La Repubblica: “Legge elettorale, il voto tra i veleni”, “Pd lacerato, ma il patto sull’Italicum regge. Renzi: hanno provato a farmi fuori”. Il quotidiano ha un “colloquio” con il presidente del Consiglio.
In taglio basso: “Crimea, addio a Kiev: siamo indipendenti”.
Di spalla a destra: “Francesco, i segreti del conclave che ha cambiato la Chiesa”.
La Stampa: “Renzi: meno tasse da aprile”.
A centro pagina, foto di una veglia da Ankara: “La morte di un 15enne infiamma la Turchia”.
Il Corriere della Sera: “Sconto fiscale in busta paga”. “Le misure al Consiglio dei ministri. Incertezze sull’Irap. Palazzo Chigi: trovate ampie coperture”. “Più detrazioni per i redditi bassi. Incentivi a chi assume”. A centro pagina: “Camera, avanza l’Italicum ma con pochi voti di scarto. L’intesa tiene, Pd spaccato”.
Il Giornale: “Mezzo Pd molla Renzi. Solo i voti di Forza Italia salvano il premier: primo sì alla legge elettorale”. E poi: “Oggi il piano tasse, occhio alla fregatura”.
Il Sole 24 Ore: “Renzi: ho i soldi, vado avanti. Ma dall’Economia stop sulle coperture, rischio rinvio. Dubbi del Colle”. “Parla il premier: ‘basta con i frenatori, ho fino a 20 miliardi per il cuneo’. Alt alla ‘Fornero’”. Di spalla il quotidiano si occupa di Unicredit: “Maxi pulizia nei conti. Bilancio in rosso, ma il titolo vola”, con intervista a Federico Ghizzoni.
Il Fatto: “Renzi nel panico, salvo per 20 voti”.
In taglio basso: “Aragoste e vibratori: l’orgia della casta”, “Rimborsi assurdi uniscono l’Italia dal Sudtirolo a Pescara”.
Renzi, governo
La Repubblica ha un “colloquio” con il presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. È Claudio Tito a firmarlo. Dice Renzi: “In questi giorni non si è discusso di donne. Si è cercata un’operazione politica per dire che io non controllavo il Pd. Usando il voto segreto qualcuno ha tentato la rivincita sulle primarie, qualcuno ha cercato di farmi fuori”. Parlando delle misure che oggi verranno presentate al Consiglio dei ministri sottolinea: “sarà un vero e proprio shock positivo. E basta con questa storia che non ci sono le coperture. Ce le abbiamo. Abbiamo trovato 290 miliardi e ne utilizziamo solo 10”. Poi parla della battaglia in Parlamento sulla legge elettorale: “Io voglio il cambiamento. Sa che è successo in questi giorni a Montecitorio? Non si è votata solo una riforma, si è giocata una partita tra due modelli culturali. E anche se a costo di qualche ammaccatura, abbiamo vinto noi. Volevano dimostrare che sì, mi avevano lasciato il partito. Che sì mi avevano lasciato la presidenza del consiglio, ma che i numeri ce li avevano loro. Che loro potevano ancora essere determinanti. E invece no, i numeri li abbiamo noi”, “alla fine ci hanno messo la faccia i giovani come Speranza. E i trabocchetti sono finiti. Dall’altra parte c’era un’altra generazione, c’era la Bindi e c’erano i lettiani”. Ora la legge elettorale deve arrivare al Senato: “I numeri son chiari e al Senato non si può fare così. Le cose devono cambiare anche lì”, ma “miglioreremo pure la legge elettorale. Ma adesso da posizioni di forza”. Sulle misure che verranno presentate oggi: “faremo la più impressionante operazione politica mai fatta a sinistra di recupero di potere d’acquisto per chi non ce la fa. Su questo tema ci giochiamo tutto, non sulle alchimie interne. La sinistra è dove si combatte la povertà, non dove sta Rosy Bindi”. Poi la cifre: “abbiamo recuperato 20 miliardi, ma ne utilizziamo dieci”, “è una barzelletta che non ci sono e siamo cattivamente impegnati a prenderli. Sa quale è il problema? È che ci siamo trovati dinanzi il potere dei tecnocrati. Non parlo di Padoan con il quale la sintonia è perfetta. Ma di certa tecnocrazia. Solo che ora si sono trovati due sindaci come me e Delrio che sanno come vanno queste cose e certe furbizie non le possono fare. Il gioco delle tre carte è finito”, “il punto è che il prossimo 27 aprile i lavoratori si ritroveranno cento euro in più in busta paga”, “voglio che un padre possa dare 20 euro in più al figlio magari solo per andare a mangiare una pizza. Che una madre possa trovarsi nella sua borsa 50 euro in più per fare la spesa e per comprarsi qualcosa di cui sente il bisogno da tempo. Questa è sinistra. Questa è la manovra più di sinistra degli ultimi anni: dare a chi ha un reddito basso 1000 euro in più l’anno”. Sulle critiche che sono state avanzate da Confindustria e Cgil: “lo so che protestano, ma lo fanno perché questa manovra la facciamo senza consultarli. Io non voglio parlare a loro. Voglio parlare alle maestre, alle zie, alle persone normali. E poi la verità è un’altra: loro non protestano per il merito ma perché hanno capito che questo governo non accetta la loro mediazione. Noi, se così si può dire, vogliamo ‘disintermediare’”. Poi Renzi si fa sfuggire che anche per gli imprenditori oggi potrebbe esserci una “sorpresa”.
Il quotidiano dedica poi due intere pagine alle misure che il governo presenterà oggi: “Tagli Irpef sui redditi bassi, risorse da spending e una tantum. Interventi anche sull’Irap”. Viene poi presentato come “il progetto” il Jobs Act, “sussidio di disoccupazione universale, contratto unico e apprendistato facile”. Si spiega che difficilmente le norme del piano sul lavoro entreranno in vigore prima del 2015. E si intervista Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, che ha presentato al premier un “dossier”: dice che sarebbe necessario uno sgravio per 4 anni sui nuovi contratti (cuneo fiscale bloccato al 20 per cento per quattro anni) e un voucher ai giovani laureati per avviare le piccole imprese alla digitalizzazione.
Il Corriere della Sera pubblica oggi – con richiamo in prima – una ampia intervista al segretario generale della Cgil Susanna Camusso: “Tutto il taglio delle tasse a lavoratori e pensionati. Niente regali agli evasori”. Alle affermazioni di Squinzi (che aveva chiesto se si preferisse qualche soldo più in busta paga ad un nuovo posto di lavoro) Camusso risponde che ridurre l’Irap non vuol dire automaticamente avere più posti di lavoro. Su Renzi: “non mi piace quando disprezza i sindacati, ma non dobbiamo mica fidanzarci”. “Quando leggo di feeling o no tra me e Renzi non capisco. Voglio dire: se parla di scuola sono felice, se disprezza le parti sociali no. Dipende dai contenuti, non da tendenze caratteriali”. E sulle scelte dell’Esecutivo: “Se il governo taglia le tasse, noi festeggiamo. Quello che chiediamo è che il taglio vada tutto a beneficio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, con le detrazioni. E non venga annullato con interventi sulla spesa sociale. Sotto il governo Letta proclamammo uno sciopero proprio per questo. La mobilitazione è per chiedere lavoro, fine della precarietà, politiche per i giovani e per il Paese”. Su Landini e la Fiom: “È in corso una consultazione democratica nella Cgil sull’accordo sulla rappresentanza che determinerà le nostre decisioni”. Il titolo dell’intervista è “tutto il taglio delle tasse a lavoratori e pensionati. Niente regali agli evasori”.
Sullo stesso quotidiano Dario Di Vico (“Partite Iva e piccoli, l’errore da non fare”), in cui si ricorda l’accusa rivolta a Renzi in queste ore: mentre “litiga con la Cgil” ma “alla fine fa quello che vuole Camusso”, ed esclude dal taglio Irpef artigiani e commercianti “perché sospettati di evasione fiscale”.
Su La Stampa: “Renzi vuole tirare dritto ed è pronto a sfidare l’Europa, ‘Coperture fino a 20 miliardi’”, “L’obiettivo: da aprile mille euro l’anno ai redditi più bassi. Quirinale e Tesoro: prudenza. Oggi consulto con Padoan”. La Stampa parla ancora di “caccia alle risorse per la cura-choc” e sottolinea: “sul tavolo 6-7 miliardi che arriveranno con la spending review di Cottarelli e l’ipotesi di dimezzare gli F35”. In basso, intervista ad Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria: “restiamo della nostra opinione: gli sgravi sul cuneo fiscale farebbero ripartire l’occupazione mentre dare pochi soldi alle famiglie avrà effetti limitati e diluiti nel tempo”.
L’editorale del Corriere oggi è firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “Patrimoniale? Lasciate stare”. Una patrimoniale una tantum sarebbe come una “aspirina che fa dimenticare la malattia”, che è “il livello di debito e la mancanza di crescita”.
Sul Sole 24 Ore Alberto Orioli, in un commento, si chiede se servano di più gli 85 euro al mese in busta paga al capofamiglia, oppure “due posti di lavoro in più per i suoi figli disoccupati”. Insomma, al di là della diatriba tra Irap e Irpef, “l’importante è che il taglio al cuneo si traduca in nuova occupazione e nuovi investimenti”.
Su Il Giornale si scrive che “i provvedimenti choc del governo non saranno varati oggi dal Consiglio dei ministri”. Il ritardo dipenderebbe dal nodo coperture, “anche se ieri il premier ostentava calma via Twitter”. Sicuramente oggi farà la conferenza stampa per annunciare le misure, che dovrebbero essere: taglio delle imposte limitato ai soli lavoratori con redditi più bassi. Poi una rimodulazione delle aliquote, con un risparmio per i redditi sotto i 55 mila euro e “una stangata, sotto forma di nuova aliquota, per i redditi superiori a 120 mila. Infine, il ritorno del taglio Irap, anche se in versione light”. Ad annunciare che ci sono 10 miliardi con relativa copertura era stato ieri il viceministro Morando, che aveva detto che la copertura sarà articolata su una parte di misure strutturali, come la spending review (cinque miliardi) e misure “una tantum” che diventeranno anch’esse strutturali (il rientro dei capitali dall’estero, tra quelle indicate). Il quotidiano aggiunge che queste coperture “non avrebbero convinto qualcuno, ad esempio il Quirinale”.
Anche Il Fatto è scettico: “La scelta è fatta: solo Irpef, ma coperture ancora dubbie”. Per il quotidiano “sicuri sono solo gli annunci”.
Legge elettorale
E il direttore de Il Fatto, Antonio Padellaro, si mostra scettico anche sui risultati ottenuti sul fronte della legge elettorale: “farà prima Renzi ad eliminare il Senato o farà prima il Senato a eliminare Renzi?”. Ieri, secondo Padellaro, Renzi ha dovuto affrontare, sull’Italicum, la dura realtà quotidiana e alla Camera l’hanno visto per la prima volta spaventato sul serio, “quando ha rischiato di finire sotto sul nuovo tentativo di introdurre la rappresentanza di genere nelle liste (metà uomini e metà donne). Emendamento sostenuto dal M5S, che a far ballare il governo comincia a divertirsi un mondo. Ha salvato la pelle per miseri 20 voti grazie alla precettazione di ministri e sottosegretari rastrellati qua e là. Ma per quanto ancora potrà resistere, quando a giorni il nuovo sistema elettorale approderà a Palazzo Madama, dove la maggioranza è risicata e dove – stante l’annunciata abolizione della seconda camera – ai senatori non garberà molto fare la figura dei tacchini invitati al pranzo di Natale”.
Sul Sole 24 Ore un articolo ricorda che la legge, dopo il via libera alla Camera, passerà al Senato, e lì “sarà battaglia su soglie e liste”. “Offensiva di minoranza Pd e Ncd per semplificare gli sbarramenti e alzare l’accesso al premio”, oggi al 37 percento. Obiettivo: alzare la soglia, al 40, uniformare le varie soglie di sbarramento al 4,5 percento, ritentare di introdurre le preferenze o perlomeno le primarie di partito.
Sullo stesso quotidiano è Roberto D’Alimonte, ispiratore della legge, a giudicarla un “buon compromesso con qualche difetto di troppo”. D’Alimonte spiega che avrebbe preferito una soglia del 40 percento per accedere al premio, ma su questo “c’è il veto di Berlusconi”, e dice che le candidature plurime “non sono una bella cosa ma sono inevitabili per non imporre ai piccoli partiti un meccanismo del tutto casuale di assegnazione dei seggi”.
Il Giornale parla di un ruolo dell’ex segretario Pd Bersani, che “si vendica e lancia l’operazione ammazza-Renzi” perché ieri i voti della maggioranza sulla legge elettorale sono diminuiti per tutto il giorno. “Solo dieci voti hanno salvato ieri sera l’Italicum, e con esso il governo Renzi e la legislatura”. Solo Rosy Bindi e Francesco Boccia lo hanno dichiarato esplicitamente, ma sarebbero stati una settantina i deputati che hanno votato contro l’indicazione del partito. Ieri Bersani è tornato a parlare “in tono gioviale” di Renzi, e del rischio che “dica più di quello che fa”.
L’Unità: “L’ira di Renzi contro la minoranza: ‘volevano la rivincita sulle primarie’”. E un altro articolo si sofferma sul fatto che la legge elettorale, “senza preferenze e senza parità, parte in salita” al Senato. Il quotidiano intervista anche la senatrice Pd De Giorgi: “La risolviamo al Senato, ma Boschi doveva parlare”.
Il Giornale parla anche dei “dubbi del Cav sul Pd e il premier”, perché Berlusconi sarebbe “preoccupato della faida tra i Democratici: vogliono far fuori Renzi”.
Cronaca e politica
La Repubblica scrive che l’ex ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri è indagata per le telefonate ai Ligresti: “la procura di Roma: sui contatti con la famiglia l’ex Guardasigilli ha mentito ai pm”. La Cancellieri è stata ascoltata dai magistrati una ventina di giorni fa, ma -leggendo il quotidiano – si legge anche che l’audizione “può aver rafforzato quello che era sin dall’inizio il sospetto degli inquirenti, ovvero che non ci sia rilevanza penale per quelle chiamate che, di fatto, non hanno cambiato le sorti dell’iter di scarcerazione di Giulia Ligresti”.
Sul Corriere: “Cancellieri, i pm chiedono l’archiviazione”.
La Repubblica riferisce anche delle motivazioni con cui il giudice Elenora Santolini ha assolto in primo grado l’ex ministro Claudio Scajola: “non sapeva” e “neppure immaginava” quanto costasse veramente il suo appartamento con vista sul Colosseo, da lui pagato solo 600 mila euro.
Internazionale
“La Crimea vota l’indipendenza dall’Ucraina”, titola La Repubblica dando attenzione anche alle parole pronunciate dalla cancelliera Merkel: “Putin l’ha annessa”. E al punto di vista del ministro degli Esteri russo: “Lavrov: Decisione legittima”.
Sul Sole 24 Ore, in vista del voto sul referendum domenica, si scrive che i sostenitori filorussi sognano la Crimea come “ottantaquattresimo soggetto della Federazione Russa”, ma si ricorda che la Duma di Mosca si pronuncerà sull’esito del voto il 21 marzo, e che “un compromesso tra Cremlino e comunità internazionale potrebbe fermare Simferopoli sulla via di Mosca e lasciarla ne limbo in cui si trovano Ossezia e Abkhazia, la loro indipendenza dalla Georgia riconosciuta solo dai russi”. Il quotidiano scrive anche che Putin potrebbe fare i conti e verificare che una annessione della Crimea costerebbe almeno 6 miliardi di dollari l’anno, come scrive il Moskovski Komsolets. Dall’altro campo, Kiev ha ottenuto dalla Unione Europea, ieri, agevolazioni commerciali per mezzo miliardo di euro l’anno, con l’abbattimento dei dazi sull’import, “primo passo di un più ampio accordo di associazione” , quello che Yanukovich “non aveva voluto firmare a novembre, innescando la crisi”.
Il Giornale dà notizia del “primo sì” della Crimea alla indipendenza, perché ieri il Parlamento regionale ha approvato il distacco da Kiev con 78 voti su 81. “Mosca sfida l’Occidente e si prepara all’annessione”.
Il Corriere: “Il premier filorusso: ‘autodifesa, unica scelta’”. “Presidente Aksionov, ma sei sicuro che si possa fare un referendum in queste condizioni? Con i soldati russi nelle strade nessuno lo riconoscerà…”. “Certo che si può fare. Il 70 percento dei nostri cittadini è d’accordo, il nostro Parlamento lo ha votato, e poi in Crimea non c’è un clima di paura come dicono i media. La Crimea è in pace, non ci sono delinquenti per le strade. Lo sapete che la delinquenza è scesa di due terzi da quando l’Autodifesa popolare ha il controllo?”. Aksionov era ospite del primo canale ucraino, di un talk show in cui ha risposto ai dubbi sulla legittimità della proclamazione di indipendenza. Tra le domande: “Perché chiudete le frontiere a chi viene da Kiev?”. La risposta: “Tutti qui sono i benvenuti, tranne i fascisti che non hanno fatto nulla per noi e ora non possono più parlare a nome nostro”. Prima Aksionov aveva detto che “abbiamo sempre cercato il dialogo con Kiev”, ma “quelli di Euromaidan ci hanno ignorato. Quando le manifestazioni tatare ci hanno assediato a febbraio, chi è venuto ad aiutarci? Non avevamo altra scelta che l’Autodifesa”.
Dalle pagine de La Stampa, Marta Ottaviani racconta come la morte del giovane Berkin Elvan, 15 anni, colpito durante gli scontri a Istanbul nei giorni della protesta abbia riacceso Gezy Park: era stato colpito durante una manifestazione la scorsa estate, trovandosi in mezzo ad uno scontro suo malgrado, poiché era uscito di casa perché la madre gli aveva chiesto di andare a comperare il pane. Lo ha raggiunto la cartuccia di un lacrimogeno alla testa, è entrato in coma e ormai pesava meno di 20 chili. La famiglia ha annunciato la sua morte via Twitter: “Per la nostra gente: abbiamo perso nostro figlio Berkin Elvan”. Dove per “nostra gente”, spiega la Ottaviani, si intende la comunità alevita, minoranza che pratica un Islam più moderato di quello sunnita ed è in rapporti conflittuali con il governo. I funerali si terranno oggi in una Istanbul in stato di massima allerta. Ieri disordini ad Ankara, mentre ad Istanbul è tornato in piazza “lo zoccolo duro” di Gezy Park, con forme di protesta di alto valore simbolico: a Taksim i negozi hanno abbassato le serrande e alcuni panettieri hanno regalato il pane in onore del ragazzo. Ad Ankara un uomo si è seduto a Guvenpark con un pezzo di pane e un cartello che recitava “Ben Berkin’im”, “Io son Berkim”. In pochi minuti è stato raggiunto da migliaia di persone.
Anche su La Repubblica: “La Turchia s’infiamma per Berkin ucciso a 15 anni”.
Ancora su La Repubblica, il richiamo ad una inchiesta di Al Jazeera anticipata ieri dal Daily Telegraph: “L’attentato di Lockerbie fu opera dell’Iran”, le rivelazioni di un’ex spia iraniana, Abolghassem Mesbahi (che ora vive in Germania) riaprono il caso. Secondo Al Jazeera le indagini ufficiali sull’attentato, di cui fu accusata la Libia, cambiarono obiettivo dopo una telefonata tra Bush padre e il premier britannico Margareth Thatcher: non volevano inimicarsi la Siria e di conseguenza il suo potente alleato iraniano, in una fase in cui Washington e Londra erano più preoccupati dall’Iraq di Saddam, di cui Iran e Siria erano antagonisti.
Il Corriere dà notizia della bocciatura ieri all’europarlamento di una mozione per la parità in politica, promossa da una deputata portoghese del gruppo della Sinistra unita. La mozione chiedeva agli Stati membri di proporre l’alternanza uomo donna in occasione della preparazione delle liste per il voto europeo di maggio. La mozione è stata bocciata con il voto contrario del gruppo del Ppe (di cui fanno parte Ncd e Forza Italia), quello favorevole dei socialisti e l’astensione decisiva dei Verdi.
Ancora sul Corriere la notizia della condanna definitiva (in Cassazione) per Jeff Castelli e i suoi vice Medero e Russomando, agenti Cia in Italia, formalmente personale dell’Ambasciata Usa in Italia, responsabili del rapimento di Abu Omar nel 2003. Gli italiani coinvolti in quella operazione, ex dirigenti Sismi come Pollari e Mancni – scrive il quotidiano – sono stati sottratti al giudizio della Cassazione dalla apposizione da parte di 4 presidenti del Consiglio italiano del segreto di Stato, interpretato estensivamente dalla Corte Costituzionale.