono dedicate alle elezioni legislative di domenica prossima in Grecia. A pagina 2 un’intervista a Nikos Kotzias, ex ministro degli Esteri del governo Tsipras: è candidato nella speciale “lista chiusa” proporzionale in cui vengono inseriti i nomi più autorevoli di ogni partito. Dice: “’Temiamo l’astensione’”, “Non governeremo con Nea Demokratia. Il problema non è conquistare i moderati, ma convincere gli indecisi, soprattutto i giovani delusi”.
E a pagina 2 un’analisi di Dimitri Deliolanes: “La sfida di Tsipras: costruire una sinistra di governo”, “L’ex premier dovrà gestire il Memorandum con alleati scomodi”, “Nel partito molti pensano che sarebbe meglio tornare all’opposizione. E si profila un’alleanza con gli oligarchi di To Potami”.
Sulla stessa pagina: “Alba Dorata ‘rivendica’ omicidio Fyssas ma regge nei sondaggi”. Il leader del partito, Nikolaos Michaloliakis, ha riconosciuto per la prima volta il coinvolgimento nell’omicidio del giovane rapper antifascista Pavlos Fyssas nel 2013 (“ammetto la nostra responsabilità politica” nella sua morte, ha detto, “ma nego che abbiamo avuto un qualche ruolo penale nella vicenda che consideriamo come un atto riprovevole”). Alba Dorata è accreditata nei sondaggi al 6,5% (nel 2012 conquistarono il 7%), il loro slogan è “No al memorandum, no all’immigrazione illegale”.
E sui sondaggi, un articolo di Teodoro Synghellakis: “Syriza prima. Unione popolare oltre il quorum”. Syriza sarebbe al 29%, il centrodestra di Neo Demokratia al 25,4%, il partito To Ptami centrista al 5,1%, seguono i comunisti del Kke e il Pasok al 5%, Unità popolare dell’ex ministro Lafazanis al 4,2%, e i Greci indipendenti, che hanno governato insieme a Syriza, al 3,1%.
Sul Corriere un articolo di Marco Imarisio: “I sondaggi greci hanno lo stesso valore di quelli nostrani, l’affidabilità non è il loro requisito primario. Eppure qualcosa, nella percezione della figura di Tsipras è cambiato, almeno a casa sua. La trasformazione da utopico tribuno a pragmatico capo di governo comporta un prezzo da pagare” e oggi “è di gran lunga il male minore che si augura l’Europa”. Ma “alla fine è probabile che non vinca nessuno”, per Syriza “è quasi impossibile” arrivare alla maggioranza assoluta di 151 seggi. Impossibile che Syriza accetti un governo di grande coalizione con Nuova Democrazia. E dunque “la Grecia potrebbe ritrovarsi un governo simile a quello che ha appena lasciato”.
Da segnalare sul Sole un articolo del premio Nobel per l’economia Edmund Phelbs dal titolo “Il vero freno dell’economia greca”. “A zavorrare il rilancio non è l’austerità ma il sistema delle politiche clientelari” e il “favoritismo” di quel Paese. E poi i “fondamentali sbagliati”, ovvero “pensioni alte dei dipendenti pubblici” le “pessime performance anche nel settore privato” .