Il Corriere della sera: “Le bombe francesi sull’Isis”. “La reazione dell’Eliseo: decine di raid sulla città di Raqqa. A Hollande l’appoggio di Sarkozy e Le Pen. Prima intesa Obama-Putin”. “Nel commando di Parigi tre fratelli: uno in fuga, allerta anche in Italia. Il Califfo ordinò: colpite tutti”.
A centro pagina la foto di Valeria Solesin: “Era al Bataclan, è morta la veneziana Valeria Solesin, 28 anni”. “Storia di una ragazza che amava la vita”.
L’editoriale, firmato da Ernesto Galli Della Loggia è titolato “Battaglia culturale”. In prima anche: “Se il kamikaze un vicino di casa”, di Marco Imarisio; un “reportage” dalle “periferie fuori controllo”, di Aldo Cazzullo. Un intervento di Bernard Henry-Lévy (“Islamici d’Europa, diteci con chi state”).
A fondo pagina una vicenda raccontata da Sergio Rizzo: “La casa è vuota per legge: troppo piccola”. “A Milano 393 alloggi non possono essere assegnati. I paradossi della burocrazia”.
La Repubblica: “Caccia ai killer, paura a Parigi. Pioggia di bombe sul Califfato”, “Allarmi continui in città, ancora due terroristi in fuga. Al G20 patto Obama-Putin: ‘Spazzeremo via l’Is’. Fra i morti del Bataclan la ragazza italiana dispersa. Il dolore di Mattarella: lei era il futuro dell’Europa”.
“La coscienza dell’occidente” è il titolo dell’editoriale del direttore Ezio Mauro.
La Stampa ha una doppia copertina. La prima avvolge la prima pagina ed ha una foto delle celebrazioni in Place de la République dopo la strage: “Tutto il mondo è qui”.
La prima pagina: “Rappresaglia francese: bombe sull’Isis”, “Prima dei raid la conferma: l’attacco era stato ordinato dal Califfo. Caccia all’ottavo uomo del commando”, “I Servizi iracheni avevano informato Parigi il giorno prima degli attentati. Nella capitale allarmi a ripetizione: difficile il ritorno alla normalità”.
Più in basso, sul G20 in Turchia: “Lungo faccia a faccia tra Obama e Putin: intesa sulla Siria”.
E “il caso”: “Merkel accerchiata: sull’accoglienza nessun passo indietro”.
Il Sole 24 ore: “La risposta di Parigi: bombe sull’Isis. Raid aereo francese contro il centro di comando e un campo di addestramento a Raqqa, in Siria. Decisivo il supporto dell’intelligence Usa”. “G20: nel mirino chi finanzia il terrorismo. Intesa Obama-Putin contro i terroristi. Mattarella: risponderemo con intransigenza”.
In alto: “Il Papa: ‘Bestemmia usare Dio per giustificare la violenza’”.
Il quotidiano segnala anche che erano “francesi tre dei kamikaze”.
A centro pagina l’attesa per la riapertura delle Borse: “Oggi il verdetto dei mercati, si guarda a euro e petrolio”.
A fondo pagina: “Manovra, in arrivo più fondi a difesa e sicurezza. Il premier rivede i tagli. Per il sud decontribuzione più lunga e bonus investimenti”.
L’Unità, con foto di una ragazza che tiene in mano una bandiera francese: “Il massacro della meglio gioventù”, “Le 129 vittime del terrore jihadista a Parigi sono ragazze e ragazzi di 14 nazionalità. Come la nostra Valeria Solesin, un sogno di vita coltivato tra la Sorbona e il volontariato”.
“Le verità scomode” è il titolo dell’editoriale del direttore Erasmo D’Angelis.
Il Giornale: “Siamo (quasi) tutti Valeria. Uccisa dalle bestie. Nella mattanza del teatro Bataclan è morta anche la studentessa veneziana di 28 anni. Tutti solidarizzano. Ma chi vuole denunciare la barbarie islamica non la commemora e non può nemmeno restare con noi”. “La Francia chiude le moschee radicali. Killer in fuga”.
Da segnalare in prima anche: “Un dubbio (tardivo) a sinistra: Fallaci & C. avevano ragione”. “Fuori tempo massimo”.
La strage di Parigi (i fatti e l’inchiesta)
Su La Stampa, pagina 2: “Caccia all’ottavo uomo. Fermato dalla polizia è stato lasciato passare”, “Il superstite del commando in fuga, forse verso l’Italia. Identificati i kamikaze: alcuni addestrati in Siria”. Adesso -scrive Alberto Mattioli da Parigi- bisogna prendere l’ottavo uomo: l’isis l’aveva detto, rivendicando l’attentato, che i “fratelli” erano in otto. Sei si sono fatti esplodere, uno è stato eliminato dalla polizia, resta l’ultimo. Da ieri si sa che faccia ha e come si chiama: Abdelslam Salah. E’ un francese nato a Bruxelles, ha 26 anni e due fratelli. Uno, Ibrahim, ha partecipato al blitz al comptoir Voltaire, dove si è fatto saltare, l’altro vive in Belgio, è in stato di fermo ma per ora non è chiaro se sia un complice. Abdelslam era stato identificato a Cambrai alle otto del mattino di sabato, mentre passava in macchina con altre due persone la frontiera con il Belgio: segnalato perché schedato, l’avevano fatto passare pochi minuti prima che scattasse l’allarme (ora potrebbe essere in fuga verso l’Italia). Sono i due fratelli ad aver noleggiato a Bruxelles le auto, una Seat e una Polo, usate per gli attacchi di Parigi. La Seat, con tre kalashnikov a bordo,è stata ritrovata a Montreuil. Identificati altri tre kamikaze: Ahmad Mohamed, il presunto siriano entrato in Europa da rifugiato, Bilal Hadfi, che viveva in Belgio “nel ‘Jihadistan’ europeo”. Il terzo si chiamava Islmail Omar Mostefai e si è fatto esplodere al Bataclan. Fra i resti, un dito: è bastato per identificarlo, perché l’uomo era schedato dal 2010, categoria “S”, come Sureté de l’Etat, sicurezza dello Stato.
Sulla stessa pagina, Marco Zatterin: è inviato a Moleenbek, “il ghetto di Bruxelles che fabbrica jihadisti”: “due attentatori vivevano qui, sette gli arresti. ‘Ma è sbagliato dire che siamo tutti terroristi’”.
Su La Stampa, Maurizio Molinari: “L’ordine partito da Al Baghdadi. E la Francia bombarda Raqqa”. Dove si legge che è stato Abu Bakr Al Baghdadi, il leader dell’Isis, a ordinare il massacro di Parigi. L’Eliseo ha reagito con una pioggia di bombe sulla città siriana di Raqqa, la “capitale”del Califfato: colpiscono sulla base delle informazioni di intelligence fornite dal Pentagono alla “war room” dell’Eliseo.Il presidente Usa Obama lo aveva preannunciato al G8 di Antalya, al suo omologo russo Putin, qualche ora prima. A descrivere la genesi dell’attacco a Parigi dell’Is sono ufficiali dell’intelligence irachena, citando “fonti raccolte dalle nostre fonti nello Stato islamico” in un resoconto alla Associated press che si accompagna alla rivelazione di “aver informato in anticipo le capitali occidentali, Mosca e Teheran” sulla decisione del Califfo di Isis di “colpire in profondità i Paesi che lo attaccano”, pur con il limite di “non sapere quando sarebbe avvenuto con precisione”.
Su La Repubblica, da Parigi Carlo Bonini e Fabio Tonacci raccontano: “Dodici uomini, due in fuga. Dovevano attaccare anche Montmartre”. Tra le “certezze” i due giornalisti scrivono che le cellule responsabili delle 129 morti era composta da almeno una dozzina di uomini, nove dei quali appartenenti al commando. La cellula -scrivono- aveva la sua tana in Belgio, a Bruxelles, nel quartiere di Molenbeek, ma l’operazione è stata diretta da quadri dello Stato islamico, con cui la cellula ha mantenuto i suoi contatti nelle settimane precedenti, attraverso le comunicazioni criptate assicurate dalla chat vocale di una consolle Playstation. Si legge poi che tre settimane prima, i Servizi francesi avevano ricevuto un’informazione che prefigurava l’orrore: in ottobre, subito dopo l’arresto, un militante islamista aveva spiegato di essere stato incaricato di reclutare “dieci martiri” per compiere “dieci attentati simultanei in Francia”. Ma non aveva voluto essere preciso sul luogo e la data. Nella notte di venerdì il commando si è diviso in tre squadre di tre uomini ciascuna. La prima colpirà allo Stade de France. E ne fanno parte, oltre al sedicente siriano Ahmad Almohammad, anche Bilal Hadfi, un foreign fighter reduce dal fronte siriano. La seconda al Bataclan, la terza, nell’undicesimo e -si scopre ora- anche nel 18 arrondissement, a Montmartre.
Ancora su La Repubblica, pagina 6: “Tra i ragazzi del Belgistan, moschea, droga e rabbia, la centrale della jihad dove è nato il commando”. L’inviato a Bruxelles è Daniele Mastrogiacomo: “Tutti gli indizi portano al quartiere di Molenbeek, ora assediato dagli agenti: qui i killer di Parigi hanno affittato le auto e da qui partono centinaia di foreign fighters”.
Su L’Unità: “Molenbeek, i terroristi venuti dal cuore dell’Europa”, “Il grande quartiere musulmano di Bruxelles è a poche fermate di metro dalle istituzioni Ue. Vengono da qui cinque jihadisti delle stragi di Parigi”, “Anche dopo l’attentato contro Charlie Hebdo l’inchiesta si diresse qui”, “Il sindaco ammette: una zona ignorata per troppo tempo”. Dice il sindaco: “Io l’ho detto spesso che qui c’era un problema, che bisognava sviluppare dei programmi di integrazione, ma mi si rispondeva che questa sarebbe avvenuta naturalmente”.
Ancora su L’Unitaà: “Ismail, kamikaze nato e cresciuto nella banlieue”, “Il primo terrorista ad essere identificato è un francese, di origine algerina. Dai piccoli reati al gilet esplosivo, dietro di lui l’incubo dei foreign fighters”, “Nel 2012 diventa padre e sembra aver messo la testa a posto. Poi parte, probabilmente diretto in Siria”. Di Marina Mastroluca.
Sulla stessa pagina Federica Fantozzi, inviata a Parigi: “La polveriera delle periferie ribelli cne Sarkozy chiamava ‘feccia’”, “Dieci anni fa la rivolta, poi la crisi economica e l’orizzonte del radicalismo”.
Su La Stampa, l’inviato a Parigi Domenico Quirico: “Una frattura generazionale nelle moschee”, “Molti giovani disertano quella nel cuore della capitale dove gli imam predicano la moderazione e si ritrovano nei capannoni trasformati in sale di preghiera. E qui domina lo spirito salafita”.
Su La Repubblica a pagina 2, Bernardo Valli, da Parigi: “L’incubo di Parigi campo di battaglia, ‘Resta l’emergenza’. Gli aerei di Hollande colpiscono Raqqa”, “Il presidente aveva preannunciato una risposta ‘spietata’ all’attacco condotto dai terroristi dello Stato islamico venerdì sera”.
Da Parigi scrive su La Repubblica anche Adriano Sofri: “L’imam, il rabbino e la Marsigliese: ‘La pura non prevarrà’”, “Tra il via vai di comuni cittadini l’omaggio delle diverse fedi. Le parole più usate: ‘Amour’ e ‘Love’. Per battere l’unico nemico: il panico”. Sofri racconta come l’imam e il rabbino si siano inchinati insieme davanti al Bataclan: “é stato importante, ed è importante, che gli imam convenuti abbiano cantato insieme la Marsigliese, che uno degli imam convenuti abbia spiegato: ‘Sono francese musulmano, e penso di essere più toccato di altri’ e abbia aggiunto che ‘òa gran parte degli imam francesi è pacifica’: la gran parte non sono tutti. Credo che ci sia un equivoco di fondo nella distinzione che continuiamo a formulare tra musulmani fanatici e moderati. E non perché i musulmani si somiglino tutti, che è un oltraggio all’intelligenza e all’evidenza. Il totalitarismo islamista, pur diviso in bande mutuamente accanite, si mobilita e si organizza fino a costituirsi in esercito e stato multinazionale, come nel sedicente califfato, e offre la sua bandiera al rancore e alla frustrazione di una vasta parte del pianeta. Sono innumerevoli i musulmani moderati, ma è più giusto chiamarli ricchi di umanità. E sono spesso vittime di questi invasati. Ma loro sono persone e famiglie, gli altri sono un’armata conquistatrice. Sostenere i musulmani che vogliono bene all’umanità è importante, ma è decisivo battere gli altri”.
Sulla stessa pagina, un intervento di Marek Halter: “Io, ebreo e l’inno cantato con gli amici islamici”.
La strage di Parigi (le analisi)
Su La Repubblica il direttore Ezio Mauro scrive: “Ci attaccano perché siamo liberi, nella nostra autonoma scelta di incontrarci al bar, correre ad un incontro, avere in tasca un biglietto per un concerto; ma anche di riunire i nostri Parlamenti, studiare e lavorare, pregare o non pregare”; “gli jihadisti assassini” colpiscono “la civiltà occidentale, culla, sede e testimonianza della democrazia dei diritti e della democrazia delle istituzioni”; l’attacco è “a quella pratica e a quella testimonianza della democrazia che chiamiamo Occidente, e che tiene insieme in una comunità di destino Europa, Stati Uniti, Israele”; è stato troppo “facile” , dopo l’11 settembre, dire “siamo tutti americani”, avremmo dovuto “avere il coraggio di dire ‘siamo tutti occidentali’”. E, più avanti: “il patto di cittadinanza dovrà essere riformulato anche con l’Islam moderato che vive da noi, usufruisce delle nostre garanzie democratiche, usa le libertà di culto, di associazione e di espressione in cui noi crediamo per noi stessi e per gli altri: per queste ragioni e per quel che è accaduto oggi deve affermare pubblicamente la sua condanna dell’islamismo terroristico che trasforma una religione in ideologia di morte”.
Sul Corriere una intervista all’esperto di Islam Gilles Kepel: “Il loro obiettivo è lo scontro totale. I terroristi vogliono l’Europa xenofoba”. Dice che non si stupisce che sia stato lasciato “un finto passaporto di immigrato siriano sui luoghi del massacro” a Parigi perché l’Isis “sa bene che ciò scatenerà i gruppi xenofobi della destra europea”. “E’ la stessa logica del tanto peggio tanto meglio che ha visto Assad favorire l’Isis contro i moderati delle proteste del 2011”. Su Omar Ismail Mostefai dice che è “il tipico rappresentante di questi algerini di seconda o terza o quarta generazione”, nato in Francia, “spesso disoccupati, poco scolarizzati, abituati a vivere ai margini”,con biografie come quelle di altri attentatori, “quello che ha provato l’attentato al treno”, “quello che ha provato ad attaccare il padrone dell’azienda”.
Sul Corriere Ernesto Galli Della Loggia si chiede “come faccia il terrorismo che tutti, ma proprio tutti, definiscono islamista a non avere nulla a che fare con l’Islam, è qualcosa che dovrebbe, mi pare, richiedere una spiegazione”. Alla argomentazione che molte delle vittime sarebbere del “terrorismo suddetto” sarebbero musulmani, a Bagdad o a Beirut, Galli Della Loggia risponde che “nessuno dei mille attentati commessi in quei luoghi sia mai stato rivendicato, che si sappia, con proclami a base di citazioni di ‘sure’ del Corano e di relative maledizioni contro gli ‘infedeli’: come invece è la regola quando nel mirino è ieri Parigi o in genere l’Occidente. In realtà, a Bagdad o a Beirut, l’impiego del tritolo o del kalashnikov corrisponde semplicemente al modo oggi più comune da quelle parti di regolare i conflitti politici con gli avversari. L’impiego ad uso bellico dei testi sacri, insomma, è riservato soltanto a noi”. Dice il politologo che “non si tratta di dichiarare né una guerra tra civiltà né una guerra tra religioni” ma di “iniziare un’analisi, una discussione dai toni anche aspri se necessario, sugli effetti che ha avuto per l’appunto il ruolo identitario della religione islamica sulle società dove essa storicamente è stata egemone, una discussione su che cosa sono queste società, e sulle vicende storiche stesse del mondo islamico, forse un po’ troppo incline all’oblio e all’autoassoluzione”. Fare insomma “lo stesso confronto-scontro che la cultura laico-illuministica occidentale ha avuto per almeno due secoli con il Cristianesimo”, che aiuterebbe a “dissipare l’unilateralità vittimistica con cui troppo spesso l’opinione pubblica islamica, anche quella moderata, è portata a vedere il rapporto storico tra il mondo islamico stesso e quello cristiano”.
Su La Repubblica l’analisi di Renzo Guolo: “Foreign fighters 2.0, così si organizza la nuova legione”, “I combattenti di Al Qaeda restavano sui fronti della jihad. Ora partono solo per qualche mese: poi tornano in patria”.
La Stampa intervista il filosofo Edgar Morin, che dice: “Il fanatismo si combatte con la conoscenza. Hollande sbaglia, dobbiamo imporre la pace”, “Nessuno nasce terrorista, chi si libera dalla follia può aiutare gli altri”.
Alla pagina precedente, la lettera di un’insegnante della scuola primaria di Milano formata da 22 alunni di cui solo 5 di nazionalità italiana e di cui 12 di religione musulmana: “’Ai miei alunni dirò di alzarsi in piedi e spiegarci l’Islam’”, “In classe oltre un bimbo su due è musulmano. E’ ora di imparare ad accogliere le differenze’”.
Su La Repubblica un’analisi di Jason Burke: “Il manuale clandestino sulla gestione dell aferocia. Ecco perché gli estremisti colpiscono l’Occidente”, “Dalle Crociate alla spartizione coloniale sono tante le ragioni dell’ostilità di Daesh verso il Vecchio Continente. L’ultima in ordine di tempo i raid contro il Califfato. In un libro dello stratega islamista Abu Bakr al-Naji le regole per destabilizzare attraverso il terrore. ‘Mirare all’economia’, ‘polarizzare’, ‘scatenare il caos’. Un piano già applicato con efficienza spietata in Siria e in Iraq”, “L’Is può contare su una via di accesso che non ha negli Stati Uniti: le centinaia di veterani che rientrano in patria. Dei 1500 francesi partiti per andare a combattere, 140 sono morti ma 250 sono tornati”.
Alla pagina seguente, l’analisi di Bernard Guétta: “le crisi mediorientali e il parallelo con l’Europa prima della pace”,“i Paesi sunniti sono oggi parte integrante della coalizione arabo-occidentale costituita per combattere Daesh per via aerea, ,a la battaglia contro quel mostro sarà lunga perché ormai il mostro è diventato autonomo”.
A pagina 22 un intervento di Kamel Daoud: “La guerra diventata routine nel nostro 11 settembre globale”, “Al nord si fa fatica a capire come il Sud sprofondi nella sinistra utopia di Daesh. Non è più uno Stato fantasmatico, ma un sogno di potenza e di vendetta che consuma intere generazioni. Stiamo perdendo ma evitiamo di confessarcelo”.
E un’intervista all’antropologo Marc Augé, che dice: “Denunciamo chi interpreta l’islam come violenza”, “non bisogna trasformare un’intera comunità in capro espiatorio. Ma chi giustifica la jihad va condannato come gli Stati che la difendono e la diffondono”, “Non sono sicuro che ad avvantaggiarsi di queste tragedie sia il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Sarebbe una grave sconfitta della democrazia, che è esattamente quel che vogliono i terroristi”.
A pagina 23 un commento di Ian Mc Ewan: “Il bersaglio perfetto del culto della morte”, “Sono armati di feroce nichilismo e odio oltre ogni comprensione”, “Non abbiamo potuto che stupirci dei capricci del caso, che lascia noi vivi e altri no”.
Su La Stampa, intervista alla psicoanalista Elisabeth Roudinesco: “Hanno colpito la laicità. Adesso la paura ci spinge all’estremismo”, “L’islamismo seduce i più fragili. Ma l’indebolimento dei valori repubblicani ha aperto la strada”, “Marine Le Pen ha surrogato i valori di sinistra con dei falsi. E la nuova peste politica prende forza da ogni attacco dell’islamista”.
A pagina 11 un’analisi di Gianni Riotta: “Isis e mondo islamico. Capire il legame per battere il nemico”, “Negare la dimensione religiosa degli jihadisti non aiuta. Per vincerli serviranno alleanze difficili, anche con Putin”.
La strage di Parigi (il G20, la geopolitica)
Su La Stampa l’inviato ad Antalya, Paolo Mastrolilli: “Obama rilancia la strategia. Patto anti-isis col rivale Putin”, “Il Presidente statunitense vuole un maggior impegno degli alleati per combattere i jihadisti. E all’Italia chiede un contributo sulla Libia”.
Sul Corriere la cronaca del colloquio Obama-Putin al G20, firmata da Massimo Gaggi, inviato ad Antalya: “Al G20 intesa tra Obama e Putin, alleati riluttanti contro il Califfato”. “Colloquio di 35 minuti al summit. Il presidente Usa: ‘Importante l’azione anti-Isis di Mosca’”. Si legge che Casa Bianca e Cremlino hanno usato “espressioni molto simili” per descrivere l’intesa raggiunta dopo un colloquio tra Obama e Putin, presente Susan Rice e l’interprete di Putin di cui si è servito anche Obama. Una “intesa fragile”, si legge, che “per la prima volta individua un percorso. politico verso una tregua, elezioni e un nuovo governo a Damasco”.
Su La Repubblica l’inviato al vertice G20 è Federico Rampini: “Un patto tra Obama e Putin: ‘Ora spazzeremo via l’Is’. I caccia francesi in Siria guidati dall’intelligence Usa”, “Prove di coalizione nel faccia a faccia in Turchia. La svolta del presidente americano: ‘Importante l’intervento militare russo’. E su Parigi: ‘Attacco al mondo civilizzato’”.
Sul Sole 24 Ore Alberto Negri si sofferma sulle “ambiguità di Erdogan” che – con una mezza gaffe, alla vigilia delle elezioni definì il Califfato “ingrato e traditore”, ricorda che “il Califfato faceva comodo come mezzo di pressione per convincere gli iraniani” ad arrivare all’accordo sul nucleare, sottolinea he la Francia vendeva aerei e centrali nucleari all’Arbaia Saudita e che “le guerre dentro l’Islam, il nodo fondamentale della questione mediorientale, sono state usate, non diversamente dal passato, come uno strumento per mantenere equilibri di potenza e fare affari”. Oggi l’intesa con l’Iran “ha reso meno utile per gli occidentali il Califfato come arma di pressione su Teheran e l’intervento russo ha sparigliato ancora di più le carte della sanguinosa partita siriana”.
Sulla crisi siriana da segnalare l’intervista del Corriere a Staffan de Mistura: “E’ una strada in salita ma ora c’è un processo per ridurre il caos in Siria”. Dice che decisivo è il fatto che “chi non si parlava abbia cominciato a farlo”. De Mistura racconta di esser stato pochi giorni fa a Damasco e di aver avuto “la sensazione” che il regime di Assad “si senta militarmente rassicurato” dall’intervento di Mosca ma sa anche che la Russia “non è disposta a un impegno militare senza limiti di tempo”. Dunque un impegno che ha un “prezzo per Assad”.
Valeria, Zouheir, Safer e gli altri
Di Valeria Soresin, giovane studentessa italiana morta nella strage del Bataclan scrivono tutti i quotidiani, raccontando con foto e testimonianze chi fosse. La Repubblica: “Valeria uccisa al concerto da una raffica di mitra. ‘Colpita alle spalle mentre cercava di fuggire’”, “L’ultima sera e lo shock del fidanzato: ‘La tenevo per mano, poi l’ho persa’”. Parla la madre di Valeria, in una intervista: “Di notte aiutava i clochard, mia figlia era meravigliosa’”.
Alla pagina seguente: “Zouheir e Safer, quei musulmani eroi di Francia”, “La guardia che ha sventato la strage nello stadio e il cameriere che ha salvato due donne”.
L’Unità, pagina 2: “Ciao Valeria, mancherai a tutta l’Italia”, “28 anni, veneziana, ricercatrice alla Sorbona, ex volontaria di Emergency. E’ stata cercata per tre giorni, ma era fra i corpi del teatro”.
E alla pagina seguente: “La Sppon River globale dei ragazzi che sognavano la ‘Douce France’”, “In rete il lutto ma anche frammenti delle vite delle vittime del Bataclan: dal critico rock al violinista algerino, dal chitarrista cileno ai giovani discografici. Tutti uniti dall’amore per la musica e la vita”, “Le due sorelle tunisine, i cugini di origine italiane, la coppia belga e le sportive”.
“I volti, le storie”: a raccontarli è anche Niccolò Zancan su la Stampa: “Musicisti, studenti, turisti. Quelle vite spezzate in una notte di odio”, “I corpi nella camera mortuaria lungo la Senna”.