Napolitano: servono politiche nuove e coraggiose

La Repubblica: “Napolitano, sì alla riforma del lavoro”, “Draghi alla Merkel: sostenete la ripresa”, “Il Quirinale: basta conservatorismi, per l’occupazione serve coraggio. Renzi negli Usa: ‘Cambiamento violento’”.
A centro pagina, la foto di migliaia di profughi in fuga dai confini del Kurdistan iracheno e il titolo: “L’ostaggio francese: Hollande, ferma i raid”, “I jihadisti diffondono il video del turista rapito in Algeria. Migliaia di curdi in fuga”.
La “storia” raccontata in prima da Federico Rampini, corrispondente a New York: “La svolta verde di Rockfeller: boicottiamo gas e petrolio”, “L’impero nato con la Exxon non metterà più soldi in società che trattano energie fossili”.

La Stampa: “Napolitano: lavoro, si cambi”, “Il Colle appoggia le riforme: no ai conservatorismi. Renzi: serve una rivoluzione”.
A centro pagina, foto di profughi curdi in fuga sotto la minaccia dell’Isis lungo il confine tra Siria e Turchia: “La grande fuga dei curdi verso la Turchia”, “Dalla Siria 130 mila profughi. Il Califfo in un video: conquisteremo Roma e spezzeremo le croci”.
La colonna a destra: “Parigi in crisi rivaluta pure Sarkò”, del corrispondente a Parigi Cesare Martinetti.
E un intervento di Elena Loewenthal: “E ora 6 milioni sono gli ebrei in Israele”, 70 anni dopo.
Sotto la testata: “Strasburgo frena su Berlusconi”, “La corte europea smentisce di aver dichiarato ammissibile il ricorso. ‘L’esame non è ancora iniziato’”.
E la tragedia del lavoro in Veneto: “In quattro uccisi dalla nube tossica”.
Ancora sotto la testata: “Il ministro inglese: ‘Basta lifting’”. Si tratta della ministra delle donne e per la parità Jo Swinson, che ha lanciato un appello.

Il Corriere della Sera: “Sanzioni all’amico Putin. Il governo applica a Rotenberg le misure decise dalla Ue contro la Russia. L’Italia sequestra le ville in Sardegna e un albergo in via Veneto” dell’imprenditore russo.
In alto: “Napolitano: basta conservatorismi. Renzi: ora cambiamento violento”. “L’appello del Capo dello Stato: servono politiche coraggiose”. A centro pagina: “Quattro operai morti per una nube tossica”. È successo ieri ad Adria.
Un richiamo in prima riferisce anche delle fuga dei curdi dalla Siria: “‘Scappiamo dallo Stato Islamico’. In Turchia 130 mila curdi”.

Il Sole 24 Ore: “‘Basta conservatorismi, sul lavoro serve coraggio'”. “Appello del Presidente Napolitano per rinnovare il Paese. Squinzi: abolire l’articolo 18 sarebbe un segnale forte”.
Il quotidiano parla delle norme sul licenziamento, e scrive che sarebbe “allo studio” un “doppio regime”.
Da segnalare di spalla una intervista all’Amministratore Delegato di FS Elia: “‘Pronti a fare la nostra parte. Il Paese riparte se si semplifica’”.
A centro pagina le parole del Presidente della Bce Draghi ieri al Parlamento Europeo: “Draghi: Bce non basta, più riforme”. “Il Presidente di Eurotower al Parlamento europeo: ripresa in stallo, pronti nuovi interventi straordinari”. “La liquidità non ferma la crisi: ‘servono misure strutturali'”.

Il Giornale: “Complotto per far cadere Renzi”. “Pezzi di sinistra si alleano con la Cgil per impedire la riforma del lavoro e aprire la crisi. Il premier li sfida, il Quirinale li attacca. Forza Italia: se il governo va avanti noi ci siamo”. Di spalla: “Storace rischia 5 anni di galera per una battuta su Napolitano”. “Assurdo vilipendio”.
A centro pagina: “Il giallo di Brembate. Yara, una perizia riscrive la verità. Colpo di scena del Ris: ‘Impossibile diagnosi certa sul Dna di Bossetti'”.
Sotto: “L’Islam prepara la marcia su Roma. Nuovo messaggio di Isis all’Occidente: ‘Colpiremo i civili, rapiremo le donne'”. E poi: “Oltre 70 mila curdi in fuga dagli estremisti”.

Il Fatto: “Re Giorgio affonda l’art. 18”, “Napolitano, assist micidiale al premier alla vigilia della conta interna Pd e ‘botta’ alla Cgil. ‘L’Italia non sia prigioniera dei conservatorismi, sul lavoro politiche coraggiose’. Renzi apprezza e dagli Usa insiste: ‘Ora cambiamento violento’. Lo scontro inizia domani al Senato”.
In taglio basso, l’esclusiva di un’intervista in carcere al pentito Gaetano Vassallo, “ministro” dei Casalesi: “’Acidi e rifiuti tossici: così ho avvelenato la Campania’”, “’Bruciavamo ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di sostanze nocive, anche all’Italsider di Taranto’. Così si racconta il grande ‘imprenditore delle discariche’. ‘Mai messo un telo di protezione, mai subìto controlli: pagavamo e gli appalti per smaltire li vincevamo sempre noi’”.

Napolitano, articolo 18

“Napolitano chiede coraggio”, scrive il Corriere della Sera dando conto del richiamo del Presidente della Repubblica alla cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico. Marzio Breda, sul quotidiano di via Solferino, scrive che quello del capo dello Stato è “oggettivamente” un aiuto al Presidente del Consiglio, “anzi di più: la conferma di un asse per offrire sostegno alle sfide dell’esecutivo. Un endorsement che sembra maturato sulle stesse ragioni per le quali il governatore Draghi, quasi al medesimo momento, denuncia che la ripresa sta ‘perdendo impulso’ nell’intera eurozona e assegna all’Italia i rischi maggiori, proprio a causa dell’eterna lentezza nell’affrontare le sempre attese – e sempre promesse – riforme strutturali”. Il pericolo dovrebbe “spingere tutti” a superare gli ostacoli, “magari a partire da una riconsiderazione senza pregiudiziali dell’articolo 18, che per cinquant’anni ha rappresentano una autentica linea del Piave della sinistra”, scrive Breda.

Su La Repubblica, a pagina 2, il “retroscena” di Goffredo De Marchis, descrive le parole del capo dello Stato come “un assist per Matteo”. E sottolinea come esse abbiano “spiazzato” la sinistra interna. A Palazzo Chigi, poi, vengono lette anche così, secondo il quotidiano: “Per il Quirinale c’è solo il governo Renzi. Non esistono ipotesi di esecutivi tecnici a guida Visco o Draghi”.

La Stampa: “E il vecchio presidente spiazza gli ex compagni”, di Federico Geremicca, dove si sottolinea anche “la modernità di un signore di novant’anni”. Il quotidiano intervista Marco Gay, presidente dei Giovani industriali: “Il capo dello Stato -dice – è più giovane della sinistra”.

Scrive Claudio Tito su La Repubblica che l’intervento del capo dello Stato non può essere interpretato solo come la semplice conferma dell’asse tra il Quirinale e Palazzo Chigi: le modifiche al nostro impianto giuslavoristico vengono considerate a Bruxelles e nelle Cancellerie europee come un test” e cambiare quella legislazione costituisce una sorta di prova del nove sulle buone intenzioni riformatrici del nostro Paese. Sul fronte del Partito democratico, le parole di Napolitano determinano nuovi rapporti di forza e “per la minoranza, capitanata in questa fase da Bersani, diventa assai più difficile attaccare da sinistra la posizione di Palazzo Chigi. Se un uomo come Napolitano, figura istituzionale e dalla consolidata militanza progressista, assicura la necessità di ‘politiche coraggiose’ per l’occupazione, allora per il fronte anti-Renzi – in larga parte composto da ex diessini – viene meno un argomento. Quello che concerne la potenziale lesione dei diritti storicamente tutelati dalla sinistra italiana”.

Per il direttore de Il Fatto Antonio Padellaro, quelli del capo dello Stato sono “metodi da Stato di Bananas”. “Chissà come saranno fischiate – scrive – le orecchie dei vari Bersani, D’Alema, Civati, Fassina, Chiti, Bindi, Cuperlo, Cofferati e ai tanti altri che nel Pd non intendono piegarsi all’editto di Matteo Renzi sull’abolizione dell’articolo 18. E chissà come si comporterà adesso la minoranza formata dai 110 deputati e senatori democratici decisa a dare battaglia nelle aule parlamentari sul Jobs Act, ma anche sulla Legge di Stabilità, quando ieri sera s’è vista arrivare tra capo e collo il super editto di Giorgio Napolitano. Perché se il Colle intima lo stop ai ‘corporativismi e conservatorismi’ che impediscono l’avvio di ‘politiche nuove e coraggiose per la crescita dell’occupazione’ c’è poco da fare. O si piega la testa e ci si ritira in buon ordine, o si prosegue la battaglia in un clima di caccia alle streghe”.

La Repubblica: “’Articolo 18 così com’è e nuovi ammortizzatori’, i paletti della minoranza Pd”, “Pronti gli emendamenti contro la riforma immaginata da Renzi. Ma la sinistra del Partito condivide il contratto a tutele crescenti”.
E La Repubblica intervista il presidente dell’assemblea Pd Matteo Orfini, che dice: “La delega sul Jobs Act va rivista, ma alla fine del confronto non ci sarà libertà di coscienza”. Secondo Orfini sull’articolo 18 “la delega è ambigua, bisogna dettagliarla. Possiamo discutere sulla progressività per il raggiungimento delle piene tutele -per un periodo di anni- ma il reintegro per i licenziamenti senza giusta causa va mantenuto”, “I precari non si sentono rappresentati, il sindacato rifletta sul fallimento della sua funzione”.

La Stampa intervista il senatore bersaniano Miguel Gotor, che insiste: “il reintegro non è un privilegio. Deve rimanere” quando c’è un licenziamento ingiusto. E Gotor, parlando del voto dell’Aula, sottolinea che è necessario “evitare che serva il concorso di Fi al Senato”.

Su Il Giornale: “La fronda Pd va alla guerra e Napolitano li bacchetta”. Il quotidiano parla di “assist” del Capo dello Stato a Renzi, lo cita (“Basta essere prigionieri di corporativismi e conservatorismi”), e si scrive di riunioni della minoranza per preparare emendamenti ed opposizione alla modifica dell’articolo 18. La “linea del Piave” della minoranza sarebbe il pieno ritorno dell’articolo 18 dopo i primi tre anni di contratto a tutele crescenti.
Il quotidiano spiega anche che l’idea di Pippo Civati, di fare un referendum tra gli elettori del Pd, sulla questione, viene giudicata “una cazzata” da un esponente cuperliano: “Rischiamo di fare l’ennesimo favore a Renzi”, insomma. Tanto che “coglie la palla al balzo” il renziano Giachetti, che ha ribadito ieri quel che dice da tempo: andare al voto con la legge Mattarella, così saranno tutti gli elettori ad esprimersi sulla questione articolo 18 e sulle riforme di Renzi.

Sul Corriere viene intervistato Gianni Cuperlo: “Spero che nessuno pensi a regolamenti di conti. Non mi sento un gufo, né un guastatore. Ma non accetto nemmeno toni ultimativi. Credo di essere stato il primo a riconoscere la legittimità del successo di Renzi alle primarie. Il nemico non è mai in casa e io mi sento parte della scommessa per il cambiamento’. Se non si trovasse un accordo, accetterebbe la disciplina di partito? ‘Un partito non è una ditta né una caserma. È una comunità. E non apprezzo gli appelli alla disciplina a stagioni alterne: alcuni di quelli che ora la invocano, sul capo dello Stato hanno votato come gli garbava”.

La Repubblica: “Berlusconi: ‘Votiamo il lavoro, non deve cadere il governo’ e spunta un sondaggio shock”. Il partito di Fi sarebbe “inchiodato” a una percentuale inferiore a quella delle elezioni europee (si tratterebbe di un 15-16 per cento).
Sulla stessa pagina, intervista al capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta: “Il Colle prenda atto di un nostro sì alla riforma”, “Superare l’articolo 18 è il nostro progetto, perché non dovremmo sostenerlo?”.

Il Giornale in un altro articolo dà conto del lavoro del governo sul tema. L’ipotesi cui starebbe lavorando l’Esecutivo è “di attuare la riforma del lavoro entro i tempi della legge di Stabilità. Se il disegno di legge delega dovesse rivelarsi una strada troppo tortuosa e lenta, si ricorrerà al decreto. Poletti spera che i sindacati valutino l’insieme del testo, prima di avventurarsi in scioperi”. Per Poletti ci sarebbero “due tipi di contratto per il lavoro dipendente: uno a tempo determinato, e uno indeterminato ‘a tutele crescenti’. Alle aziende che assumono con il secondo tipo di contratto, verrebbero concessi sgravi fiscali. Ai dipendenti si applicherebbero due tipi di tutela: entro i primi tre anni il licenziamento comporta un’indennità proporzionale al periodo di servizio. Negli anni successivi l’indennità di licenziamento dovrebbe aumentare. Nell’ultimo periodo di attività, al lavoratore verrebbe garantito il diritto al reintegro. Cambieranno poi gli ammortizzatori sociali, con un’indennità di disoccupazione biennale che sostituirebbe la cassa integrazione. Ma bisognerà fare i conti con le risorse a disposizione”.

Draghi

“Draghi: la ripresa europea si indebolisce”. Il Corriere della Sera dà conto dell’intervento del Presidente della Bce ieri al Parlamento europeo. “I rischi che circondano l’espansione attesa sono chiaramente al ribasso”, ha detto ieri Draghi, perché “la ripresa nell’eurozona sta perdendo impulso”. Le tensioni geopolitiche e le “riforme strutturali insufficienti” ridurranno la fiducia di investitori e consumatori togliendo forza alla ripresa. La Bce – ha aggiunto – è “pronta a misure non convenzionali”, a partire dai prestiti Tltro alle banche, ed ha ostentato fiducia sul prossimo Tltro di dicembre, ma ha richiamato ancora una volta i leader politici a fare riforme coraggiose e strutturali, a “ridistribuire le priorità”.
La Repubblica descrive Mario Draghi come “esasperato dai ritardi della politica”: “super- Mario prepara l’arma finale”. “Le riforme fatte son insufficienti”, ha detto il governatore Bce, aggiungendo che “la crisi sarà davvero finita solo quando tornerà la fiducia dell’economia reale”. Ed ha accusato alcuni governi di aver sprecato il vantaggio offerto loro dagli interventi dell’istituto: “che fine hanno fatto gli immensi risparmi che i Paesi dell’area euro hanno potuto avere grazie alle misure prese dalla Bce? Alcuni li hanno utilizzati per buoni fini, che negli anni daranno i loro frutti. In altri sono stati semplicemente usati per finanziare la spesa pubblica”: una critica manifestamente rivolta all’Italia, secondo il quotidiano. Ma Draghi se l’è presa anche con la Germania: “I Paesi che invece hanno margini di bilancio dovrebbero seguire le raccomandazioni specifiche del Consiglio europeo che essi stessi hanno approvato”. Dura anche la risposta alla Bundesbank, secondo cui la politica espansiva della Bce potrebbe creare bolle speculative: “Al momento non vediamo segnali di crescita della leva finanziaria e non vediamo neppure segnali particolari di eccessi sul fronte finanziario”.

Al momento, secondo La Repubblica, la Bce procederà con il finanziamento alle banche condizionato alla concessione di prestiti ai privati; da ottobre la cartolarizzazione dei crediti bancari: e, se sarà necessario, si passerà al “quantitative easing”, con l’acquisto diretto di titoli di debito sul mercato “senza negoziati con i governi”, come ha spiegato Draghi.
La Stampa: “Draghi: riforme ancora insufficienti”, “Il presidente Bce all’Europarlamento: ‘La ripresa resta troppo debole, l’estate è stata più dura del previsto’”.

Su Il Sole 24 Ore Adriana Cerretelli parla di “Europa rissosa e autolesionista”, e scrive che Draghi ieri ha provato “ancora una volta” a “ricucire tra gli opposti estremismi europei ricordando che la crisi dell’eurozona ‘finirà soltanto con il ritorno della piena fiducia nell’economia reale e in particolare nella capacità e volontà delle imprese di rischiare, di investire e di creare posti di lavoro'”, ribadendo che “nessuno stimolo monetario o fiscale” potrà funzionare senza riforme strutturali “coraggiose” che migliorino la competitività europea. “Mario Draghi sembrava il profeta Daniele nella fossa dei leoni, incalzato dalle domande di europarlamentari instancabili nel battere sugli stessi tasti”. I socialisti sulla “urgenza della crescita” e su un “ruolo più attivo della Bce”, i popolari liberali nordici “preoccupati invece della presunta deriva troppo espansiva della politica della Banca centrale”. La stessa logica che qualche ora prima aveva animato l’incontro tra Valls e Merkel, con “lo schiaffo elegante ma sonoro” della Cancelliera a Parigi sul solito tema dei margini di flessibilità.

Consulta

“Consulta, in bilico anche Violante”, titola La Repubblica ricordando che oggi si tornerà a votare in seduta comune al Parlamento per due giudici costituzionali e due membri laici per il Csm. Secondo il quotidiano “mezzo Pd si rifiuta di votare il candidato di Forza Italia (Donato Bruno, ndr.), indagato. Ma questo potrebbe portare al ritiro dell’ex presidente della Camera. Oggi probabilmente fumata nera. Poi lo stop per la missione di 25 parlamentari”.

Anche secondo Giovanni Bianconi, sul Corriere, “cresce la fronda” contro Bruno. Il voto previsto per oggi è “impantanato per via del probabile arretramento dei consensi per Bruno, dopo le notizie (non smentite) del suo coinvolgimento nell’indagine della Procura di Isernia nell’inchiesta sul fallimento della società Ittierre”. E “il suo destino porta con sé quello di Violante, giacché senza garanzie per Bruno il centro-destra non lo vota; ecco perché ieri sera Bruno ha partorito una dichiarazione nella quale promette di farsi da parte qualora, una volta eletto alla Consulta, da Isernia arrivasse un rinvio a giudizio”. Ieri sera, scrive il quotidiano, molti prevedevano l’ennesimo nulla di fatto, e semmai il voto solo sui due membri mancanti del Csm, , che così potrebbe “cominciare a lavorare”. Ma – sulla Consulta – se decadesse Violante con Bruno le cose potrebbero complicarsi ancora, perché “nessuno è in grado di garantire un voto compatto del Pd su un altro nome. Anzi, all’interno del partito c’è la quasi certezza che una quota consistente del gruppo parlamentare faccia muro per ostacolare scelte diverse”. Bianconi segnala anche il fatto singolare che una presunta inchiesta della magistratura non ha conferme o smentite dalla Procura. L’unico che potrebbe sollecitare la Procura a chiarire il punto è il presunto indagato Bruno, che però non lo ha fatto – assicurando che in caso di rinvio a giudizio si farebbe da parte.

Isis

La Repubblica pubblica l’intervista alla BBC di Tony Blair, che – a proposito dell’Isis – dice: “Uccide senza pietà alcuna, è fatto di miliziani pronti a morire senza rimpianti. Tutte queste cose ne fanno una potenza fanatica, che è contenibile, anche tramite i raid aerei, ma alla fine si deve poter contare anche su forze sul terreno”.
“Non si deve escludere un intervento diretto: abbiamo la forza e la capacità di metterlo in atto”. Obama “sta facendo la cosa giusta”, mettendo insieme una “grande alleanza”, ma “penso anche che le strategie sono in costante evoluzione”. Quali forze sul terreno? “Non sto dicendo che dovrebbe trattarsi necessariamente di truppe Usa o del Regno Unito. Stiamo già effettuando i bombardamenti aerei – questo è quanto hanno deciso di fare le nazioni alleate – e qualora si rendesse veramente necessario, non dovremmo escludere l’eventualità di utilizzare alcune forze speciali. Quello che penso è molto semplice: l’esperienza ci insegna che se non ci si prepara adeguatamente a combattere contro questo tipo di soggetti sul terreno, si potrà riuscire sì a contenerli, ma non a sconfiggerli”.

Il Foglio scrive di un “accordo segreto” siglato dalla Turchia per “liberare il personale del suo consolato a Mosul, tenuto in ostaggio da giugno. Al centro dell’accordo c’è stato uno scambio di prigionieri e il Foglio è in grado di spiegare chi è almeno una di queste persone che lo Stato islamico teneva molto a riavere indietro”. Il quotidiano ricorda che la Turchia ha partecipato alla coalizione anti-Isis, “ma lo ha fatto da semplice osservatore esterno, sostenendo che non parteciperà ad alcun intervento militare e negando l’uso delle sue basi aeree vicine alla Siria e all’Iraq”, e “anche a luglio, quando le forze speciali americane hanno tentato un raid a Raqqa, in Siria a pochi chilometri dalla Turchia, per liberare gli ostaggi occidentali, Ankara ha negato le sue basi”. La persona cui l’Isis teneva molto è la moglie di Haji Bakr, comandante militare iracheno schierato con l’Isis, ucciso all’inizio dell’anno. La donna è stata riconsegnata dai ribelli siriani all’Isis nello stesso giorno in cui sono stati liberati i 49 ostaggi turchi, grazia alla mediazione siriana. La donna conosce i segreti del marito (che era uomo di Saddam) e – secondo fonti del Foglio – a questo punto potrebbe essere uccisa dagli uomini dell’Isis, per tenere seppelliti i suoi segreti.

Sul Corriere Antonio Ferrari (“Le ambiguità di Erdogan e i legami con i fanatici”) si sofferma su quale sia stato il “prezzo di quello che tutti chiamano swap, scambio”, e scrive che non sarebbe stato a base di denaro ma di cure mediche per i combattenti di Al Baghdadi, rimasti feriti negli scontri in Iraq e in Siria e ospitati in “ospedali e cliniche” della Turchia per essere curati.

Sul Sole Alberto Negri scrive che “la Turchia è il vero confine bollente della lotta al Califfato in Siria e si trascina non soltanto la guerra ad Abu Bakr Baghdadi ma altri conflitti sedimentati da decenni. Le implicazioni per questo membro storico della Nato e per gli Stati Uniti sono così vaste e profonde che l’incontro tra Barack Obama e il presidente Tayyep Erdogan, atteso ai margini dell’assemblea generale dell’Onu, potrebbe avere un impatto decisivo sotto il profilo politico e militare”. Intanto ieri, sotto la pressione per l’avanzata dell’Isil, che sta stringendo d’assedio la città curda siriana di Kobane (Ain al Arab), 130 mila profughi sono fuggiti oltre la frontiera con la Turchia, che sta chiudendo i valichi: sono un milione i rifugiati siriani arrivati in territorio turco negli ultimi tre anni, con tensioni crescenti soprattutto nelle località di confine. L’ipotesi, ventilata dai comandi militari di Ankara, di imporre alla frontiera con la Siria una “Fascia di Sicurezza” si fa sempre più consistente, anche se non è chiaro quali potrebbero essere gli effetti”. Erdogan “è in evidente difficoltà”, avendo per tre anni i “jihadisti di ogni bandiera attraversato il confine” per andare a combattere contro Assad in Siria. E poi c’è stata la trattativa per il rilascio degli ostaggi, su cui “due elementi imbarazzano” Ankara: “il primo è che potrebbe essere avvenuto uno scambio di prigionieri e un passaggio di feriti al confine; il secondo che la trattativa con il Califfato è avvenuta con la mediazione dei leader delle tribù arabe di Harran, un elemento che conferma gli stretti contatti tra elementi turchi e Isil”.

E poi

Sul Corriere si racconta che nella black list compilata dalle autorità degli Stati Uniti sui soggetti da sanzionare il nome di Arkadij Romanovich Rotenberg, 63 anni, è al quinto posto. E un “compagno di judo” di Putin, ed è l’imprenditore che si è aggiudicato numerosi appalti per le olimpiadi invernali di Sochi lo scorso febbraio. Ha proprietà in Italia, che ieri sono state sigillate: “ville e appartamenti in Sardegna, altri immobili nel Lazio, quote societarie, conti correnti bancari e un lussuoso albergo a Roma, a due passi da via Veneto”. Si ricordano anche le minacce di Putin: “‘Se Usa e Ue insisteranno con le sanzioni in relazione alla crisi ucraina, la Russia dovrà rivedere la presenza delle aziende americane ed europee nei settori strategici’ della sua economia e in particolare dell’energia”.
Un altro articolo, a firma di Fabrizio Dragosei, spiega che è “l’uomo d’affari nel mirino”, le sue dacie, i suoi appalti e le arti marziali.

Sul Sole 24 Ore: “Suona di nuovo l’allarme per le forniture di gas dalla Russia. E stavolta è più difficile ignorarlo, perché a denunciare una brusca riduzione delle forniture è l’Austria, imprescindibile paese di transito per il combustibile che l’Italia compra da Gazprom. Il regolatore austriaco dei mercati energetici, E-Control, ha constatato un calo delle consegne del 25% venerdì e del 20% sabato. In questo periodo dell’anno, con gli stoccaggi già pieni, un occasionale ribasso del 10-15% è nella norma, ha spiegato alla Dow Jones Martin Graf, direttore esecutivo dell’authority, lasciando intendere che viceversa un calo del 20-25% tanto normale non è”. Anche i dati di Snam Rete Gas, scrive il quotidiano, mostrerebbero che una ricaduta c’è già stata sugli approvigionamenti in Italia. “Alla richiesta di spiegazioni avanzata dagli austriaci, Gazprom non avrebbe ancora risposto”, scrive il Sole.

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