Nastri Unipol: condannati i fratelli Berlusconi

 

Il Corriere della Sera: “Si apre il caso giustizia”. “Berlusconi condannato: persecuzione intollerabile”, “un anno per l’intercettazione tra Fassino e Consorte”. E poi: “Stato-mafia, a processo boss e politici”. A centro pagina: “Draghi e il voto italiano: c’è il pilota automatico, il risanamente prosegue”.

 

Il Sole 24 Ore: “Draghi rassicura sull’Italia. Il presidente Bce: nessun contagio, le riforme italiane vanno avanti. Francoforte vede una stabilizzazione ma abbassa le stime sul Pil europeo a -05 per cento e non riduce i tassi. Sale l’euro”:

 

La Repubblica: “Unipol, Berlusconi condannato”. “I giudici di Milano: un anno di reclusione. Ma la prescrizione lo salverà. Oggi udienza sul caso Ruby, l’ex premier resta a casa”. ‘Ho la congiuntivite’”. A centro pagina: “Trattativa Stato-mafia, boss e politici a processo”. E poi: “Grillo: senza di me violenza per le strade. La replica di Bersani: non accendere micce”.

 

La Stampa: “L’ira di Berlusconi: subito al voto”. “Bersani: la democrazia è in difficoltà. Poi incontra Monti. Napolitano: si fatica a vedere con questa nebbia”.

 

Il Giornale: “I pm fanno pagare a noi la banca della sinistra. Per lo scoop del Giornale sugli intrighi del Pd, Berlusconi condannato a un anno, il fratello a due anni e tre mesi”. A centro pagina: “Napolitano spinge Bersani verso la resa. Il Colle scettico sul governo Pd. Il segretario: se sarà necessario farò un passo indietro”.

 

Libero: “Abbiamo una carognata. Altra stangata sul Cav. Per la prima volta in Italia c’è un condannato per violazione del segreto istruttorio: Berlusconi. E’ stato giudicato colpevole di aver ascoltato la celebre intercettazione di Fassino. ‘Abbiamo una banca’. E l’inchiesta sui legami tra finanza e compagni di cui faceva parte quel nastro? Archiviata o prescritta”.

 

Il Fatto quotidiano: “Trattativa Stato-mafia, maxiprocesso a Palermo”. A centro pagina: “Grillo sotto tiro: ‘Giornalisti pagati per sputtanarci’”.

 

Il Foglio. “Per l’America, l’Ue è vittima più dell’austerità che dei governi instabili”. Di spalla: “Quante sono le truppe di Bersani? I numeri dicono che l’opzione ‘voto’ esiste. I calcoli in Parlamento, la geografie delle correnti e la ragione per cui il ‘fronte elezioni’ spaventa il Quirinale”.

 

Berlusconi

 

Il Sole 24 Ore si occupa della condanna ad un anno di reclusione a carico di Silvio Berlusconi emessa dal Tribunale di Milano nell’ambito del processo sulle rivelazioni delle intercettazioni telefoniche tra l’ad di Unipol Consorte e il segretario del Pd Fassino, pubblicate da Il Giornale ai tempi della scalata di Unipol a Bnl. A due anni e tre mesi è stato condannato il fratello dell’ex premier, Paolo, che è stato contestualmente assolto da altre due accuse: ricettazione e millantato credito. Il reato contestato all’ex premier e al fratello è rivelazione del segreto d’ufficio, per l’improprio utilizzo di materiale investigativo riservatissimo, poiché non ancora trascritto e depositato agli atti. I giudici hanno disposto un risarcimento a Fassino da 80 mila euro, più ulteriori diecimila per le spese processuali sostenute. Il quotidiano ricorda che in realtà la Procura di Milano aveva in origine chiesto l’archiviazione per l’ex premier. Ma il gup Stefania Donadeo aveva disposto l’imputazione coatta. L’accusa, allora, aveva chiesto per Berlusconi la pena di un anno. Il Sole ricorda anche che nell’agosto prossimo scatterà la prescrizione. Si ricostruisce poi la vicenda: a Villa San Martino, la sera del 24 dicembre 2005, era finita una pen drive contenente i file delle intercettazioni tra Fassino e Consorte (in riferimento alla Bnl Fassino diceva: ‘Allora abbiamo una banca?’”). Come era arrivata la pen drive ad Arcore? Grazie a Roberto Raffaelli, titolare della Research control system, società che aveva ricevuto dalla Procura di Milano l’appalto per la fornitura delle apparecchiature di intercettazione. Raffaelli si era rivolto ad altri due imprenditori, Fabrizio Favata ed Eugenio Petessi, e insieme avevano contattato Paolo Berlusconi per offrire un inatteso regalo di Natale. I tre imprenditori sono anch’essi stati giudicati: Raffaeli e Petessi hanno patteggiato, Favata è stato condannato nel 2011 a due anni e quattro mesi di carcere e al risarcimento di 40 mila euro per Fassino. Ed è ancora Il Sole a ricordare che – al di là di questa prima sentenza – il rischio maggiore riguarda la più pericolosa delle possibili condanne, quella sui diritti Mediaset, prevista per il 23 marzo, giorno della manifestazione del Pdl a Roma.

Il Corriere della Sera scrive che Favata e Raffaelli sono ai ferri corti tra loro, e che le loro versioni non coincidono: il pm diffidava di Raffaelli, nel cui racconto il pc si sarebbe impallato e Berlusconi si sarebbe appisolato al momento di ascoltare l’intercettazione; Favata invece sottolineava l’esultanza del premier ma, caduto in disgrazia, nel 2009, iniziò ad insistere chiedendo soldi a Niccolò Ghedini, minacciando di fare il giro dei giornali di sinistra e portando la storia al leader Idv Di Pietro. Nel 2010 finì arrestato per estorsione.

La Stampa ricorda che Fabrizio Favata è stato socio di Paolo Berlusconi: lo descrive come un imprenditore fallito, che poi aveva fatto da intermediario tra i Berlusconi e il manager Raffaelli. La Repubblica ricorda che è proprio Favata a raccontare per primo la storia dei nastri, che Favata aveva un passato nell’industria e poi era stato arrestato per bancarotta: rialza la testa a metà degli anni 90, incontra Paolo Berlusconi e, secondo La Repubblica, diviene suo “socio occulto” in alcune iniziative imprenditoriali. Ed è lui a portare l’amico Raffaelli all’editore de Il Giornale.

 

Politica, governo…

 

I quotidiani danno ampiamente conto della reazione di Berlusconi a questa condanna: “E’ una persecuzione intollerabile”, ha detto l’ex premier. Il Corriere della Sera scrive che “ora il Cavaliere si sente accerchiato”, anche perché sono in arrivo altre sentenze, a partire dal processo Ruby. Il quotidiano racconta che Berlusconi è arrabbiato e deluso dal Pd, che – queste sarebbero le sue parole – non farà l’accordo con Grillo e non lo farà nemmeno con noi, perché la loro base è troppo contraria e non avranno la forza di opporsi”. Per questo il suo ragionamento sarebbe questo: “E’ inutile andare con il cappello in mano ad elemosinare gesti di apertura che non arriveranno”, per cui o si siglerà un accordo di governo alto e alla luce del sole, politico, vero, attraverso cui lui avrà il riconoscimento di leader della coalizione e garanzie su una riforma della giustizia e sul suo futuro personale, altrimenti “meglio il voto”. Insomma: voto subito, a giugno, è l’alternativa.

Anche per La Stampa “il Cavaliere spinge per il voto a metà giugno”. Anche perché i sondaggi di cui disporrebbe Berlusconi, che “solitamente ci azzeccano” come nota La Stampa, registrano una avanzata ulteriore del Movimento 5 Stelle sull’onda della vittoria, ma anche del centrodestra, con un Bersani in difficoltà. Anche in questo caso si ipotizzano due strade: un governissimo che duri però almeno tre anni, o elezioni a giugno. Anche perché i processi Mediaset e Ruby potrebbero concretizzarsi entro l’autunno in condanne definitive, e Berlusconi potrebbe venire dichiarato come non candidabile.

 

Ieri intanto il Presidente della Repubblica Napolitano, nel corso di un intervento all’Accademia dei Lincei, parlando della propria situazione ha detto che talvolta “si fa fatica nella nebbia”. Ma ha ribadito: “Cercherò di fare del mio meglio fino all’ultimo giorno”. Per il Corriere della Sera è lo sfogo rivelatore della difficoltà di un momento in cui tutti fanno appello alla sua “saggezza” per risolvere il rebus del dopovoto. Ma scrive il quirinalista del quotidiano Marzio Breda: “In realtà, e ogni attore in scena lo sa, di opzioni questo Quirinale ne ha una sola. Un ‘governo del Presidente’. Il resto, ciò di cui insistono ad almanaccare è garbo, finzione, suggestione”. E’ “garbo” verso il Pd, vincitore-perdente delle elezioni, affidare un incarico esplorativo al segretario Bersani per un governo “di combattimento o di minoranza”. Ma è una missione impossibile, platonica. Finzioni appaiono poi congetture come quella secondo cui Napolitano potrebbe lasciare la gestione della nuova fase politica al successore, dimettendosi in anticipo, cosa che lui è, per l’appunto, tornato a smentire. Anche La Repubblica si occupa della “strategia a breve termine del Colle”, per cui “dopo Bersani la scelta tocca al successore”: il segretario del Pd farà il suo giro per un mandato esplorativo ma, in caso di insuccesso, secondo La Repubblica, Napolitano non sfoglierà altre margherite, perché un tecnico a Palazzo Chigi c’è già ed è inutile andarsi ad inventare un ennesimo governo del Presidente. Resterà al suo posto Monti fino all’elezione del successore di Napolitano, per il disbrigo degli affari correnti.

Il Giornale titola: “Napolitano spinge Bersani verso la resa”, “il Colle scettico sul governo Pd”. E il quotidiano sottolinea come lo stesso Bersani si sia mostrato disponibile ad un passo indietro: “Non ne faccio una questione personale – avrebbe detto il segretario Pd – sono pronto a un passo indietro se c’è la possibilità di formare un governo”.

Su L’Unità Massimo D’Alema reagisce alle ricostruzioni del suo intervento in Direzione Pd, critiche perché avrebbe sostenuto la costituzione di un “governissmo”. Per fortuna, dice D’Alema, c’era la diretta streaming, viste le deformazioni continue: “Ho ironizzato con quella che è diventata una ossessione persino dominante nel dibattito pubblico del nostro Paese, quella che i partiti siano tutti intenti a realizzare accordi inconfessabili tra loro”. D’Alema ricorda di aver spiegato le ragioni per cui in Italia non è possibile quel che in altri Paesi o in casi eccezionali avviene, che le forze del centrodestra e del centrosinistra formino un governo insieme: “Non credo che in un Paese democratico si debbano disprezzare i compromessi, e ho anche lavorato alla luce del sole per cercare di raggiungere un accordo per riformare la Costituzione. Non perché questo facesse parte di una mia ‘oscura volontà di complottare’ (pure questo è stato scritto) ma perché era il primo punto del programma dell’Ulivo, nel quale si proclamava la volontà solenne di cercare un accordo con il centrodestra per le riforme costituzionali attraverso una commissione bicamerale.

 

Draghi

 

Il Sole 24 Ore dà conto della conferenza stampa di ieri di Mario Draghi, la prima dopo le elezioni politiche. Il quotidiano di Confindustria scrive che Draghi, di solito parco di commenti sull’Italia, ieri ci ha tenuto a “rassicurare sulle conseguenze dello stallo politico in Italia dopo le elezioni, notando che i mercati finanziari, dopo un breve sussulto, sono tornati più o meno alle posizioni prima del voto e che molto del risanamento dei conti pubblici può procedere ora ‘con il pilota automatico. Ancora una volta, però, ha richiamato all’importanza delle riforme strutturali per il rilancio della crescita e della occupazione”. Draghi, a proposito della situazione in Europa, ha detto anche che “nell’eurozona ci sono 17 Paesi, ognuno con un paio di tornate di elezioni nazionali e locali, che fa 34 voti nel giro di 3 o 4 anni. I mercati sono meno impressionati dai risultati elettorali di politici e giornalisti”. Draghi ha “addirittura etichettato a un certo punto i timori sulle conseguenze delle elezioni nel nostro Paese come un altro esempio della ‘paura della settimana’ che ogni tanto percorre media e mercati, e ha rifiutato di rispondere alle ipotetiche questioni sulla possibilità che il vuoto politico in Italia riduca l’efficacia dell’Omt”.

 

Internazionale

 

La Stampa dà conto del nuovo giro di vite dell’Onu sulla Corea del Nord, grazie a quella che definisce una “storica convergenza” tra Usa e Cina al Consiglio di sicurezza Onu. Ieri al Palazzo di Vetro 15 membri hanno dato all’unanimità il via libera all’estensione delle sanzioni contro il regime Nordcoreano, approvando il testo di una bozza concordata proprio tra Washington e Pechino. Una azione concertata in seguito al terzo test nucleare condotto dalla Corea del Nord a febbraio. “Non saranno più ammessi nuovi testi atomici”, ha detto il segretario generale Onu Ban Ki Moon. La stretta giunge a poche ore di distanza dalla minaccia di un intervento nucleare preventivo da parte di PyongYang: un portavoce del ministero degli esteri ha infatti detto che “dal momento che gli Usa stanno per innescare una guerra nucleare, eserciteremo il nostro diritto per un attacco atomico contro l’aggressore, per proteggere i nostri supremi interessi”. La minaccia fa seguito a quella di stracciare l’armistizio del 38° parallelo.

Se ne occupa anche L’Unità ricordando che PyongYang non dispone di missili a lunga gittata che raggiunga il Parlamento italiano, ma è ovviamente in grado di bersagliare le installazioni Usa nella Corea del sud. Non è mai accaduto nei sessanta anni che sono trascorsi dalla fine della guerra di Corea, ma sono numerosi, seppure circoscritti, gli scontri tra truppe della Corea del Nord e del Sud.

Molte volte la Corea del Nord ha preso a pretesto esercitazioni congiunte statunitensi e sudcoreane, che sono previste anche quest’anno a partire dall’11 marzo. E L’Unità ricorda anche le allarmanti parole di un alto ufficiale nordcoreano, in riferimento all’armistizio di sessanta anni fa: nelle attuali circostanze quel patto, al quale non è mai seguito un vero trattato di pace, non è più valido, ha detto il generale.

Restiamo a L’Unità per segnalare i riferimenti ad una inchiesta condotta dai britannici Guardian e BBC sui rapporti che il generale americano David Petraeus, insieme a un veterano Usa delle guerre sporche in America centrale, avrebbe avuto con le unità di polizia attive in Iraq durante la guerra: unità che avevano creato centri segreti di tortura e detenzione per ottenere informazioni dai prigionieri. Secondo il Guardian l’ex segretario alla difesa Rumsfeld affidò al colonnello James Steele, veterano in pensione, l’incarico di collaborare all’organizzazione di forze paramilitari con l’obiettivo di arginare la rivolta sunnita. Al fianco di Steele c’era un altro colonello in pensione, J. H: Kofmann, che rispondeva direttamente al generale Petraeus, con il compito di monitorare i centri di detenzione creati con milioni di dollari di finanziamento Usa.

Se ne occupa anche La Stampa: Steele viene reclutato da Rumsfeld per organizzare la forza paramilitare anti insorte “Special police commando”. E’ la forza che affianca quindi gli sciiti con l’obiettivo di gestire le rivalità settarie. Le milizie si rendono infatti protagoniste di azioni feroci, gestendo campi di detenzione segreti e centri di tortura.

Da La Repubblica segnaliamo un articolo che riferisce di come la ex segretaria di Stato Usa Hillary Clinton voli nei sondaggi, distanziando in campo democratico tanto il vicepresidente Biden che il governatore di New York Cuomo. Sarebbe lei l’unica a battere potenziali candidati repubblicani, vicendo, per esempio, 45 a 37 in un confronto con il governatore del New Jersey Christie, e 50 a 34 contro Marco Rubio. Ma l’articolo riferisce anche di un “affondo” contenuto nell’ultimo libro dello studioso Vali Nasr, ex consulente del Dipartimento di Stato ed esperto di Iran, descrive Hillary come un segretario di Stato spesso scavalcato dalla Casa Bianca sulle decisioni cruciali. L’articolo ricorda che Nasr è stato collaboratore di Richard Holbrooke, rappresentante degli Usa in Afghanistan e Pakistan, fino al suo decesso nel 2010: la Clinton tentò di appoggiare Holbrooke in particolare sulla proposta di negoziare con i talebani. Ma Holbrooke fu sconfitto, Obama diede retta al partito dei militari che voleva l’escalation.

 

E poi

 

La Repubblica offre ai lettori una inchiesta sul “business miliardario dei signori delle discariche”, da Malagrotta al Brasile. Si spiega chi gestisce lo smaltimento dei rifiuti, rallentando la raccolta differenziata con una particolare attenzione all’avvocato Manlio Cerroni, 86 anni, proprietario della discarica di Malagrotta, ma possiede oltre 100 siti nel mondo, discariche e impianti di trattamento da Brescia al Cairo, per arrivare a Sydney. Poi un focus sugli altri imprenditori che si occupano di smaltimento in discarica, dall’Abruzzo a Imperia fino a Crotone: gli appalti di questo pugno di “imprenditori rampanti” sono favoriti dai legami stretti con esponenti politici.

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