Le aperture
Il Corriere della Sera: “Italia al gelo, allarme per il gas. Ancora vittime e paesi isolati. Freddo record da Nord a Sud. Attivate centrali a olio combustibile, limiti alle industrie. Duello tra il Viminale e Alemanno”. A centro pagina: “Fornero e Cancellieri attaccano su posti fisso e ‘mammoni’. Scoppia la protesta via Internet”. Il titolo di apertura è dedicato alla Grecia, che “taglierà quindicimila statali. Annuncio del governo. La pressione della Ue. Trattativa in extremis per evitare il default”.
La Repubblica: “Italia al gelo, emergenza gas. L’Eni: tagliamo i rifornimenti alle aziende, attivate le centrali a olio. La neve arriva al sud. Camionista assiderato sul Tir”. A centro pagina: “Margherita, 4 anni di bilanci truccati. La Procura indaga sui finanziamenti ai politic. Lusi, espulso dal Pd, ha sottratto altri 600 mila euro”. In prima pagina anche un titolo sulle dichiarazioni delle ministre Cancellieri e Fornero: “Basta posto fisso vicino a mamma”, “nuova polemica”.
Il Sole 24 Ore: “Gas, scatta il piano d’emergenza. Consumi record per il gelo, tagli ai flussi per le imprese. Passera: situazione monitorata. Il Governo garantirà le forniture anche con le centrali a olio. Scaroni: tranquilli dal prossimo week end. Altri 7 morti per il freddo”. A centro pagina: “Monti: no a esasperazioni sul lavoro”. “Marcegaglia: brutto segnale se la riforma non va in porto. Abi: possibile nuova moratoria sui prestiti”. “L’Ocse promuove l’Italia: liberalizzazioni ambiziose e ben concepite”.
La Stampa: “Gas, piano d’emergenza al via. L’Ad di Eni Scaroni: non ci saranno aumenti per le bollette delle famiglie. Il gelo durerà ancora una settimana. Ripartono le centrali a olio. Ok del governo al taglio delle forniture delle imprese”. A centro pagina: “Cancellieri: giovani ‘mammoni’. ‘Sono ancora fermi al posto fisso vicino ai genitori’. E Fornero: è una illusione il lavoro a vita”.
Il Giornale; “E’ stato Tremonti a dare il colpo di grazia a Silvio. Lettera dal Quirinale: fu il ministro a opporsi al decreto salva Italia. Così il governo fallì la missione sviluppo e il Cavaliere fu costretto a lasciare”. Il quotidiano torna a ricordare il decreto che fu denominato “salva Italia”, che il governo voleva emanare il 2 novembre scorso, con le firme di Romani, Calderoli e Brunetta. “Non se ne fece nulla perché, versione ufficiosa, il Quirinale si era opposto negando il requisito di urgenza”, ricorda il direttore del quotidiano Sallusti. Oggi si scopre – con una lettera inviata dal Quirinale – che “non fu Napolitano a opporsi, ma il ministro dell’economia Giulio Tremonti, che quel pomeriggio era salito inaspettatamente al Colle”. Tremonti, dice il quotidiano, sconsigliò Napolitano, che dunque “non se la sentì di andare contro il parere del ministro deputato proprio all’economia”. Tremonti insomma “non è stato leale e trasparente fino in fondo, con suo premier, con la sua maggioranza e con gli italiani”.
In prima pagina anche una foto di Berlusconi: “Intervista a un mensile americano. Sfogo di Berlusconi”
Libero: “Sì al patto con diavolo. I lettori approvano la strate gia del Pdl. A rimetterci le penne sarà il Pd”. La caricatura del quotidiano mostra Bersani e Berlusconi a letto insieme, mano nella mano. Le pagine interne sono dedicate al “patto”, con titolo come “Il Cavaliere ha sparigliato”, e “i lettori vogliono il patto col diavolo”, perché il 58 per cento dei lettori del sito dicono che Berlusconi fa bene a sedersi al tavolo con Bersani per concordare una “nuova legge elettorare anti-Fini”. In prima pagina il quotidiano si occupa anche della inchiesta sulle tangenti per l’autostrada Serravalle: “Inchiesta Penati, spuntano 15 milioni. Chiesto il sequestro dei soldi a una società di Gavio. Il Gip rigetta l’istanza e i pm ricorrono. Decide il riesame”.
Lavoro, mammoni
La Stampa riferisce le dichiarazioni delle due ministre che hanno provocato polemiche. Elsa Fornero, titolare del welfare: “Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare. Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni. Il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri: “Gli italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città, e magari accanto a mamma e papà”.
Il quotidiano intervista Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, istituto che sta realizzando in questi giorni una elaborazione che lo stesso Roma definisce “drammatica” per quel che riguarda i giovani: “All’interno di coloro che hanno tra i 25 e i 29 anni, il 31 per cento è del tutto inattivo”. In Francia sono il 12,5 per cento, nel Regno Unito il 15, in Germania il 17,5 per cento. Le ragioni? Per Roma ci sono persone più intraprendenti, che sono una minoranza e che cercano il lavoro in un altro Paese europeo; poi c’è un problema di formazione, poichè magari hanno scelto un liceo senza crederci o una scadente formazione tecnica; oppure non hanno spirito di iniziativa, ma neanche qualcuno a cui rivolgersi, perché un’altra anomalia italiana è che il 70-80 per cento del lavoro non si trova attraverso canali formali. Inoltre, sottolinea il direttore del Censis, all’estero la formazione è più legata al lavoro fin dalle elementari. Da noi prevale la formazione generalista, la liceizzazione che poi porta ad università altrettanto generiche. Quanto al ruolo della famiglia che protegge, cita il caso della Francia, dove “i giovani hanno un sussidio, vengono resi autonomi”. Insomma, “quello dei giovani mammoni è un problema drammatico”, ma durerà ancora poco, perché ad un certo punto i risparmi dei genitori finiranno.
Anche La Repubblica si occupa di questo tema, ma sottolineando che in realtà, per i giovani, cambiare città, regione o Paese non è un tabù. Cita le cifre Isfol, secondo cui il 72 per cento dei giovani tra i 20 e i 34 anni è disponibile a spostarsi pur di cambiare lavoro. Il 17 per cento mette in conto di vivere in un altro Paese europeo; quasi il 10 per cento è disponibile anche a cambiare continente. Le resistenze a cambiare città o regione sono basse, “specie in presenza di un titolo di studio elevato”.Sarebbero 60 mila i laureati che ogni anno si spostano da sud a nord alla ricerca di lavoro, e il cambio di residenza riguarda tanto il nord che il sud, tanto i maschi che le femmine. Il vicedirettore dello Svimez Bianchi dice che in realtà c’è disponibilità a muoversi come ad accettare occupazioni non corrispondenti al titolo di studio, ma negli ultimi mesi il fenomeno si è ridimensionato: “Fra il 2008 e il 2010 ci sono state 15 mila migrazioni in meno, ma questo è un effetto della crisi”.
Il Corriere della Sera racconta le reazioni sui blog, improntate soprattutto all’ironia nei confronti del governo: “Dal Bagaglino dell’ex Silvio siamo passati al cabaret della Bocconi”, per fare un esempio.
Lavoro, articolo 18
“Basta con l’articolo 18” è il titolo di un articolo del direttore di Libero Maurizio Belpietro: “Quanto pesa l’impossibilità di licenziare sulle aziende? I fannulloni fanno calare la produzione, mentre le imprese assumono solo a termine. E’ ora di cambiare”.
Un “dietro le quinte” del Corriere della Sera spiega che tra Confindustria, Cisl e Uil è ormai “partita la trattativa” per riformare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ieri, in una tavola rotonda a porte chiuse, Confindustria, l’Arel di Enrico Letta, e la Fondazione De Gasperi di Franco Frattini hanno incontrato il segretario generale dell’Ocse Gurria, alla presenza anche del direttore generale di Bankitalia Saccomanni ed altre personalità di primo piano: l’Ocse ha ribadito di dare massima importanza alla riforma del mercato del lavoro, ma Gurria ha insistito anche sulla lotta all’evasione fiscale: “Se all’estero leggono che vengono evasi ogni anno 120 miliardi di euro di imposte e contributi, è difficile chiedere solidarietà, perché questa deve cominciare dall’interno del Paese”, ha detto. Gurria ha insistito sulla necessità di intervenire sul mercato del lavoro, per ridurre il dualismo tra garantiti e no, ed aiutare i giovani precari, ma ha invitato l’Italia a “praticare la legge dell’Avis, compagnia di autonoleggio che, sapendo di essere seconda alla Hertz, invita i dipendenti con il motto: siamo secondi e per questo dobbiamo fare di più, affinché i mercati abbiano questa percezione dell’Italia. La segreteria della Cgil si è riunita ieri, però, ed è stata confermata una netta contrarietà a sottoscrivere accordi che prevedano modifiche all’articolo 18. Secondo il Corriere l’idea su cui si muoverebbe il governo è la seguente: restringere il diritto al reintegro nel posto di lavoro ai soli licenziamenti discriminatori, mentre per quelli motivati da ragioni economiche, che andrebbero definite in maniera stringente, dovrebbe scattare un sussidio, come succede per i licenziamenti collettivi, disciplinati dalla legge 223. Significa prevedere due anni di mobilità, ma andrebbero accompagnati da efficaci azioni di ricollocamento. La Camusso si muove, però, con i piedi di piombo, sia perché ha da tener conto della sinistra interna, che della Fiom, per cui potrebbe arrivare ad un accordo con Confindustria e gli altri sindacati, su apprendistato e sfoltimento dei contratti. D’altra parte il problema si ripercuoterà immediatamente sul Pd, che dovrà scegliere, nel caso di un no della Camusso, se stare con la Cgil o con l’Esecutivo che sostiene. Ieri il vicesegretario del Pd Letta ha detto che non è ipotizzabile una riforma del mercato del lavoro senza il Pd, ma allo stesso tempo nelle sue parole sono riecheggiate quelle di Monti e Fornero: è necessario passare “dalla difesa del posto alla difesa del lavoratore”, ovvero, come dice il segretario Ocse, dall’employment all’employability.
Partiti, governo e dialogo elettorale
In una intervista a La Repubblica il segretario Pd Bersani lamenta che la discussione pubblica sia inchiodata ad anni sull’articolo 18, anche se riconosce che per Monti la questione “è molto più complessa della frase sulla monotonia”. Sull’articolo 18, in particolare, dice: “I partiti non possono permettersi di accendere fuochi, noi stiamo zitti e non interferiamo su questo tema, c’è un tavolo del governo con le parti sociali. Abbiamo le nostre proposte innovative che non toccano l’articolo 18. Accetteremo qualunque accordo nato in quella sede, ma non escludiamo
perfezionamenti nella sua gestione, a cominciare dai percorsi giurisdizionali. Siete tentati da un patto Pdl-Pd sulla legge elettorale? Bersani: “La premessa è che bisogna parlare con tutti. Le forze che sono in Parlamento, e quelle che sono fuori. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese”, “la priorità è cancellare il Porcellum”. Sul caso dell’ex tesoriere della Margherita Lusi Bersani dice: “Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c’entra nulla”, “il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui, con bilanci certificati”. Oggi, riferisce La Repubblica, iniziano peraltro gli incontri sulla legge elettorale, con un vertice Pdl-Partito Democratico. L’ipotesi di partenza sarebbe un sistema di tipo tedesco, con sbarramento al 4 per cento. Scettici i partiti minori, l’Idv denuncia l’intento di una riforma che premia i partiti più grandi e penalizza gli altri, i radicali, con Emma Bonino, dicono che “serve un collegio piccolo, uninominale, in cui il cittadino conosce i suoi due o tre candidati”.
Su Il Giornale è Paolo Guzzanti a firmare una analisi in cui si scrive che Pdl e Pd sono “costretti alla intesa”, anche se nessuno la vuole, e il Terzo Polo si trova ormai in un vicolo cieco, perché il bipartitismo è ancora vivo: secondo Guzzanti restano al tavolo solo i due partiti maggiori, che praticano o annunciano di volere le primarie, ma “senza concedere le preferenze”. Per Guzzanti “la logica spinge verso l’accordo”. Ed un altro articolo de Il Giornale riferisce dei timori delle forze medio-piccole, preoccupate che i due maggiori partiti abbiano già trovato un accordo di massima sul cosiddetto modello ispano-tedesco: una proposta che ricalcherebbe il Ddl del senatore Pd Ceccanti, che prevede robuste iniezioni di proporzionale con forte sbarramento sul basso. Non a caso il capogruppo dei finiani, Della Vedova, avverte che la legge elettorale non si può cambiare nelle segrete stanze delle segreterie dei partiti. Preoccupata anche la Lega. Scrive Il Sole 24 Ore che la Lega ha già minacciato di far saltare tutte le giunte, se il Cavaliere si accordasse con il Pd. E secondo il quotidiano di Confindustria, in realtà il Terzo Polo non è preoccupato della apertura dell’ex premier al Pd: “Ho visto che il Presidente Berlusconi ritiene il Pd un interlocutore di primaria importanza”, ha detto Fini. Malumore, invece, nel Pdl, soprattutto tra gli ex An, che temono la “grande alleanza” fino a ieri impedita dall’asse Berlusconi Lega. La Stampa intervista il vicepresidente dei senatori Pdl Quagliariello: “Grande coalizione? Da non escludere”, “purché resti il bipolarismo”. Quagliariello insiste: “serve un quadro di riforme istituzionali su forma di governo, bicameralismo, numero dei parlamentari. E a queste riforme si dovrà agganciare una nuova legge elettorale che incentivi le aggregazioni”.
Thorne
Sul Corriere della Sera una lunga intervista all’ambasciatore americano David Thorne aalla vigilia del viaggio di Mario Monti negli Usa. “Secondo me l’Italia è diventato l’alleato più affidabile degli Stati Uniti in Europa. Lo era dsa tempo, ma aesso c’è l’era delle riforme che sta aprendo Mario Monti”, dice Thorne. “La sorpresa è che l’Italia sia cambiata così velocemente. L’appoggio a Monti, con tutte le sfide che il presidente del consiglio deve affrontare, indica che gli italiani sostengono il cambiamento. La crisi dello spread ha spinto gli italiani a essere molto preoccupati e il governo stava perdendo appoggio”.
Le altre domande sono dedicate alla politica internazionale. L’Iran e il sì italiano alle sanzioni dell’Ue sul greggio: “Gli Stati Uniti aiuteranno l’Italia a compensare gli sforzi che derivan dal sì alle sanzioni?”. Risposta: “No. Guardi, l’interesse americano a bloccare le ambizioni nucleari iraniane coincide con quello italiano e di altri Paesi. Siamo tutti sulla stessa piattaforma petrolifera. Esistono altre fonti di approvigionamento. Appoggeremo l’Italia l’Italia ad avere accesso ad altre sul mercato internazionale”. La Siria e il veto russo e cinese: “Noi e i nostri alleati rimaniamo molto delusi. Non so che cosa accadrà, ma i due paesi che ci hanno deluso sono Russia e Cina, su questo non c’è dubbio”. La primavera araba: quali azioni internazionali? “Insediare sistemi democratici nei Paesi della ‘Primavera araba’ sarà un processo lungo e talvolta doloroso, né facile né perfettino. In particolare in Libia, l’Italia può essere molto influente, in virtù della sua vicinanza e conoscenza del Paese”. “Senza scarponi militari sul terreno, sta dicendo?”. “Quel checonta di più è migliorare la situazione economica. L’Egitto ne ha tanto bisogno. La Libia dispone del petrolio, tuttavia la questione è molto complicata: non credo ci sarà alcun impegno militare, percò occorre cercare di aiutarla in vari modi. Per esempio, insegnando a mettere in piedi un sistema giudiziario, un governo rappresentantivo. L’Italia può fare molto, lo stesso per addestrare la polizia con i carabinieri”.
Internazionale
Su La Stampa un ampio articolo dedicato alla decisione di Hamas di accettare la proposta del Qatar di affidare al presidente dell’Anp Abu Mazen la carica di premier: dovrebbe pilotare un governo di tecnocrati, sostenuto da tutte le forze politiche palestinesi, verso nuove elezioni presidenziali e politiche, da tenersi nei territori a maggio. L’annuncio della nuova intesa tra il leader di Hamas Meshal ed Abu Mazen, siglato ieri nel Qatar, è stato accolto molto positivamente in Cisgiordania e a Gaza. Il premier uscente dell’Anp Fayad ha augurato ad Abu Mazen di formare il nuovo governo rapidamente, e anche il capo dell’esecutivo a Gaza., Haniye, ha assicurato che non metterà i bastoni tra le ruote. Negativo il giudizio del premier israeliano Netanyahu, secondo cui Abu Mazen non può al tempo stesso dirsi interessato a colloqui di pace con Israele e sottoscrivere colloqui con Hamas, una organizzazione terroristica volta alla distruzione di Israele.
Restiamo allo stesso quotidiano per altre due segnalazioni: intanto la svolta del candidato socialista alle presidenziali francesi Hollande, che ha deciso di mettere il fine vita nel suo programma: “l’eutanasia è un diritto”.
Sullo stesso quotidiano, le parole del premier Putin, candidato alle presidenziali russe: sciogliamo la Nato, relitto della guerra fredda”. E ironie anche sull’Europa: “non l’aiuteremo, sono più ricchi di noi”. Poi sulla giustizia russa: ci viene chiesto di liberare i detenuti politici, non mi risulta che ce ne siano in Russia.
Su La Repubblica la corrispondenza di Federico Rampini dagli Usa racconta “la rimonta di Obama”, che ora “stacca Romney”, il candidato alle primarie repubblicane meglio piazzato: secondo Rampini la ripresa dell’occupazione sta favorendo il presidente, che vola nei sondaggi (51 per cento dei consensi, contro il 46 per cento a Romney).
Su Il Foglio, in prima pagina, attenzione per la Siria: “Tutti inorriditi da Assad, ma nessuno vende armi all’Esercito libero di Siria”, “I ribelli (e i numeri) smentiscono i retroscena sugli aiuti dall’estero per resistere alle operazioni di repressione”. E oggi, secondo Il Foglio, per tentare di convincere il presidente siriano a cedere il potere al suo vice, sarà a Damasco il capo dell’intelligence russa Fradkov.