Morte a Milano

Il Corriere della Sera: “Morte a Palazzo di Giustizia”. “Imputato di bancarotta spara in Tribunale e fa tre vittime. Mattarella: ‘Si accertino le responsabilità’. Le falle che hanno reso possibile l’ingresso di un’arma: tesserino falso e varco senza metal detector”.
“Tredici colpi mentre il testimone giura”.
“In primo piano: ‘La cittadella con 5 mila accessi al giorno”. “L’omicida: ‘Ho ammazzato per vendetta’”. “Livia Pomodoro: ‘Provo rabbia. Rancore e odio vincono pure lì'”.
L’editoriale, firmato da Giangiacomo Schiavi: “Quei caduti sul fronte della legge”.
In prima anche un richiamo sul caso De Gennaro: “Fiducia di Renzi al superpoliziotto di sei governi”.
A fondo pagina: “Tasse regionali su per cinque milioni di italiani. Già decisi aumenti dell’addizionale Irpef per i contribuenti di Piemonte, Lazio e Campania”.

La Repubblica: “Giorno di sangue in tribunale”, “Imputato per bancarotta fa strage a Milano: tre morti. Uccisi magistrato e avvocato”, “Entrato con un tesserino falso. I carabinieri avevano chiesto di ritirargli il porto d’armi”, “Fuga in moto, poi l’arresto. Polemiche sulla sicurezza. Il Colle: basta screditare le toghe”.
Di spalla a destra: “Renzi blinda De Gennaro. Sì della Camera al reato di tortura”.
A fondo pagina, “l’inchiesta”, di Daniele Mastrogiacomo: “’Un traffico d’armi per conto della Cia’. L’ultima verità sulla fine di Ilaria Alpi”.
E un caso che riguarda il Vaticano: “Parigi accusa il Vaticano: no all’ambasciatore perché gay”.

La Stampa: “Terrore e morte in tribunale”, “Imprenditore a processo per bancarotta uccide un giudice, un avvocato e l’ex socio”, “Milano, l’omicida preso dopo la fuga in scooter: ‘Mi avevano rovinato’. Ferite due persone. Polemiche sulla sicurezza”.
A centro pagina: “Renzi conferma De Gennaro: ‘resta a capo di Finmeccanica’”, “Reato di tortura, sì alla Camera: la pena sale a 15 anni”.
Il quotidiano richiama in prima un’intervista al presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone: “Partiti ormai in disfacimento, non sono anticorpi alla corruzione’”.
Di spalla a destra, un intervento di Enzo Bianchi sulla strage in Kenya: “Questi volti non sono una statistica”, con le foto di alcune delle vittime.

Il Fatto: “Massima insicurezza”, “Oggi il Tribunale, domani l’Expo”, “Claudio Giardiello, imputato per bancarotta, entra indisturbato nel Palagiustizia di Milano e uccide tre persone: il giudice Ciampi, l’avvocato Appiani e il coimputato Erba. Dopo un’ora riesce a fuggire: arrestato in periferia. Una voragine nei controlli, affidati alla stessa dotta privata che vigilerà sul grande evento”.
A centro pagina, un’inchiesta: “Svaligiata Forza Italia: 610 milioni in 13 anni”, “Di questi 494 sono pubblici. Dai soldi per la ‘Tv della libertà’ della Brambilla ai contratti agli amici: sprechi, favori e lussi. Tutto finito. E adesso San Lorenzo in Lucina rischia lo sfratto”, “Alla canna del gas: in bolletta per telefono e pulizie”.
Sulla riforma del governo del Terzo settore: “No profit a scopo di lucro: passa il metodo Buzzi”.
Sul caso De Gennaro: “de Gennaro non si muove. Renzi costretto a salvarlo”, “L’ex n.1 della Polizia fa capire: di lasciare Finmeccanica non se ne parla. Il premier: ‘Ok, resta’”.
A fondo pagina, una intervista al sindaco di Parma Pizzarotti, che dice: “Gli 80 euro ci strozzano. Il nuovo portale M5S? Non basta”.
E il caso che riguarda il Vaticano: “Il vade retro del Vaticano all’ambasciatore omosessuale”.

Il Giornale: “Senza difese. Entra armato in Tribunale e si vendica: tre morti e due feriti. E’ l’ultima falla di un governo (e di un Paese) che ha abdicato ai suoi doveri e ci lascia soli contro tutti”. “Parte il processo ad Alfano, ma lui e Renzi negano l’evidenza”.
Il quotidiano cita anche una “denuncia rimasta inascoltata” sul Tribunale: “‘Qui entra di tutto'”.
E poi: “E parte lo sciacallaggio: è colpa del clima contro la magistratura”.
A fondo pagina: “Sondaggi verso le regionali”. “Liguria, sogno ribaltone: Forza Italia è a soli 5 punti”.

Il Sole 24 Ore: “Imputato di bancarotta fa strage in Tribunale: tre morti”. “Il killer uccide un giudice, un avvocato e un coimputato, due feriti. Arrestato dopo la fuga. Sotto accusa la sicurezza”.
“Mattarella convoca il Csm: fare piena luce. Basta discredito nei confronti dei magistrati”.
Il titolo più grande: “La Grecia rimborsa l’Fmi”. “Saldata alla scadenza la rata da 450 milioni ma resta il rischio default. Atene: ‘dal 24 aprile casse dello Stato vuote'”. “La Bce alza di 1,2 miliardi i fondi di emergenza. Lagarde: crescita globale troppo debole”.
“Chi bluffa tra Atene e l’Europa” è il titolo di un commento di Carlo Bastasin.
Tra le notizie della politica: “Diaz, Renzi conferma De Gennaro. ‘Nessun dubbio sulle sue qualità’. La Camera vota il reato di tortura”.
E poi: “De Vincenti nuovo sottosegretario alla Presidenza del consiglio”
A centro pagina: “Salva-tagli per Roma, Firenze e Napoli”. “Incontro Renzi-Comuni: i fondi, forse, da una mini tassa sui viaggi aerei o in nave”. “Sulle pensioni Poletti annuncia ritocchi nella legge di Stabilità”.

La strage di Milano

La Repubblica: “La strage per vendetta dell’imputato con la pistola, ‘Mi hanno rovinato, volevo uccidere ancora’”. Alle pagine seguenti il quotidiano spiega che l’omicida Claudio Giardiello ha ucciso il giudice Fernando Ciampi, che avrebbe dovuto comparire come testimone al processo di ieri. Non ne era il titolare.

La Stampa sottolinea che l’ex immobiliarista stragista è stato fermato prima dell’ultimo omicidio. È stato infatti catturato davanti all’ingresso di un centro commerciale di Vimercate: verso mezzogiorno, dopo 27 chilometri di fuga dal tribunale, ha ancora la pistola addosso. “Volevo finire il lavoro”, dirà ai carabinieri in caserma. Una vendetta “assurda in ogni senso”, fa notare il quotidiano, visto che era stato lui ad ingannare i suoi soci, a tradire il patto di fiducia. Avevano costruito insieme delle palazzine a Villasanta, ma Giardiello aveva venduto molti appartamenti da solo, intascando i soldi in esclusiva. E da qui era nata la denuncia nei suoi confronti. I soci della Magenta srl volevano rientrare della somma investita e persa. Il contenzioso è quindi all’origine del fallimento decretato nel 2008 e del procedimento per bancarotta fraudolenta che si discuteva ieri in tribunale. Con lui, sul banco degli imputati, c’erano gli ex soci Giorgio Erba e Davide Limongelli. Giardiello ha sparato contro i suoi soci colpevoli di averlo denunciato. E contro l’avvocato Appiani, chiamato a testimoniare al processo. Ha ucciso il giudice Ciampi, che aveva emesso la sentenza di fallimento. E stava quindi andando dal terzo socio della Magenta Srl, che riteneva colpevole come tutti gli altri.

Ancora su La Repubblica: “L’escalation di rabbia del ‘conte Tacchia’, ma la prefettura ignorò il no al porto d’armi”, “Un mese fa Giardiello aveva chiesto aiuto ai servizi sociali. La risposta: ‘Vada da un medico, lei è troppo stressato’”.

Sul Corriere la testimonianza di Luigi Liguori, avvocato che era all’udienza del processo per bancarotta della Immobiliare Magenta. GIardiello era “all’ultimo banco, tre dietro di me. Indossava un cappotto blu e un vestito marrone. Aveva la cravatta. Poteva sembrare un avvocato. Nella panca davanti a lui c’erano Davide Limongelli e Giorgio Erba”. Prima non era particolarmente nervoso, poi “ha cominciato ad agitarsi”, “chiedeva con insistenza al suo avvocato, il collega Michele Rocchetti, di fare alcune domande specifiche. Insisteva, pressava. A un certo punto l’avvocato Rocchetti ha detto al presidente che rinunciava al mandato perché non poteva continuare la difesa in quanto non c’era coordinamento con il suo assistito”. A questo punto è stato chiamato a testimoniare l’avvocato Lorenzo Claris Appiani, che “per conto di un suo cliente che lamentava un credito non onorato, aveva presentato un’istanza di fallimento nei confronti dell’immobiliare. Mentre stava declinando le sue generalità, come fanno tutti i testimoni, ho sentito i primi spari, almeno due. Stavo nella prima panca, proprio di fronte ai giudici”.

La sicurezza

Il Giornale scrive che “l’allarme era stato lanciato per tempo, ed è rimasto inascoltato” e cita una lettera che “un funzionario del palazzaccio milanese ha diramato appena un mese fa, il 5 marzo scorso, indirizzandola a tutti i vertici delle istituzioni coinvolte: al ministro, al procuratore della Repubblica, al presidente del tribunale. Nulla. Adesso ovviamente si correrà ai ripari”. L’autore della lettera è l’attuale responsabile dell’Archivio del tribunale, Umberto Valloreja, che per molti anni è stato carabiniere. Valloreja scriveva per la chiusura del presidio medico interno al tribunale, ma “affronta per intero il tema della sicurezza”. Uno degli esempi citati tra le falle della sicurezza – alla vigilia dell’Expo – era questo: “‘Nessuno controlla, ad esempio, se un furgone che vi accede per necessitati approvvigionamenti nasconda, tra le materialità portanti, anche un congegno esplosivo Ied ovvero di altro sofisticato assemblaggio. Non esiste ad oggi neppure un apparato “bomb jammer” di inibizione dei segnali di radiofrequenza che attivano le cariche esplosive'”. Valloreja citava anche il controllo degli accessi, “una volta affidato ai carabinieri, poi appaltato ad aziende di sicurezza private. Il vero crollo avviene nel 2011, quando per risparmiare sui costi di gestione il Comune di Milano – che ha in gestione il Palazzo di giustizia e ne paga le spese relative – riduce il capitolato, dimezzando la presenza di guardie giurate armate alle entrate e affiancandole (e spesso sostituendole) con dipendenti civili disarmati di una azienda privata”.

Anche sul Corriere ci si sofferma sull’appalto vinto nel 2010 dal raggruppamento di imprese che comprendeva la Gf Protection, Uniondelta, Sicura e All System srl. “La stessa All System che cinque anni dopo, insieme a un altro raggruppamento di imprese, vince un altro appalto molto importante per la sicurezza, quello del controllo degli accessi a Expo”. Il quotidiano spiega che il ricorso al Tar contro l’appalto per il Tribunale era basato proprio sul tema delle guardie giurate non armate. Aggiunge comunque che “la gara del 2010, tanto per sgomberare il campo dagli equivoci, non fu fatta secondo l’offerta al massimo ribasso, ma con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Comunque sia andata la gara, la conseguenza è stata che il personale armato all’interno del Tribunale si è dimezzato”. Il ricorso fu bocciato dai giudici amministrativi.

Su Il Fatto, pagina 3: “Quei guardiani del Palazzo che vigileranno anche sull’Expo”. Il quotidiano spiega che la sicurezza della cittadella giudiziaria milanese, in particolare quella esterna, ovvero gli ingressi, sono di competenza dei Comuni, d’intesa con le Prefetture, ma possono essere affidate ad aziende private. E a Milano l’amministrazione Pisapia l’ha affidata con un appalto pubblico a due società esterne: la All System e la Securpolice. La prima -scrive il quotidiano- è più importante. Non solo perché ha la vigilanza armata, am soprattutto perché dei sette ingressi del Palazzo di Giustizia ne controlla ben sei. Il contratto è stato sottoscritto dal Comune nel 2010, vale a dire con la giunta di Letizia Moratti, per un corrispettivo di 8,2 milioni di euro. Il contratto è stato poi riaggiornato il 17 maggio 2013 a seguito di alcuni ricorsi al Tar che riguardavano la legittimità dell’affidamento. Nel testo la All System viene indicata come “capogruppo” insieme ad una terza società, la Gf protection. Il contratto scade il 30 aprile prossimo e dovrebbe rinnovarsi per tacito accordo delle parti. “Del resto -scrive Il Fatto- come no fidarsi: la società si è appena aggiudicata anche l’appalto da 20 milioni di euro per la sicurezza a Expo 2015 come capogruppo di una rete di imprese di vigilanza, tra cui compare la Ivri”. La società All System, dopo le polemiche, ieri ha diffuso un comunicato in cui sottolinea che – almeno dai primi accertamenti – dei 7 varchi di accesso al tribunale, solo 6 erano da essa controllati, mentre “la persona imputata dei fatti ha avuto accesso dal varco di Via Manara, ingresso riservato ai soli avvocati e magistrati, che non è presidiato e in carico alla All System, ma di responsabilità di altra società”. Forse, scrive il quotidiano, si tratta della Securepolice, che però può svolgere vigilanza esclusivamente agli ingressi non presidiati dai metal detector.

La Repubblica, pagina 4: “La falla nell’ingresso riservato a pm e avvocati da nove mesi il metal detector non c’è più”, “Fino a luglio il dispositivo c’era ma si rompeva continuamente. Alla fine è stato tolto per garantire un accesso più facile. Gli addetti ai lavori per entrare si limitano a mostrare un tesserino. E a volte neanche quello: come ha fatto ieri l’assassino”.

I magistrati

Nel pomeriggio di ieri, su impulso del presidente della Repubblica, è stato convocato un plenum straordinario del Consiglio Superiore della Magistratura.

La Stampa sintetizza così i contenuti dell’intervento che lo stesso presidente ha pronunciato: “Mattarella: va respinto il discredito dei magistrati”. Queste le parole del capo dello Stato: “Va respinta con chiarezza ogni forma di discredito nei loro confronti”. “Si è capito una volta di più- commenta il quotidiano- che il Presidente sta con i magistrati, senza se e senza ma”.

Su La Repubblica, nei titoli le parole di Mattarella: “’Basta discredito sui magistrati’”, “Il capo dello Stato convoca d’urgenza il plenum del Csm. ‘Adesso fare piena luce’. Opposizione contro Alfano. Renzi: ‘Falle evidenti ma no alle strumentalizzazioni”.
Stefano Folli, nella sua rubrica “Il punto”, scrive che il capo dello Stato ha lanciato il suo primo messaggio “politico-istituzionale” (discorso di insediamento a parte). Ed è un messaggio che colloca l’omicidio del giudice Ciampi sullo sfondo degli attacchi subiti dalla magistratura: Folli rileva la “veemenza” e lo “sdegno” contenuti nelle sue parole, che peraltro fanno giustizia anche dell’immagine stereotipata dell’uomo algido e distaccato. Non sarebbe stato necessario convocare il plenum Csm, ma se Mattarella lo ha fatto “è stato per rendere omaggio alla magistratura e ribadire quanto aveva già detto qualche settimana fa, quando volle rassicurare le toghe a proposito della legge sulla responsabilità civile: al Quirinale egli intende garantire e difendere con tutta la determinazione necessaria l’autonomia dell’ordine giudiziario”. “il registro e i toni di Mattarella – scrive ancora Folli – sono diversi da quelli di Giorgio Napolitano. C’è una differenza di fondo anche perché quest’ultimo non aveva lesinato critiche ai magistrati, in qualche caso molto dure. E più volte li aveva invitati a condividere, senza ostacolarle, le riforme che li coinvolgono, evitando di apparire all’esterno come una corporazione. Nulla autorizza a pensare che nella sostanza Mattarella voglia discostarsi dal solco del predecessore. Ma è indicativo che egli abbia voluto in primo luogo restituire fiducia al sistema giudiziario troppo a lungo coinvolto nelle polemiche. L’Italia di domani dovrà nascere dall’equilibrio dei poteri e non dal loro scontro permanente”.

“Chi spera, chi spara”, è il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio, in prima su Il Fatto. Che inizia così: “Forse esagera Gherardo Colombo, sopraffatto dall’emozione per l’assassinio dell’ex collega e amico Ferdinando Ciampi, quando collega la sparatoria di ieri al Palazzo di giustizia di Milano al ‘brutto clima’ che si respira intorno alla magistratura. Ma il folle ragionamento che ha portato il killer Claudio Giardiello a incolpare per la sua bancarotta non se stesso, ma il giudice, il pm e il coimputato testimone, e a scaricare su di loro il piombo della vendetta, non è inedito né isolato. Sono trent’anni che qualunque potente finisca alla sbarra per i propri delitti se la prende regolarmente con i magistrati che l’hanno scoperto”, “e siccome gli imputati eccellenti possiedono giornali e tv, o hanno amici che li possiedono, o avvocati in Parlamento, o magari vi siedono essi stessi, sono riusciti a dirottare l’attenzione dai crimini e da chi li commette verso i pm che li smascherano e i giudici che li processano”, il killer “non disponeva di questi strumenti”, non aveva un partito alle spalle, non poteva “sguinzagliare 150 fra deputati e senatori per cingere d’assedio il Palazzo di Giustizia di Milano, come fecero gli eletti del Pdl l’11 marzo 2013, prima con un sit-in e poi con l’ascesa in massa fino all’aula del quarto piano, dove si celebrava una delle ultime udienze del processo Ruby. Chissò se quell’indegna gazzarra è tornata in mente al cosiddetto ministro dell’Interno Angelino Alfano. Il quale, due anni fa, guidava la falange berlusconiana all’assalto del tribunale milanese”.

Su La Repubblica i ritratti degli uccisi: Ferdinando Ciampi, “il giudice eroe assassinato mentre fa scudo all’impiegata”; l’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, 37 anni, che avrebbe dovuto deporre come testimone e aveva avuto simpatie per Forza Italia in passato; l’ex socio Giorgio Erba, “nel mirino da tempo”.

Sul Corriere Giangiacomo Schiavi, che firma l’editoriale, si chiede “quali risposte darà adesso lo Stato ai familiari del giudice, dell’avvocato, dell’ex socio, caduti sul fronte della legge, emblema del rischio che comporta assumersi il dovere dell’onestà? Quale risarcimento ci può essere al dolore immenso di una vita perduta dopo un attentato che ha colpito il luogo della legalità e della giustizia?”, e si cita Gherardo Colombo, che è “frastornato e impressionato dalla facilità con cui una pistola ha potuto entrare nell’aula, ma parla anche di clima ostile alla magistratura, di ‘sottovalutazione di un ruolo’ che contribuisce alla sua delegittimazione”.

Anche sul Sole, Donatella Stasio parla della “storia di solitudine” che circonderebbe “la magistratura ormai da tempo e che sta scavando un baratro tra i cittadini e la giustizia. Solitudine istituzionale, professionale e umana, frutto della lenta ma progressiva delegittimazione a opera di una politica che, per questa via, pensa di affermare la propria primazia e di recuperare la credibilità perduta (non solo nelle aule giudiziarie), senza rendersi conto delle ricadute devastanti sulla tenuta democratica del Paese”.

De Gennaro

Su La Repubblica, pagina 14: “G8, Renzi blinda De Gennaro: ‘Fiducia in lui riconfermata, ci sono responsabilità politiche’”, “Cantone: ‘Fu assolto, non può pagare per tutti’. Grillo attacca, Orfini insiste: ‘Il cambiamento non si fermi davanti ai soliti noti’”. E sulla stessa pagina il “retroscena” di Carlo Bonini: “Ma l’ipotesi commissione d’inchiesta (sul G8 di Genova, ndr.) dopo Sel e M5S trova una sponda nel Pd”.

Il Fatto: “Renzi rinuncia alla spallata. De Gennaro salva la poltrona”, “il premier gli dà fiducia. Ma ha sperato (assieme a Moretti) che lasciasse”. Ci si riferisce a Mauro Moretti, ad di Finmeccanica, i cui rapporti con De Gennaro vengono descritti dal quotidiano come non buoni (tanto che, insediandosi a Finmeccanica Moretti ha tolto a de Gennaro la delega per le relazioni esterne e istituzionali e le tensioni fra i due riguardano anche i lo stipendio di Moretti, che è doppio rispetto al suo predecessore Alessandro Pansa).

Il Corriere, con Giovanni Bianconi, si sofferma sul fatto che Renzi si aggiunge agli altri cinque premier che hanno confermato la loro fiducia nel “superpoliziotto” e scrive che in questa vicenda si è assistito al “rovesciamento dei fronti politico-editoriali a suo sostegno”, con il sostegno del Foglio per esempio. Gli accusatori che negli anni novanta lo criticavno per le trame “in combutta con Gian Carlo Caselli e Luciano Violante”, quando “lo sbirro veniva spesso accomunato al giudice e al politico”, hanno iniziato a difenderlo dopo il G8 di Genova, che “cambiò le carte in tavola”. Su Genova: “L’ex capo della polizia più volte si è assolto, dando atto per gli errori di altri”

Cantone

In una intervista a La Stampa il presidente dell’Autorità Anticoruzione Raffaele Cantone dice: “Le fondazioni hanno sostituito le correnti”, “serve trasparenza” e i partiti “sono in disfacimento”, “ormai il politico viene corrotto a prescindere dall’atto che deve compiere, come in Mafia Capitale”, “anche la mafia classica sta utilizzando la corruzione come strumento principale della sua attività”.

Tasse

Sul Corriere, un articolo si sofferma sulla notizia che le addizionali Irpef in alcune regioni porteranno 5 milioni di italiani a pagare più tasse. Si cita uno studio Uil. Fino ad oggi “sono 6 le Regioni che hanno rimodulato l’addizionale. Piemonte, Liguria, Lazio e Abruzzo l’hanno aumentata per alcuni scaglioni di reddito; l’Emilia Romagna ha rivisto il prelievo con piccoli risparmi per i rediti fino a 40 mila euro e incrementi per quelli superiori; la Lombardia ha leggermente penalizzato i redditi sopra 75 mila euro ritoccando l’aliquota dall’1,73% all’1,74%”. Quest’anno “a pagare di più saranno i contribuenti del Lazio (687 euro in media), del Piemonte e della Campania. Anche alcuni Comuni hanno aumentato la loro quota di addizionale Irpef. Tra questi Bologna, Forlì e Livorno.

Il Sole 24 Ore spiega invece che non ci saranno tagli per le risorse ai comuni: “Salvagente per Firenze, Roma e Napoli. Rispunta la tassa di un euro sui biglietti di aerei e navi”. “Fassino: superate le incomprensioni, il premier ha escluso nuovi tagli ai Comuni”.

Grecia

Sul Corriere: “Il rimborso greco, ora casse vuote”. “Atene restituisce 450 milioni al Fondo monetario. Tsipras ancora a Mosca”. Il quotidiano ricorda che la prossima tappa è il 24 aprile, quando la “Finanziaria” greca dovrà essere “condivisa” dall’Eurogruppo. “Al momento le discrepanze restano tante”. Il dibattito è ancora aperto tra chi – la troika – chiede tasse e privatizzazioni, e chi vorrebbe “allentare la stretta fiscale per rilanciare l’economia” privatizzando solo ciò che conviene.

Secondo Carlo Bastasin, sul Sole 24 Ore (“Chi bluffa tra Atene e l’Europa”) occorre che Bruxelles ed Atene si siedano attorno a un tavolo, perché oggi stanno bluffando sia la Grecia che l’Ue. Il ministro Varoufakis, perché il governo greco, “controllando più o meno metà del Pil greco” è in grado di reperire risorse dalle regioni o da altri fondi dirottati da altri utilizzi, e perché le stesse banche stanno rifinanziando il debito greco; e Bruxelles, quando finge di non sapere che il 77 per cento del debito greco è in mano a banche europee, e dunque “nessuno può sopportare un fallimento di Atene”. Bastasin scrive che “la retorica nazionalista di Atene è insopportabile”, ma “i partner europei devono essere credibili nell’incentivare la trasformazione dell’economia greca”, unico modo per sperare in una ripresa greca. Che per ora appare difficile anche con l’aiuto di altri: la Cina, Abu Dabhi o “persino l’Iran”, scrive Bastasin, sono stati “contattati invano” da Tsipras. Anche loro chiedono “condizioni precise” per investire. “La lista delle riforme presentate da Atene è imbarazzante”, ma deve essere “rivista” discutendone, “avendo come obiettivo la crescita dell’economia attraverso il buon utilizzo delle risorse europee”.

Internazionale

Su La Stampa, pagina 17: “La sfida di Khameney: ‘L’America viola l’intesa. Subito via le sanzioni’”, “La Guida Suprema dell’Iran interviene sull’accordo nucleare”, di Maurizio Molinari.
La Repubblica: “Nucleare, Khameney: ‘Accordo finale non scontato’”, “La Guida suprema frena sull’intesa. Il presidente Rouhani: ‘Non firmiamo se non vengono tolte subito le sanzioni’”. Ne scrive Vanna Vannuccini.

Sul Corriere: “Khamenei frena sul patto nucleare (contro Rouhani)”. Scrive Paolo Valentino che l’Ayatollah ha detto che le sanzioni “dovranno essere tolte lo stesso giorno dell’accordo, non sei mesi dopo”, posizione che “appare in contrasto” con quella espressa dal Presidente Rouhani, che ha detto: “‘Non firmeremo nulla a meno che le sanzioni non vengano abrogate fin dal primo giorno di applicazione dell’accordo'”. Scrive Valentino che “applicare concretamente le complesse norme di un’intesa, come la riduzione del numero di centrifughe o il trasferimento all’estero delle scorte di uranio, potrebbe infatti prendere alcuni mesi”. E che dunque “la dissonanza” tra “le due massime figure del regime persiano” tradisce le “sue tensioni”.

Secondo Alberto Negri, sul Sole 24 Ore i discorsi di Rouhani e Khamenei sono più in sintonia di quel che sembra. I due “devono tenere a bada l’ala interna più radicale”. Negri cita i Pasdaran ma anche i basiji, organizzazione paramilitare iraniana che “l’altroieri ha manifestato davanti al Majilis, il Parlameto, protestando contro le concessioni a Losanna del ministro degli esteri Zarif”.

Su La Repubblica, alle pagine R2, Federico Rampini descrive “il metodo Metternich secondo Obama: “il presidente statunitense ha abbandonato l’illusione di esportare democrazia e diritti umani. Cerca di garantire la stabilità attraverso l’equilibrio tra potenze. Proprio come il principe austriaco, artefice della restaurazione europea. E come il suo studioso più celebre: Henry Kissinger”.

E poi

Sul Corriere, Stefano Montefiori racconta dell’ambasciatore nominato da Parigi per il Vaticano: “Cattolico e omosessuale. L’ambasciatore francese che non ha il sì del Vaticano”. “I media di Parigi: la Santa Sede rifiuta di dare il suo gradimento”. Si chiama Laurent Stéfanini, è stato nominato il 5 gennaio scorso. Il posto di ambasciatore francese è vuoto dal primo marzo. La segreteria di Stato Vaticana non si è pronunciata ufficialmente, e ancora ieri la Sala Stampa vaticana rispondeva con un no comment. “Ma il silenzio in questi casi è altrettanto eloquente”. Contro Stéfanini avrebbero giocato un ruolo ambienti ecclesiastici francesi. Nella loro ottica la nomina sarebbe una “provocazione” di Hollande.
Ancora sul Corriere una riflessione di Alberto Melloni: “I martiri cristiani ci riportano alla serietà della fede”. Melloni parla del saggio del teologo Von Balthasar “Cordula, ovvero il caso serio”, scritto dal teologo nominato poi cardinale da Giovanni Paolo II. Il pamphlet, scritto nel 1966, fu scritto dal teologo “preoccupato da una deriva semplicista e mondanizzata” della Chiesa. Cordula è una martire “ignorata dal culto delle undicimila martiri”, leggenda che riguarda la cattura e l’uccisione di undicimila vergini da parte degli Unni. Cordula appare in sogno a una monaca perché la sua festa liturgica sia celebrata ogni anno il giorno dopo la memoria delle vergini massacrate.

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