Il Corriere della Sera: “Napolitano: nessun complotto. ‘Berlusconi si dimise e non fece obiezioni su Monti’. La ricostruzione del Quirinale sulle presunte pressioni. L’ex premier: se lo attacco, finisco in cella”. In alto il quotidiano dà conto delle notizie dalla Turchia: “Orrore nella miniera: i morti sono 274. Scontri in Turchia”. A fondo pagina: “Il divorzio breve, sei mesi per un addio”. “Primo sì alla Camera. In caso di contenzioso il tempo ridotto da tre anni a uno”.
La Repubblica sintetizza nel titolo di apertura le parole che avrebbe pronunciato l’imprenditore Maltauro ai pm dell’inchiesta su Expo: “’Expo, la cupola esiste ed era Berlusconi il referente di Frigerio’”, “Maltauro ai pm: ho pagato 1,2 milioni di mazzette. Caos in procura a Milano, Robledo: ‘Bruti ha mentito’”.
A sinistra un richiamo alle polemiche innescate dalle rivelazioni dell’ex segretario di Stato Usa al Tesoro Geithner: “Napolitano: nessun complotto sul Cavaliere”.
In evidenza le foto dei morti in mare dopo la tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013.
La Stampa: “Il bonus di 80 euro anche ai disoccupati”, “L’Agenzia delle Entrate: cassa integrazione e sussidi sono reddito”, “Dal voto al caso Genovese, tensione Pd-grillini. Napolitano su Berlusconi: lasciò liberamente”.
Sotto la testata: “Strage della miniera, la Turchia in rivolta”, “I morti sono 274, Erdogan in fuga dai contestatori”.
In taglio basso: “Ubi banca, doppia inchiesta. C’è Bazoli tra gli indagati per ostacolo alla vigilanza”.
Il Fatto: “Milano, pool a pezzi su Formigoni ed Expo”.
E su questa vicenda, con foto del segretario generale Onu: “Milano 2015, schiaffo di Ban Ki-Moon: ‘Via la mia foto’”.
A centro pagina: “Europee, la fifa nera del premier su Genovese. E l’arresto si allontana”
Il Giornale: “Napolitano scappa. Il presidente è l’unico a non essersi accorto del complotto. ‘Il Cavaliere lasciò liberamente’”. E poi: “Indagato Bazoli, il banchiere dei salotti bene”.
L’Unità: “Il Colle sbugiarda Berlusconi”. “Napolitano ferma ogni polemica sulle frasi di Geithner: mai informato, il premier si dimise per motivi politici e parlamentari. L’ex Cavaliere insiste sul complotto: siamo disgustati. Nuovi attacchi ai giudici”. A centro pagina: “80 euro anche ai disoccupati e ai cassintegrati”. A fondo pagina: “Genovese, scontro Pd-5 Stelle. Dai Dem sì all’arresto mai i grillini speculano sui tempi. E tendono trappole”.
Il Sole 24 Ore: “Bonus ai lavoratori in Cassa. Circolare delle Entrate: l’Inps pagherà gli ottanta euro a chi percepisce indennità e sussidi di disoccupazione”. “L’importo anticipato dall’azienda sarà subito compensato”. Di spalla: “Napolitano: ‘Berlusconi lasciò liberamente, mai saputo di pressioni’”. “L’ex premier attacca: io vittima di un colpo di Stato nel 2011”. A centro pagina: “Ubi, inchiesta su vertici e manager”. “Faro della Procura di Bergamo su governance e operazioni in leasing. La difesa: nessun patto occulto. Tra gli indagati Bazoli (ostacolo alla vigilanza) e Giampiero Pesenti (truffa)”.
Napolitano e il complotto
Sul Corriere Marzio Breda si sofferma sulle parole di Giorgio Napolitano, che “gela Berlusconi” con una nota che esclude “trame segrete” dietro gli avvenimenti del 2011. Napolitano ricorda che le dimissioni di Berlusconi, dell’8 novembre 2011, furono “liberamente e responsabilmente rassegnate” e, “soprattutto, ‘non vennero motivate se non in riferimento a eventi politico parlamentari italiani’. A provocarle era stata insomma una precisa sequenza di fatti interni, visto che la maggioranza sulla quale si reggeva l’esecutivo era ormai sull’orlo del dissolvimento”. Per Napolitano – scrive Breda – “più che sgradevole è proprio insopportabile trovarsi nel tritacarne di una campagna elettorale sgangherata, feroce e senza esclusione di colpi come quella in corso per le europee”. Napolitano, nella sua nota di ieri, elenca anche la cronologia delle sue dichiarazioni dell’epoca, e ne cita una del 25 ottobre 2011, in cui criticava le “inopportune e sgradevoli espressioni pubbliche di scarsa fiducia nei confronti degli impegni assunti dal nostro Paese”, e aggiungeva che “’nessuno può avanzare pretese di commissariamento… da 60 anni accettiamo limitazioni della sovranità, ma in condizione di parità con gli altri Stati’. Un ammonimento che volle fare quando la Merkel e Sarkozy, nel pieno di un vertice internazionale, replicarono con sgradevoli risolini alle domande dei cronisti sull’affidabilità del premier italiano”. “Per il resto, della ostilità e delle eventuali manovre dei leader della Ue, al Quirinale non si sapeva nulla”, scrive Breda. Napolitano non partecipava ai vertici europei, e Berlusconi, di quei vertici, “dava una versione delle cose molto diversa. Magari spinto da uno spirito autoconsolatorio, riferiva i suoi contatti con gli altri partner quasi alla stregua di una marcia trionfale, dove alla fine si decideva esattamente quello che aveva proposto lui”. Lo stesso Breda firma uno dei commenti del quotidiano, in cui critica la richiesta della opposizione di istituire una Commissione di inchiesta sui fatti del 2011 e scrive che “basterebbe ricordare come andarono le cose in quell’autunno 2011, quando il Cavaliere cominciò a parlare dei ‘traditori irriconoscenti’ che facevano evaporare la sua maggioranza, ammettendo con ‘tristezza e dolore’ l’estrema difficoltà del proprio governo. Basterebbe che, in un soprassalto di sincerità, Berlusconi ricostruisse ciò che disse a Napolitano la sera dell’8 novembre, presentandosi al Quirinale con un’aria provatissima e chiedendogli ‘che cosa debbo fare?’, per sentirsi rispondere quel che ormai era ovvio: ‘Non ci sono ragioni per continuare…’. Basterebbe che non negasse di aver accettato e avallato lui stesso, dopo aver confermato quattro giorni più tardi le dimissioni e mentre i suoi gruppi parlamentari si guardarono bene dal chiedere un reincarico, la nomina di Mario Monti a Palazzo Chigi, per evitare uno scioglimento delle Camere destinato ad avere ‘ricadute dirompenti’. Basterebbe che ammettesse quanto era nel frattempo accaduto in Europa, dove si scontrava con un crescente clima di ostilità del quale aveva però sempre evitato di fare cenno al suo rientro a Roma”.
“Napolitano scappa” è il titolo del commento di Alessandro Sallusti, sulla prima pagina de Il Giornale. Sallusti scrive che “Napolitano fa lo gnorri”, e definisce la nota di ieri “di non inedita arroganza”. È vero, “tecnicamente parlando”, che Berlusconi si è dimesso, nel senso che “per farlo sloggiare non fu necessario l’intervento dei carabinieri e della polizia”. Ma oggi, alla luce delle notizie del “complotto”, “Napolitano non sente il bisogno di saperne di più. Semplicemente, scappa”.
Stefano Folli, sul Sole 24 Ore (“Una polemica da chiudere”) scrive che dopo la nota del Quirinale la polemica andrebbe chiusa, anche per “non provocare gravi esiti”. E aggiunge che “Berlusconi sembra consapevole che è meglio non tirare troppo la corda”. E in questo senso, più che attaccare Napolitano, “una tranquilla commissione parlamentare, come propone Brunetta, è una via d’uscita assai più comoda”.
Sul Corriere si racconta la “rabbia” di Berlusconi: “Ma non attacco Pm e Colle, potrei finire a San Vittore”. Invece attacca Renzi, e “alza il tiro” sul tema delle riforme, nel senso che l’ipotesi di una “collaborazione su riforme e legge elettorale dopo le elezioni resta in bilico”, scrive il quotidiano milanese.
Su Il Giornale le dichiarazioni di Berlusconi, che parlava a una manifestazione elettorale per Antonio Tajani, a Roma, si sintetizzano così: “’Maggioranza incostituzionale, Renzi bluff. Non arriva al 2018. Non posso attaccare i magistrati né Napolitano, rischio di finire a San Vittore’”.
Inchieste
Comincia così la cronaca sull’inchiesta Expo firmata su La Repubblica da Piero Colaprico ed Emilio Randacio: “’Gianstefano Frigerio a me diceva che il suo referente politico era Silvio Berlusconi’. Dopo aver confermato l’impianto della procura sulla ‘cupola’ degli affari Expo, l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro entra nei dettagli”. E il quotidiano riferisce dunque della intera giornata di interrogatorio di Maltauro per fare chiarezza sul ruolo privilegiato riservato al gruppo da lui diretto dalla truppa capitanata da Frigerio, da quello che lo stesso imprenditore ha dichiarato essere il suo referente diretto, ovvero l’ex capogruppo Ud ligure Sergio Cattozzo. Spiega il quotidiano che sul presunto ruolo dell’ex Cavaliere -che comunque non risulta essere indagato in questa inchiesta- il ricordo dell’arrestato è de relato. “Io Berlusconi non l’ho mai incontrato”, ha detto Maltauro, aggiungendo che Firgerio vantava “entrature” anche in Regione Lombardia e con altri politici importanti a Roma. Maltauro è anche tornato a parlare del ruolo di Primo Greganti: “Garantiva gli interessi delle cooperative rosse”. Lo stesso Greganti, in carcere, sta scrivendo un memoriale da presentare in procura per smentire un ruolo attivo nella ‘cupola’. E il Senato ha smentito di aver registrato suoi ingressi nei mesi scorsi, così come che un black out abbia cancellato, martedì, i dati sulla registrazione degli accessi.
Su La Stampa, cronaca di Paolo Colonnello: “Maltauro confessa: ‘Così la cupola pilotava i lavori’”, “I pm chiedono al Riesame i 12 arresti negati dal gip. Nelle carte la cena di Arcore di Fabrizio Sala e Paris”. Il quotidiano sottolinea che questo interrogatorio è stato secretato. Poi spiega che “il sistema Frigerio” correva parallelo a quello di Daccò, “a dimostrare che le cricche sono multiple, ma il sistema è uguale per tutti: lì le tangenti sui rimborsi spese per gli ospedali, qui sugli appalti per la sanità, l’Expo, la Sogin. Un sistema tentacolare e ben inserito anche ai piani alti della politica. A livello nazionale e, ovviamente, in Regione”. Si citano quindi l’appoggio alla campagna elettorale dell’attuale assessore alla Sanità Mantovani, ex coordinatore del Pdl in Lombardia, ma anche per il legame con Fabrizio Sala, attuale sottosegretario alla Regione con delega all’Expo. L’invito alla cena a Villa San Martino da Berlusconi arriva a Sala dopo una richiesta di Frigerio il quale, scrivono i pm, “mantiene da lungo tempo contatti con Fabrizio Sala che ha tra l’altro attivamente sostenuto nella corsa post elettorale al ruolo di sottosegretario alla Regione Lombardia”. E Frigerio si vanta con Paris di essersi attivato anche con “Fedele” e con la “Gelmini”.
Il Corriere si sofferma su un presunto “giallo”: Primo Greganti sarebbe stato in Senato un mese fa. Lo conferma il senatore Lucio Barani, che dice: “Ho visto Primo Greganti un mese fa, andava alla buvette, insieme ad alcuni senatori del Pd, credo fossero lombardi”. A Palazzo Madama “non risultano accrediti a nome Greganti”, secondo una nota del Senato, anche se “non c’è scritto che non risultino ingressi”, nel senso che Greganti potrebbe essere entrato “al braccio di un parlamentare”, senza registrare il suo nome al momento dell’accesso a Palazzo Madama. “Se un senatore entra con una persona sotto braccio entra senza controlli”, conferma Renato Schifani, citato dal quotidiano. Secondo il senatore del M5S Giarrusso un black out di qualche giorno fa a Palazzo Madama martedì scorso “puzza di bruciato”, nel senso che potrebbe essere stata “una manomissione per coprire gli ingressi di Greganti” a Palazzo Madama.
Inchieste 2. Guerra in Procura
La Stampa si occupa dei “veleni in procura”: “Robledo: ‘Io sabotatore? Bruti mente e lo dimostro’”, “Nuova lettera al Csm per smentire l’accusa sul ‘doppio pedinamento’”.
Su Il Fatto: “’Ecco le bugie del capo del pool’”, “Robledo contro Bruti Liberati: indagò tardi Formigoni, falso il doppio pedinamento. Con lui anche la Finanza”. Dove si legge della nota della Guardia di Finanza allegata da Robledo al Csm: il pm respingeva le accuse di Bruti Liberati, secondo cui un pedinamento della Guardia di Finanza disposto da Robledo stesso avrebbe messo a rischio le indagini perché si sovrapponeva a quello della polizia giudiziaria già in corso. Recita la nota Gdf: “per quanto consti agli atti d’indagine, nel corso delle attività di osservazione e controllo svolto dal personale di questa articolazione, non si sono registrati episodi di sovrapposizione operativa”. Ma la frattura interna alla Procura che indaga su Expo è “esplosiva” per Il Fatto soprattutto in relazione alle accuse lanciate da Robledo nel suo esposto al Csm sull’iscrizione nel registro degli indagati di Roberto Formigoni e Pierangelo Daccò in merito all’indagine per corruzione nata dal fascicolo sul San Raffaele di Milano:, che il quotidiano racconta così: “il 25 luglio Robledo scrive al suo capo Bruti per sapere se esista un’indagine che riguardi reati di competenza del suo dipartimento su esponenti del San Raffaele di Milano. L’indagine esisteva. Scrive Robledo: ‘Venni chiamato dal Procuratore, alla presenza del collega Francesco Greco (a capo del primo dipartimento che si dovrebbe occupare di reati finanziari e non di reati contro la pubblica amministrazione, sottolinea il cronista de Il Fatto) Entrambi mi confermarono l’esistenza di un procedimento al riguardo, concordando sulla necessità di procedere ad indagini coordinate con il II dipartimento, anche se il collega Greco mi suggerì di iniziare tali indagini dal mese di settembre, senza però alcuna motivazione di tale proposta. Esposi la mia assoluta contrarietà sul punto. Il Procuratore sottolineò che si trattava di una situazione molto delicata, essendo in corso ‘trattative’ sulle quali non avrebbe voluto che le indagini influissero in qualunque modo”. Ci si riferiva alle trattative in corso per salvare il San Raffaele da parte di una cordata che comprendeva lo Ior.
Su La Repubblica: “’Vogliono normalizzare Milano’”, “I pm milanesi difendono Bruti Liberati. Ma il procuratore aggiunto Robledo insiste: ‘Edmondo ha detto il falso’. Antonio Racanelli, membro del Csm, chiede al ministro della Giustizia Orlando di inviare un’ispezione”. Il quotidiano riferisce dunque di timori di ‘normalizzazione’ che animerebbero i magistrati della Procura milanese, che restano però anonimi. Sulla stessa pagina, un ‘retroscena’ di Liana Milella: “’Per la Finanza ho ragione io’, ma Robledo rischia il posto”. Si legge che le accuse di Robledo potrebbero diventare un boomerang e si raccoglie una voce -anonima- al Csm, relativa alla smentita della Guardia di Finanza sul doppio pedinamento: “non esiste che un procuratore aggiunto, contro il suo procuratore, solleciti una forza di polizia a negare quanto quel procuratore ha affermato”.
Inchieste 3. Ubi
Sul Sole si parla di un’altra inchiesta giudiziaria, che riguarda Ubi banca. Sono sotto inchiesta a Bergamo vertici e manager. Tra gli altri anche Bazoli e Pesenti. Per Bazoli (indagato per ‘ostacolo alle funzioni di vigilanza’) la contestazione si riferirebbe a presunte, gravi anomalie nella modalità di comunicazione riguardo alle indicazioni dei vertici di Ubi-Banca, nata dalla fusione di Banca Popolare di Bergamo e altre Banche Popolari. Secondo l’accusa, due gruppi di azionisti di Ubi-Banca – l’Associazione Amici di Ubi e l’Associazione Banca Lombarda e Piemontese, quest’ultima presieduta da Bazoli – avrebbero messo in campo, senza che le autorità di vigilanza ne avessero compiuta conoscenza, un sistema di regole tale da predeterminare i vertici di Ubi-Banca.
Inchieste. Caso Genovese
Sul Sole 24 Ore si dà conto delle polemiche ieri in Parlamento sulla richiesta di autorizzazione all’arresto del deputato del Pd Genovese, indagato dalla Procura di Messina per associazione a delinquere, peculato, truffa, riciclaggio e falso in bilancio in una inchiesta sui corsi regionali di formazione. La votazione slitterà quasi certamente a dopo le elezioni europee, anche perché la prossima settimana i lavori d’Aula si fermeranno per l’ultima settimana di campagna elettorale. “Arresto Genovese, scontro Pd-5Stelle”. Il quotidiano dà conto delle dichiarazioni di ieri di Beppe Grillo, che ha accusato anche Sel, oltre al Pd, di voler rallentare i lavori della Camera per non arrivare al voto sull’arresto del parlamentare. I democratici sono a favore dell’arresto, ricorda il quotidiano. E infatti in Giunta hanno votato tutti a favore. E accusano i grillini di preparare – nascosti dal voto segreto – una sorta di agguato contro il Pd, votando contro l’arresto e dando la colpa al Partito Democratico. Per questo il Pd chiede di votare a scrutinio palese.
Anche su L’Unità: “Il Pd ha votato sì già in Giunta, ma teme una trappola dei deputati grillini”.
Lavoro
Sul decreto lavoro, Alberto Orioli sul Sole scrive che “meline dell’ultim’ora a parte, in poco più di 50 giorni, dopo una doppia lettura in entrambe le Camere, il Parlamento avrà sancito che i contratti a termine possono durare fino a 36 mesi senza causale. Se ne parlava da almeno vent’anni, senza costrutto”. Il testo è un “compromesso non troppo distante” dal testo del decreto varato dal ministro Poletti, ed è “solo il prologo” di un “programma riformista” la cui attuazione è ora affidata al disegno di legge delega incardinato al Senato, il cosiddetto “jobs Act”. E il “primo vero test” per il governo, su questo testo, sarà quello di suddividere le risorse tra politiche “passive” per il lavoro e politiche attive. E’ il “cuore delle scelte del welfare” perché l’Italia “non fa politiche attive” e continua a destinare tutte le risorse a “previdenza e assistenza mal fatta”, scrive Orioli.
Turchia
Su La Repubblica, due intere pagine di reportage di Marco Ansaldo dalla Turchia dopo la morte dei 274 minatori a Soma: “’Erdogan assassino’, rabbia dopo la strage, la Turchia in rivolta per i minatori morti”, “Il premier assaltato durante la visita a Soma”. Dove si legge che due settimane fa l’Akp di Erdogan aveva bloccato un’inchiesta sulla sicurezza del settore. Tra i corpi estratti c’è anche quello del 15enne Kemal.. E sulla pagina di fianco: “Ragazzi sdraiati per terra, il ritorno di Gezy Park”.
Da La Stampa, il reportage di Francesca Paci: “La miniera restituisce solo cadaveri. E scoppia la rivolta contro Erdogan”. Il quotidiano riferisce anche che la Turchia ha il primato -ma tra i Paesi Ue- di morti bianche: nel 2012 hanno trovato la morte nelle miniere 61 persone.
Sul sole 24 Ore Alberto Negri, parlando della tragedia mineraria turca, scrive del “lato oscuro” del boom economico del Paese, dove c’è il “record di incidenti sul lavoro” in Europa.
Il Giornale: “Strage in miniera, assalto a Erdogan. ‘Ladro e killer’. Il premier contestato dalla piazza per la sicurezza, costretto a fuggire in un supermercato”, dopo una visita e una conferenza stampa improvvisata alla miniera luogo della tragedia.
Sul Corriere Antonio Ferrari (“La fragilità di un Paese”) si riferisce alle parole di Erdogan che ieri, stizzito, rispondendo alle critiche, ha detto che simili incidenti possono accadere: “Nessuno mette in dubbio che un disastroso evento possa accadere, ma quando un grave incidente è prevedibile, anzi decisamente probabile, come era stato denunciato due settimane fa, allora è irresponsabile definirlo ‘normale’”.
E poi
Su tutti i quotidiani in prima la notizia delle dimissioni di due donne che dirigevano due illustri quotidiani: New York Times e Le Monde (Jill Abramson e Nathalie Nougayrède). “In un solo giorno -racconta La repubblica- saltano le due donne ai vertici dei più importanti giornali del mondo”.
“Il popolo della piazza” è il titolo dell’analisi di Thomas Friedman che compare oggi su La Repubblica: “nel 2004 il politologo di Harvard Samuel Hungtington parlò di una ‘superclasse’ globale che si andava affermando, quella degli uomini di Davos”, un élite “transnazionale e cosmopolita”: ma secondo Friedman siamo passati dai laptop delle élite agli smartphone per tutti, dai network per i pochi di Davos a Facebook per tutti, dalle stanze del potere a Twitter. E’ “una nuova forza politica globale”, formata per lo più da giovani che aspirano a standard di vita migliori, che perseguono le riforme o la rivoluzione e sono collegati gli uni agli altri “dal fatto di ammassarsi nelle piazze o ritrovarsi in massa in qualche piazza virtuale o in entrambe”: è il popolo che abbiamo visto nelle piazze di Tunisi, del Cairo, di Istanbul, Nuova Dehli, Damasco, Tripoli, Beirut, Sana’a, Teheran, Mosca, rio, Tel Aviv e Kiev, “come pure nelle piazze virtuali di Arabia saudita, Cina e Vietnam”.