Le aperture
Il Corriere della Sera: “Governo e Pd, affondo di Renzi”. “L’intervista: pronto a correre per la segreteria. ‘Riforme, prima la legge elettorale’. Letta: quanto durerà l’Esecutivo? Tutta la legislatura”. A centro pagina: “Cade la città dei ribelli, l’avanzata di Assad”. A fondo pagina: “Cucchi, un processo senza giustizia”. “Condannati i medici, assolti gli agenti penitenziari. La rabbia della famiglia”.
La Stampa: “Epifani: ‘Berlusconi garantisca due anni di vita al governo’. Intervista al segretario Pd: ‘Il presidenzialismo non diventi una bandiera’”. “Letta: possiamo anche durare tutta la legislatura. Prime defezioni tra i grillini: in due lasciano il gruppo”. A centro pagiona: “Cucchi, colpevoli solo i sei medici”.
Europa: “Epifani e Renzi, ma chi è il vero segretario? Attivissimo in campagna elettorale, il sindaco è tentato dalla candidatura ma aspetta le regole. Civati attacca la nuova squadra”.
Il Fatto quotidiano: “L’hanno ridotto così. Ma per i giudici è colpa dei medici”. “Sentenza di primo grado in Corte d’Assise a Roma per la morte di Stefano Cucchi.: omicidio colposo solo per i cinque dottori. Assolti i tre agenti di polizia penitenziaria. La sorella di Ilaria: ‘Giustizia ingiusta, ma non mi arrendo’”.
La Repubblica: “La sfida di Letta: resto 5 anni. Berlusconi rilancia il presidenzialismo: ‘la guerra civile è finita’. Il premier: ma se non si fanno le riforme lascio tra 18 mesi. Renzi al Cavaliere: la vera priorità è cambiare la legge elettorale”. A centro pagina: “Lavoro, rabbia in piazza. Subito a Roma il vertice Ue. Scontri a Terni, ferito il sindaco. La polizia: non siamo stati noi”.
L’Unità: “Lavoro, emergenza d’Italia. Letta: pronto il piano per i giovani. A Roma il vertice europeo. Squinzi: subito il rilancio”.
Il Sole 24 Ore: “’Il Paese deve credere nella crescita’. L’appello di Squinzi: puntare sul manufatturiero. Letta: fanno bene le imprese ad alzare l’asticella. Il rapporto del Centro studi Confindustria: perso il 15 per cento del potenziale produttivo ma struttura ancora solida. Vertice Ue sul lavoro il 14 a Roma”. Di spalla il quotidiano si occupa del “coro di proteste” dal mondo industriale: “Commissario all’Ilva: imprese preoccupate per l’effetto imitazione. De Vincenti: non è un esproprio, la proprietà resta in capo ai Riva”.
Il Giornale: “Grillo controlla la Rai. Arrivano le prime nomine: sarà un Cinque stelle il presidente della commissione di Vigilanza. A Terni scontri di piazza per il lavoro: c’è chi prepara l’estate calda”. A centro pagina, con foto “Se lo Stato in gonnella manifesta al gay pride”. “Idem e Boldrini alla sfilata”.
Libero: “Nasce l’asse anti-euro. Anche Gran Bretagna e Giappone con gli Usa: misure non convenzionali per piegare il rigore tedesco”.
Pd
Guglielmo Epifani, intervistato da La Stampa, dice: “Questa discussione sul semipresidenzialismo sta diventando una bandiera per tifoserie. Non si affrontano così problemi delicati. Io invito a fare le cose coi tempi giusti perché voglio portare a termine le riforme e invece tempo che questa accelerazione ideologica sia un modo per non farle. Dobbiamo procedere per gradi, far istruire bene tutto il dossier partendo dall’inizio: superare il bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari, varare il Senato delle regioni. Con una verifica attenta del rapporto tra poteri centrali e poteri regionali. E solo poi si arriva alla forma di governo”. Del semipresidenzialismo dice che è una possibilità in campo, “più innovativa, ma che richiede un numero di interventi amplissimo su oltre trenta articoli della Costituzione. Si si antepone a tutto una soluzione del problema, non si costruisce nulla. E se questo tema delle riforme viene vissuto in maniera astratta, non viene capito dalle persone”. Epifani dice che la sua “preoccupazione” è legata al fatto se il centrodestra intenda o no continuare con una politica di servizio per il Paese. Un percorso istituzionale come questo ha bisogno di una promessa di stabilità di due anni. Se sul Parlamento si dovessero scaricare le tensioni che una parte della maggioranza trasferisce sul governo, ciò finirebbe per riflettersi sul percorso delle riforme”. Su Renzi: “Siccome è una persona molto intelligente, come potrebbe far cadere un governo di cui è premier un esponente del suo partito? Il Pd gli si rivolterebbe contro. Escluderei questo rischio”. Lei lo voterebbe se si candidasse segretario? “Intanto stiamo parlando di una ipotesi del terzo tipo, dipenderebbe comunque dal contesto e dal programma. Lui appartiene a questa comunità, ed è una persona di grande rilievo, non c’è alcun dubbio”.
Il Corriere della Sera offre una intervista a Renzi, firmata da Aldo Cazzullo: “Si candiderà alle priimarie per la segreteria del Pd?”. “Dipende dal Pd, non da me. Se riusciamo ad uscire dalla palude, ad imporre i nostri temi, la nostra gente capirà il governo con il Pdl. Se tiriamo a campare, se ci facciamo dettare l’agenda da Berlusconi, se non riusciamo a fare le riforme, allora…”. La prima riforma da fare è quella sulla legge elettorale, “invece vedo che la si vuol mettere per ultima. E’ sbagliato. E’ l’idea che il ‘problema è ben altro’ che porta a non fare niente. Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato”. Ancora sulla sua candidatura. “Io mi sono stancato di passare per il monello in cerca di un posto, il ragazzo tarantolato con la passione del potere. Sono l’unico che no si è seduto in nessuna poltrona ed è rimasto dove era prima. Se c’è bisogno di me, me lo diranno i sindaci, i militanti. Persone che stimo molto, mi consigliavano di non farlo: ora però si vanno convincendo anche loro. Di sicuro non succede, non sarà come l’altra volta, una campagna improvvisata per quanto bella. C’è bisogno di una squadra ben definita”. A quali nomi pensa? “I migliori in ogni campo: energia, scuola, innovazione tecnologica. Di solito ai politici interessa il loro futuro personale. Io non ho ancora le idee chiare sul mio futuro, ma le ho chiarissime sul Pd e sull’Italia. Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d’Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli, abbassare il costo dell’energia, avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato”. Sul governo: “Io spero che Letta abbia successo”, “non so fino a quando potremo governare con Schifani e Brunetta, i loro capigruppo. Il governo dura se fa le cose. E’ come andare in bicicletta: se non pedali cadi”. Il decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince? “Ho fatto voto di non parlare male del governo, quindi taccio”, dice, sottolineando che “si poteva avere più coraggio, spero che il Parlamento lo migliori”, e che “venga abolito il Senato, trasformandolo in Camera delle autonomie”.
Riforme
In tema di finanziamento pubblico, segnaliamo da La Stampa un articolo in cui si parla di una “svolta” nel disegno di legge trasmesso ieri in Parlamento: la facoltà di destinare ai partiti il 2 per mille dell’imposta sul reddito prevede che il contribuente possa indicare, se lo vuole, un partito. Ma “in caso di scelte non espresse, le risorse disponibili restano all’erario”. In altre parole -spiega il quotidiano- si prevede che ai partiti vadano soltanto le risorse effettivamente indicate dai contribuenti e dunque le forze politiche non conterebbero su un “fisso” annuale, su un “tesoretto” comunque garantito, il cosiddetto “inoptato”. Secondo La Stampa sarebbe stato lo stesso Letta a caldeggiare questo cambiamento sulla base della discussione tenutasi in sede di Consiglio dei ministri: una novità che “indubbiamente non è destinata a far piacere ai partiti” che, “non potendo contare su una quota fissa, di fatto dovranno “guadagnarsi” ogni anno l’opzione dei contribuenti. E l’unico precedente al riguardo, che risale agli anni Novanta, non è incoraggiante: non si è mai saputo quanti italiani optarono i partiti in quella circostanza”.
La Repubblica intervista il tesoriere Pd Antonio Misiani: “sento la responsabilità dei nostri 500 dipendenti -dice- In questi frangenti capisci come si deve sentire un imprenditore di fronte alla crisi”. Lei quanto guadagna? “Non prendo un euro in più rispetto all’indennità di parlamentare, ovvero 7mila euro netti”. Un dipendente ha fatto questa proposta: il Pd ha 800mila iscritti, se ognuno versasse 50 euro avremo risolto il problema. Misiani: “Intanto gli iscritti sono meno di 600mila, ma poi i soldi del tesseramento sono destinati all’attività politica, perciò rimangono sul territorio”. Ma lei a questo dipendente cosa direbbe? Misiani: “Che dovremo cambiare modo di lavorare, e pensare di finanziarci come le realtà del terzo settore, Emergency o Save the Children”, “la gente ti deve dire: ti finanzio perché servi, mi sei utile”.
Sullo stesso quotidiano, attenzione per la questione diaria e parlamentari 5 Stelle: un “salvadanaio” per i soldi in più. Si tratterebbe di un conto corrente nel quale far confluire la quota dello stipendio che i grillini intendono restituire: un fondo unico con una unica destinazione secondo alcuni (per esempio le piccole e medie imprese) o diverse destinazioni (il parlamentare Zaccagnini propone che una parte vada all’agricoltura).
Il Corriere della Sera scrive che sono in arrivo altri sette saggi, accanto ai 35 esperti designati per elaborare le riforme costituzionali: i sette accademici scriveranno materialmente i testi. Si tratta di Tommaso Frosini, Vincenzo Lippolis, Nicola Lupo, Anna Chimenti, Cesare Pinelli, Claudio Ducciarelli e Giuditta Brunelli. Tra saggi ed estensori si arriva dunque a 42 studiosi che a titolo gratuito parteciperanno al processo costituente. I 42 si vedranno una volta alla settimana non riceveranno alcun gettone di presenza, ma chi risiede fuori Roma potrà contare su un rimborso spese. E’ stato anche deciso di lavorare in plenaria e, nei limiti del possibile, si eviterà di sottoporre a scrutinio le deliberazioni che verranno prese. Si punta quindi ad una larghissima condivisione, se non addirittura alla unanimità. Uno dei saggi, Barbera, suggerirà ai colleghi la consegna del silenzio. Oggi il Consiglio dei ministri darà il via libera al ddl costituzionale con cui si istituirà la Commissione di 40, al termine della procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione. I 40 avranno a disposizione 4 mesi per esaminare i testi proposti dai saggi, altri tre sono a disposizione di ogni Camera per discutere le riforme. Il disegno di legge riduce da tre mesi ad uno l’intervallo che deve intercorrere tra due successive deliberazioni di ciascun ramo del Parlamento. Il testo sarà comunque sottoposto a referendum confermativo.
Il politologo Giovanni Sartori, intervistato da La Stampa, dice che 35 saggi “sono troppi” e che “non combineranno nulla”. “35 persone sono già un parlamentino, e infatti questi 35 saggi sono stati scelti in rappresentanza dei partiti e dei loro interessi”. “Ai partiti delle riforme costituzionali interessa poco o nulla, tanto è vero che potevano cominciare con la legge elettorale e non l’hanno fatto”. Sostengono che la legge elettorale va rivista in base a come èriformata la Costituzione: “Questa è una stupidaggine alla grande. Che c’entra l’assetto istituzionale che ti dai con la legge elettorale che scegli? Io, lo sanno tutti, l’ho scritto mille volte, sono per il doppio turno alla francese e anche per il semipresidenzialismo, ma le due cose sono disgiunte”. Sartori tiene a replicare anche alle accuse di Zagrebelsky, secondo cui il presidenzialismo ha fatto danni alle democrazie immature: “Per la precisione ha detto che il presidenzialismo e il semipresidenzialismo in America Latina hanno favorito l’ascesa dei colonnelli. Ma il semipresidenzialismo non esiste nel sudamerica. Che c’entra con Pinochet o Videla?”, “Zagrebelsky fa anche il caso della Russia ma, come ho scritto nel mio libro sulla ingegneria costituzionale, la Russia ha una legge elettorale di facciata ma falsa nella sostanza”. Sono in molti a pensarla come Zagrebelsky, però. “Purtroppo. Ma i nostri giuristi spesso conoscono soltanto il diritto italiano. E questo argomento è il modo migliore per non fare nulla e tenersi il Porcellum”.
Cucchi
La Repubblica ricorda che Stefano Cucchi fu arrestato nell’ottobre del 2009 per il possesso di trenta grammi di droga. Il giorno seguente fu portato nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, in attesa del processo per direttissima. Secondo l’accusa, prima di entrare in Aula venne picchiato da tre agenti penitenziari: era in crisi di astinenza e pretendeva, “come una furia” secondo l’accusa, un farmaco per calmarsi. L’avvocato difensore della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, aveva accusato gli agenti di omicidio preterintenzionale (“Gli agenti lo picchiarono, lo fecero cadere a terra, gli procurarono lesioni che lo ridussero in gravissime condizioni, tanto che poi fu necessario il ricovero all’ospedale Pertini”). Il giorno seguente Cucchi fu ricoverato nel reparto speciale dell’ospedale, e la ricostruzione della Procura dice che si rifiutò di mangiare e bere, che morì per denutrizione e che medici e infermieri lo abbandonarono al suo destino.
Per l’avvocato difensore Cucchi arrivò in ospedale con una “bradicardia patologica” dovuta alle lesioni e il personale del nosocomio non fece nulla per aiutarlo. Sono stati assolti, “per non aver commesso il fatto”, gli infermieri dell’ospedale. Condannati invece il direttore del reparto, ed altri medici, non per abbandono di incapace ma per omicidio colposo”. Per insufficienza di prove sono stati assolti, scrive La Stampa, gli agenti. In una intervista a La Stampa la sorella Ilaria annuncia che la famiglia ricorrerà in appello: “Tutti sanno che mio fratello è morto per le botte e per come è stato ignorato in ospedale. Non è morto per una semplice colpa medica come si evince dal verdetto, e neppure è morto per droga. Mio fratello era uno sano, uno che andava in palestra”.
Sul Corriere della Sera Giovanni Bianconi scrive della sentenza che ieri ha assolto gli agenti e gli infermieri dell’Ospedale Pertini, ed ha condananto per omicidio colposo i medici, per la morte di Stefano Cucchi. Le condanne sono più lievi rispetto alle richieste dei Pm. Bianconi ricorda che la sorella Ilaria Cucchi aveva già prima del processo lanciato la sua accusa: “Stefano è morto di giustizia”. Questo resta “un dato di fatto, una realtà oggettiva”, secondo Bianconi, poiché il fratello, 31 enne con problemi di tossicodipendenza, e una salute instabile che però non gli impediva di condurre una esistenza normale, è morto perché il sistema giudiziario in cui è incappato “l’ha inghiottito vivo e l’ha restituito cadavere, in condizioni pietose, che escludevano la ‘morte naturale’ certificata troppo frettolosamente”. Scrive ancora Bianconi che “Cucchi è morto perchè nei giorni dell’agonia voleva parlare con un avvocato, e che per questo ha rinunciato al cibo, senza che nessuno si occupasse di portare all’esterno dell’ospedale-prigione in cui era rinchiuso la sua legittima richiesta. E’ morto perché nei verbali di arresto risultava ‘senza fissa dimora’, anche se la casa in cui ufficialmente abitava era stata appena perquisita dai carabinieri, e quella falsa attestazione ha impedito che gli venissero concessi gli arresti domiciliari. E’ morto perché mentre era detenuto i genitori hanno tentato invano per tre giorni di incontrarlo e di avere sue notizie, ma una regola glielo impediva. Una regola talmente illogica che dopo questa storia è stata cambiata dall’Amministrazione penitenziaria. Insomma, secondo Bianconi Ilaria Cucchi ha ragione, “quando accusa il meccanismo burocratico e cieco che ha stritolato un semplice indagato per cessione di due dosi di hashish a un amico e il possesso di qualche grammo di stupefacenti, reati da pagare con il carcere, non con la morte”.
Carlo Bonini su La Repubblica scrive che la sentenza della Corte d’Assise di Roma derubrica la fine di Cucchi tra indicibili tormenti a banale colpa medica. L’imperizia, il cinismo di chi, infermiere, lo vide spegnersi in un letto dell’ospedale Pertini sono state ritenute irrilevanti perché non causa diretta della morte: “In fondo, nel cadavere di Stefano, furono ritrovati solo 1400 cc di urina. In fondo, il catetere cui era agganciato si era ostruito e nessuno se ne era accorto. Ma chi è mai morto per una vescica gonfia come un pallone?”.
Internazionale
“Turchia, 25 arresti per un tweet”, titola La Repubblica. E Il Giornale: “Turchia, arresti di massa per un tweet”, “a Smirne 29 fermati ‘per avere diffuso informazioni diffamatorie’ sul web”. L’accusa, secondo quanto riferisce il quotidiano Hurriyet, è quella di avere incitato i cittadini ai disordini ed aver fatto propaganda. La notizia, sottolinea La Repubblica, è ancora più rimarchevole per il fatto che arriva dal centro tradizionalmente più laico della Turchia (Smirne viene bollata come ‘Gavur’, ovvero l’infedele dai seguaci della compagine al potere). Oggi rientra dal suo viaggio nel Maghreb il primo ministro Erdogan, e ieri Istanbul e Ankara sono tornate a manifestare nelle strade. La polizia ha disperso i dimostranti a suon di gas urticanti. Il vicepremier Arinc, che aveva tentato martedì di disinnescare la tensione su invito del capo dello Stato, “il vero moderato della situazione, Abdullah Gul”, secondo Marco Ansaldo, ha infine incontrato gli organizzatori della manifestazione contro l’eliminazione del Gezy Park a Istanbul. Ad Arinc è stata chiesta la testa dei capi della polizia di diverse città. Ieri il viceministro degli esteri Marta Dassù, parlando del possibile ingresso della Turchia nella Ue dice che la questione è “la leva che abbiamo”.
Ancora su La Repubblica un intervento dellos scrittore Pamuk. Racconta una storia personale presente nel libro di memorie su Istanbul: davanti al palazzo della famiglia, si trovava un castagno di 50 anni, “che per fortuna è ancora lì”. Un giorno nel 1957 il comune decise di tagliare quell’albero per allargare la strada: “Burocrati presuntuosi e amministratori autoritari ignoravano la volontà del quartiere. Così, nel giorno in cui l’albero doveva essere abbattuto, mio zio, mio padre e altri restarono in strada tutta la notte, facendo a turno per fare la guardia”. Oggi “piazza Taksim è il castagno di Istanbul”. Non c’è abitante di questa città che non abbia almeno un ricordo legato a questa piazza, dove quest’anno il governo ha vietato di celebrare la festa del lavoro (un appuntamento tradizionale nella storia della Turchia). Fatto che siano stati messi in atto progetti senza prima consultare gli abitanti di Istanbul è stato un grave errore per il governo di Erdogan. Questo atteggiamento insensibile è chiaramente dovuto a una crescente deriva del governo verso l’autoritarismo, scrive Pamuk, sottolineando che l’ultimo rapporto sui diritti umani in Turchia è il peggiore degli ultimi dieci anni.
Sulle stesse pagine Lucio Caracciolo, parlando di Erdogan, scrive che, come capita a chi resta troppo a lungo al timone, il primo ministro ha perso il senso della misura e ricorda un dittatore.
Sul Corriere della Sera Monica Ricci Sargentini scrive che “il cuore islamico di Istanbul continua a battere per Erdogan”. E’ un viaggio nel distretto di Fatih, uno dei più conservatori della città roccaforte della Akp e di una delle più rigide sette del Paese, l’Ismail Aga.
Anche i sindacati si sono uniti alla protesta, racconta La Stampa. Qui Marta Ottaviani spiega anche che la protesta femminle è una delle parti integranti del Movimento. Tanto che un gruppo di donne ha pensato di “reinventarla”, e per dare un messaggio di pace, in contrasto con la violenza della polizia, una ventina di signore ha steso tappetini nei viali del parco per fare yoga. E fanno affari, anche in tempo di protesta. Che gli affari siano affari ne sanno qualcosa le persone che si sono recate all’ufficio brevetti turco per registrare marchi che richiamano questa settimana. Il più gettonato è naturalmente Gezy Park che, secondo la stampa turca, andrà a identificare prodotti alimentari come latticini, zuppe pronte, succhi di frutta, magari bio. La palma del più originale è stata vinta da chi ha fatto registrare la parola “capulcu”, che in turco vuol dire saccheggiatore, ed è stata utilizzata da Erdogan per definire i manifestanti.
Restiamo a La Stampa per parlare di Siria, dove è caduta quella che il quotidiano definisce “la stalingrado dei ribelli”. E’ tornata in fatti sotto le mani dell’esercito regolare siriano di Assad la città d Qusair, dopo due settimane di combattimenti. Le forze dell’opposizione battono in ritirata, morti e feriti non si contano: “grazie all’apporto determinante dei miliziani sciiti libanesi di Hezbollah i lealisti presidiano ormai le arterie pricnipali di questa cittadin agricola fino a due anni fa abituata a coltivare albicocche e mele lungo l’Oronte, Nahr Al Assi, il fiume ‘ribelle’ che scorre da Sud a Nord”. “Qusair ai ribelli che l’avevano conquistata un anno fa garantiva le armi provenienti dal confine libanese, ma per il presidente Assad era ancora di più, il collegamento tra la capitale e la costa, dove è concentrata la minoranza cui appartiene la sua famiglia, una potenziale via di fuga e sopratttuto la chiave di quell’ipotetica enclave alauita dentro cui arroccarsi in una Siria divisa”. Jeffrey White, ex analista del Pentagono, ora al Washington Institute, intervistato dal quotidiano, spiega come il regime è riuscito a riconquistare Qusair: “ha impiegato le truppe regolari e irregolari, come le milizie, per stringere d’assedio la città, impedendo ai ribelli di ricevere rifornimenti, adoperando poi il tassello più importante, gli alleati Hezbollah come fanteria di assalto che ha sostenuto le maggiori perdite. Inoltre la battaglia di terra è stata sostenuta da artiglieria, raid aerei e lanci di missili terra-terra. Basti pensare che in una sola giornata Qusair è stata bersagliata da 16 raid aerei e tre missili”.
Quanti soldati ha impiegato Assad per la battaglia? “Almeno cinque-seimila uomini, affiancati da circa 2000 Hezbollah Libanesi”. “Chi controlla Qusaier e Homs controlla la Siria centrale, la strada per Damasco e l’intera nazione”. Ma i ribelli hanno registrato successi in altre aree, come la provincia di Hama, Daraa, ed Aleppo.
Da La Repubblica segnaliamo il reportage di Alberto Stabile: “Siria, Qusair è una città fantasma, cacciati i ribelli restano solo le macerie, vittoria strategica per Assad, Hebzollah a fianco dell’esercito”. Sarebbero 4 o 5 mila i miliziani di Hezbollah che hanno combattuto insieme alle forze lealiste: 30 anni di battaglie, scontri e guerre contro l’esercito israeliano li hanno resi guerriglieri efficientissimi.
Ancora su La Repubblica una “breve” notizia dal processo in corso a Tunisi nei confronti delle attiviste Femen: due francesi, una tedesca, sono sotto accusa per aver manifestato a seno nudo per chiedere la scarcerazione della Femen tunisina Amina Tyler. Si sono presentate nell’aula del tribunale avvolte, provocatoriamente, in un velo quasi integrale.
E poi
Su Il Fatto si dà conto delle rivelazioni del Wall Street Journal, che è entrato in possesso di un documento interno del Fondo Monetario Internazionale. Nel testo il Fondo dice di aver sottostimato i danni derivati alla economia greca dalla economia del rigore, ma aggiunge che la risposta alla crisi, coordinata dall’Europa, ha consentito alla Grecia di superare il momento più critico e di restare nell’euro. Proprio ieri il direttore generale Lagarde ha ribadito che la Grecia non deve allentare gli sforzi di consolidamento delle finanze pubbliche, se vuole cogliere i frutti dei sacrifici.
Anche su Il Corriere della Sera: “Il Fondo si pente sulla Grecia”, “sottovalutati gli effetti della austerità. E attacca Bruxelles”.
Nel rapporto infatti non mancano critiche alla Commissione, e vengono anche ammesse divergenze nella trojka. La Ue, si scrive nel rapporto, non aveva avuto esperienza nella gestione di crisi, e “ha riscontrato successo limitato nell’implementazione delle condizioni di prestito”. La Commissione era focalizzata “più sul rispetto delle norme Ue piuttosto che sulla crescita” .