La Repubblica: “Alfano sfida Berlusconi: sì alla fiducia”, “Ma il Cavaliere ordina: votate contro Letta. Faccia a faccia nella notte, oggi la conta”.
A centro pagina: “L’America si ferma, viaggio tra i fantasmi di Washington”.
Il Corriere della Sera: “Alfano sfida Berlusconi, resa dei conti nel Pdl. Il segretario chiede il sì alla fiducia, no del Cavaliere: caccia ai voti per il Senato”. “Oggi Letta alle Camere mentre si consuma una drammatica rottura nel centrodestra. Napolitano vuole un ‘impegno non precario”. A centro pagina: “La Borsa scommette sulla tenuta del governo. Balzo superiore al 3 per cento”. In evidenza anche “America senza fondi federali. Chiusa la Statua della Libertà”.
La Stampa: “Strappo di Alfano, fiducia a Letta. Pdl alla resa dei conti, Berlusconi: traditori, noi voteremo contro”. A centro pagina: “Gli Usa chiudono per mancanza di fondi”.
Il Giornale: “Alfano tradisce. UN pezzo di Pdl passa con la sinistra in cambio di poltrone. Berlusconi resiste: voto la sfiducia. Voci su Marina in campo”. In prima la lettera scritta da Berlusconi al settimanale ‘Tempi’, così titolata: “Di Letta e Napolitano non ci si può fidare”.
Libero: “Volo di colombe per Letta ma Silvio va allo scontro. Al termine di una giornata drammatica, Berlusconi annuncia il no alla fiducia. Alfano e un gruppo di senatori si dissociano: ormai certa la scissione del Pdl”.
Il Fatto quotidiano: “Esplode l’inciucio. Alfano guida la scissione nel Pdl. B. contro Napolitano e Letta: ‘Siete i miei assassini’”.
L’Unità: “Alfano rompe. Scissione Pdl. Berlusconi: voterò la sfiducia a Letta. Ma il Pdl si spacca in due. L’ex delfino si ribella e guida la rivolta insieme ai ministri e a Cicchitto. In Senato più di 40 sono pronti a sostenere il governo. I falchi nell’angolo sperano nella figlia Marina: “Ora scenda in campo contro i traditori’”. A centro pagina: “Giovani, il 40 per cento è senza lavoro”. E il governo: “La sfida di Letta: prendere o lasciare”.
Il Foglio: “Alfano lancia il quid oltre l’ostacolo. Mezzo Pdl oggi sta con Letta”.
Il Sole 24 Ore: “I mercati premiano gli spiragli sul governo. Drammatica spaccatura del Pdl: Alfano per sì al governo, ma Berlusconi ribadisce il kno. Il premier Letta respinge le dimissioni dei ministri. Napolitano: governo non precario”. “Il possibile via libera dell’Esecutivo oggi in Parlamento fa volare Piazza Affari (+3,1 per cento) e raffredda le tensioni sullo spread (quota 261)”. Di spalla gli Usa: “Chiusi gli uffici federali. Timori per la ripresa Usa. Obama: no ai ricatti”.
Governo
Alessandro Sallusti firma l’editoriale de Il Giornale: “Se ne stanno andando. Alfano, Lupi e compagnia si rimangiano le ‘dimissioni irrevocabili’ e per mantenere la poltrona di ministro, a parte la De Girolamo, sono disposti a vendersi alla sinistra, tradire gli elettori e spaccare il Pdl. Starebbero per fondare l’ennesimo partito, ‘Nuova Italia’, o qualche cosa di simile, con una pattuglia di pidiellini più o meno bolliti, alla Giovanardi per intenderci, in libera uscita”. Scrive ancora Sallusti che “il film l’abbiamo già visto all’epoca di Gianfranco Fini, l’utile idiota usato dal Pd e da Napolitano per mandare a casa a Berlusconi. Come finì lo sappiamo”. Ma per Sallusti ora “la cosa è ancora più odiosa, perché Fini almeno sfidò un premier nel pieno del potere e della forza. Questi pugnalano alle spalle un uomo che sta per essere cacciato dal Parlamento e finire agli arresti”.
Sullo stesso quotidiano un ritratto firmato da Giancarlo Perna dedicato ad Alfano: “Il giovane-vecchio politico che ha nostalgia di De Mita. Alle soglie dei 43 anni Alfano ha preferito l’amico Letta a Berlusconi. Da giovane Dc adorava il re di Nusco, da guardasigilli voleva riformare la giustizia, è stato un flop”. Il quotidiano riproduce anche la lunga lettera che Silvio Berlusconi ha scritto al settimanale Tempi: “Enrico Letta e Giorgio Napolitano – scrive – avrebbero dovuto rendersi conto che, non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra nazionale, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare. Come può essere affidabile chi non riesce a garantire l’agibilità politica neanche al suo fondamentale partner di governo e lascia che si proceda all’assassinio politico per via giudiziaria?”.
Il Corriere della Sera ricostruisce l’evoluzione della giornata di ieri: “Strappi e minacce, e Alfano si ribellò a Berlusconi. Il Pdl va alla conta”. Sulla prima pagina del Corriere Antonio Polito si occupa dello “strappo” dei ministri diversamente berlusconiani: stanno facendo la cosa giusta – scrive – e non solo perché salvando il loro governo salverebbero l’unico governo che abbiamo. Il governo Letta non ha fatto miracoli, e “non migliorerebbe certo se per sopravvivere si consegnasse a una maggioranza raccogliticcia”. Ma “potrebbe rinascere su basi programmatiche e temporali nuove se fosse sorretto da una nuova maggioranza politica, temprata nel fuoco di una battaglia parlamentare aperta e senza rete”. Non è solo il governo, però, la posta in gioco del quintetto Alfano: “Ancor più importante forse è la riforma del sistema politico che la loro battaglia può favorire”, poiché senza Berlusconi si tratterà di definire “una nuova rappresentanza per il grande popolo dei moderati”, o meglio di coloro che non voteranno mai a sinistra. La politica democratica è “parricidio”. E gli uomini nuovi del Pdl “potrebbero affiancarsi ai giovanotti che stanno prendendo il potere nel Pd. “Non è un caso che persino Renzi, finora apparso ansioso solo di urne, abbia ieri dato via libera a Letta per quella che può diventare una vera e propria rivoluzione generazionale, a destra e a sinistra”.
Su Il Foglio si spiega cosa potrebbe esserci dietro “il patto tra sindaco e premier”. Durante un’ora e mezza di colloquio “tra l’ex vicesegretario del Pd (Letta)e il segretario in pectore del Pd (Renzi) la notizia che sarebbe arrivata è la seguente: Nonostante le perplessità legate al fatto di dare il ‘la’ a una ‘operazione neocentrista’ Renzi non ostacolerà la nascita di questo governo (se nascerà) e darà il suo appoggio a Letta per rottamare il berlusconismo, anche a costo di sostenere una operazione di trasformismo parlamentare. Perché, secondo Il Foglio, Renzi si sarebbe reso conto del rischio di essere percepito come un ostacolo alla stabilità del Paese, e di ritrovarsi quindi schierato in un colpo contro tutte le forze politiche ed extrapolitiche che oggi, a vario titolo, sono a sostegno del tentativo di Letta, ovvero Quirinale, Confindustria, Sindacati, banche e grandi cancellerie europee.
In cambio Renzi avrebbe ottenuto l’impegno per il voto nel 2015.
L’Unità scrive, parlando di Letta: “Ad Alfano che chiedeva la garanzia sui tempi per evitare che un’operazione di ‘responsabilità centrista’ venisse poi impallinata dalle tentazioni di voto anticipato che fanno capolino anche tra i democratici, Enrico Letta ha risposto con le esplicite rassicurazioni di Renzi, Cuperlo e degli altri leader Pd con cui ha tenuto i contatti in questi giorni. Sulla stessa pagina:“Renzi all ‘amico Enrico’: non sarò io a fare trabocchetti”. Il quotidiano sottolinea come il sindaco abbia deciso di scendere direttamente a Roma per incontrare Letta, in modo da mostrare, anche simbolicamente, che non sarà lui il problema per un Letta bis. Questa mossa oggettivamente ha aiutato, secondo L’Unità, anche il premier a far fare il passo decisivo ad Alfano. Perché Alfano lo avrebbe fatto solo con la certezza che non sarebbe stato verso il vuoto, ma in direzione di un ‘governo stabile’”. Sullo stesso quotidiano, una intervista ad Andrea Olivero, senatore di Scelta Civica, così sintetizzata: “un nuovo centro con pezzi di Pdl e anche di Pd”. “Non saremo una nuova Dc”, “l’esempio migliore è la nuova Cdu della Merkel, un partito popolare, un partito vero. La democrazia dei partiti virtuali e del leaderismo ha fatto il suo tempo”.
Su Il Giornale: “Pd in allarme. Letta e gli ex Pdl rifanno la Democrazia Cristiana”. “Il premier vuole durare fino al 2015. E’ già panico a sinistra e tra i renziani, ma il sindaco si piega al patto ‘a me il governo, a te il partito’ e giura lealtà”. In questo retroscena di Laura Cesaretti si scrive che l’indizio più chiaro sulla portata della posta in gioco oggi con il voto di fiducia lo dà la confidenza fatta dal ministro dimissionario Lupi al collega che gli chiedeva che futuro potesse avere la scissione pro-Letta: “Enrico ci ha detto molto chiaramente che se il suo suo governo dura, di qui al 2015 possiamo far nascere tutti insieme, con lui, Franceschini e gli altri, un nuovo soggetto politico, oltre il Pdl e anche oltre il Pd”.
Il Fatto quotidiano scrive che sulla fiducia al governo Letta ci sarebbero i 4 fuoriusciti del Movimento 5 Stelle orientati a sostenere le nuove larghe intese. Marino Mastrangeli, per esempio, dice: “Mi aspetto che Letta metta nella sua agenda di governo almeno una parte del programma dei 5 Stelle. A quel punto sarà un dovere votargli la fiducia”. Il quotidiano riferisce anche che i senatori del M5S presenteranno una mozione di sfiducia al governo, che verrà discussa secondo i tempi decisi dall’ufficio di presidenza del Senato.
Internazionale
Su La Repubblica Vittorio Zucconi racconta il viaggio a Washington, che lo stop al Congresso sul bilancio federale ha trasformato in una città fantasma. Dipendenti pubblici senza stipendio, monumenti transennati, musei chiusi. Il personale non indispensabile è a casa. Sul Corriere: “Scatta lo stop a uffici e servizi pubblici. E l’America precipita verso il default”. Ma ieri, ricorda il quotidiano, è stato il giorno dell’entrata in vigore della riforma sanitaria. L’Unità dà conto del durissimo attacco che dal giardino delle rose della Casa Bianca Obama ha sferrato a quella che ha definito “una fazione di un partito di un ramo del Congresso”, che ha deciso di “chiudere lo Stato perché non gli piace una legge”, ovvero l’Obamacare. Ha detto ancora Obama: “non permetterò a nessuno di trascinare nel fango il nome dell’America per calcoli elettorali o pregiudizi ideologici”. Perché per il Presidente lo shutdown è frutto di una “crociata ideologica”; “sembra strano che un partito non voglia che una parte della popolazione abbia una assicurazione sanitaria, ma è così”. Ai parlamentari repubblicani che, condizionando l’accordo sul bilancio a una retromarcia sulla riforma sanitaria hanno provocato lo shutdown, il Presidente ha lanciato un avvertimento chiaro, scrive L’Unità: “Non mi piego a richieste insensate. Fino a che terminerà il mandato non cederò alle richieste dei Repubblicani”. Il presidente ha sottolineato l’aspetto in qualche modo ironico della situazione, visto che in quelle stesse ore entrava in vigore la legge sanitaria: “Questa mattina – ha annunciato il Presidente – gli accessi al sito Healthcare.gov sono stati cinque volte più numerosi del solito”. Prima ancora che Obama si rivolgesse alla nazione, arrivavano infatti notizie di massicci ingolfamenti nei siti aperti in 50 stati dell’Unione per consentire agli utenti di paragonare le condizioni offerte dalle varie polizze e scegliere la più conveniente. Per il quotidiano è stata una sorta di spontanea smentita informatica alla tesi di una presunta impopolarità della riforma.
La Repubblica spiega come la riforma sanitaria sia diventata il bersaglio della offensiva Rep: prima hanno chiesto di abrogare in toto la legge, poi di rinviarla, poi di svuotarla di risorse. Questo è il ricatto cui allude Obama, che ha accusato così la destra: “Sta combattendo un’altra volta la campagna elettorale che ha già perso”. Un pezzo del Parttito Repubblicano, l’ala più oltranzista secondo Federico Rampini, ha deciso di legare la propria sorte a una battaglia di vita o di morte contro quella che è etichettata come “Obamacare”.
La Stampa racconta di come l’intesa sul bilancio con i Repubblicani non sia arrivata domenica notte poiché questi sono ostaggi di un manipolo di ultracon dei Tea party. Ieri, racconta il quotidiano, si era persino intravisto un principio di spaccatura nel Grand Old Party, sotto la spinta dei moderati. Ma alla fine ha prevalso la linea dura, quella del Tea Party, capitanati da un agguerrito senatore Ted Cruz, protagonista di maratone ostruzionistiche estenuanti, e agevolati dall’incapacità dello speaker della Camera di riportare ordine tra i suoi.
Sullo stesso quotidiano: “La Statua della libertà è un miraggio. New York rinuncia anche ai simboli”. “Fra turisti infuriati e dipendenti messi per strada. ‘Vergogna, ci affamano’”.
Su Il Foglio Mattia Ferraresi scrive che i leader democratici hanno investito una enorme quantità di tempo ed energie per incolpare i Repubblicani dello shutdown. Il portavoce della Casa Bianca Carney ha parlato di una “minaccia alle fondamenta dell’economia che stabilizza l’intero sistema mondiale”. Una “iperbole smentita in tempo reale dall’andamento dei mercati”, secondo Ferraresi, che dopo le turbolenze di lunedì sono apparsi ieri piuttosto stabili. La buona performance di Wall Street riflette la convinzione degli analisti che lo shutdown non sia l’apocalisse e che la soluzione sia a portata di mano. Insomma, i Democratici hanno tutto l’interesse a rappresentare lo shutdown come una catastrofe biblica, mentre i Repubblicani la vedono diversamente: la chiusura degli uffici federali non è una minaccia all’economia ed è solo la prima di una serie di battaglie autunnali, che comportano l’innalzamento del tetto del debito, da concordare a metà ottobre.
Anche La Stampa sottolinea che la battaglia si sposta sull’innalzamento del tetto del debito da assicurare con un accordo entro il 17 ottobre, per evitare il default. E “un default dello Stato vorrebbe dire una chiusura dell’economia”, ha avvertito Obama.
Sullo stesso quotidiano: “Sanità, la riforma tabù che brucia i presidenti”. Dove si racconta che si tratta di oltre un secolo di smacchi terminati con la vittoria di Obama che ha generato lo shutdown: all’inizio del 900 è Roosevelt ad ipotizzare per primo la copertura sanitaria per i familiari dei dipendenti, e viene accusato di “progressismo”, con l’associazione medica americana che si mette di trasverso. Dopo la seconda guerra mondiale Truman ottiene solo la deducibilità delle spese mediche aziendali per i dipendenti. Nel 1965 Lyndon Johnson incassa i primi successi con la creazione di Medicare e Medicaid. Negli anni 70 l’ennesimo fallimento porta il nome del vicepresidente Rockfgfeller, poi ci prova Ted Kennedy e infine Gerald Ford. Con Reagan il progetto si inabissa, mentre a risollevarlo e Clinton, che nel 1993 lo affida alla moglie Hillary, condannandola ad una cocente delusione. Bush crede nel manifesto dei malati da proteggere, ma i Repubblicani non lo seguono.
Su L’Unità: “L’ultradestra al governo in Norvegia”. La futura premier conservatrice Herna Solberg ha presentato le linee guida di un esecutivo di minoranza, e sotto attacco è il modello nordico.
Sulla stessa pagina ci si occupa di Germania: “La Linke sfida la maggioranza platonica delle sinistre”. I dirigenti della sinistra radicale hanno indirizzato una lettera a Spd e Verdi per approvare riforme che la Cdu della Cancelliera non accetterebbe mai, neanche in un governo di coalizione con i socialdemocratici, come la legge sul salario minimo garantito.
Sul Corriere della Sera: “ultimatum delle donne Spd: ‘Quote rosa e riforme, o niente grosse koalition’”. “Si alza la tensione alla vigilia dei negoziati dei socialdemocratici con la Cdu della Merkel, ma la parlamentare che guida l’associazione delle donne socialdemocratiche, Helke Sommer, chiede l’introduzione delle quote femminili nei cda delle aziende e l’abolizione dell’assegno per le famiglie che non mandano i figli all’asilo nido. Il quotidiano dà conto delle preoccupazioni per la perdita di consensi tra le elettrici da parte dei socialdemocratici.
Su La Stampa si racconta che Xi JinPing, presidente cinese, ha compiuto una svolta inattesa, riabilitando la religione nell’ambito di una campagna contro la corruzione: “Da ‘oppio dei popoli’ ad arma anticorrotti, Xi riabilita la religione” perché la fede, si sostiene, “aiuta la moralizzazione”.
E poi
Anche oggi La Repubblica dedica ampio spazio a Papa Francesco, dopo il colloqui ieri tra il fondatore del quotidiano e il Papa. A commentare oggi il dialogo tra questi due protagonisti è Hans Kung (“Scalfari, Bergoglio e l’arte del dialogo”). Alle pagine R2 della Cultura i lettori troveranno anche alcune anticipazioni dall’ultimo libro di Kung, le sue memorie, in cui si racconta il difficile rapporto con Ratzinger. Vi si trovano anche lettere tra questo teologo e Papa Francesco sulla riforma della Chiesa.
Ancora sulla riforma della Chiesa, su questo quotidiano, si interpellano il cardinale Kasper, che trova nelle parole del Pontefice una ventata di aria nuova e dice “Se si riduce a una corte il Vaticano è una lebbra, ora finalmente è chiaro”, e Don Ciotti, che dice: “E’ la fine di un equivoco, addio alle interferenze tra gerarchie e politica”.
Segnaliamo infine, dalle pagine del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore, l’intervista con cui il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, risponde alle dichiarazioni di Berlusconi contenute nel ‘fuori onda’ di una telefonata di Berlusconi con un deputato del Pdl sulle pressioni che il Quirinale avrebbe fatto sulla Corte. Il Sole 24 Ore, sintetizzando le parole di Santacroce: “’Eversore chi chiama eversivi i giudici’”, “Santacroce: le parole di Berlusconi sulla sentenza Mondadori frutto di una visione distorta della realtà”. Sul Corriere: “Santacroce: attacchi assurdi ai magistrati. Siamo al muoia Sansone con tutti i filistei”, “Il presidente della Cassazione: falso quanto detto da Berlusconi, nessun intervento del Colle”.