Processo Mediaset, in Cassazione il 30 luglio

Il Corriere della Sera. “Il Pdl contro la Cassazione”. “Protesta per la decisione della Corte di accelerare sul processo contro Berlusconi”. “Riunione di partito, l’ipotesi di lasciare i lavori delle Camere”. A centro pagina: “Italia declassata a sorpresa dall’agenzia di rating S&P. Il Tesoro: non condividiamo”.

 

La Repubblica: “Berlusconi, subito la sentenza. Il giudici devono pronunciarsi sulla candanna a 4 anni e sull’interdizione dai pubblici uffici. L’urgenza per evitare la prescrizione. Mediaset, la Cassazione decide il 30 luglio. Insorge il Pdl”. A centro pagina: “La destra critica il Papa: pregare non è governare. Dal Pdl alla Lega, polemiche dopo la visita a Lampedusa”. In apertura: “S&P declassa l’Italia: ‘No ai tagli Imu e Iva’. Letta: giudizio ingeneroso”.

 

Il Fatto quotidiano: “Caso Mediaset, B. pretende una corte di prescrizione”. A centro pagina: “Per colpa dei rinvii di Imu e Iva Italia declassata verso il baratro”. In evidenza anche una intervista alla Presidente della Camera Boldrini: “La Boldrini a Marchionne: ‘Qui si muore senza diritti’”.

 

Libero: “Berlusconi all’ultima spiaggia”.

 

Il Giornale: “Banditi di Stato. Sentenza sprint della Cassazione per il Cavaliere: il 30 luglio si decide tutto. Un accanimento con trucco… Berlusconi pronto all’Aventino: ‘Vogliono piazzale Loreto’. La rabbia del Pdl. S&P ci taglia il rating, la Ue non vuole farci abolire l’Imu e il governo è a rischio”:

 

La Stampa: “Conti a rischio, Italia bocciata. S&P declassa Roma. Letta: ‘Restiamo un sorvegliato speciale’. L’agenzia di rating americana: il bilancio 2013 in pericolo per Imu e Iva. Il Tesoro: decisione superata dai fatti”.

 

Processo Mediaset

 

Sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella, che ieri aveva anticipato la notizia della decisione della Cassazione di fissare al 30 luglio l’udienza per il processo a Berlusconi sui diritti tv, spiega la decisione della Corte citando il terzo comma dell’articolo 2 della legge numero 742 del 1969, secondo cui “nei procedimenti per reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione” dei termini feriali, “il giudice pronuncia, anche d’ufficio, ordinanza non impugnabile con la quale è specificamente motivata e dichiarata l’urgenza del processo”. In base a questo comma, scrive Ferrarella, anche i giudici di Cassazione non possono farsi prescrivere in mano i procedimenti su reati che abbiano prescrizioni imminenti pur durante la pausa estiva. Ecco spiegata, nel caso dei diritti tv Mediaset, la fissazione al 30 luglio del processo pervenuto in Cassazione da Milano nove giorni fa, con i ricorsi difensivi depositati il 19 giugno. Ieri il Corriere aveva calcolato che in un periodo compreso tra il 31 agosto e il 30 settembre, ma più probabilmente il 13 settembre, si sarebbe prescritta una delle due annate di frode fiscale per le quali i giudici di Tribunale il 26 ottobre 2012 e di appello l’8 maggio 2013 avevano condannato il patron di Mediaset ed ex premier a 4 anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici.

Il Sole 24 Ore scrive che legge e prassi prevedono una urgenza nei termini per fissare l’udienza: essi possono essere ridotti fino ad un terzo. In base alla legge del 1969 e all’articolo 169 del codice di procedura penale, nonché alle direttive annualmente impartite dal primo presidente della Cassazione, il processo è stato fissato davanti alla sezione feriale.

Il Fatto scrive che il rischio prescrizione è stato segnalato alla Cassazione anche dalla Corte di Appello di Milano: il presidente di turno della sezione feriale della Suprema Corte Antonio Esposito ha preso quindi una decisione obbligata, dopo aver ricevuto il fascicolo Mediaset con indicato sulla copertina “prescrizione dal 1 agosto 2013 al giugno 2014”.

Massimo Giannini, su La Repubblica, difendendo la decisione dei giudici, in un editoriale dal titolo “Un finale da caimano” sottolinea che basta incrociare l’articolo 169 del codice di procedura penale con il “decreto organizzativo” varato più di un anno fa dall’allora primo presidente della stessa Cassazione, Ernesto Lupo, per spiegarne il motivo. Dunque, secondo Giannini, nessuna persecuzione, nessuna forzatura ad personam: “’Ad personam’, semmai e come al solito, era la prescrizione che si stava per abbattere in parte anche sul processo per i diritti tv Mediaset (come si è già abbattuta dal 1994 ad oggi in 9 dei 17 processi, da All Iberian al caso Mills, nei quali l’ex premier si è salvato grazie alle norme su misura fatte approvare a forza dalle Camera)”. Sul piano delle ripercussioni politiche, Giannini scrive: “Se la Cassazione confermerà la condanna, tutto è davvero possibile, compresa la crisi, il voto, una campagna elettorale feroce. A meno che nella giunta per le autorizzazioni del Senato, che sarà chiamata a ratificare a scrutinio segreto l’interdizione dai pubblici uffici, qualche anima persa del Pd non decida di offrire un ‘soccorso rosso’ al Cavaliere”. Per Giannini si tratterebbe di un “atto di nichilismo etico e di cinismo politico”.

Il Giornale: “Cassazione sprint per il Cav. Il 30 luglio udienza decisiva”. “Per la prima volta sarà la sezione feriale ad occuparsi di un processo così delicato. Accelerazione sospetta dopo un fax dei pm di Milano e un articolo del Corriere”. Negli articoli si spiega che il quotidiano di via Solferino con un articolo in prima pagina ieri aveva attirato l’attenzione sul rischio prescrizione. L’articolo del Corriere aveva infatti allertato tutti i protagonisti del processo: i difensori, ma anche la Procura di Milano, che ieri, secondo Il Giornale, sarebbe stata colta alla sprovvista e si sarebbe affannata a cercare delle contromisure. Nel pomeriggio si è saputo che già la settimana scorsa, da Milano, era partito un fax per la Cassazione, per attirare l’attenzione sul rischio incombente. Ma sulla copertina del fascicolo trasmesso a suo tempo a Roma dai pm milanesi era indicata una data ben più tranquillizzante, la primavera del 2015.

Centrale quindi è nella lettura de Il Giornale il ruolo del Corriere della Sera: il direttore Alessandro Sallusti scrive che la Cassazione ha “obbedito al Corriere”, “organo della Procura di Milano, oltre che di quei tre o quattro poteri che ancora contano nel Paese” ovvero “Fiat, Mediobanca, Banca Intesa”. E non è un caso, per Sallusti, che i due litiganti per il controllo del Corriere, ovvero Fiat e Della Valle, nelle ultime ore siano stati molto attivi, con pratiche inusuali, nei confronti di Napolitano, altro arbitro sulla cui imparzialità i dubbi sono sempre maggiori”. Sallusti parla di “banditismo” e conclude: “Chi se ne frega della sorte di questo governo. Meglio lottare dalla opposizione che farsi spegnere in maggioranza”.

Alle pagine interne si spiega la “persecuzione”, ricostruendo la storia dei “34 procedimenti a carico di Berlusconi”: “Zero condanne definitive”.

Restando allo stesso quotidiano: “Berlusconi: vogliono piazzale Loreto. E prepara l’Aventino”, “il Cav dopo l’annuncio della Cassazione: paralisi pacifica delle Camere, ma niente attacchi al governo. Napolitano si assuma le sue responsabilità”.

La Repubblica intervista l’avvocato Franco Coppi, ora difensore di Berlusconi. Non si aspettava assolutamente la fissazione della udienza al 30 luglio, e dice che comprime le possibilità pratiche della difesa, poiché l’anticipo taglia tempi di approfondimento assolutamente necessari (“Ghedini ed io volevamo presentare motivi aggiunti e memorie, perché quelli presentati sono soltanto abbozzati”). Coppi spiega che “giuridicamente è impossibile” contestare la decisione della Corte. La fretta non è giustificata: “non lo è perché quotidianamente la Cassazione dichiara la prescrizione intermedia, e non c’è nessun bisogno di rinviare a un latro giudice per la determinazione della pena perché la stessa Corte può sottrarre alla pena complessiva la parte corrispondente ai reati prescritti”. Inoltre, aggiunge Coppi, “se la prescrizione intermedia matura il 13 settembre, la Cassazione poteva fissare udienza quel giorno e avremmo avuto un mese di tempo in più”. L’avvocato sottolinea che il compito sarà difficile anche per il giudice che dovrà “studiare gli atti, fare una relazione, spiegare agli altri di che si tratta. Venti giorni sono pochi per noi che conosciamo il processo, figurarsi per chi vi si avvicina per la prima volta”.

Sullo stesso quotidiano, un “retroscena” si sofferma su quella che sarebbe stata la reazione di Berlusconi: “Il Cavaliere pronto allo scontro finale. ‘Se mi condannano il governo è finito’. ‘Ma romperò sull’economia e Renzi su questo mi aiuterà’”. Si legge che il leader Pdl non intenderebbe staccare la spina ora al governo perché andrà fatto eventualmente sui nodi economici irrisolti, tra agosto e settembre: “e a quel punto Berlusconi è convinto di trovare in Matteo Renzi, destinato a entrare in campo a ottobre, un potenziale ‘alleato’: ‘vedrete, sarà anche suo interesse anticipare il voto’”.

 

Internazionale

 

La Stampa, dando conto della evoluzione della situazione politica in Egitto, scrive che il Paese va alla prova della transizione: i salafiti hanno dato il via libera all’economista ed ex ministro delle finanze Beblawi come nuovo premier. Il quotidiano racconta come sia una situazione di “muro contro muro” tra i militari e i Fratelli Musulmani. Questi ultimi hanno dato l’estremo addio a una parte dei loro “martiri”, dopo la carneficina di due giorni fa (52 morti, 80 secondo fonti del sindacato dei medici), 650 le persone arrestate nelle ultime 24 ore con accuse di omicidio, possesso di armi, occupazione di suolo pubblico, attentato alla sicurezza nazionale. La road map delineata dal Presidente ad interim Mansour prevede di emendare in parte la Costituzione e poi un referendum popolare per confermarla. Elezioni politiche nel 2014, e infine elezioni presidenziali. Come Vice-presidente il capo dello Stato ad interim ha scelto Mohamed El Baradei. Il vicepresidente del partito libertà e giustizia (il partito politico dei Fratelli Musulmani) Issam El Erian ha definito il piano di transizione “un decreto costituzionale formulato da un uomo nominato dai golpisti”. Sulla prima pagina de Il Foglio la corrispondenza di Daniele Raineri da Il Cairo racconta la resistenza dei Fratelli Musulmani in piazza: hanno fatto cerchi sulle pietre sull’asfalto dove sono caduti i corpi dei loro, fulminati dalle pallottole dei soldati, hanno montato teli e tende tra gli spartitraffico, hanno alzato muretti a secco e schierato un servizio d’ordine con in testa i caschetti da cantiere, e in mano le mazze, i venditori ambulanti vendono mazze. Raba El Adawiya sta diventando il luogo simbolo dello scontro tra Islam e militari: per Raineri i Fratelli Musulmani stanno ritrovando “la loro vocazione reale”, che è quella di resistere ad un potere militare troppo più potente di loro. “Che ci faranno mai con le nuove mazze e a pancia vuota contro i fucili dei cecchini?”. Dicono che la loro protesta sarà pacifica, e per Il Foglio è un ritorno al loro vero talento, “la resistenza organizzata contro lo Stato nemico, niente più responsabilità da affrontare, soltanto repressione”. Il quotidiano racconta anche che una delegazione degli emirati arabi uniti è arrivata al Cairo ieri per annunciare un finanziamento da tre miliardi di dollari e l’invio di 30 mila tonnellate di carburante diesel. Anche l’Arabia Saudita ieri ha annunciato un prestito per due miliardi di dollari.

 

Su Il Sole 24 Ore si scrive, sotto il titolo “Qatar e sauditi, gara di solidarietà”, che è incominciata la grande corsa araba per sostenere la restaurazione egiziana. Il Qatar aveva già prestato 5 miliardi ed ha deciso di aggiungerne un altro per acquistare bond egiziani, anche se in realtà era già parte di un pacchetto previsto da tempo. Diversamente da altre monarchie del Golfo, il Qatar era considerato un sostenitore dei Fratelli Musulmani, detestati da sempre dai sauditi, essendo la loro interpretazione dell’islam politico molto più modeata del wahabismo saudita.

Di fianco, una analisi di Vittorio Emanuele Parsi: “Al Cairo ha perso l’islam politico”: “Quella parte della popolazione egiziana scesa in piazza per sfiduciare Morsi ci ricorda la necessità che la fede continui ad essere una scelta individuale, non un fattore di divisione politica. E afferma qualcosa la cui importanza tendiamo a scordare persino in Occidente: cioè la supremazia del concetto repubblicano di cittadinanza su quello comunitario di fedele. Non lo fa però aggredendo frontalmente la premessa, ovvero la necessaria separazione e autonomia tra ambito religioso e politico; ma invece a partire dalle conseguenze, cioè dalla manifesta realtà del disastro che Morsi ha combinato in un anno di potere: sbugiardando lo slogan che l’islam rappresenti sempre ‘la soluzione’, o che gli uomini pii siano meno corrotti degli ‘empi’, o che il moralismo sia sufficiente per rimettere in piedi l’economia”.

 

Sul Corriere della Sera si parla della leadership laburista: “Miliband si emancipa dai sindacati”. Il corrispondente da Londra parla di un primo passo per arginare il peso delle Trade Unions, principali azioniste del partito. Miliband vorrebbe liberarsi dal condizionamento del sindacato e di Len McClusky, il suo capo. Significa rimodellare i rapporti con il principale finanziatore, le Trade Union, che hanno da oltre un secolo la “golden share” del partito. Miliband vorrebbe eliminare l’automatismo in base al quale chi si iscrive ai sindacati è automaticamente affiliato e sostiene il partito, con un contributo annuale di 3 sterline, a meno che non dichiari il rifiuto. Il leader laburista chiede un percorso opposto: chi ha la tessera del sindacato dovrà esplicitamente e preventivamente indicare l’adesione ai laburisti e, in tal caso, versare l’obolo annuale.

La vicenda nasce a Falkirk, piccola città scozzese e feudo laburista: il capo delle Trade Union avrebbe prelevato un blocco di suoi supporters da un altro collegio, catapultandoli in un altro collegio tra i simpatizzanti impegnati nella scelta del candidato al Parlamento, per spostare gli equilibri. Europa riproduce l’intervento dello stesso Miliband: “Quello che abbiamo visto a Falkirk – scrive – sono gli ultimi spasmi della vecchia politica”, “bisogna capire che viviamo in un mondo dove gli individui legittimamente rivendicano di esprimersi con la propria voce. Dove i partiti necessitano di andare oltre i propri aderenti, e dove il nostro partito, sempre, deve identificarsi con il Paese diverso che vogliamo seguire, rappresentando l’interesse nazionale”. “Voglio cambiare il modo in cui i singoli membri dei sindacati sono affiliati al Labour” attraverso i fondi che per il labour significa una sorta di tassa di affiliazione al partito.

Il quotidiano sottolinea come si tratti di una riforma nel solco di John Smith (nel 1994 venne adottato il voto individuale per limitare il peso del voto in blocco dei sindacati) e di Tony Blair.

Anche su Il Foglio: “Miliband ridisegna il Labour inglese senza il giogo dei sindacati”.

 

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