La Repubblica: “Lupi, l’addio in tv. ‘Ma il premier non mi ha difeso’. Il ministro si dimette: ora lasciate stare mio figlio. La svolta dopo il vertice a Palazzo Chigi con Alfano. Renzi: ‘Il mio silenzio per non condannarti’.
“Il naufragio dei centristi” è il titolo dell’articolo di Stefano Folli.
Di spalla, con una grande foto, le notizie da Tunisi: “4 i nostri connazionali morti, i killer venuti dalla Libia”. “L’Is: ‘Schiacciati i crociati italiani’.
A centro pagina: “La Ue mette la Grecia all’angolo. ‘Casse vuote, torni la troika’”.
Il Corriere della Sera: “Le dimissioni del ministro Lupi: ‘Voglio tutelare la mia famiglia’”. Un altro articolo racconta “lo sfogo” di Lupi: “Io, intercettato per due anni”.
A centro pagina: “L’Isis minaccia: ‘È solo l’inizio'”. “Su Twitter la foto di una vittima italiana con la scritta ‘schiacciato un crociato’. La Marina schiera più navi”. “Nove arresti per la strage in Tunisia. Mattarella: nemici della civiltà, intervenire subito”.
“La croce simbolo di libertà. Noi, assediati e troppo timidi” è il titolo dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia.
A fondo pagina: “I dubbi della Bce e l’orgoglio di Padoan. Accuse all’Italia di essere lenta su riforme e debito. E il Tesoro replica: giudizi parziali”.
La Stampa dedica l’apertura a Tunisi e il titolo di spalla a Lupi: “Lupi: me ne vado ma lasciate in pace la mia famiglia. La decisione dopo l’incontro con Renzi: Maurizio, una scelta saggia”. “Per la successione spuntano i nomi di Delrio e Lotti”. “Dalle carte nuove telefonate che inguaiano il ministro”.
Su Tunisi: “Quattro i morti italiani. L’Isis: è soltanto l’inizio”. “Il premier alla Ue: non siate strabici, non c’è solo l’Ucraina”.
Da segnalare in prima anche un intervento di Abraham Yehoshua: “La nostra speranza infranta”.
Il Fatto quotidiano: “Derubano agli alluvionati per le maxi opere inutili”. “Nelle intercettazioni, un dialogo come quello della cricca sul terremoto de L’Aquila. Incalza spiega a Lupi: ‘Danno i milioni del Terzo Valico ai disastrati di Genova’. Il ministro: ‘Tranquillo, ho già risolto tutto’. Poi si preoccupano del ‘pericolo Cantone'”.
A centro pagina: “Lupi va da Vespa e si dimette, scaricato da Renzi e da Alfano”. “Lasciato da tutti, ironizza: ‘così ho rafforzato il governo'”.
“Lupi perde il pelo ma non il vizio” è il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio.
Il Giornale: “Lupi si dimette. Eseguita la sentenza di Renzi”. “Il premier caccia il ministro non indagato e si mangia l’Ncd di Alfano. Schiaffo al Parlamento, l’annuncio in tv da Vespa. Dopo l’Expo il posto sarà dato a Gratteri, un magistrato al governo”.
In alto: ‘”Schiacciato il crociato italiano’. Nel mirino dei tagliagole ci siamo noi”. “Sono 4 i connazionali uccisi a Tunisi. Su Twitter attacco al nostro Paese. ‘È solo la prima goccia’. Poliziotto contro il governo. ‘Nessun corso anti-terrorismo’”.
A centro pagina: “E Draghi boccia il jobs Act”. “Critiche nel bollettino Bce”.
Il Sole 24 Ore: “Effetto Fed sui cambi: riparte il super-dollaro”. “L’euro scende a 1,06. In recupero Btp e piazza Affari”. “I mercati anticipano la stretta Usa: cade Wall Street, sale l’Europa, volatilità sulle valute”.
Di spalla: “Lupi incontra Renzi e poi cede. ‘Parlo alla Camera e mi dimetto’. Il premier: scelta saggia per Ncd e governo. Successione: in pole Lotti, Cantone e Serracchiani”.
E poi: “Infrastrutture, si riparte dalla riforma degli appalti. Fra i dossier caldi anche Brescia-Padova e trasporto locale”.
Un altro articolo: “Ministero da riorganizzare”.
A centro pagina: “Tunisi, l’Is rivendica la strage”. “Mattarella: un pericolo da affrontare subito”.
In alto il quotidiano anticipa le pagine dedicate ad una inchiesta sulla condizione dell’editoria: “Editoria, tutti i conti del grande malato”.
Lupi
Ieri, nella trasmissione Porta a porta, il ministro Lupi ha annunciato che oggi, dopo l’informativa alla Camera, darà le dimissioni. Lupi è coinvolto (ma non indagato) nell’inchiesta delle tangenti per le grandi opere, dove il suo nome compare più volte. Ieri il ministro ha parlato sia con il ministro Alfano che con il presidente del Consiglio Renzi. Ha anticipato telefonicamente a Mattarella (“come era doveroso”) la sua decisione e poi lo ha confermato durante la registrazione della puntata della trasmissione tv andata in onda ieri sera.
Secondo un “retroscena” firmato da Carlo Bertini su La Stampa Lupi ha deciso di annunciare le dimissioni dopo il vertice con Alfano e Renzi, quando il premier ha messo “sul tavolo con Alfano e Lupi l’arma finale, quella di una possibile sfiducia in Parlamento, perché ‘non posso garantire il no dei gruppi Pd alla mozione delle opposizioni'”. Quanto al futuro, pare che Renzi non voglia sentire la parola “rimpasto”, ma “è innegabile che con l’uscita di Lupi si debba mettere mano alla compagine di governo con scelte che possono incidere sugli equilibri di un esecutivo fragile nei numeri al Senato e con l’Ncd scosso da tensioni e veleni”. Da una parte Renzi potrebbe affidare il ministero “ad una personalità di sua piena fiducia, come Luca Lotti o Graziano Delrio. Ma il rimescolamento delle carte, magari dopo un periodo di interim al premier, consentirebbe di rimettere a posto alcune caselle, anche la Scuola e gli Affari Regionali lasciato libero dalla Lanzetta”. “Il tono-nomi per le Infrastrutture vede in testa anche una personalità del calibro di Gianpiero Cantone, commissario anti-corruzione, colui che Renzi ha chiamato a regolare la matassa dell’Expo. Una soluzione che però comporta varie controindicazioni: oltre a privarsi della guida di Cantone all’Autorità, Renzi trasmetterebbe il segnale che per le opere pubbliche è meglio scegliere un ex magistrato, una sorta di abdicazione del primato della politica sui tecnici che poco si confà ai dettami renziani”.
Per La Repubblica: “Ora l’interim al premier, poi Delrio o Cantone. Quagliariello alle Regioni”. “L’Ncd perderà il ministero delle Infrastrutture, a Palazzo Chigi la Struttura che Lupi non volle cedere”.
Per Il Giornale: “Renzi vuole l’interim fino all’avvio dell’Expo. Poi Gratteri ministro”.
Su Giornale e Sole si dà conto della intercettazione della telefonata tra Incalza e Lupi del 17 febbraio scorso, in cui il ministro chiede al manager un consiglio sul rimanere o meno dentro la coalizione di governo. Incalza dice: “Io penso che fin quando non c’è certezza converrebbe non salire su questo Governo … va bè”. Lupi chiede più avanti: “Ma tu suggerisci di rimanere? … cioè … io sono dubbioso veramente … o mi rifaccio il partito … oppure di rimanere dentro con questo pazzo … oppure no? … e rimanere a fare che cosa?”.
Ancora su La Repubblica: “La notte in bianco e il gelo con Matteo. ‘Garantista per i tuoi’. ‘Non ti ho criticato'”. Il premier, scrive il quotidiano, ha promesso a Lupi “l’onore delle armi”, e “infatti arrivano i lanci di agenzia con le parole di Serracchiani e Guerini che lodano la sensibilità istituzionale del ministro”. E il Ncd “conserverà 4 ministeri”, dice Renzi.
Da segnalare sul Corriere una intervista al parlamentare Pd Miguel Gotor: “Gli indagati Pd? Decidiamo di volta a volta”. Il quotidiano chiede dei “4 sottosegretari indagati del Pd”, ovvero “Barracciu, Del Basso, De Caro e De Filippo” (Del Basso De Caro è una sola persona, ndr) e Gotor risponde che “la valutazione” deve essere “politica”. Gotor dice anche che sulla candidatura di De Luca alle regionali in Campania “c’è stata una omissione di vigilanza da parte della segreteria nazionale” del Pd, di cui De Luca “ha saputo approfittare”.
Su La Repubblica una intervista a Fabrizio Cicchitto, del Ncd: “È stato un linciaggio mediatico e il premier se n’è lavato le mani”. Secondo lui Lupi non doveva dimettersi. “Penso che Renzi si sia semplicemente sfilato. Lui non è né garantista né giustizialista, tiene soltanto all’impatto mediatico. E Lupi era essenzialmente un problema mediatico”
Su La Repubblica Stefano Folli (“Il naufragio dei centristi”) ricorda che oggi “la forza parlamentare” del Ncd è “ancora essenziale” per Renzi, ma la forza politica del partito centrista è “ridotta ai minimi termini”. Insomma: Renzi è uscito “rafforzato da giorni difficili”, ma al “prezzo non banale” di vedere indebolito l’alleato, “il che non mette al riparo il governo da future sorprese in Parlamento”.
Tunisi
Su La Stampa la descrizione dei due terroristi uccisi dopo l’attentato a Tunisi. “Due giovani nati e cresciuti in una delle regioni più povere e turbolente della Tunisia, le montagne attorno al passo di Kasserine”. “Il personaggio chiave è Jaber, o Saber, Khachnaoui, che però il primo ministro tunisino Habid Essid ha identificato in un primo momento come Hatem Khachnaoui. Trentacinque anni, era probabilmente il leader del commando. L’altro, Yassine Laabidi, 21 anni, era residente in un sobborgo di Tunisi, Ibn Khaldoun. Il quartiere è stato circondato ieri pomeriggio dalle forze di sicurezza ed è stata arrestata la sorella di Laabidi”. I due “erano stati nello Stato islamico, in Siria e in Iraq, a combattere. Ma prima, lo scorso settembre, si erano fermati in due campi di addestramento dello Stato islamico in Libia, come ha confermato il ministero dell’Interno tunisino. Sono rientrati in Tunisia il 28 dicembr”.
“Hanno scelto il mercoledì, perché nella tradizione islamica è il giorno scelto da Allah per punire i nemici. Hanno preso il metrò e sono scesi alla fermata vicino al Bardo. O forse perché è il giorno che attraccano le navi da crociera”. Il governo tunisino ha detto ieri che sono stati arrestati “altri nove componenti del commando, un decimo è ricercato. Il numero totale sarebbe quindi di dodici persone, mercoledì si era parlato di cinque”. Sull’attentato la sensazione è quella di un “commando senza una grossa preparazione militare. Potevano essere fermati? Per Amine Slama, informatica esperta di cyberterrorismo, che ha ricostruito i loro movimenti sul Web, sì: ‘Seguivo le loro tracce da due mesi, avrebbero potuto farlo anche i servizi’. In effetti, ha ammesso il primo ministro tunisino Habib Essid, Laabidi ‘era conosciuto e seguito’ dai servizi, ma non considerato pericoloso”. “Tunisie-Secret sostiene anche che Khachnaoui apparteneva ai Fratelli musulmani del partito Ennahda. Il sito ha postato una foto (sopra) trovata sulla pagina Facebook del terrorista che lo mostra assieme all’imam Abdelfattah Mourou, già vicepresidente del Parlamento. Una foto che imbarazza il partito islamico che gioca ancora un ruolo, anche se minoritario, nell’attuale governo”.
Sul Giornale Gian Micalessin scrive che “Jabeur prima di trasformarsi nello spietato killer di quattro italiani, di altri 18 turisti e di tre suoi compatrioti era un militante di Ennahda, il partito islamista andato al potere dopo la ‘rivoluzione dei gelsomini’. Un partito definito assolutamente ‘moderato’ da tutta la stampa italiana ed europea.
La foto sarebbe “ancora più inquietante dopo la diffusione su Twitter del messaggio audio con cui lo Stato Islamico rivendica l’attacco. Nella rivendicazione Jabeur Khachnaoui e Yassin Laabidi, citati con i nomi di battaglia di Abu Zakarya al-Tunisi e Abu Anas al-Tunisi vengono definiti ‘eroi’ e ‘cavalieri dello stato Islamico’”.
La Repubblica intervista il leader di Ennahda, Gannouchi: dice che sono “forze interne quelle che hanno eseguito e forze esterne quelle che hanno pianificato” l’attentato. Dice che non è vero che Ennahada ha lasciato prolificare le tendenze estreme in Tunisia, che è stato il suo governo a vietare un raduno a Kairouan di Ansar al Sharia nel 2012. “È vero che Ennahada in un primo periodo aveva contatti con gli imam radicali, ma quando questi hanno cominciato a predicare l’uso delle armi gli abbiamo dichiarato guerra”. “La primavera araba è nata da noi, non distruggeremo 3000 anni di storia”.
Da segnalare su La Repubblica anche una intervista all’esperto di Islam Olivier Roy: “La Tunisia ha dimostrato che può esistere un Islam moderato e democratico. E’ questo simbolo che i terroristi volevano colpire”. Anche Roy dice che “la rottura tra Ennahada e i movimenti salafiti” si è “consumata del tutto” dopo gli omicidi del 2013 di Chokri Belaid e Mohamed Brahimi.
Pierluigi Battista sul Corriere chiede “che colpa ci vogliamo dare? Come ce la siamo andata a cercare, stavolta?” a proposito dell’attentato d Tunisi. Fino ad oggi “tutti a dire che è stata una disgrazia, che è colpa nostra se l’Isis è finito in Libia, mentre Gheddafi, che sarà pure stato un despota pagliaccio, ma era pur sempre il ‘nostro’ despota pagliaccio, che è colpa nostra l’Iraq, che è colpa nostra la Siria e duecentomila morti ammazzati da Assad, che è colpa nostra se qualche giovane musulmano in Francia fa una carneficina nella redazione di Charlie Hebdo , che è colpa nostra se musulmani di seconda generazione in Gran Bretagna si fanno esplodere dentro la metropolitana provocando una strage mostruosa, che è colpa nostra se ammazzano gli ebrei in una pizzeria di Gerusalemme e di Tel Aviv, che è colpa nostra se irrompono in un dibattito in Danimarca e danno l’assalto alla Sinagoga di Copenaghen, adesso che colpa nostra esattamente sarebbe se hanno compiuto un eccidio in un museo di Tunisi? Che colpa avevano i turisti che lo stavano visitando? E che colpa aveva l’escursionista francese che venne decapitato in Algeria?”. Invece “i terroristi islamisti adesso hanno voluto colpire la Primavera araba riuscita. Volevano assaltare a mano armata il simbolo della democrazia: il Parlamento di Tunisi”.
Il Sole 24 Ore intervista l’imprenditore Tarak Ben Ammar: “I 20 miliardi promessi dal G20 sono oggi necessari per la Tunisia”. Ben Ammar risponde anche a una domanda sulla eliminazione di Gheddafi e sull’errore fatto dalla Francia nella scelta della guerra alla Libia, e dice che “il 20 per cento della nostra popolazione è oggi composto da rifugiati libici”
Sul Corriere: “Il commando islamista si è addestrato in Libia. Poi ha atteso l’ordine”.
Israele
Su La Stampa Maurizio Molinari: “Il premier: ora non posso dire sì alla soluzione dei due Stati”. “Il leader israeliano: devono prima cambiare molte cose”. In una intervista alla Nbc – che viene considerata un “passo ripatatore” dei rapporti con Washington – il premier ha detto di essere favorevole, ma che prima devono mutare molte condizioni. A partire dalla rinuncia di Abu Mazen ad un patto con Hamas, e dal riconoscimento di Israele come “stato ebraico”.
Il Sole 24 Ore scrive di un “dietrofront di Netanyahu”. “Toni concilianti nelle interviste alle tv americane. Telefonata di Obama al primo ministro”. “Dopo la vittoria il premier israeliano apre sullo Stato palestinese”.