Il Corriere della sera: “Italicum, prova di forza di Renzi”. “In assemblea passa la linea del premier: nessuna modifica alla riforma”. “La minoranza del Pd evita lo scontro, il capogruppo Speranza si dimette”.
Da segnalare un articolo di Aldo Cazzullo dedicato all’ultimo libro di Romano Prodi: “Prodi boccia il metodo Matteo: preferisco Letta”
A centro pagina: “Bufera sulle Regionali. Liguria, Paita indagata”. “Candidata Dem accusata di omicidio colposo per l’alluvione”.
La fotonotizia è per l’assalto a Draghi: “Draghi e il balzo dell’ex Femen”.
A fondo pagina: “Le due Milano che si sfiorano in Duomo. Funerali di Stato per la strage in Tribunale. Nelle strade folla e curiosità per il design”.
In evidenza in prima anche: “Gentiloni apre: sì ad operazioni anti Isis in Libia”.
La Repubblica: “Pd, scontro finale sull’Italicum. Speranza si dimette”, “Il gruppo approva la riforma, la minoranza non vota”, “Il leader: sì alla legge o sarà crisi. Bersani: io non ci sto”, “Alluvione in Liguria: indagata la candidata dem Paita”.
La foto a centro pagina è per l’irruzione di Josephine Witt, attivista Femen, durante la conferenza stampa del presidente Bce.
La notizia da Bruxelles a centro pagina: “L’Europa attacca i giganti del web. Google rischia sei miliardi di multa”.
Nella colonna di apertura a sinistra, una lettera del capo della polizia Alessandro Pansa rimanda alle polemiche sorte dopo un post di un agente sul caso della scuola Diaz al G8 di Genova: “Il capo della polizia: rabbia per quel post, mai più un’altra Diaz”.
Il “racconto” di Gad Lerner: “L’ultimo saluto di Milano alle vittime del tribunale. Emozione, ma niente folla”.
Sulla colonna a destra: “Che cosa vuol dire la parola genocidio”, di Adriano Sofri. “La Ue: la Turchia riconosca lo sterminio degli armeni. Risposta sprezzante di Erdogan”.
A fondo pagina, il richiamo ad un’intervista del quotidiano a Padre Georg: “I segreti di Ratzinger. Provai a convincerlo a non lasciare”.
La Stampa: “Renzi, Italicum, governo in gioco. Caos Pd, scoppia il caso Liguria”, “Speranza si dimette da capogruppo: profondo dissenso”, “Drammatica assemblea dei deputati, l’area riformista non partecipa al voto: le riforme non si fanno così”.
A centro pagina, con foto del presidente Bce ieri in conferenza stampa: “Agguato (con coriandoli) a Draghi”, “Ex Femen tedesca ‘attacca’ il presidente Bce alla conferenza stampa”.
A sinistra: “Putin, la Libia e i 5 mila soldati anti Isis: domani Renzi da Obama”.
In prima le anticipazioni di un libro di Romano Prodi: “’I leader guidano, non inseguono’”, “Libro-intervista: Bossi mi voleva nella Lega”.
Il Fatto, con le foto di Pierluigi Bersani e Matteo Renzi: “Miracolo Italicum, 10 deputati in più”, “Uno dei costituzionalisti interpellati alla Camera scopre una voragine nella nuova legge: gli onorevoli salgono da 630 a 640. Renzi al Pd: ‘O così o cade il governo’. La minoranza si squaglia, Speranza si dimette da capogruppo”.
Anche qui un richiamo al libro-intervista di Romano Prodi: “’Matteo premier ma senza un voto’”.
A centro pagina, sulla candidata pd alla presidenza della Regione Liguria: “Alluvione, Paita indagata: ‘Omicidio e disastro colposi’”, “La candidata Pd era assessore e non diede l’allarme alla popolazione”, “Dopo De Luca in Campania, Rossi in Toscana, crisafulli a Enna e Spagnoli a Bolzano, un’altra macchia sui dem a un mese del voto. E a 24 ore dalla visita del premier sui luoghi del disastro. Lei: ‘Sono a disposizione del partito’”.
Sul caso Diaz: “Via il vicequestore: ha scritto ‘mi piace’ sull’inno alla Diaz”, “Nelle questure resiste lo zoccolo duro dei picchiatori”.
A fondo pagina, la questione armena: “Erdogan, guerra santa: ‘Il Papa male assoluto’”, “Il presidente turco, musulmano, ancora contro Bergoglio che ha denunciato la persecuzione. La Ue riconosce il genocidio”.
Il Giornale: “La rivolta dei codardi. Sinistra nella bufera”. “La minoranza minaccia di far cadere Renzi, ma si arrende. Indagata pure la candidata Pd in Liguria”.
A centri pagina, sul “rischio invasione”: “Immigrati, Lombardia e Veneto chiudono”. “Folle ipotesi: far lavorare i profughi al Giubileo in Vaticano”.
Il Sole 24 Ore: “Draghi: il Qe funziona, avanti con gli acquisti”. “Irrompe la protesta, un’attivista interrompe la conferenza e lancia coriandoli al presidente”. “Fmi: sofferenze bancarie a 900 miliardi in Europa”.
Di spalla: “Assemblea Pd, passa la linea Renzi: ‘Sì all’Italicum senza modifiche’. E’ scontro, Speranza di dimette”.
A centro pagina: “Affondo Ue su Google, aperte due indagini”. “Nel mirino motore di ricerca e Android. L’azienda: accuse infondate”.
Molto spazio oggi per i dati su vendite su carta e in digitale per il quotidiano, con articolo del direttore Napoletano: “Il sistema multimediale del Sole e il coraggio di cambiare”.
Italicum, Pd
La Stampa, pagina 2: “Pd lacerato sull’Italicum. E Speranza si dimette”, “Renzi: governo legato alla legge elettorale. I bersaniani non votano”. Carlo Bertini scrive che il premier-segretario non si è lasciato impressionare dal “colpo ad effetto” delle dimissioni del capogruppo.
Il Fatto, pagina 3: “La Speranza è finita: la minoranza Pd arriva al capolinea”, “Il premier-segretario minaccia: ‘O la legge elettorale o le elezioni’. Il capogruppo alla Camera si dimette”. Ricorda Wanda Marra che Speranza era stato “scelto (anzi praticamente imposto) da Pierluigi Bersani” ed era stato confermato da Renzi: “era diventato l’ufficiale di collegamento tra lui e le minoranze. L’uomo del compromesso, con il compito di portare al segretario-premier voti e deputati necessari. Con le sue dimissioni, la minoranza si divide, anzi si frantuma sempre di più”. Si spiega poi che ieri Speranza aveva tentato ancora una volta di ottenere da Renzi un’apertura: altrimenti, la minoranza bersaniana avrebbe votato ‘no’ : ma all’assemblea del gruppo, non in aula. Tuttavia nel corso dell’assemblea Speranza non è riuscito a portare sulla linea del ‘no’ la minoranza: è prevalsa la scelta del non voto: al capogruppo, allora, non è rimasto che dimettersi e ora è diventato “minoranza della minoranza”.
La Repubblica, alle pagine 6 e 7: “Italicum, Renzi tira dritto: ‘Subito il sì alla legge o il governo cadrà’”, “Il capogruppo si dimette. Via libera dai deputati pd. La minoranza non vota. Il premier: cambia la riforma del Senato”. Nel suo “retroscena” Goffredo De Marchis parla di un Armageddon, lo scontro finale “che Renzi voleva evitare”. E intanto con le dimissioni, Speranza “diventa il capo della minoranza”, “trasforma la riunione in un braccio di ferro definitivo. Pierluigi Bersani attacca a testa bassa: ‘Ma che partito è un partito che non si ferma a discutere delle dimissioni del suo capogruppo? Non vi sfiora il dubbio che stiamo costruendo un sistema del ‘ghe pensi mi’?’. Renzi ascolta serafico e con i suoi fedelissimi commenta senza scomporsi: ‘Quello che vedo io è che si stanno dividendo tra loro’. Intende i dissidenti. Il premier non si ferma. Rilancia: l’Italicum va approvato così com’è”.
Alle pagine seguenti, ancora su La Repubblica: “La trincea dell’opposizione: ‘Battaglia in commissione, non ci faremo sostituire’”, “Speranza tenta l’ultima mediazione: ‘Sarò leale, mi auguro che qualcosa cambi. Sul mio destino decide il gruppo’”. Scrive Giovanna Casadio che Rosy Bindi ha fatto subito sapere che presenterà propri emendamenti in Commissione Affari costituzionali e lo stesso Gianni Cuperlo è intenzionato a dare battaglia in quella sede: insomma, l’intenzione di un passo indietro per evitare lo scontro, facendosi sostituire in commissione, è solo di Pierluigi Bersani.
Tornando a La Stampa, pagina 2: “il segretario si scopre trattativista e apre sulla riforma costituzionale”, “Renzi getta un ponte all’ala dialogante della minoranza. Mattarella respinge gli appelli, ma sfuma l’ipotesi fiducia”. Carlo Bertini scrive che Renzi si è presentato come sempre “tranchant” sulla legge elettorale, ma durante tutta la giornata ha continuato a lavorare “dietro le quinte” per dividere ancora una volta la minoranza. E pur di portare a casa l’Italicum, “ha promesso all’ala meno intransigente, quella guidata da Gianni Cuperlo, una contestuale ‘modifica della riforma costituzionale’”.
Sul Corriere si cita l’esordio di Matteo Renzi all’assemblea del gruppo Pd (“Non sarà un voto alla Armageddon…”) e racconta la decisione delle opposizioni di uscire e di non votare contro la relazione del premier, Nella sua relazione, oltre a citare Il libro della giungla, Renzi “semina qualche apertura sulla riforma costituzionale”, ma non sull’Italicum, “la madre di tutte le riforme non si tocca”. Poi tocca a Speranza che “nell’intervento più difficile della sua carriera spiega le ‘ragioni vere di un profondo dissenso’, ma conferma lealtà al premier la cui ‘leadership è fondamentale'”. Cuperlo ed altri propongono di discutere delle dimissioni o di rinviare l’assemblea, ma la proposta di rinvio è bocciata. Parla Bersani e dice che quello della legge elettorale “non è un tema di disciplina di partito né di voto di coscienza, ma di responsabilità. Se si vuole si può cambiare, se invece si sceglie di andare avanti così io non ci sto”. Nel titolo si legge: “Va in scena la resa. Bersani: così non ci sto”.
Su Il Foglio oggi Giuliano Ferrara firma un articolo dal titolo “da dove può nascere un patto tra Renzi e Bersani”, basato sulle “chiacchiere in libertà” con l’ex segretario del Pd, ieri pomeriggio. Le opinioni di un “notabile di talento” che “non si schioda dalle sue idee” che parla della legge elettorale (“democratura io lo leggo come democrazia e investitura, rischiamo una cosa aborracciata, il sistema democratico del ghe pensi mi”), del Pd, di Renzi.
Sul Corriere viene intervistato Miguel Gotor: “È ora di costruire una alternativa al segretario dentro al partito”.
Ancora sul Corriere: “La barriera del leader: ‘è il bipolarismo la vera posta in gioco’”. Renzi “non ha voluto concedere niente alla minoranza”. Nell’articolo si legge che Renzi ha “l’avallo del Presidente della Repubblica” per quel che riguarda “l’iter veloce dell’Italicum”. “Non solo, dal Quirinale si fa anche sapere che il dibattito sull’utlizzo o meno dello strumento della fiducia da parte del governo in materia di riforma elettorale non riguarda le prerogative del Colle”.
Su Il Giornale: “La minoranza Pd si tira indietro e lascia sul campo Speranza”. Si citano i commenti di Renzi alla richiesta di non votare sull’Italicum: “‘Fanno veramente ridere'”. Laura Cesaretti scrive anche che “secondo varie fonti dem” Speranza sarebbe in realtà un “fan della ipotesi del voto di fiducia sull’Italicum”, perché “risolverebbe permanentemente i problemi del grosso della minoranza Pd, salvando capra e cavoli”: “a quel punto sarebbero obbligati a votare sì per non far saltare il governo”. Per questa stessa ragione però Renzi “non ha alcuna voglia di metterla davvero”.
Prodi
Su molti quotidiani oggi ampie anticipazioni dal libro-intervista di Marco Damilano a Romano Prodi. Aldo Cazzullo sul Corriere scrive che “contiene molti giudizi severi su molti temi, da Mani Pulite al ‘partito della nazione’ renziano, passando per i 101 franchi tiratori del Pd ‘che furono in realtà 120’. Ed è ricco di aneddoti e ritratti sulla vita pubblica degli ultimi decenni”. Spazio per Maradona, Ruini, Craxi (che durante una cerimonia “mentre stavo parlando sbottò ad alta voce, per farsi sentire da tutti: ‘Questo qui non sa neppure leggere!’. Però alla fine c’era un rapporto di rispetto”), D’Alema, Grillo, Merkel. E anche Renzi. “Prodi sostiene di preferire ‘il cacciavite’, metafora usata da Enrico Letta, al trapano di Renzi. ‘Questo è un Paese scalabile, ma la scala la devono fornire gli elettori’. ‘I sindacati vanno ascoltati’. ‘Il partito della nazione è una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere un partito della nazione'”.
Il Fatto, pagina 2: “Prodi, i 101 e Matteo Renzi: ‘Io non ero controllabile’”, “L’ex premier e il nuovo corso democratico: ‘Missione incompiuta’”. Cosa c’era -chiede Marco Damilano- in quei no a Romano Prodi presidente? “Il non volere un Presidente della Repubblica difficilmente controllabile. I 101 sarebbero perciò aumentati e non diminuiti nel caso in cui non mi fossi ritirato. E hanno mandato un messaggio per cui la mia elezione sarebbe impensabile anche in futuro. L’attuale situazione non permette al Pd di votarmi. Decida lei se è per le mie virtù o per le mie vacanze”.
La Stampa, pagina 11: “Le confessioni di Prodi: ‘I leader guidano, non inseguono gli umori’”, “Nel libro-intervista a tutto campo critiche anche a Renzi: ‘L’orizzonte politico dei governanti si sta accorciando’”. Ne scrive Fabio Martini, secondo cui nel titolo (“Missione incompiuta”), “c’è già tutto, o quasi”, perché il professore considera una missione incompiuta ma decisiva quella che avrebbero potuto realizzare i suoi governi, durati appena 4 anni invece dei 10 che avevano chiesto gli elettori. E missione incompiuta perché l’attuale governo non viene riconosciuto da Prodi come un prosecutore della sua opera. E infatti a Renzi dedica passaggi non personalizzati, ma che lo comprendono pienamente: “L’orizzonte politico dei governanti si sta accorciando”, scrive Prodi, stiamo entrando in una “democrazia barometrica”, nella quale i leader non guidano ma seguono semplicemente gli umori espressi dagli elettori, “lavorano al massimo per il giorno dopo”, ma “se siamo presi dall’esigenza di vincere le sempre imminenti elezioni e dal seguire le mode del momento, è finita”.
La Repubblica, pagina 12: “La versione di Prodi: ‘Silurato per il Colle perché mi temono. Renzi? Mi offrì l’Onu”, “Le rivelazioni dell’ex premier sulla sua mancata elezione al Quirinale, i rapporti, critici, con il leader del Pd: ‘L’idea del partito della Nazione non è compatibile col bipolarismo’”. Qui la frase di Prodi sulla “paura” che molti hanno di votare per lui viene riferita per intero: “Molti hanno paura di votare per me. Hanno bisogno di qualcuno che garantisca una ‘controllabilità assoluta’. Io la controllabilità non la garantivo e non la garantisco né al Pd né a Forza Italia e neppure ai grillini”. Sul Partito della Nazione: “non è compatibile con il bipolarismo. È una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere un Partito della Nazione”.
Liguria, centrodestra
Sul Sole 24 Ore si che la candidata del Pd alle Regionali in Liguria Raffaella Paita è indagata nell’ambito della inchiesta sull’alluvione di Genova del 9 ottobre scorso. Contestati i reati di disastro e omicidio colposo, oltre all’omissione di atti di ufficio per la mancata allerta”, da assessore regionale alle infrastrutture e alla protezione civile.
Il Pd e Renzi le hanno confermato la fiducia. Paita aveva detto di essere rimasta tutta la notte nella sala della protezione civile. L’accusa sostiene che quella sera la Protezione civile era chiusa, e fu riaperta solo a ridosso della tragedia.
Sul Giornale: “Omicidio e disastro in Liguria. Indagata la candidata Pd Paita”. “Mazzata sulla sinistra: la renziana sotto accusa per l’alluvione del 2014. L’avversario Toti: ‘Sono garantista’. Lei: ‘Resto a disposizione del partito’. La trattativa Fi-Fdi-Lega continua”. La trattativa è ancora aperta, secondo Il Giornale, anche in Puglia, mentre sembra certo che in Toscana il candidato di Forza Italia correrà da solo. Berlusconi potrebbe fare dei comizi in Puglia nei prossimi giorni.
A proposito di Forza Italia, sul Corriere si legge che oggi c’è un “tavolo sulle Regionali”, che Berlusconi sta preparando le liste, che anche in Toscana ci sono problemi perché l’ex premier “nelle ultime settimane ha accresciuto la propria stima” nei confronti dell’ex sindaco di Pietrasanta Massimo Mallegni, la cui vicenda giudiziaria è recentemente salita agli onori delle cronache nazionali, ma che non sarebbe gradito a Denis Verdini. Si legge anche che ieri, al momento del voto di fiducia sul decreto antiterrorismo, i senatori Bondi e Repetti hanno votato sì, e che per questo sono stati ringraziati da Alfano. Per adesso non passano alla maggioranza.
Diaz
La Repubblica intervista Fabio Tortosa, l’agente di polizia autore del post delle polemiche sull’irruzione alla caserma Diaz che ci è costata una condanna della Corte europea: “G8, il pentimento dell’agente: ‘Quella sera ci fu tortura e adesso si accerti la verità. Mi vergogno di quel post”, “Fu uno scempio ma il mio reparto non c’entra. Nella scuola c’erano centinaia di poliziotti”, su Carlo Giuliani “quello che ho scritto non è da uomo. Per quel che può servire, chiedo scusa ai suoi genitori. E anche a mia madre: lei sa che vuole dire perdere un figlio di 15 anni”. Sul blitz alla scuola Diaz: “L’infamia di cui sono state due volte vittime gli innocenti della Diaz ha il volto di chi è stato responsabile del pestaggio e non ha avuto il coraggio di farsi avanti”.
Sulla stessa pagina, una lettera del capo della polizia Alessandro Pansa: “Mai più un’altra Diaz”, “Vestire la nostra divisa è un servizio alla comunità. Dobbiamo sapere tenere sempre i nervi a posto”.
Draghi
Sul Corriere Danilo Taino dà conto della “conferenza stampa dei coriandoli” di Mario Draghi, ieri a Francoforte. Draghi ha detto che “il Qe va avanti senza incertezze e non finirà prima del tempo”. Mentre parlava con i giornalisti una ragazza è saltata sul tavolo, ha urlato “fine della dittatura Bce” ed ha lanciato coriandoli. Momento di allarme, poi la conferenza stampa è ripresa.
Il Corriere intervista Josephine Witt, la 21enne tedesca, ex Femen (ora ha “perso il contatto” con loro, “per esempio non sfilo più a seno nudo”). In passato saltò a seno nudo davanti a Merkel e Putin e manifestò in Tunisia, pure a seno nudo, “a favore di Amina, la prima Femen araba”. Ieri sera era a casa, dopo esser stata fermata per un paio d’ore dalla polizia. Dice di essere una attivista, di aver “preso di mira diversi politici”. Per entrare si è accreditata come giornalista della rivista Weiss. La protesta “non è contro la persona di Mario Draghi, ma per ciò che rappresenta: la Bce. Da tempo in Germania ci sono queste proteste contro la Banca centrale per la situazione greca, a Francoforte c’è stata una mobilitazione durata un mese contro il suo nuovo grattacielo. Si tratta di un’istituzione che ha un’enorme influenza sulle nostre vite e però su di lei non c’è nessun controllo di tipo democratico, non viene eletta. Rappresenta l’arroganza del potere, privato della legittimità popolare. È il grande problema della politica europea, l’assenza di verifiche democratiche sulle decisioni che vengono prese e condizionano le vite di decine, anzi di alcune centinaia di milioni di persone”.
La Repubblica, alle pagine 2 e 3: “Ue accusa Google: abuso di posizione dominante, rischio multa da 6 miliardi”, “Bruxelles apre anche un’indagine sul sistema operativo Android. Il gigante di Mountain View: ‘Siamo in forte disaccordo’”.
Federico Fubini illustra la “sfida europea ai colossi web” e sottolinea che “ora entrano nel mirino i padroni del viaggio on line”. Booking ed Expedia sono infatti accusati di boicottare gli alberghi che praticano prezzi inferiori. Alla pagina seguente, intervista a Mario Monti, che come commissario Ue alla concorrenza, fu il primo a condurre una battaglia contro un colosso Usa come Microsoft. Era il 2004 e la multa fu pesante, ricorda Fubini che lo intervista. Dice Monti: “Giusto frenare gli abusi per tutelare i consumatori, ma l’Europa dei populismi rende tutto più difficile”, “Questi interventi non ostacolano l’innovazione ,a garantiscono spazio anche a chi è piccolo”, “Decisioni che riflettono un pregiudizio anti-americano? Non credo, è solo tutela dei cittadini”.
La Stampa, pagina 6: “Google, doppia inchiesta dell’Ue”, “Vince la linea degli editori tedeschi: indagini su abuso di posizione dominante e Android. Mountain View rischia una multa di miliardi: ‘Ansiosi di spiegare le nostre ragioni’”. E sulla stessa pagina il “retroscena” di Paolo Mastrolilli da New York: “Gli Stati Uniti a Bruxelles: ‘Non diventi un caso politico’”, “Washington si aspettava le indagini: permetteranno di fare chiarezza. Ma a preoccupare adesso è l’ondata di nuove leggi nei singoli Stati”.
Sulla vicenda Antitrust Ue-Google Luca Tremolada sul Sole 24 Ore spiega: “L’Antitrust Ue ha aperto due procedure contro il colosso californiano. La prima sulle indicazioni del motore di ricerca. Google favorirebbe sistematicamente il proprio prodotto per gli acquisti comparativi nelle sue pagine generali che mostrano i risultati delle ricerche. E la seconda sul comportamento del colosso californiano relativo al sistema operativo mobile Android”. L’accusa è che le ricerche di Google, che resta il motore di ricerca di gran lunga più usato in Europa, “favorirebbe” i risultati di Google, “non garantendo risultati neutri”. Le parole della Commissaria: “‘Non vogliamo interferire con il design o altre scelte ma vogliamo che i consumatori siano certi di vedere i migliori risultati sullo ‘shopping’ e non solo quelli di Google se non sono i più rilevanti'”. “Oggetto del contendere è l’algoritmo che governa il motore di ricerca. Gli algoritmi sono i processi informatici e le formule che trasformano le tue domande in risposte. Attualmente gli algoritmi di Google si basano su oltre 200 segnali univoci o “indizi” che consentono di intuire che cosa stai realmente cercando. Questi segnali includono elementi quali i termini presenti nei siti web, l’attualità dei contenuti, l’area geografica e il PageRank. In qualche modo pesano, misurano e quindi stabiliscono la gerarchia dei risultati delle risposte. Attribuiscono rilevanza e autorità ad una determinata pagina, piuttosto che a un’altra. E di conseguenza decidono la posizione dei risultati di ricerca nella pagina. Come sa bene ogni programmatore o esperto di informatica gli algoritmi non mai neutrali, riflettono i desiderata di chi li scrive, o le idee di chi li fa scrivere. Domandarsi quale è il risultato migliore può essere fuorviante e insensato per chi sa di computer”. Ovviamente Google modifica l’algoritmo periodicamente, e non ha mai pubblicato “né mai lo farà” la lista degli aggiornamenti, per evitare di rendere il suo codice e i risultati più facilmente manipolabili. Secondo Google l’accusa non regge: “In un post pubblicato sul proprio blog ha fatto sapere che i risultati del suo servizio shopping non hanno creato danni alla concorrenza”. Diverso il caso di Android, dove l’integrazione applicativa per gli applicativi Google è oggettivamente molto stretta, nel senso che è molto vantaggiosa per i consumatori e detentori di smartphone. Qui si potrebbe replicare il caso della multa a Microsoft per il suo sistema operativo Windows, scrive il quotidiano.
Gentiloni
Paolo Valentino sul Corriere intervista il ministro degli esteri Gentiloni che non esclude l’ipotesi di “attività mirate antiterrorismo” in Libia per fermare l’Isis: “Parliamo di attività mirate antiterrorismo ad esempio nel quadro della coalizione antiDaesh, di azioni contro il traffico di esseri umani e di collaborazione per l’accoglienza dei rifugiati con Paesi vicini”. Ma diverso è invece il problema di “stabilizzare la Libia, e avere un governo sul quale investire nel lungo periodo”. “Noi non ci rassegniamo all’idea che il processo di stabilizzazione sia impossibile”, anche se i tempi di una intesa sono “settimane”, perché “non abbiamo davanti mesi”.
Gentiloni parla anche di Turchia (“continuano a prendere posizioni che considero fuori misura”, ma l’Italia mantiene la sua posizione per una apertura, seppur non con un “ingresso a breve termine”) di immigrazione ed Ue e di Ucraina (a chi dice che la posizione italiana è “troppo morbida” nei confronti di Mosca “dico che non accettiamo lezioni da nessuno sul rigore con cui applichiamo le sanzioni che non è inferiore a quello di altri Paesi europei. Semmai il contrario”).
Internazionale
Su La Stampa, pagina 14: “Armeni, Erdogan ora minaccia: ‘Potrei espellerne centomila’”, “Il leader turco alza i toni nel giorno in cui l’Europarlamento riconosce il genocidio”, scrive Marta Ottaviani.
La Repubblica: “Strasbugo alla Turchia: ‘Deve riconoscere il genocidio armeno’”, “Il premier Davutoglu: ‘Bergoglio sta col fronte del male’”. Di fianco, intervista al fondatore della Comunità Sant’Egidio Andrea Riccardi: “Il Papa vuole riconciliare due popoli che usano la storia per farsi ancora la guerra”.
Da La Repubblica segnaliamo un commento a pagina 31 di Adriano Sofri: “Che cosa vuol dire la parola genocidio”, “Il crescente ricorso generico al nome sta in proporzione inversa alla sua persecuzione la dove avviene: lo banalizza”.
Il Corriere: “Il Parlamento europeo sugli armeni: genocidio”. “Reazione sprezzante del presidente turco Erdogan: ‘Mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro’. E aggiunge: se volessi potrei deportare tutti i centomila che ancora vivono nel nostro Paese”. Il Parlamento europeo, a grande maggioranza, chiede ad Ankara di riconoscere il “‘genocidio’ degli armeni cristiani in vista della commemorazione del centenario, il prossimo 24 aprile” e “rende omaggio al milione e mezzo di vittime armene innocenti che perirono nell’impero Ottomano” deplorando “con fermezza” ogni “tentativo di negazionismo”.
Su Il Giornale una intervista a Baykar Sivazliyan, presidente dell’Unione degli armeni d’Italia. Dopo le dichiarazioni di Erdogan, che ha detto che il suo Paese “ignorerà” il voto dell’europarlamento di ieri in cui si chiede ad Ankara di non negare il genocidio, dice che i governanti turchi “hanno perso completamente il controllo dei nervi” , ma ricorda anche il 7 giugno in Turchia si vota e il partito del presidente “sta perdendo una parte dell’elettorato islamico e nazionalista”. Del commento del sottosegretario Gozi dice: “Ci ha ferito e offeso. E’ esattamente la stessa frase che dice Erdogan quando parla del genocidio: ‘dobbiamo lasciare la questione agli storici’. Poi però chiude gli archivi”.
Su La Stampa: “Falò di libri islamisti. Il pugno di ferro di Al Sisi nelle scuole egiziane”, “Bruciati però anche classici storici” (come la traduzione in arabo di “Bonaparte in Egitto” di Christopher Herold o il “Discorso sulla riforma dell’Islam” dell’ex grande imam di Al Azhar Abdel Halim Mahmoud).