Il Corriere della Sera: “Letta ferma l’Imu e i soldi ai partiti. Dalla Camera fiducia al governo. ‘Aiuti a chi assume, reddito a chi è in difficoltà’. “A giugno niente rata per la prima casa, congelato l’aumento Iva. Oggi il premier dalla Merkel. I 5 Stelle: vernice sulla muffa”.
La Repubblica: “Letta: stop a Imu e aumenti Iva. Alfano: musica per le mie orecchie. Nel programma anche reddito minimo e tagli alla politica”. A centro pagina: “Convenzione, Berlusconi si autocandida”.
La Stampa: “Letta: a giugno non si paga l’Imu. ‘Reddito minimo, niente aumento dell’Iva, via i doppi stipendi dei ministri parlamentari’. ‘Il governissimo parte con 453 voti favorevoli, 153 contrari e 17 astensioni. Riforme: sì alla Convenzione ma a tempo: finisca in 18 mesi”. In alto: “Il nostro inviato Domenico Quirico scomparso in Siria da venti giorni. La Farnesina: il ministro Bonino segue il caso in prima persona”.
Il Sole 24 Ore: “Imu congelata, meno tasse sul lavoro. Nel piano Letta priorità all’economia. ‘Non c’è più tempo, senza crescita Italia perduta”.
Il Giornale: “Via l’Imu. Fatto. Casa, fisco, aiuti a imprese e lavoro: guida Letta, ma la rotta è quela di Berlusconi”. A centro pagina il commento di Nicola Porro: “E ora dove trovano i soldi”.
Il Fatto quotidiano: “Letta: stop alla rata Imu. Ma dove trova i 10 miliardi?”. A centro pagina: “B. padre ri-costituente: ‘Guido io la Bicamerale’. Vuole la guida della Convenzione per le riforme”.
Libero: “La favoLetta. Il premier si presenta con un discorso pieno di promesse per tutti: giovani, donne, precari, esodati, imprese, famiglie bisognose. Basta austerità, giù le tasse, più ammortizzatori sociali. Bello: peccato non abbia detto dove troverà i 30 miliardi necessari. E così resterà il libro dei sogni”.
L’Unità: “Letta: il lavoro è la priorità. Stop Imu a giugno, meno tasse sui giovani. ‘Riforme entro 18 mesi o lascio’”. Di spalla: “Il Cav vuole la Convenzione. Il Pd: l’ipotesi non esiste”.
Imu, tasse.
Il dicorso pronunciato ieri da Letta alla Camera e consegnato al Senato, per il voto di fiducia, viene riprodotto integralmente da Il Foglio (“Il discorsone”). Lo stesso quotidiano pubblica l’intervento che la deputata del Pdl Maria Stella Gelmini ha pronunciato alla Camera.
Scrive Il Sole 24 Ore che lo stop ai pagamenti di giugno per quel che riguarda l’Imu e il contestuale tentativo di evitare l’aumento di un punto di Iva a partire dal primo luglio vanno ad aggiungersi al lungo elenco di interventi da finanziare: la riduzione (prioritaria) delle tasse sul lavoro, ‘in particolare su quello stabile e per i giovani neo assunti’, ha osservato Letta, il rifinanziamento degli incentivi per le ristrutturazioni ecologiche, affitti e mutui agevolati per le giovani coppie. Nel carnet, i fondi per la cassa integrazione in deroga, per gli esodati, i precari della Pa, le missioni internazionali (finanziate fino a settembre), l’allentamento del Patto di stabilità interno, l’aumento delle dotazioni del Fondo centrale di garanzia per le Pmi e Fondo di solidarietà per i mutui. Se si sommano tutte queste voci occorrerebbe recuperare nell’arco di qualche giorno una somma che si avvicina ai 15 miliardi”. Per trovarli, dice il quotidiano, oltre alla “via maestra” del recupero dell’evasione fiscale e della lotta alla corruzione, si deve puntare su una riduzione dei tassi, per ridurre lo spread, e in Europa. Oggi Letta andrà a Berlino, poi a Bruxelles e Parisi. “Il margine è offerto dall’imminente uscita dell’Italia dalla procedura per disavanzo eccessivo: contrattare in condizioni di ritrovata stabilità del quadro di finanza pubblica un percorso meno stringente di rientro (potrebbe bastare un anno in più) aprirebbe margini aggiuntivi per la politica di bilancio, ferma restando la conferma del pareggio di bilancio in termini strutturali”, scrive Il Sole.
La terza mossa consisterebbe nel riuscire ad “intercettare la ripresa”, anche grazie allo sblocco della prima tranche dei crediti della pubblica amministrazione. Il quarto intervento potrebbe riguardare la spesa corrente, con un taglio più sostenibile e credibile.
Su La Repubblica: “Il piano crescita costerà 10 miliardi. La Ue teme un allentamento del rigore”. Dove si legge che la strada che sta valutando la maggioranza di governo è quella dello “sfondamento controllato”, e della richiesta di una proroga di due anni per il rientro sotto il tetto del 3 per cento, sulla scia di quanto fatto da Spagna e Francia. Sarà questo probabilmente il tentativo di negoziazione che Enrico Letta porterà a Bruxelles: per questa via si potrebbe trovare quello 0.5 per cento di Pil corrispondente a 7-8 miliardi dei circa 10 necessari, che consentirebbe di mettere in campo la moratoria sull’Imu, la Tares rifiuti, la sterilizzazione dell’Iva, le misure per il lavoro, a partire dal rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga.
Sullo stesso quotidiano Alessandro De Nicola, in un commento dal titolo “Il discorso di Letta sensato, ma chi paga?”, legge le misure preannunciate dal Presidente del consiglio nel suo intervento e ne coglie gli elementi di “vaghezza” .
Su Libero il direttore Maurizio Belpietro: “FavoLetta promette aiuti e meno tasse: dove trova i soldi?”. Oltre alla difficoltà del reperimento risorse, Belpietro sottolinea che “nel discorso del capo del governo di unità nazionale”, sarebbe stato opportuno “sentire parole precise sulla spesa pubblica e sul modo per ridurla”. Invece niente, su questo versante, così come sulla immensa risorsa del patrimonio pubblico, la cui vendita, da sola, “consentirebbe di finanziare un piano di riduzione delle tasse e di sostegno alle famiglie bisognose”.
Su La Stampa: “Tra i progetti sul tavolo spunta il reddito minimo”. L’articolo ricorda che in Europa esiste ovunque, a parte in Grecia e in Italia, e rappresenta una protezione importante contro la povertà. Ovunque il problema è lo stesso: evitare che il reddito minimo garantito diventi più conveniente che andare a lavorare, e spesso è infatti connesso ad un vincolo forte ad accettare un posto, se arriva una offerta di lavoro. Il quotidiano ricorda anche che su redditi minimi e di cittadinanza si è fatta, soprattutto negli ultimi tempi, una gran confusione. Se quest’ultimo, il reddito di cittadinanza, è universalistico e prescinde dalle condizioni economiche dell’individuo e persino dal fatto che lavori o meno (e sarebbe del tutto impraticabile, poiché se garantissimo a tutti gli italiani sopra i 18 anni un reddito di cittadinanza di 500 euro costerebbe allo Stato circa 500 miliardi di euro), il reddito minimo garantito – cui sembra aver fatto ieri riferimento Letta – pur essendo universale, nel senso che le regole sono uguali per tutti, viene concesso in base al reddito, al patrimonio, o alla composizione della famiglia. Molti economisti si sono espressi a favore di questa forma di sostegno al reddito, anche perché farebbe ordine nella attuale giungla di pensioni sociali, integrazioni al minimo eccetera. Tra i principali propugnatori di questa misura, gli economisti della Bocconi Boeri e Perotti, secondo cui dovrebbe essere progettato in modo tale da non scoraggiare il lavoro part time e occasionale, e dovrebbe essere cofinanziato dai comuni. Una stima del costo: 8-10 miliardi di euro all’anno. Il quotidiano ricorda anche che in Italia il reddito minimo di inserimento visse una stagione di sperimentazione nel 1998, in alcuni comuni, ma l’esperimento terminò nei primi anni 2000.
Lo stesso quotidiano intervista Guidalberto Guidi, ex vicepresidente di Confindustria. Dice che è necessario un reddito di sostegno per chi ha perso il lavoro, e che si può finanziare anche eliminando le tante pensioni di invalidità false o le casse integrazioni che durano da oltre 10 anni. Quanto alla necessità di effettuare tagli, Guidi punta il dito sulle “migliaia di società partecipate dagli enti locali che negli ultimi anni sono diventate un parcheggio per politici e sindacalisti trombati”.
Sul versante delle opposizioni, i quotidiani danno conto del dibattito ieri in Aula e degli interventi degli esponenti del Movimento 5 Stelle Andrea Colletti, deputato eletto in Abruzzo, si è lasciato andare a quella che il Corriere considera una “forte invettiva”: “Presidente Letta, lei è lo stesso che venerava un certo Giulio Andreotti, prescritto per concorso esterno in associazione mafiosa”, “visto il ministro dell’Interno questo sembra il governo della trattativa Stato mafia”, “presidente Letta, è inutile mettere facce nuove quando sulla parete c’è la muffa”. Polemiche ci sono state anche per il fatto che Christian Iannuzzi, deputato 5 Stelle, non si sia alzato ad applaudire i carabinieri feriti nell’attentato”. Il Corriere intervista la capogruppo 5 Stelle Roberta Lombardi. Dice che “il discorso di Letta è un libro dei sogni”, “scritto e recitato da facce che non sono credibili. Non non ci scongeliamo e non ci mescoliamo. Però, sui singoli temi siamo pronti a discutere”. Due o tre cose da fare subito? “L’eliminazione dei rimborsi elettorali, l’abolizione delle province, l’anticorruzione, il conflitto di interessi e il reddito di cittadinanza”.
Il Corriere della Sera racconta che Silvio Berlusconi ha voluto incontrare i parlamentari Pdl prima del dibattito sulla fiducia perché per alcuni fedelissimi e pasdaran la scelta delle larghe intese -in un partito che sentiva di avere la vittoria in tasca e che non si sente rappresentato al governo da una pattuglia di “moderati”- è dura da digerire: “e solo se l’operazione se la intesta direttamente il Cavaliere può essere seguita, sia pure a malincuore, da tutti”, scrive il quotidiano in un’analisi dal titolo “Il Cavaliere tiene a bada il partito e si candida a capo della Convenzione”. E la Convenzione cui si fa cenno è quella per le riforme, che dovrebbe nascere entro maggio. Il Corriere riferisce che Berlusconi ha spiegato ai suoi che l’appoggio al governo Letta è la scelta giusta e che è vincolato all’accoglimento dei punti cardinali del programma, primo tra tutti la soppressione dell’Imu e la restituzione dell’imposta: “Il pericolo di una intesa tra Pd e grillini esiste ancora”, ha detto Berlusconi, spiegando che adesso, con una “maggioranza larghissima” si potranno davvero “fare le riforme economiche e quelle istituzionali”. E dunque “chi si prendesse la responsabilità di far fallire questo governo sarebbe punito dal voto, perché se fallisce Letta c’è solo il voto”.
Anche su Il Giornale: “Il Cav punta sulla Convenzione: ‘Ma non vorrei essermi bruciato’”. Dove si racconta che lo stesso Cavaliere avrebbe ammesso di aver annunciato con troppo anticipo questa sua intenzione in tv: e questo, spiega il quotidiano, è il segnale che l’ex premier la considera davvero una possibilità. Poi si spiega: “In effetti la presidenza di un simile organismo potrebbe suggellare un governo che lo stesso Cavaliere definisce “di pacificazione” e in qualche modo rafforzarlo, visto che a quel punto l’ex premier finirebbe per mettere la sua faccia sulle larghe intese. E se, come tutti auspicano, si arriverà davvero a riscrivere la Costituzione, Berlusconi potrà intestarsi un simile successo. Nel frattempo, per i 18 mesi che la Convenzione andrà avanti, il leader Pdl potrà contare su una sorta di congelamento delle sue vicende giudiziarie, ormai l’unica e sola variabile di un esecutivo destinato a durare. Non tanto perché il Cavaliere potrà avanzare richieste di legittimo impedimento, quanto “perché da presidente della Convenzione avrebbe un ruolo di garante di fatto delle larghe intese che potrebbe, almeno politicamente, tutelarlo”.
Su L’Unità: “Cav alla Convenzione, il Pd stoppa l’ipotesi”. Il quotidiano scrive che per il Cavaliere “sarebbe un ruolo istituzionale, una forma di legittimazione, al livello più alto, e un viatico forte per arrivare, magari tra un paio d’anni, alla competizione per il quirinale. Ipotesi che è stata lanciata nei pour parler precedenti alla nascita del governo Letta. Ma che al momento non sembra sul tavolo, almeno per il Pd. Letta non la considera ‘parte degli accordi’, e ne percepisce il potenziale esplosivo e ‘divisivo’. Sa che il suo partito e l’elettorato sarebbero contrari. Una mina sul percorso del governo. Una contraddizione evidente con il criterio con cui è stato formato il governo. Con una incognita ulteriore, tutt’altro che marginale: il rischio che a percorso iniziato arrivi, per Berlusconi, una sentenza di condanna”.
Su La Repubblica il direttore Ezio Mauro avverte: “ci sono parecchie cose che non solo si possono, ma si devono fare insieme, tra forze politiche molto diverse, come la legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari, il taglio dei costi della politica”. Ma il direttore denuncia “il tentativo ormai evidente, sistematico, insistito e molto diffuso di vendere una alleanza di emergenza come uno stato d’animo del Paese, trasformando un governo di necessità in una opportunità culturale per rimodellare la vicenda storica di questi anni. L’operazione cambia le carte in tavola e assume un unico punto di vista: quella della destra – con le sue convenienze – come fondamento oggettivo della nuova fase”. Diverse sarebbero quindi le intenzioni, secondo Mauro: la sinistra vuole governare per fare poche riforme necessarie, e rinegoziare la stretta della austerity per poi andare al voto, mentre la destra “vuole rilegittimarsi come forza di governo”, e “sacralizzare la figura del suo leader ripulendola dalle troppe macchie degli ultimi anni attraverso un ruolo da padre della Repubblica: senatore a vita, o presidente della Convenzione per le riforme. Dunque, il governo potrà durare fino a che servirà a questo scopo”. Insomma, è come se la destra dicesse che “l’anomalia berlusconiana” è troppo grande per essere risolta e quindi al sistema “conviene costituzionalizzarla”. Non si deve, secondo il direttore de La Repubblica, “ingigantire l’aura di questo governo parlando di ‘pacificazione’, di uscita dalla ‘guerra civile’”. Si vorrebbe quindi “una grande amnistia culturale” sul ventennio berlusconiano, in modo che tutto si confonda: e invece il Paese ha bisogno di una maggioranza e di una minoranza “a cui si deve tornare appena i nodi principali sono stati sciolti”, perché “non tutto è emergenza, e nelle differenze culturali sta il bene del Paese”.
Internazionale
Su La Stampa si rilancia una inchiesta del New York Times, che ha svelato il flusso segreto di denaro Usa, usato per sostenere il governo afgano. Scrive il corrispondente Molinari: “In gergo li chiamano ‘ghost money’, i soldi fantasma. Sono i fondi con cui la Cia finanzia il presidente Hamid Karzai, i suoi alleati politici e le milizie che li sostengono. L’agenzia di Langley non ha mai negato i finanziamento a Kabul, ma adesso il NYT parla di finanziamenti per ‘decine di milioni di dollari’ che dal 2002 sono state consegnate da inviati americani ai leader afghani giudicati più determinanti per la sopravvivenza del governo Karzai”. Per avere una idea dell’ammontare di denaro dei contribuenti trasformato in ghost money basta tener presente, ricorda La Stampa, che Dostum, il leader uzbeko di una milizia cruciale per il controllo del nord, riceve 100 mila dollari al mese. La definizione ghost money è di Kalil Roman, ex vicecapo di gabinetto di Karzai fino al 2005, secondo il quale “si tratta di soldi che arrivano in segreto e vengono distribuiti sempre in segreto”. La pratica iniziò come strumento per garantirsi come alleanza i signori della guerra locali, per impedire che i taleban tornassero al potere. Si tratterebbe quindi di una pratica che viola le regole di certificazione delle spese stabilite dal Congresso di Washington. E che è un problema per l’Amministrazione Obama perché alimenta la corruzione: in particolare, spiega La Stampa, indebolisce la transizione per la sicurezza agli afghani, in vista del ritiro delle truppe nel 2014, perché rafforza gli interessi dei signori della guerra. Inoltre, poiché Karzai non avrà un terzo mandato, il ritiro delle forze internazionali già iniziato, la presenza di numerose milizie illegali afghane alleate di Washington, da cui ricevono denaro, pone il rischio che nell’arco di pochi mesi possano cambiare cavallo, accettando oboli da chiunque, Iran incluso.
Su La Repubblica una intervista al presidente israeliano Peres, che oggi sarà in Italia. Quanto siamo vicini ad un confronto militare con l’Iran? “E’ una cosa che è molto difficile definire”, dice Peres. “Certamente abbiamo ancora pochi mesi, e nel frattempo anche gli Usa intendono, insieme ai loro alleati europei, intensificare le sanzioni”. Sulla Siria e sull’accusa di aver usato armi chimiche: “ancora una volta non si tratta di una questione israeliana soltanto, gli arsenali chimici sono un pericolo per gli stessi siriani”. Poi sottolinea che della Siria deve occuparsi la Lega Araba: “L’Onu deve incaricare la Lega Araba di formare un governo di transizione, costituire un esercito della Lega con i caschi blu, che dovrà agire in nome dell’Onu. Chiunque altro si intromettesse verrebbe tacciato di ‘intervento straniero’. Tutto il mondo deve appoggiare la Lega Araba, che imponga ordine in Siria”.
Sul fronte del processo di pace con i palestinesi, Peres si dice convinto che sia possibile superare i disaccordi e sottolinea che “anche il presidente Obama pensa che sia possibile arrivare alla pace entro un anno”, “la cosa interessante è che, sia da parte israeliana che palestinese, la maggioranza è per la pace”.
E poi
Alle pagine R2 cultura Adriano Sofri recensisce l’ultimo libro di Roberto Saviano, dedicato alla cocaina e a chi la controlla, “Zero Zero Zero”.
Alle pagine della cultura del Corriere, Paolo Mieli si occupa del volume che arriva oggi nelle librerie italiane firmato da uno dei più grandi biografi del filosofo Baruch Spinoza, Steven Nadler. Il titolo è “Un libro forgiato all’Inferno. Lo scandaloso ‘Trattato’ di Spinoza e la nascita della secolarizzazione” ed è edito da Einaudi. La recensione che Mieli ne fa è sintetizzata così dal quotidiano: “La solitudine di Spinoza, il precursore scandaloso”, “Fondò il pensiero laico, ma tutti lo tennero a distanza”. Nadler ricorda gli anatemi che colpirono il “Trattato teologico-politico” e il fatto che Spinoza fu espulso dalla comunità ebraica, condannato dai cristiani e criticato da Hobbes.