Il Corriere della Sera: “La sfida di Renzi per il governo”, “’No a larghe intese. Legge elettorale come per i sindaci’”.
A centro pagina: “Più fondi e assunzioni alle università migliori. E il Sud ora protesta”.
Sotto la testata: “Addio a Lou Reed, poeta maledetto”.
In taglio basso: “I diritti (europei) si fermano al confine”, “Londra e Berlino vogliono tutelare solo i propri cittadini”.
La Repubblica: “Province, abolite entro l’anno”, “Renzi: ‘Basta inciuci e niente voto anticipato ma giustizia da riformare’”.
A centro pagina: “’In Italia intercettate 46 milioni di telefonate’”.
La Stampa: “Renzi: mai più al governo col Pdl”, “’La giustizia va riformata’. Berlusconi e Alfano provano a ricucire”.
Sotto la testata: “L’Nsa assolve Obama, ‘Non sapeva nulla’. Berlino: spiare è reato”, “In Germania: no, era informato dal 2010”.
Il Giornale: “Nuovo attacco alla casa”, “I Comuni potranno alzare l’aliquota della Tasi oltre il 2,5 per mille. E non è scongiurato il ritorno dell’Imu”, “Occhio al fisco: da mercoledì spierà i nostri conti correnti”.
A centro pagina: “Anche Bruti Liberati contro Berlusconi”, “La lotta continua delle toghe”.
E sullo scandalo Datagate: “La Merkel vuole processare Obama”.
L’Unità: “Renzi: questo Pd è da rifare”, “’La sinistra che non cambia è destra’. Cuperlo: vuoi cancellare o no il Porcellum?”.
A centro pagina: “’Gay in un Paese omofobo’. Si uccide”, “Ragazzo di 21 anni si getta dall’undicesimo piano a Roma. Nel biglietto d’addio: ‘Gli omofobi facciano i conti con la propria coscienza”.
Renzi
Scrive La Stampa che il colpo più forte sferrato da Renzi è quello sulla giustizia “di Silvio”: dopo una ferale pausa e il gelo in sala, precisa: “di Silvio Scaglia”. Ex manager di Fastweb, prima arrestato con un ordine di custodia cautelare, poi tre mesi di carcere e nove di domiciliari, infine dichiarato innocente. Per Renzi è una storia che “dimostra quanto sia ineludibile una riforma della giustizia. E’ incredibile che la sinistra non senta come una vergogna che un cittadino venga arrestato senza potersi difendere. Abbiamo finora parlato solo di giustizia ad personam, e invece una riforma vera la chiedono in molti”. Nega di voler picconare Letta, e spiega: “Come si fossimo ingrifati di dire agli italiani che si torna a votare”. Precisa anche di volere una legge come quella dei sindaci, che dia garanzia di poter governare, e aggiunge che professarsi “custodi del bipolarismo, dire mai più larghe intese e giochini alle spalle dei cittadini, non significa essere contro il governo, ma coerenti con quanto dice sempre Enrico”. A Cuperlo, che gli chiede se il Porcellum va cancellato o no, risponde rilanciando l’idea di un premier forte con il doppio turno, “alla fine del voto si sa chi ha vinto e deve avere i numeri per governare, in Germania non è avvenuto”.
Sulla legge dei sindaci: “Funziona, non ci sono inciuci, responsabilizza chi governa per cinque anni”. Dunque riforma elettorale, via le province, e “se ci sarà qualcuno che tornerà a lavorare non è un dramma”, dice, salutato da una ovazione.
Anche il Corriere riferisce delle affermazioni di Renzi. Per esempio sull’Europa: ha fatto “un disastro”, scegliendo la signora Ashton come commissario agli esteri. Al Presidente del Consiglio dice che “I parametri Ue si possono discutere, e che il debito pubblico va messo in ordine per i nostri figli, non per far contenta la Cancelliera”. Annuncia una iniziativa sul Mediterraneo e un “job act” entro il 1 maggio, contro la disoccupazione. Chiede poi che fine abbiano fatto i soldi delle primarie, e smentisce che l’italianità si difenda “guardando il passaporto” di chi compra le aziende.
Dice che alla sede Pd vuole gente nuova e “la prima a esser rottamata sarà la corrente dei renziani”. La parola messa al bando, secondo il Corriere, è “autoreferenzialità”. E il primo comandamento è: “Leadership non è una parolaccia”.
Sulla riforma elettorale L’Unità intervista Roberto Giachetti, deputato renziano, da 21 giorni in sciopero della fame per la legge elettorale. “Matteo è stato chiaro: bisogna cambiare la legge elettorale e i proporzionalisti possono mettersi in attesa”. Domanda il quotidiano: “Il professor D’Alimonte, molto ascoltato da Renzi, ha detto che il Porcellum… “Il professore D’Alimonte fa l’analista e fotografa una situazione. Io faccio il parlamentare e ho una responsabilità., sono pagato per risolvere le situazioni. Il mio obiettivo è cambiare il Porcellum”. Sul modello di legge elettorale fatto sul modello della elezione del sindaco, serve una riforma costituzionale? “E’ chiaro che se si sceglie il premierato devi intervenire con una riforma costituzionale, peraltro già in corso dal momento che il governo ha già affrontato il tema. Dal mio punto di vista la cosa migliore è il ritorno al Mattarellum, per venire incontro a due esigenze degli elettori: poter scegliere gli eletti e garantire la governabilità”.
Da La Repubblica: “Renzi: ‘Basta con gli inciuci, ma non puntiamo alle elezioni subito, va fatta la riforma della giustizia’. Bagno di folla per il sindaco. ‘Servono voti, non bandiere’”.
L’Unità si occupa anche delle prime indicazioni arrivate dai “100 tavoli” della Leopolda su lavoro, pensioni, immigrati. Sulle pensioni si pensa a un contributo di solidarietà dalle cosiddette pensioni d’oro, più precisamente da chi è andato in pensione con il sistema retributivo. Sul fronte occupazione, riprende l’idea della semplificazione del diritto del lavoro (2100 norme da portare a 70-80); indispensabile è la riforma dei centri per l’impiego, che oggi servono a trovare lavoro solo a 3 persone su 100 (in Svezia sono 41), e dei corsi di formazione professionale, che al momento, dice Renzi, sono più utili a dare uno stipendio ai formatori che a chi deve formarsi.
Renzi ha proposto anche un aumento di 100 euro in busta paga per chi ha meno di 2000 euro netti al mese. Costerebbe sui 20 miliardi, e il viceministro Fassina l’ha bollata come demagogica. Ma per Renzi la copertura si può ottenere vendendo asset pubblici per 5 miliardi e tagliando 10 miliardi di contributi alle imprese e 5 di spesa pubblica.
Da segnalare su Il Giornale il “ritratto” di Giancarlo Perna, dedicato oggi a Stefano Fassina, “l’arcinemico di Matteo che ci mette sempre la faccia”. “Il viceministro Pd adora le cause perse: attacca tutti, da Maradona al suo prossimo segretario”. Fassina viene intervistato da La Repubblica: “Fassina: ‘Renzi è ambiguo, le sue proposte sono propaganda. La nostra identià è un valore”. Fassina risponde a Renzi ma anche a Brunetta, che chiedono coraggio sulla legge di Stabilità e poi fanno proposte generiche e inutilizzabili. Ad esempio “dovrebbero indicare quali sono le misure coraggiose per tagliare di 20 miliardi il cuneo fiscale”. Quando si propongono dismissioni, si deve sapere che sono entrate una tantum, e non possono essere utilizzate per riduzioni permanenti delle imposte.
“Quel passo in più che il sindaco dovrebbe fare” è il titolo della “analisi” di Antonio Polito, sul Corriere della Sera. Polito si riferisce innanzitutto alla legge elettorale, visto che Renzi tra “poco più di un mese” guiderà “un esercito di più di quattrocento parlamentari”. Scrive Polito che la sua proposta, per come si sta elaborando in queste settimane, “dovrebbe somigliare alla soluzione che propongono sia Violante che D’Alimonte (presente alla Leopolda) nota come ‘doppio turno di coalizione’”. E anche sulla giustizia, scrive Polito, “è facile dire alla sinistra che il sistema giudiziario italiano merita una riforma, anche se lo si dice in nome di Silvio Scaglia invece che di Silvio Berlusconi. Però Renzi l’ha detto, e ha ragione. Resta da chiarire come cambiarlo: limitando i casi di carcerazione preventiva? Separando le carriere? Modificando il Csm?”. Infine, scrive Polito, si arriva a “uno dei nodi più delicati del renzismo: il giovane leader è troppo solo. Intorno a lui non è cresciuta in questi anni una squadra di cervelli all’altezza delle ambizioni, né uno staff che sappia organizzarle. Renzi è, anche visivamente, un one-man-show: alla Leopolda faceva il regista, il conduttore, il d.j”. Insomma, Blair aveva una squadra intorno, mentre Renzi “per quanto capace sia l’animale politico, e lo è, è difficile che possa fare tutto da solo”. “Renzi ha finalmente il consenso; avrà anche il riformismo?”, si chiede infine Polito.
Due analisi sul ruolo di Renzi, il Pd, e le possibili evoluzioni della politica italiana, si trovano sulla prima pagina de La Repubblica: a firmarle sono Ilvo Diamanti e Giancarlo Bosetti. Ilvo Diamanti: “Il sindaco e il Cavaliere, due destini incrociati”. Scrive Diamanti: “Non è un caso che Berlusconi abbia sciolto il Pdl e rilanciato Forza Italia in coincidenza con la Leopolda”, “e non è un caso che la ri-nascita di Forza Italia sia stata prevista nello stesso giorno delle primarie del Pd. L’8 dicembre. Berlusconi, in questo modo, intende, ovviamente, ‘trainare’ la propria ri-discesa in campo. Utilizzando un evento di successo, in grado di mobilitare milioni di persone”. Insomma, a Berlusconi interessa associare le primarie del Pd con il ri-nascimento di Forza Italia, ma anche le due leadership. Renzi e, appunto, se stesso”. Ma per Diamanti Berlusconi ha rilanciato consapevolmente il passato, perché tale è Forza Italia, ovvero un soggetto politico fondato giusto 20 anni fa. C’è in qualche modo l’intenzione di saltare anch’egli sul “carro di Renzi”, il più “berlusconiano” dei leader del centrosinistra. E a Matteo Renzi questo inseguimento al contrario, rispetto al passato, non dovrebbe dispiacere troppo: innanzitutto perché Berlusconi non è certo finito, poi perché il rafforzamento di Berlusconi significa indebolimento di Letta e del governo di larghe intese. Diamanti sottolinea che la posizione di Enrico Letta appare in crescente contrasto con quella di Renzi: da un lato perché Letta è l’unico leader che per livello di popolarità e consenso personale possa competere con Renzi (anzi, nelle ultime settimane sembra averlo superato) e poi perché il tempo gioca a sfavore di Renzi. La lunga durata alla guida di un partito complesso come il Pd rischia infatti di logorarlo. Per Diamanti il “mai più larghe intese” risuonato alla Leopolda suona come un “mai più Letta”: “da ciò l’impressione che a Renzi, in fondo, il confronto con Berlusconi non dispiaccia. Perché evoca un modello di democrazia che gli piace e lo favorisce, fondato sulla ‘personalizzazione’. Un processo in atto in tutte le democrazie occidentali”. Ma il centrosinistra ha invece respinto la “personalizzazione” interpretando il ruolo del “partito impersonale”: “Senza personalità e senza persone in grado di ‘rappresentarlo’. Nelle mani di ‘un’armata – poco gioiosa e molto disorganizzata – di micro notabili’”, dice Diamanti citando un saggio di Mauro Calise dal titolo “Fuori gioco”. Per questo la sfida di Renzi non è tanto rivolta agli altri candidati, ma soprattutto al partito democratico in quanto tale: in quanto partito erede di partiti di massa. Spiega Diamanti: “Berlusconi torna a Forza Italia per andare oltre il Pdl, per restaurare il ‘partito personale’. Mentre Renzi intende vincere le primarie per rottamare il Pd”.
Giancarlo Bosetti: “La leadership e l’evoluzione del Pd”. Dove si legge che “la distanza maggiore tra i contendenti alla guida del Pd riguarda, prima e più delle persone e delle politiche, l’idea stessa del partito”. Bosetti trova esemplificati i due atteggiamenti diversi interni al partito nella affermazione di Renzi secondo cui “leadership non è una parolaccia” e, dall’altro parte, “non vogliamo diventare un comitato elettorale”. Coloro che si oppongono alla visione di Renzi e dicono “no a un primattore come dirigente”, oppure “aprire le primarie alla destra è come far scegliere l’amministrazione di un condominio a quelli di un altro condominio”, secondo Bosetti, esprimono il rigetto “di quel che sarebbe invece indispensabile in un sistema bipolare: rispettivamente l’uso del partito come ‘mezzo’ per vincere le elezioni, la centralità personale del leader-premier, la necessità di prender voti fuori dal recinto ereditato e di ‘rubarli’ agli avversari. Le distanze qui tra il sindaco di Firenze e gli altri sono abissali, e descrivono una forma politica che sta attraversando una profonda crisi, che sarà evolutiva nel caso migliore e autodistruttiva in quello peggiore. Si tratta della evoluzione – tardiva per il Pd (doveva cominciare nel 2007, con il discorso di Veltroni al Lingotto, se non prima) che va dal partito organizzativo di massa, nella sua forma classica, europea, novecentesca, al partito elettorale (pure di massa) e pigliatutto”. Bosetti sottolinea che l’ambizione di tutti i candidati leader di un profondo rinnovamento non fa i conti con il contesto in cui si svolgerà la battaglia: ignota è la quantità di proporzionalismo che rimarrà in campo, ma le ambizioni di rigenerazioni sono smisurate, “a meno che non si ritorni senza riserve alla prima Repubblica, un’epoca in cui il Pci, cui era comunque preclusa la conquista della maggioranza, poteva coltivare in grande la sua ‘autonomia’ ideologica insieme alla vocazione pedagogica”. Invece dentro il Pd “è tuttora corrente il rifiuto della leadership personale come arma decisiva per la vittoria elettorale”.
Pdl
La Repubblica scrive che Marina Berlusconi sta studiando da candidato premier, e che la sua road map è già segnata. Oggi incontrerà i direttori dei giornali e delle tv del gruppo Fininvest insieme al padre. Le pressioni dei vertici di Forza Italia sarebbe insistenti. Ma dietro il grande passo della successione dinastica, per salvaguardare il “brand Berlusconi”, ci sarebbe soprattutto un grande patto con la sorella Barbara per spartire nella maniera più pacifica le poltrone di comando dell’impero Fininvest e Mediaset. Se e quando Marina accetterà l’impegno in politica, dovrà lasciare, come il padre, le presidenze Fininvest e Mondadori.
Su Il Giornale: “Berlusconi prende tempo, Marina asso nella manica”, “il Cavaliere aspetta il voto sulla decadenza prima di sciogliere le riserve. I timori per la figlia: i pm le faranno fare la mia fine. Accelerazione sulla data del congresso”.
La Stampa intervista il Pdl Cicchitto, convinto che “Forza Italia non funzionerà”, sottolinea che sono mancati alla fine sei milioni di voti alle elezioni politiche: “Lei pensa che riusciremo a recuperarli solo cambiando l’insegna, da Pdl e Forza Italia?”. E poi: “La leadership di Berlusconi ha evitato una sconfitta ma no è bastata e – a mio avviso – non basterebbe in caso di nuove elezioni a recuperare quegli elettori in fuga”. Il rischio, per Cicchitto, “è quello di mettere in piedi un movimento fideistico ed estremista, una versione di Forza Italia che sarebbe sostenuta solo dallo zoccolo duro”, cui “sfuggirebbe tutta una vasta area di centro”.
Datagate
Scrive La Stampa che con poche lapidarie parole la NSA ha rotto il silenzio ed è intervenuta sulla vicenda del Datagate e sul presunto coinvolgimento di Obama: “Il Presidente non è mai stato informato, né ha mai discusso nel 2010 con il direttore della Nsa Alexander, di operazioni di presunta raccolta di dati di intelligence straniera, che abbia coinvolto Angela Merkel” ha dichiarato il portavoce Vanee Vines, spiegando come “notizie che sostengano il contrario non corrispondano a realtà”. E’ la risposta alle accuse rilanciate dalla stampa tedesca, e in particolare dalla Bild Am Sontag, secondo cui Obama avrebbe saputo fin dal 2010 che la Nsa ascoltava le telefonate della Cancelliera. “Obama non ha messo fine a questa operazione, ed ha anzi lasciato che proseguisse”, avrebbe riferito un alto funzionario della Nsa al quotidiano tedesco.
Su La Repubblica: “I Repubblicani contro la Casa Bianca, ‘basta scusarsi con gli europei’. “In America sale la rabbia: ‘abbiamo protetto gli alleati’”. Si riferiscono le parole di Peter King, ex presidente Repubblicano della commissione sicurezza del Senato che, fa notare Repubblica, non è un ultrà della destra: è uno dei leader più moderati e possibile candidato alla Casa Bianca nel 2016. Ha mandato un messaggio inequivocabile ad Obama: che la smetta di chiedere scusa. Basta stare sulla difensiva. La verità è che la National security Agency ha salvato migliaia di vite umane, non solo negli Usa, ma in Francia, in Germania, in tutta l’Europa”, “lui è il comandante supremo. Deve difendere la Nsa”. L’uscita di King è tutt’altro che isolata, se si pensa alle dichiarazioni del senatore Repubblicano Lindsay Graham: “Sono felice che la Nsa stia cercando di scoprire i piani terroristici, in America e nel resto del mondo”. C’è perfino una figura importante del Partito Democratico, come la senatrice californiana Dianne Feinstein, a far quadrato: “E’ tutto legale, è tutto previsto dal Patriot Act”. Nella sua corrispondenza da New York Federico Rampini spiega che la stampa liberal, NYT in testa, ha dato spazio alla indignazione della Merkel, e in editoriale ha consigliato ad Obama di accettare la proposta franco-tedesca di un accordo “anti-spionaggio reciproco” tra gli alleati: “Ma il clima all’interno degli Usa è ben diverso. Il datagate, che qui nessuno chiama in questo modo, è coperto sotto una spessa coltre di indifferenza”.
La Stampa intervista la Commissaria Europea alla Giustizia Viviane Reading: “La mia proposta di lungo termine è creare un servizio europeo di intelligence entro il 2020”. Oggi la Reading atterra a Washington per affrontare questa vicenda. Spiega che in Europa è necessario “stringere un patto basato su una più forte cooperazione sui servizi segreti. Si potrebbe così rivolgersi agli americani usando una sola voce”.
L’Unità spiega che secondo le ultime rivelazioni il telefono della Cancelliera Merkel sarebbe stato controllato fin dal 2002. Quando alla Casa Bianca era da poco insediato George W. Bush, l’uomo che tramite Condoleezza Rice e Cheney diede il massimo impulso alle intercettazioni globali. La Nsa, da agenzia di secondo piano, è stata trasformata nella più potente intelligence del mondo, superando per potenza e finanziamenti la stessa Cia: e scrive Michele Di Salvo che mentre per quest’ultima esistono consolidati poteri di controllo parlamentare, la Nsa dell’amministrazione Bush dipendeva direttamente e senza mediazioni dalla Casa Bianca. E Obama è stato travolto dalle rivelazioni sul programma Prism proprio quando -all’inizio del suo secondo mandato – decide di rivedere il Patriot Act e riformare lo status giuridico e di controllo della Nsa, della quale finanche i bilanci sono secretati e fuori dal controllo delle Commissioni e del Congresso. Insomma, secondo Di Salvo ci sarebbero state fughe di notizie pilotate per bloccare il tentativo di Obama di riformare la Nsa, potente centro di potere legato ai Repubblicani.