La Repubblica: “Il Ppe scarica Berlusconi”, “’Meglio Monti’. Nuovo show dell’ex premier. Bersani, patrimoniale sopra 1,5 milioni”.
A centro pagina: “Alla Fiat di Melfi scattano 2 anni di cassa integrazione”.
In taglio basso, le parole del procuratore di Milano Bruti Liberati: “Il procuratore ai Pm: ‘Limitate il carcere’”.
Corriere della Sera: “Così partirà il redditometro”, “Spese e scontrini, i controlli saranno 35 mila. Colpiti i finti poveri”.
A centro pagina: “Polemiche e smentite sul sostegno Ppe a Monti”.
La Stampa: “Parte la corsa al Quirinale. Il no di Draghi a Berlusconi”, “Il Ppe: il nostro candidato è Monti. Frenata dopo l’ira del Pdl”.
Sotto la testata: “Fiat, 2 anni di cassa a Melfi per aprire le nuove linee. ‘Investimenti confermati’” (parole dell’amministratore delegato Marchionne, ndr.).
L’Unità: “Marchionne scarica Monti”, “Cassa integrazione per due anni a Melfi dopo che il premier ha celebrato il rilancio”.
A centro pagina, con foto dal tribunale di Milano: “Berlusconi vuole Boccassini in galera”.
In taglio basso: “Bersani: nelle urne non fate regali al Cav”, “Il leder Pd a Ingroia: in alcune Regioni chi non sostiene il Pd favorisce Berlusconi” .
Il Fatto: “Marchionne mette Monti in cassa integrazione”.
In taglio basso: “Pd, troppi impresentabili: Bersani che fai, li cacci?”.
Il Giornale parla di “effetto Monti” e titola: “169 partiti”, “Ci risiamo col caos che porta ricatti. E l’Europa riprova a fermare Berlusconi”, “Ma guarda, Ingroia candida il paparazzo che spiava il Cav”.
Libero: “Monti Pinocchio”, “Per raccattare voti, il premier uscente prova a disconoscere i provvedimenti che hanno impoverito l’Italia. Ma il trucco non funziona: ecco le prove che Imu, redditometro e grande fratello bancario sono tutti farina del suo sacco”.
In taglio basso, sul candidato con la Lista Monti Alessio De Giorgi: “Gli escort del candidato gay del Prof”, “gestisce alcuni siti porno e per incontri omosessuali: in uno di essi i ragazzi si offrono a pagamento”.
Il Sole 24 Ore: “Mini-rimborsi Irap, corsa in salita”, “Redditometro: così la ripartizione delle spese per i nuclei familiari con più redditi”.
In taglio basso: “Melfi, 2 anni di Cig per i nuovi modelli”, “Marchionne: non chiuderemo impianti, investiamo per rinnovare le linee”.
Redditometro e tasse
Massimo Giannini su La Repubblica, in una analisi, presenta “le dieci bugie d’autore” di Berlusconi: la prima è “mai alzato le tasse”. Scrive Giannini che secondo i dati Istat e Bankitalia già durante il primo governo Berlusconi (1994-1996) la pressione fiscale aumentò dal 40,6 al 41,4 del Pil. Con l’ultimo governo presieduto dal Cavaliere, si è passati dal 42,7 al 44,8. La seconda “bugia” che Giannini intende smentire è relativa all’affermazione dell’ex premier: “il nostro redditometro era totalmente diverso” da quello di Monti. Giannini cita le parole dei tecnici dell’Agenzia delle Entrate: “E’ vero, il redditometro è cambiato dall’anno scorso, ma in senso più favorevole al cittadino. Già con l’accertamento unilaterale, il contribuente può dimostrare che l’Amministrazione finanziaria ha commesso un errore. Con il nuovo redditometro, questa possibilità viene anticipata, e il contribuente ne può usufruire prima del contraddittorio”.
Al tema del redditometro è dedicata la prima pagina del Corriere: su questo strumento “che non piace più a nessun leader” oggi l’Agenzia delle Entrate interverrà per fare chiarezza su come verrà utilizzato. Monti incontrerà il direttore dell’Agenzia Attilio Befera. E secondo il quotidiano “pare certo che non darà vita a una campagna a tappeto, riguardando appena 70mila contribuenti su 40 milioni. Scatterà solo se il reddito complessivo accertato supererà del 20% quello accertato. Non prenderà di mira beni-simbolo, mirerà invece a far emergere i falsi poveri”. Il redditometro è “orfano” secondo Massimo Fracaro e Nicola Saldutti, che ne scrivono sulla prima pagina dello stesso Corriere. O un “oggetto smarrito” che oggi non riconoscono né Monti né Berlusconi, secondo Guido Gentili, che se ne occupa con un editoriale sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore. Eppure, sottolinea Gentili, il direttore dell’Agenzia delle Entrate Befera l’ha presentato “con tanto di slides” il 20 novembre scorso e il ministero dell’economia del governo Monti ha varato il relativo decreto attuativo alla vigilia di Natale. Inoltre “il redditometro affinato nella strumentazione non è altro che il frutto del decreto legge 78 del 2010” voluto “dall’allora governo Berlusconi su proposta del ministro Giulio Tremonti (e direttore-macchinista delle Entrate era sempre Befera)”.
Partiti
La Stampa offre ai lettori i dati di un sondaggio eseguito il 14 gennaio su un campione di 5101 casi, i cui risultati vengono riassunti così: “La ‘salita’ in politica di Monti piace di più nel centrosinistra”. In questo settore degli intervistati è il 31 per cento a plaudere alla scelta di Monti, sebbene il 55 per cento non la condivida (senza opinione il 14 per cento). Nel centrodestra valuta negativamente la ‘salita’ in politica il 73 per cento, positivo il giudizio del 15 per cento degli intervistati (senza opinione il 12 per cento).
Il Corriere della Sera intervista Gabriele Albertini, in corsa per la presidenza della Regione Lombardia, che considera “contronatura” il rapporto Lega-Pdl: ricorda peraltro che ad usare questa espressione è stato lo stesso candidato del centrodestra e segretario della Lega, Roberto Maroni: “suggerirei a Berlusconi di cambiare il nome del partito in ‘Forza Lega’”. Secondo Albertini, peraltro, molti leghisti, almeno il 30 per cento, non si riconosce nelle scelte di Maroni. E “molti esponenti di base” di Comunione e Liberazione, circa il 60 per cento, secondo Albertini, esprimerà un voto disgiunto.
Su La Stampa: “Cl, alle urne liberi tutti. Il monolite non c’è più”. E si cita un documento risalente al 2 gennaio scorso, con cui il Movimento ha richiamato tutti alla libera scelta: “L’unità del Movimento”, vi si leggeva, “non è una omologazione politica, tantomeno si identifica con uno schieramento politico”. Il documento citava il fondatore don Giussani, che diceva: “Tra noi tutti, in quanto Cl e i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella Dc c’è una irrevocabile distanza critica”. In Lombardia, regione che potrebbe far pendere l’ago della bilancia anche a livello nazionale, Cl controllerebbe tra i 100 e 200 mila voti. Molti opterebbero per il voto “disgiunto”: Monti alle politiche, Maroni alle Regionali. Il primo perché viene ritenuto più affidabile e presentabile di Berlusconi, il secondo perché – anche se non ama Formigoni – ne smantellerebbe l’operato meno di quanto farebbe il candidato del centrosinistra Ambrosoli.
Su L’Unità riferisce le parole del segretario lombardo del Pd Maurizio Martina: “Non ci facciamo spaventare dalla mole di risorse dell’asse Pdl-Lega”. I sondaggi da lui mostrati ieri lasciano prevedere una sfida che si giocherà su qualche migliaio di voti: per quel che riguarda la Regione, la coalizione che sostiene Ambrosoli al momento è stimata al 39,8, mentre le liste che fanno capo a Roberto Maroni sarebbero al 39,6. La coalizione montiana capeggiata da Gabriele Albertini si attesterebbe attorno all’8, 5 per cento. Per quel che riguarda l’elezione del Senato, la Lombardia si conferma in bilico, con un leggero vantaggio alla coalizione di Berlusconi (34,7 per cento) nei confronti di quella guidata da Bersani (33,8), con Monti al momento al 15.1 per cento. Meno bene del previsto il Movimento 5 Stelle (9,8 per cento), meglio rispetto alle previsioni, invece, Rivoluzione Civile di Ingroia (4,2 per cento).
Restiamo a L’Unità per dar conto della bocciatura da parte del Viminale di 34 simboli di lista bocciati. 169 quelli ammessi (16 in più rispetto alle politiche del 2008). Tra i simboli presentati ci sono quelli “civetta” che copiavano il contrassegno del movimento 5 Stelle di Grillo, di Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, ma anche quello della Lega Nord-Maroni. Lo stesso Roberto Calderoli, ex ministro leghista, ha spiegato che il Carroccio ha già predisposto la correzione del simbolo, “il problema era legato alla dimensione della M di Tremonti, che poteva far confondere, secondo loro, Monti con Tremonti. Si vede che Monti gode di una tutela particolare”.
La Stampa scrive che “a Bersani sono piaciuti i toni usati da Monti contro Berlusconi pifferaio e vecchio illusionista”, ma il segretario del Pd non dimentica l’errore del Professore si sostenere Albertini in Lombardia”. Monti, però, ritiene che la candidatura dello stesso Albertini rappresenti “una spina nel fianco della Lega e del Pdl perché viene da quel mondo, quello dei moderati”. Una “spina nel fianco dei Democratici” è però sicuramente la lista di Rivoluzione civile di Ingroia, perché potrebbero far mancare al Pd il premio di maggioranza in Campania e Sicilia. Bersani ieri da Catanzaro ha lanciato una proposta sotto forma di “riflessione”, ipotizzando dei patti di desistenza: “Ciascuno deve prendersi le sue responsabilità. Qualcun altro può dire che da solo batte Berlusconi? No, solo noi possiamo farlo”. Ad Ingroia risponde: “Senza di noi il tuo voto è inutile”. Altro che voto inutile, osserva De Magistris, “Rivoluzione civile è l’unica novità che c’è nel panorama politica. E facendo la desistenza, la novità diventa qualcosa di ammuffito”. L’appello al voto utile serve a Bersani a depotenziare anche Monti e a rendere più facile la corsa in Lombardia di Ambrosoli.
Il Corriere della Sera ipotizza uno schema di accordo, che pure sembrerebbe semplice: Ingroia ritira le sue truppe al Senato nelle Regioni chiave (dove è difficile che peraltro vinca da solo) facilitando così Pd-SEl per la conquista del premio di maggioranza. In cambio ottiene due-tre seggi senatoriali sicuri. Questo modulo prevede però un accordo politico alla luce del sole, che Bersani non vuole concedere. “Però nella sede di Rivoluzione civile continuano a sperare”, scrive il Corriere, riferendo così il pensiero degli Arancioni: “Il Pd, che ha già fatto l’accordo con Monti, con i nostri voti potrebbe governare da solo”. Si tratterebbe di 14-20 seggi in più al Senato per i progressisti, che arriverebbero come premio di maggioranza nelle 3 regioni chiave di Sicilia, Campania e Lombardia o in due di esse.
Restiamo al Corriere della Sera, che si occupa dei rapporti tra il Pd di Bersani e il sindaco di Firenze Renzi. Le ultime rilevazioni attribuiscono ai centristi il 10,5 per cento e questo, nell’ottica Pd, li renderebbe ininfluenti: significherebbe consegnare le chiavi della maggioranza al Senato al centrodestra e, per Bersani, dover trattare direttamente con il Cavaliere. Se Monti “non è messo benissimo”, però, “non c’è più quell’urgente bisogno do coinvolgere” l’ex sfidante delle primarie Matteo Renzi. Ecco perché i bersaniani fiorentini, secondo quanto ricostruisce il Corriere, hanno iniziato una contrapposizione in consiglio comunale sulla questione relativa ai licenziamenti del Maggio fiorentino.
Ieri il capogruppo del Partito popolare europeo Josepha Daul ha ribadito che i partito si oppone ad ogni forma di “populismo” e, richiesto di un commento alle elezioni italiane, ha dichiarato: “il candidato del Ppe è il signor Monti. Ma, come sempre in Italia, la situazione è molto complicata, perché abbiamo anche l’Udc e il Partito di Berlusconi. Che sono tutti membri del Ppe”. Daul, scrive il Corriere, ha parzialmente ritrattato la dichiarazione, rivelando di aver anche ricevuto una telefonata dello stesso Monti contrariato perché non si sentirebbe il candidato di una sola parte. “L’anomalia italiana adesso sbarca a Strasburgo”, scrive sullo stesso quotidiano l’analista politico Massimo Franco, dando conto anche dei timori (esplicitati, peraltro, dallo stesso Daul in conferenza stampa, ndr.) che gli attacchi dall’estero aiutino e non danneggino il Cavaliere. Basta citare, del resto, il titolo de Il Giornale: “Il Professore chiede ancora aiuto all’Europa”, “Da Strasburgo arriva l’endorsement del capogruppo Ppe, fedele alla linea della Merkel: ‘Puntiamo su Monti’”.
Internazionale
Su La Stampa: “Armi, Obama aggira il Congresso”. Lo farà con 19 Ordini esecutivi e una legge: si prevedono sanzioni più severe nei confronti di chi mente durante i controlli in occasione dell’acquisto di un’arma; della raccolta di maggiori informazioni su chi compra pistole e fucili; di pene più dure per il traffico illegale; della possibilità per le scuole di accedere a fondi pubblici per la sicurezza; della richiesta all’industria dei videogames di limitare immagini violente; di migliori cure per i malati di menti. Obama ha deciso di ricorrere ai propri poteri, evitando di passare attraverso il Congresso di Washington. I Repubblicani ritengono che si tratti di una minaccia diretta all’integrità della Costituzione e, con il deputato del Texas Steve Stockman, minacciano di reagire con una procedura di impeachment per il Presidente: “Tentare di modificare il secondo emendamento della Costituzione, che tutela il diritto di portare armi, con atti del potere esecutivo, è un attacco illegale sui principi sui quali la Repubblica è stata fondata, e per tutelarlo siamo pronti ad attivare la procedura dell’impeachment. Quanto alla legge che Obama e il vicepresidente Biden proporranno, essa includerà la reintroduzione del bando alle armi di assalto decaduto nel 2004, il bando dei caricatori con ampia capienza e maggiori controlli su chi acquista armi. Qui si tratterà di trovare la maggioranza tanto alla Camera che al Senato, ma Obama si mostra deciso: “Non penso alla politica, ma a ciò che bisogna fare”, ha assicurato, forte di un sostegno che sembra crescere nella opinione pubblica. Secondo un sondaggio Washington Post-Abc, il 58 per cento degli americani è a favore del bando alle armi d’assalto, e il 52 per cento chiede più controlli.
E poi
Il Corriere si occupa della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha condannato la British Airways per discriminazione: sette anni fa una hostess della compagnia aerea chiese di poter portare il crocifisso sulla camicia e si ritrovò senza stipendio per un anno. A quei tempi le hostess di terra musulmane avevano il permesso di portare sul capo il velo e i sikh il turbante. Nella stessa giornata, la Corte si è espressa sul caso di due impiegati di uffici municipali britannici, che si rifiutavano di celebrare un matrimonio tra omosessuali o di svolgere corsi di terapia di coppia anche per i gay: i municipi – ha stabilito la corte – hanno il diritto e il dovere di assicurare “i diritti degli altri, come quelli delle coppie omosessuali”. Su La Stampa: “La Corte europea condanna gli obiettori di coscienza: devono celebrare le unioni gay”.