Il Corriere della Sera: “Più soldi in busta paga, più tasse sulle rendite”. “Da maggio aumento annuo di mille euro a chi ne guadagna 1500 al mese”. “Taglio del 10 per cento all’Irap”. “Sugli interessi finanziari prelievo dal 20 al 26 per cento. Lavoro, meno vincoli per i contratti a termine”. Il quotidiano offre anche un “colloquio con il premier” firmato da Aldo Cazzullo: “Se i tempi s’allungano decreto legge pronto”.
La Repubblica: “Fisco e lavoro, la frustata di Renzi”. A centro pagina: “Sì all’Italicum, il premier: via il Senato o lascio la politica”.
La Stampa: “Tasse e lavoro, lo scatto di Renzi”.
Il Fatto: “80 euro in busta paga per vincere le Europee”.
In taglio basso, sulla strage di Via D’Amelio: “Riina: ‘Borsellino azionò l’autobomba che lo uccise’”. Si tratta di conversazioni in carcere del boss mafioso.
Il Sole 24 Ore: “Piano sull’Irpef, stop alla ‘Fornero’”. “Renzi: da maggio mille euro in più all’anno. Rendite finanziarie al 26 per cento, minisconto Irap”. Di spalla: “Deficit fino al 3 per cento per finanziare i tagli, apertura di Padoan”.
“Tanti annunci non fanno una scossa” è il titolo dell’editoriale firmato da Guido Gentili. E l’altro commento, firmato da Stefano Folli, è titolato: “Ecco il nuovo contratto con gli italiani”.
Il Giornale: “Le tasse secondo Matteo”, “ma arriva la patrimoniale sulle rendite finanziarie”. Di una “manovra furbetta”, una “ricetta di destra applicata a sinistra” parla Nicola Porro in prima pagina.
Renzi
Il Corriere della Sera offre un “colloquio” con Matteo Renzi: “Io sono contento, è una operazione importante, finalmente nel nostro Paese qualcosa cambia davvero. E se non si fa in tempo, il decreto per tagliare l’Irpef lo faccio, eccome”. “Questa è la manovra più di sinistra degli ultimi tempi, per come intendo io la sinistra”. Renzi non nega che avrebbe preferito tagliare l’Irpef fin da aprile, “sarebbe stato un bel vantaggio” dal punto di vista elettorale, ma “lo strumento legislativo non mi pare determinante”, “i lavoratori dipendenti aspettano da dieci anni, possono aspettare dieci giorni”, e se “il Def dovesse slittare interverrò per decreto, pur di rispettare la scadenza del primo maggio”.
Su La Repubblica, Massimo Giannini scrive che “depurata da un tasso intollerabilmente alto di autocelebrazione retorica e propagandistica – che per troppe volte lo spinge a parlare di ‘rivoluzione impressionante per l’Italia’ e di ‘passaggio storico incredibile’ – il messaggio del premier in conferenza stampa oscilla tra lo shock e lo spot. Lo shock è evidente. Quando a dieci milioni di poveri italiani a reddito fisso, gravati da almeno cinque anni di saio fiscale, annunci uno sgravio in busta paga da circa mille euro all’anno a partire dallo stipendio del 27 maggio prossimo, l’effetto scossa è garantito. E quando alle piccole e medie imprese, stremate da cinque anni di recessione in cui sono bruciati 135 miliardi di ricavi, annunci un taglio di 10 punti dell’Irap finanziato con l’aumento delle rendite finanziarie al netto dei titoli di Stato, l’effetto-svolta è assicurato. Intanto, fai due cose a impatto sociale e perequativo che, se ormai non suonasse così retrò, una volta Norberto Bobbio avrebbe potuto definire con legittimo orgoglio ‘di sinistra’”. La rottura, insomma, c’è, secondo Giannini: “Renzi giustamente non vuole ripetere l’errore di Prodi nel 2006 e di Letta nel 2013, dando poco a tutti”. Ma “per adesso il presidente del Consiglio lo shock al sistema lo può solo annunciare a parole, e non somministrare nei fatti” e !qui si annida lo spot elettorale”, perché “nelle novità anticipate da Renzi di operativo e di immediatamente esecutivo c’è assai poco”, “quando saranno presentate le misure concrete? Saranno decreti o disegni di legge? Come nella peggior tradizione tremontiana, il premier glissa e rinvia tutto al varo del Documento di Economia e Finanza”. Il “retroscena” sullo stesso quotidiano, a firma di Federico Fubini, punta su un ‘altolà’ del ministro dell’Economia Padoan: scrive Fubini che non si vedono all’orizzonte risparmi sufficienti a neutralizzare l’impatto di 10 miliardi di sgravi, il disavanzo salirà di circa 6 miliardi di euro, fino ad arrivare vicinissimo alla soglia del 3% del prodotto lordo. Oltre quella soglia c’è una procedura che potrebbe scattare a Bruxelles. Ecco perché il pacchetto sgravi ieri in consiglio dei ministri “poteva solo essere messa in cantiere, non deliberata”, spiega Fubini.
Su La Stampa, sette pagine illustrano le misure annunciate, dai “tagli al costo dell’energia e una sforbiciata all’Irap” al “mille euro in più all’anno per chi è sotto i 25 mila”, dalle rendite finanziarie rispetto alle quali “la tassazione sale dal 20 al 26%” ai “contratti facili” previsti dal Jobs Act, passando per il “piano casa”, che prevede “più soldi per l’edilizia popolare” e un abbassamento della cedolare secca.
Tre le interviste da segnalare su La Stampa. Stefano Fassina, che diede le dimissioni da viceministro dell’Economia in polemica con Renzi, dice che “la direzione è quella giusta, in particolare nella volontà di allentare la morsa dell’austerità per finanziare i consumi”, “è un provvedimento utile all’equità e anche all’economia”. La segretaria generale Cgil Susanna Camusso dice che “sembrano le idee della Cgil” e che “adesso il dialogo può ripartire”. Infine, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini spiega: “Subito 3,7 miliardi per l’edilizia scolastica. E i sindaci potranno spendere”.
La Repubblica, sull’atteggiamento della Cgil: “Dagli screzi al festeggiamento, la retromarcia della Camusso”, “Renzi non ci consulta, ma fa quello che chiediamo”.
Per Il Fatto “Il taglio delle tasse resta un annuncio fino a maggio”. E il quotidiano sottolinea “I no di Napolitano e Padoan”, rimarcando che “i soldi mancano ancora”: “il Colle ha escluso il decreto, il ministro chiede tempo per cambiare i conti e avere l’ok di Bruxelles.” Poi parla di “tensione tra Palazzo Chigi e il commissario alla spending review” Cottarelli e spiega che il premier avrebbe voluto che gli venissero garantiti subito, meglio se per iscritto, risparmi strutturali attorno ai sette miliardi per il 2014: ma “il super-commissario ha detto no”, perché sette è la cifra su 12 mesi, ma visto che siamo a marzo e ancora non s’è fatto niente ne avremo al massimo 3,5. Per arrivare al doppio – ha spiegato Cottarelli – servono tagli lineari, ma quelli deve farli il governo e non chiamarli spending review. A quel punto, Renzi ha provato almeno per il disegno di legge: coperture e una tantum nel 2014 e strutturali dall’anno prossimo. Anche lì non c’è stato verso: bisognava prima modificare il def (Documento di economia e Finanza)”.
Il direttore de Il Fatto Antonio Padellaro sottolinea che il provvedimento decisivo, quello che taglia le tasse ai lavoratori e alle imprese, “non c’è”, visto che non c’è nessun decreto e nessun disegno di legge. C’è solo “una promessa di fare presto”. Per questo il governo e l’Italia rischiano di diventare “criceti in gabbia che si agitano e corrono nella loro ruota fino allo sfinimento. Senza avanzare di un centimetro”.
Quello di ieri, scrive ancora su La Repubblica Francesco Bei, è stato un “one-man show”, con battute del tipo “Venghino siori, venghino”, in riferimento alla messa all’asta delle auto blu. Su La Stampa, Massimo Gramellini: “la sinistra diventa pop”. Marcello Dell’Utri, ex presidente di Publitalia, intervistato da La Stampa, dice: “è stato straordinario, l’avrei assunto a Publitalia”.
E, ancora su La Stampa: “‘Venghino siori venghino’. Matteo il tele-imbonitore”, di Mattia Feltri.
Sul Sole 24 Ore Stefano Folli parla del “nuovo contratto con gli italiani nel segno dell’ottimismo volenteroso”, e definisce Renzi “l’alfa e l’omega della rigenerazione istituzionale”, e non importa che gran parte dei provvedimenti siano solo annunciati, lui “’ci ha messo la faccia’, secondo una delle sue espressioni preferite”. E dunque va bene sottoporre a verifica quel che annuncia, anche per capire se ha ragione chi dice che le coperture non ci sono o chi, come Renzi, dice che “ci siano fino all’ultimo centesimo (‘to-tal-men-te’)”. Ma “al di là di questo lavoro certosino e indispensabile”, “si rischia di non comprendere il personaggio se non lo si abbraccia per intero” perchè “Renzi è tutto politico, moderno e antico al tempo stesso”, e “lo spettacolo andato in onda da Palazzo Chigi” ieri era “davvero e profondamente uno spettacolo politico”.
Sul Corriere: “La minoranza Pd spiazzata: ha detto cose di sinistra”.
Sullo stesso quotidiano si scrive che a criticare Renzi sarebbe stato Berlusconi: “E Berlusconi critica lo stile: premier eccessivo, esagera. Per uno show così mi avrebbero massacrato. Ai suoi dice: altro che finanza creativa di Tremonti”.
Su La Repubblica, il capogruppo dei deputati di Forza Italia renato Brunetta, in un’intervista, afferma: “Crede di essere Mandrake, ma il risveglio sarà amaro”, “non ha copertura economica né politica”.
Il Giornale si spiega che Berlusconi non ha visto la conferenza stampa di Renzi, e che ai suoi avrebbe detto: l’accordo è sull’Italicum, sul resto niente sconti. E sulla minoranza Pd, un altro articolo del quotidiano di Sallusti: “La conferenza stampa di Renzi disinnesca la voglia di rivolta degli avversari del premier. Cuperlo: alcune sue idee sono le mie”.
Il Sole 24 Ore si sofferma sui dubbi sulla “informativa”, l’atto approvato ieri in Consiglio dei ministri, e ricorda che l’Europa chiede che i risparmi della spending review siano utilizzati per abbattere il debito, mentre il governo vorrebbe convogliarli alla riduzione delle tasse. Senza contare che le stime di Cottarelli, proprio ieri in Commissione Bilancio al Senato, continuano a parlare di circa 3 miliardi di euro per l’anno in corso, mentre Renzi ipotizza di poterne utilizzare il doppio.
Su Il Giornale Alessandro Sallusti spiega che la manovra “a parte la patrimoniale sulle rendite finanziarie e le coperture incerte (creative, si sarebbe detto ai tempi di Tremonti) non sta nelle parole di Renzi”, ma nella Ragioneria generale, “che potrebbe bloccare i provvedimenti”, e nel Parlamento. E, dice Sallusti, “non mi fido di un Parlamento che è rimasto inchiodato sette giorni a discutere di quote rosa”.
Su L’Unità si dà conto del commento di Susanna Camusso, ieri ospite di Otto e mezzo: “Se il governo non ci consulta ma fa le cose che gli chiediamo siamo sulla buona strada”. “Mi verrebbe quasi da dire che il governo abbia letto il Piano del lavoro della Cgil che proprio da questi investimenti partiva per creare lavoro e dare risposte”. La Cgil considera “molto positiva la scelta di intervenire subito sulla riduzione della tassazione per il lavoro dipendente. Vedo che il presidente ci ha ascoltato scegliendo di intervenire anche sulla parte di coloro che avendo un reddito fino a 8 mila euro di solito non rientrano mai in questi provvedimenti e di avere fatto riferimento non solo al lavoro dipendente ma anche agli assimilati, quindi alle forme di lavoro precario”. Meno entusiasmo per gli annunci sulle leggi sul lavor: “Faremo un esame più attento quando vedremo i provvedimenti”, “ci è parso di capire che nel decreto che viene fatto si introduca una ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine senza causale, questo non mi sembra quello di cui ha bisogno il mercato del lavoro”. Non piace alla Cgil neppure la abolizione del Cnel: “Piuttosto il Cnel va riformato profondamente”, “è strano questo accanimento su ogni forma di rappresentanza sociale”.
Oggi tra l’altro Il Messaggero ospita una lettera firmata da Vincenzo Scudiere, Paolo Mezzio e Carmelo Barbagallo, responsabili organizzativi dei sindacati confederali, che rispondono al premier sul tema dei patrimoni e dei bilanci dei sindacati, dopo l’inchiesta “un miliardo dallo Stato, ecco il conto dei sindacati” pubblicata dal quotidiano romano. L’inchiesta, dicono di tre, contiene “notizie che non corrispondono al vero e che evidenziano un pregiudizio di fondo nei confronti del sindacato”.
Riina
Sui quotidiani si trovano anticipazioni delle conversazioni che il boss Totò Riina avrebbe avuto nel carcere di Opera con il suo compagno di ora d’aria. Secondo La Stampa le intercettazioni di quei dialoghi risalirebbero all’agosto scroso: la Dia li starebbe via via trascrivedno a consegnando ai pubblici ministeri di Palermo, per poi essere trasmesse agli inquirenti di Caltanissetta, che hanno riaperto le indagini sulla strage di Via D’Amelio. Al suo compagno dell’ora d’aria Alberto Lorusso, Riina avrebbe detto che l’inferno di Via D’Amelio sarebbe stato innescato involontariamente dallo stesso giudice Borsellino, suonando il citofono dell’abitazione della madre. Perché proprio nel citofono sarebbe stato nascosto il collegamento al congegno che avrebbe fatto esplodere l’autobomoba.
Il Fatto: “L’innesco nel citofono. Riina: ‘Borsellino si futtiu solu”, “Il capo dei capi intercettato sostiene che l’esplosivo della strage in via D’Amelio non fu azionato da un telecomando a distanza”. Secondo questo quotidiano le intercettazioni risalirebbero al novembre scorso. Se ne occupa anche La Repubblica, che avanza qualche dubbio con Attilio Bolzoni: “Mezze verità per cancellare tracce, il gioco sporco del capo dei capi”. Altrettanto fa La Stampa, con Francesco La Licata e Riccardo Arena. Si ricorda ad esempio che il pentito Spatuzza ha parlato di un telecomando azionato da Giuseppe Graviano. La Licata parla di “cortina fumogena” alzata da Riina “per essere ancora protagonista”.
Internazionale
Sull’Ucraina leggi l’articolo su Reset di Matteo Tacconi
Un’intera pagina de La Stampa è dedicata all’Ucraina: “Obama fa entrare Kiev alla Casa Bianca”, scrive da New York Paolo Mastrolilli dando conto della visita del prmier ucraino Yatseniuk. In basso, la corrispondenza dalla Crimea di Lucia Sgueglia: “Sebastopoli verso il referendum, ‘Sarà un plebiscito per la Russia’. Tra guardie e manifesti elettorali: ‘Maidan e Nato non passeranno’”.
Su La Repubblica Bernardo Valli, da Kiev, firma un’analisi dal titolo: “Tra Stalin e nazismo, l’Ucraina risveglia gli incubi del passato”. Valli torna indietro nella storia, raccontando tanto il rancore verso i russi provocato dalla carestia indotta dalla campagna di Stalin durante la collettivizzazione forzata che portò alla morte di milioni di ucraini e che gli ucraini considerano un olocausto (è noto come ‘Holodomor’), che il ruolo di Stepan Bandera, capo indipendentista i cui uomini collaborarono con i nazisti (ma due suoi fratelli morirono ad Auschwitz e lui passò anni nelle prigioni tedesche perché Hitler non accettò mai l’Ucraina indipendente da lui dichiarata, ricorda Valli). Bandera è un controverso eroe nazionale, esaltato non solo dagli estremisti. I gruppi ultranazionalisti “affondano le radici nella Seconda Guerra mondiale, quando nazionalisti ucraini e nazisti s’incontrarono sul comune terreno dell’anticomunismo e dell’antisemitismo”. Per esempio, il gruppo “Settore destro” è la punta avanzata dell’estremismo ucraino e si riallaccia al passato sciovinista e razzista, ma, scrive Valli “conta per lo più dei giovani. La cui memoria non rianima fantasmi”.
“Il miraggio dell’annessione: guadagnare come i russi”, scrive Il Sole 24 Ore sul referendum in Crimea, con una “popolazione divisa tra entusiasti e scettici” . Il premier della nuova Crimea Aksjonov promette “pensioni, sussidi e stipendi” al livello di quelli russi, grazie alla generosità di Mosca, da cui si aspettano per cominciare sei miliardi di dollari. Ma il quotidiano ricorda che Mosca potrebbe essere spaventata dal peso economico di dover sostenere economicamente la regione, e che potrebbe decidere di lasciarla “in un limbo simile ad Abkhazia ed Ossezia”.
Sul Corriere della Sera: “Il G7 avverte la Russia: ‘Annettere la Crimea violerebbe la carta Onu’. Obama: se Mosca va avanti pagherà dei costi”. “Siamo pronti a nuove azioni, illegale il referendum per l’indipendenza”.
Ieri il presidente Usa ha incontrato il primo ministro ucraino Yatsenyuk. “Parole dure contro la Russia ma lo sforzo diplomatico continua”, sintetizza Il Sole 24 Ore.
Su Il Giornale un commento di Riccardo Pelliccetti: “L’insostenibile ipocrisia dell’Europa anti-Putin”. “I nostri soloni si appellano al diritto ricordando che la Costituzione dell’Ucraina non prevede la secessione. Perché, quella della ex Jugoslavia l’ammetteva?”.
Su La Stampa, grande attenzione a quanto accade in Israele: “Bombe su Gaza. Israele replica ai razzi su Sderot”, “La Jihad islamica lancia 70 missili sui centri abitati. Immediata la rappresaglia di artiglieria e aviazione”. Il reportage di Maurizio Molinari è dedicato a Ramallah, che “cresce in fretta”: il quotidiano ha aperto un ufficio nella città, che considera la più vivace tra quelle palestinesi.
Su La Repubblica: “Decine di razzi da Gaza. Israele risponde con raid aerei”. E si riprendono le parole del ministro degli Esteri Lieberman: “Dobbiamo tornare ad occupare Gaza”. Mai così tanti attacchi dal 2012, scrive il quotidiano.
E poi
Proseguono gli articoli dedicati al primo anno di Pontificato di Papa Francesco. Oggi sul Corriere lo storico Andrea Riccardi firma un commento sul “Papa che costruisce ponti tra la Chiesa e il popolo dei fedeli”. Dove si legge che “nel volgere di qualche mese il clima di declino della Chiesa è svanito: è rinata la fiducia nella Chiesa come istituzione che dà speranza”.
Sullo stesso quotidiano un intervento sul tema delle “quote rose” di Gian Antonio Stella, che scrive delle “ragioni del sì” che si trovano nella storia del nostro Paese.
Sul Sole un articolo di Harold James parla del ruolo della Fed nella “grande crisi” economica mondiale, e di come abbia “ridimensionato” il ruolo del Fondo Monetario Internazionale.
Sul Corriere alle pagine della politica si parla della “lista Tsipras”, già logorata da “polemiche e dimissioni”. Viene intervistata la direttrice del Manifesto Norma Rangeri: “Mi cascano le braccia”, dopo le dimissioni di Andrea Camilleri e Paolo Flores D’Arcais. Ma “non farà la fine del movimento di Ingroia”.
Sullo stesso quotidiano, alle pagine della cronaca, la notizia che Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, è indagato dalla Procura partenopea per abuso d’ufficio per la rimozione del capo dei vigili urbani e la nomina – poi non andata a buon fine – di Luigi Acanfora, che era stato testimone di nozze di De Magistris.