La Repubblica: “Appalti, la rete della corruzione”, “Arrestati tre manager e Ercole Incalza, ‘dominus’ delle grandi opere pubbliche alle Infrastrutture. Nell’inchiesta i legami con Lupi: al figlio un lavoro e un Rolex da 10 mila euro. Il gip: comandava al ministero”.
“Il boiardo intoccabile nel cuore del potere” è il titolo del commento che Alberto Statera dedica a Ercole Incalza.
In prima il richiamo all’intervista del quotidiano al presidente del Senato Pietro Grasso: “L’accusa di Grasso: ‘Politica in ritardo’”.
Sul lavoro: “Ripartono le assunzioni, pronte 76 mila imprese. Statali contro Madia: vuole dirigenti lottizzati”.
A centro pagina, le elezioni oggi in Israele: “Netanyahu: votatemi e lo Stato palestinese non nascerà”.
Nella colonna a destra le anticipazioni dall’ultimo romanzo di Baricco (“Sposa giovane”).
A fondo pagina, la copertina R2: “Nuovo cinema Pechino, la Cina sorpassa Hollywood”, del corrispondente Giampaolo Visetti (“Ogni giorno a Pechino aprono tre nuove sale. A febbraio per la prima volta gli incassi al box office hanno superato quelli negli Stati Uniti. Il segno di una rivoluzione dei costumi che è anche un fenomeno politico: una serata seduti fra il pubblico spiega il perché”).
Il Corriere della Sera: “Grandi opere, tangenti e favori”. “Quattro arresti. Caso Lupi, assunzione e regali al figlio: non penso di dimettermi”. “Corruzione: in carcere il supermanager Incalza. Nelle intercettazioni anche il nome di Alfano”.
In prima un richiamo alla “irritazione di Renzi: ora non è facile sostenere il ministro” e un “ritratto”, firmato da Sergio Rizzo, di Incalza e del “formidabile potere del burocrate venuto dalla prima Repubblica”.
Di spalla le elezioni in Israele: “L’ultimo affondo di Netanyahu in un Paese che vuole certezze”.
L’editoriale, firmato da Maurizio Ferrera, è dedicato ai sindacati e ai “pericoli (non visti)”.
A centro pagina: “Intervista al capo dell’Esercito. ‘Soldati in Libia, se il governo vuole pronti a partire'”.
E poi la fotonotizia dall’Iraq: “La bandiera nera dell’Isis al posto della croce. Lo scempio in Iraq”.
A fondo pagina un intervento di Pierluigi Battista: “House of cards libera di oltraggiare”. “Il protagonista sputa sull’immagine di Gesù. Cosa sarebbe successo con i simboli islamici?”.
La Stampa: “La Tangentopoli delle grandi opere”, “Firenze, 4 in cella (fra cui il manager pubblico Incalza) per appalti su Tav e Expo: ‘Articolato sistema corruttivo’. Delrio: dimissioni? Prematuro”, “I magistrati: favori al figlio del ministro Lupi. La replica: ‘Mai chiesto nulla’”.
Se ne occupa l’editoriale di Massimo Gramellini: “Funzionari oscuri e politici imbelli”.
Sul falso in bilancio: “L’emendamento del governo. Inasprite le pene per le Spa”, “Reclusione da 3 a 8 anni (fino a 5 per le non quotate). Ma in aula slitta ancora l’esame del disegno di legge”.
Di spalla a destra, i dati forniti ieri dall’Inps: “Primi effetti degli sgravi: 76 mila aziende assumono”.
A centro pagina, le elezioni israeliane: “Netanyahu: mai uno Stato palestinese”.
In prima anche un’analisi di Marta Dassù: “Le nuove responsabilità della Germania”.
Il Fatto: “Expo, Tav & Grandi opere, la banda dei soliti noti” (con foto del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi insieme ad Ercole Incalza), “In manette Incalza, ras dei Lavori pubblici in 7 governi, legato a Ncd e Lupi. L’anno scorso Il Fatto chiese a Renzi di cacciarlo: fu confermato per 12 mesi. Ora è accusato a Firenze di corruzione con vari ex politici (già inquisiti in passato) e costruttori: altri tre arrestati e 50 indagati”.
A centro pagina: “Primo scandalo di Renzi. Ora Lupi deve dimettersi”, “Nelle intercettazioni i nomi del ministro Lupi (nelle mani di Incalza, che gli dettava anche le interviste), di suo figlio (beneficiario di incarichi e orologi regalati dall’imprenditore Perotti, asso pigliatutto degli appalti) e dei suoi viceministri Nencini e Del Basso De Caro. Ma il premier tace e il sottosegretario Delrio in tv taglia corto: ‘Ora è prematuro parlare di dimissioni’”.
L’editoriale di Marco Travaglio: “Voce del verbo Incalzare”.
A centro pagina anche le tensioni Cgil-Landini: “Cgil, Daspo contro Landini. Coalizione sociale vietata”.
In basso: “Netanyahu in affanno attacca i palestinesi”, “Il primo ministro insegue nei sondaggi il centrosinistra: ‘Mai uno Stato indipendente’. L’avversario Herzog al Fatto: ‘Lo batterò e cambierò il Paese’”.
Il Sole 24 Ore: “Borse, rally da mini tassi. Sulle azioni la spinta del Qe”. “I rendimenti a quota zero dei titoli di Stato rilanciano l’attrattività del mercato azionario”.
Di spalla: “Grandi opere, arrestato l’ex superdirigente Incalza. Bufera su Lupi: favori al figlio”.”La replica del ministro: non ho mai chiesto nulla”. E poi: “Per lavori Tav ed Expo, 4 arresti e 51 indagati”.
A centro pagina i dati Inps: “Assunzioni in 76 mila imprese. L’Inps: nei primi 20 giorni di febbraio arrivate le richieste di sgravi per il tempo indeterminato”. “Per i consulenti del lavoro sono stati creati 275 mila posti”.
In alto: “Falso in bilancio: fino a otto anni di reclusione per le quotate. Il nuovo testo entra nel ddl anticorruzione”, con un commento di Salvatore Padula (“Chi paga il costo dell’incertezza”).
Il Giornale: “Pm scatenati. Irruzione nel governo”. “Appalti, arrestato il padrone delle infrastrutture, uomo del ministro Lupi. Renzi prende le distanze e si consegna alla magistratura: via libera alla follia su prescrizione, corruzione e falso in bilancio”.
Nell’editoriale Alessandro Sallusti risponde a Giuliano Ferrara, che ieri dalle colonne del Foglio criticava la scelta di allearsi con Salvini da parte del premier. “Un Matteo è di troppo ma la scelta non è questione di bon ton”.
A centro pagina un articolo di Renato Farina: “La santa alleanza tra il Papa e Putin per difendere i cristiani dall’Isis”.
Da segnalare in prima anche un articolo di Mario Cervi per ricordare Gustavo Selva, morto ieri: “Addio a Gustavo Selva, belva del giornalismo che sbranava i salotti”.
Incalza, governo
La Repubblica, pagine 2 e 3 : “’Dalla Tav all’expo, tangenti e scambi di favori’. In manette il supermanager delle grandi opere”. Ercole Incalza, che la Repubblica ricorda esser stato il primo amministratore delegato della Tav, è stato arrestato per corruzione e tentata concussione per induzione dai carabinieri del Ros: l’indagine, si spiega, è una prosecuzione delle due inchieste del Ros e della Procura di Firenze sui Grandi Eventi e sul nodo fiorentino dell’Alta velocità, dove Incalza è già indagato per associazione a delinquere, falso e abuso d’ufficio. Con Incalza è finito in carcere per tentata concussione per induzione e turbativa d’asta l’ingegner Stefano Perotti, “il re delle direzioni lavori”, visto che ne ha fatte per opere dell’importo di 25 miliardi. Perotti aveva ottenuto anche la direzione dei lavori del nodo Tav fiorentino.
Il “retroscena” è firmato da Carlo Bonini: “Il patto tra il ministro Lupi e Incalza: ‘Per te faccio cadere il governo’. E a suo figlio Rolex, vestiti e lavoro”. “Non è iscritto nel registro degli indagati Maurizio Lupi”, scrive Bonini, “ma le buone notizie per lui finiscono qui. Le 268 pagine dell’ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti lo documentano ministro nelle mani dell’associazione per delinquere che, negli ultimi 15 anni, ha gestito appalti delle Grandi opere pubbliche per 25 miliardi di euro. Poco più che un ventriloquo di chi di quell’associazione è il motore: l’immarcescibile Ercole, ‘Ercolino’ Incalza, il ‘venditore di fumo e cipolle’, ‘l’uomo che vuol far credere che la luna è fatta di formaggio’, come dicono di lui nelle intercettazioni. Il Kaiser Soze delle Infrastrutture (14 procedimenti penali a carico e una sequela di assoluzioni e archiviazioni per ‘intervenuta prescrizione’)”. Padrone a tal punto del Grande Gioco da imporre al ministro Lupi la scelta dei due suoi sottosegretari, gli ex socialisti Riccardo Nencini e Umberto Del Basso de Caro. Lupi “è talmente prigioniero di Incalza”, scrive Bonini, che non solo va a difenderlo in Parlamento rispondendo ad una interrogazione del M5S con un testo preparato dall’avvocato del grand commis, Titta Madia: “fa di più”, il 16 dicembre scorso è pronto a far cadere il governo Renzi o comunque a giocare la carta del ricatto politico, se Palazzo Chigi dovesse insistere nel pretendere la soppressione o comunque il diretto controllo della Struttura tecnica di missione, di cui Incalza è presidente e che del sistema di corruzione è il perno (in grado, secondo gli inquirenti, di “condizionare il settore degli appalti pubblici”). “Vado io – dice il ministro ad Incalza – Te lo dico già…Cioè io vorrei che tu dicessi e chi lavora con te che sennò vanno a cagare! Cazzo! Non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io e lì ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione viene giù il governo! L’hai capito? Non l’hanno capito?”. Poi Statera ricostruisce i rapporti tra Incalza e Stefano Perotti, “l’ingegnere asso pigliatutto delle direzioni dei lavori imposti da Incalza” e che si sarebbe preso cura anche del figlio del ministro Maurizio Lupi, Luca, ingegnere laureatosi al Politecnico di Milano, facendolo assumere dal cognato Giorgio Mor e mettendolo a lavorare al Cantiere Eni per il Palazzo di San Donato, oltre a saldargli spese sartoriali e regalandogli un Rolex.
Alla pagina seguente, “il personaggio” Incalza viene descritto da Alberto Statera: “La casa a sua insaputa e la leggina salva-poltrona, il boiardo sopravvissuto a 7 premier e 14 inchieste”. Ci si sofferma su quello che Statera definisce “il codicillo Incalza”: comparve nell’ultima legge di stabilità, inserito dal ministro Lupi, seri righe che prorogavano fino al 31 dicembre 2015 “i rapporti di collaborazione coordinata e continuata in essere alla data in vigore della presente legge” per garantire il funzionamento della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, cioè il rapporto di collaborazione del settantenne Ercole Incalza, “che sarebbe tranquillamente rimasto al suo posto se egli stesso non avesse preferito rinunciare al ‘codicillo’ e ritirarsi, forse presagendo la tempesta imminente”.
Ed è ancora La Repubblica ad intervistare il ministro Maurizio Lupi: “Sto soffrendo per mio figlio, quel Rolex non l’avrei preso. Incalza era stimato da tutti. Dimettermi? Non vedo perché”. “Incalza, che è stato al ministero per anni – dice Lupi – e ha lavorato con tutti i ministri tranne Di Pietro, è stato il padre della Legge obiettivo. È uno dei tecnici più stimati nel suo settore, anche in Europa ce lo invidiavano”. In una intercettazione lei arriva a minacciare la crisi di governo. Lupi: “Era una battaglia politica, non difendevo la persona, che dal 31 dicembre 2014 non avrebbe più ricoperto quell’incarico, ma l’integrità del ministero. Si stava discutendo di legge di stabilità e del futuro della nuova Struttura tecnica di missione e il dibattito era tra chi voleva tenerla dentro al mio ministero oppure, come diceva Incalza: c’è chi vuole chiuderla o trasferirla alla Presidenza del Consiglio”.
Su La Stampa pagina 3: “Il ministro: ‘Mai chiesti favori’. E smentisce voci di dimissioni. ‘Il manager arrestato? Era ed è una delle figure tecniche più autorevoli del Paese’”.
E il quotidiano, leggendo le carte dell’inchiesta: “’La direzione di quei lavori è solo uno stipendificio’”, “Perotti non faceva nulla, non si vedeva mai. Prendeva solo i soldi. La direzione dei lavori per il nodo alta velocità di Firenze era uno stipendificio”.
A pagina 4 il “personaggio” Incalza viene raccontato da Paolo Colonnello: “Il dominus Ercolino, una vita al ministero, sfiorato da 14 inchieste”. Il quotidiano intervista il procuratore aggiunto a Venezia Carlo Nordio, titolare attualmente delle inchieste sul Mose, che dice: “Oggi il vero problema è lo strapotere dei dirigenti”. Il nostro sistema normativo, secondo Nordio, è contraddittorio e bizantino: lo è talmente da concedere al politico o al dirigente di turno discrezionalità assoluta che sconfina nell’arbitrio. “Mi spiego meglio: l’imprenditore che ambisce ad un appalto deve bussare”, a causa della farraginosità della nostra burocrazia, a 100 porte, e sa che almeno una di queste si aprirà se oliata da una tangente, ma “ormai si è dato troppo potere ai dirigenti che fungono da cinghia di trasmissione tra i politici e gli imprenditori”.
Su Il Fatto: “Il sistema degli amici di Lupi: ‘O Incalza o cade il governo’”. E “come funzionava”: “Quel ‘controllore’ scelto dalle imprese impegnate nei lavori”, “Perotti direttore, ritenuto compiacente, di commesse per 25 miliardi di euro. Le accuse, cantiere per cantiere”. E il quotidiano intervista Antonio Di Pietro, che fa ministro delle Infrastrutture, allontanò Incalza: “Lo cacciai, ma le Istituzioni lo difesero”. Perché? “Il suo nome – risponde Di Pietro – mi diceva qualcosa. Già c’erano state delle indagini nei suoi confronti, tutte concluse con un proscioglimento. Inoltre mi ricordavo di lui perché, mentre era in corso Mani Pulite, scoprimmo che parlava con diversi imprenditori coinvolti in quella indagine”, “Incalza faceva parte di un sistema di potere, che fuori dalle responsabilità penali resta comunque un sistema di potere: è quello della Prima Repubblica”.
Il Giornale: “Oltre a Incalza, l’ordinanza del gip fiorentino Angelo Antonio Pezzuti spedisce dietro le sbarre Sandro Pacella, funzionario dello stesso ministero e stretto collaboratore di Incalza, l’imprenditore Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del cda di Centostazioni, spa del gruppo Fs”. In tutto gli indagati sono 51. Ci sono anche gli ex sottosegretari alle Infrastruttue Rocco Girlanda (Pdl) e Antonio Bargone (Pds), l’ex sottosegretario allo sviluppo Economico Stefano Saglia e l’ex europarlamentare Vito Bonsignore, gli ultimi due ora nel Ncd. Ma nella bufera finisce anche il ministro Maurizio Lupi (Ncd), del quale l’ordinanza sottolinea la vicinanza con alcuni degli indagati. E il cui figlio avrebbe ricevuto un incarico di lavoro con una ‘triangolazione’ organizzata da Perotti”. I reati ipotizzati dalla procura sono tra gli altri la corruzione, l’induzione indebita, la turbata libertà degli incanti. Il quadro secondo l’accusa è quello di un “dominus”, Incalza, a capo di un “articolato sistema corruttivo” nella gestione delle grandi opere. “Secondo il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, infatti, ‘si indaga su un valore di 25 miliardi di euro di appalti'”.
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini, su Lupi e Incalza, scrive che “il loro legame era talmente stretto che il 2 luglio scorso, quando ha dovuto rispondere alle interrogazioni parlamentari, il ministro Maurizio Lupi si è fatto scrivere il discorso dal difensore di Ercole Incalza, l’avvocato Titta Madia”. Tra le carte della procura Sarzanini cita: “‘La sera del 16 dicembre il ministro Lupi chiama l’ingegner Incalza e rivendica il merito di aver bloccato l’emendamento con la richiesta di trasferire la Struttura tecnica di missione alle dipendenze della presidenza del Consiglio dei ministri”. E ancora: “Il ministro Lupi intende difendere a qualsiasi costo la Struttura fino a minacciare una crisi di governo: ‘Vado io guarda, siccome su questa cosa, te lo dico già. Però io non voglio, cioè vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che sennò vanno a c…! Ho capito! Ma non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura non c’è più il governo! L’hai capito, l’hanno capito?!'”.
Ancora Il Corriere scrive del “gelo di Renzi” e della sua “irritazione”, aggiunge che non ci sono stati contatti tra lui e Lupi: “Il premier non cerca nemmeno il ministro per chiedergli spiegazioni”. Renzi dice: “È inutile girarci intorno, il problema c’è”, ed “ha l’aria di chi non accetta che qualcuno gli rovini la festa proprio nel giorno in cui il governo sta andando avanti sul ddl anticorruzione”. Dice ancora Renzi, secondo il Corriere: “Parliamoci chiaramente, senza troppi giri di parole, politicamente Lupi non è facile da sostenere”. Secondo il quotidiano inoltre Renzi aveva “ingaggiato da tempo” la sua “guerra” contro “quella unità di missione che operava alle Infrastrutture e in cui lavorava Incalza”, anche se il premier “non era riuscito” nel suo disegno di “sopprimere quell’organismo”, anche se alla fine si era riusciti a “prepensionare Incalza”, che oggi svolgeva il ruolo di “consulente esterno del ministro Lupi”.
Falso in bilancio
Sul Sole 24 Ore Salvatore Padula scrive che “la nuova formulazione del reato di falso in bilancio rappresenta una svolta. Si tratta di una configurazione molto più severa con imprese e amministratori e che, pur rimediando ad alcune pecche dei testi che erano circolati nei giorni scorsi, lascia pressoché irrisolto uno dei nodi della questione. Ovvero, la necessità di garantire certezze agli operatori, rendendo chiaro che cosa può essere configurato come ‘falso in bilancio’ e che cosa invece non lo è”. Padula scrive che questo aspetto si presenta anche in altri ambiti, “dal fisco all’ambiente, dalla sicurezza sul lavoro all’antiriciclaggio”, e aggiunge che per quanto riguarda le “false comunicazioni sociali”, in base al testo del governo, “viene completamente superato il sistema delle soglie, con il quale – per semplificare – la punibilità viene esclusa quando la falsità del bilancio o le omissioni non comportano una variazione ‘eccessiva’ dell’utile”. Le pene sono più severe per le società quotate (8 anni di reclusione, contro i 6 attuali) e anche per le non quotate, dove si passa dalla contravvenzione prevista in alcuni casi alla reclusione fino a cinque anni. E scrive che a preoccupare gli operatori non è tanto il superamento delle soglie, e neppure le pene più alte, ma le “incertezze che il nuovo testo porta con sé. Un testo che non contiene quella chiarezza, che pure si sarebbe potuta fare, sulla determinazione di ciò che è penalmente rilevante (quali fatti materiali? quali comunicazioni? quale grado di concretezza?)”. Servirebbe un impianto normativo che punisca “con la massima severità chi volontariamente falsifica i documenti societari, senza però nessun accanimento quando l’inesattezza è frutto di errori o valutazioni. La sensazione è che il nuovo Codice civile non vada in questa direzione”.
Internazionale
Il Corriere offre due interviste sulle elezioni in Israele, previste oggi. La prima è con Jonathan Pacifici, imprenditore, emigrato da Roma in Israele nel 1997, che dice “Scelgo la destra perché Bibi è l’unico che dà sicurezza”. Dice che voterà per il centrodestra, cita anche le novità della campagna elettorale di formazioni più giovani come quella di Naftali Bennet.
La seconda è con Daniele Di Nepi, da due anni e mezzo in Israele, studia regia e produzione cinematografica alla università di Tel Aviv, che vota per la seconda volta per i laburisti, che oggi si chiamano Unione Sionista e si sono alleati con Tzipi Livni. Dice che della loro campagna elettorale non gli sono piaciuti i poster con le immagini di Livni e Herzog contrapposte a quella di Netanyahu e lo slogan “o noi o lui”, perché preferisce che si chiedano i voti in base alle proprie proposte e non “additando l’avversario”.
Su La Stampa: “Netanyahu rincorre e alza il tiro: ‘Con me mai uno Stato palestinese’”, “Oggi il voto per le politiche. Nella perdita di consensi la delusione del ceto medio”. A raccontarlo è il corrispondente a Gerusalemme Maurizio Molinari.
E, sulla stessa pagina ci si occupa del leader laburista Isaac Herzog: “Herzog scommette sulla strategia del disgelo”, “Il leader laburista vuole riannodare i fili con Obama e Abu Mazen”.
Su Il Fatto un’intervista allo stesso Isaac Herzog, il favorito di queste elezioni e creatore del partito “Campo sionista”, firmata da Cosimo Caridi. È pronto a creare una grande coalizione? “Il mio primo e più importante obiettivo è rimpiazzare Netanyahu. Il Campo sionista è diventato il più importante partito del Paese e questo è quello che vogliono gli israeliani: un cambio di realtà, un cambio di governo. I partiti di destra si sono radicalizzati, diventando di estrema destra, mentre la maggior parte dei cittadini sono di centro, come Campo Sionista. Creando questo nuovo partito, ho già dimostrato la mia capacità di aggregare”. Netanyahu, dice, “ha usato l’arma della paura, come sull’Iran.
Da La Repubblica segnaliamo la descrizione che Vanna Vannuccini fa di Qasem Soleimani, il capo delle truppe per Al Qods, ovvero le truppe speciali dei Pasdaran iraniani. E’ su di lui che conterebbero i conservatori per tornare al potere, nel 2017, alle presidenziali, soprattutto se fallisse il negoziato sul nucleare portato avanti dall’attuale presidente Rouhani. “È nella lista nera degli Usa, ma combatte l’Is”, ricorda Vannuccini sottolineando che secondo un sondaggio del sito “Khabaronline” sarebbe lui il prediletto del 37,3% degli iraniani.
E sullo stesso quotidiano, alla pagina dei commenti, un’analisi di Renzo Guolo: “L’Iran e gli sciiti, un’occasione storica”. Dove si legge che il doppio annuncio americano, ovvero quello del segretario di Stato Usa Kerry per una soluzione politica del conflitto in Siria che coinvolga lo stesso presidente Assad e quello del capo della Cia Brennan, che si è detto “non favorevole al crollo del regime siriano”, segna non solo il mutamento della politica americana nell’area, del resto visibile da tempo, ma soprattutto “un deciso riequilibrio dei rapporti di forza, all’interno del mondo islamico, a favore dell’asse sciita”. E’ chiaro, scrive Guolo, che “l’irrompere dell’Is nella guerra siriana, la fondazione del Califfato e la capacità di attrazione nella galassia islamista del gruppo di Al Baghdadi, ha completamente cambiato il quadro. A Washington, come nelle altre capitali occidentali, la percezione è che il rischio maggiore sia ormai costituito dal radicalismo sunnita più che dall’Iran, dai suoi alleati siriani e dall’Hezbollah libanese. Se non altro perché l’asse sciita è minoritario nel mondo della Mezzaluna”.
Sul Corriere Lorenzo Cremonesi parla delle immagini diffuse ieri via social network del drappo nero dell’Isis al posto della croce nella chiesa di San Giorgio a Mosul, in Iraq: “Drappi neri sulle chiese, le foto dello scempio”. “L’Isis diffonde un ‘documentario’ sulle dissacrazioni”. Nell’articolo Cremonesi parla anche di immagini che sarebbero state diffuse da Tikrit che testimonierebbero la distruzione della tomba di Saddam Hussein. Opera però – pare – delle milizie sciite che hanno riconquistato la città. “Testimoni raccontano di una gigantesca immagine di Qasem Souleiman, il generale iraniano che guida gli attacchi contro l’Isis a Tikrit, appesa dove prima stava quella dell’ex dittatore iracheno”. “Le tribù locali assicurano che i resti di Saddam Hussein sono stati nascosti in una località segreta”.
Cristiani
Su Il Giornale una intervista a padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e direttore di Asianews, che dice che “i cristiani sono i più perseguitati”, sia perché si utilizzano le altre religioni – musulmana, indù, buddista – per colpire le minoranze cristiane, sia perché in altri Paesi, come la Cina, c’è “lo statalismo e la dittatura”. Dice che “non si parla mai” proprio delle persecuzioni che i cristiani subiscono in Cina, dove ci sono “vescovi imprigionati, sacerdoti e fedeli scomparsi, persone agli arresti domiciliari solamente perché intendono professare la loro fede”. “Solamente nel 2014 sono stati arrestati mille attivisti” e le “grandi potenze tacciono” perché ci sono “interessi economici e geostrategici”. Cervellera cita anche l’Arabia Saudita, dove la persecuzione dei cristiani è “molto peggiore che in Iran, dove in cristiani sono in realtà più liberi”.
Su Avvenire una intervista alla storica franco-tunisina Sophie Bessis, ricercatrice dell’Iris, ex dirigente della Fidh, autrice di “La doppia impasse. L’universale e la sfida dei fondamentalisti religiosi e mercantili”, in cui si commenta l’appello al governo francese dello storico Jacques Julliard per un intervento Onu a favore dei cristiani d’Oriente, firmato da intellettuali come Finkelkraut e da politici come Rocard.
Dice la Bessis: “Non mi pare che i Paesi occidentali si siano molto occupati in passato dei diritti umani in questa regione”. Cita la Siria, dice che “gli alleati occidentali della regione sono le monarchie del Golfo”. Dice ancora: “Sono del tutto convinta che si potranno tutelare queste minoranze solo affrontando per una volta con coraggio il vecchio nodo democratico di fondo in tutta la regione”.
E poi
Sul Messaggero, Francesco Grillo parla della “foresta pietrificata” della Pubblica Amministrazione italiana, che si potrebbe trasformare anche drasticamente se si legge il rapporto presentato a Dublino la settimana scorsa dall’Agenzia dell’Unione Europea che studia l’evoluzione dei mercati del lavoro. Grillo cita altri Paesi europei – dalla Spagna alla Polonia – in cui si è contenuto il costo del lavoro nella Pa. In Italia oggi abbiamo “meno dipendenti pubblici solo perché non ne abbiamo assunti di nuovi: il risultato è, però, che la metà di essi ha più di cinquant’anni (negli altri Paesi europei sono un terzo) e siccome le remunerazioni sono legate all’anzianità, essi costano mediamente di più che all’inizio della crisi”. Grillo cita anche uno studio fatto da Vision insieme ai ricercatori del Centro studi sui temi del lavoro fondato da Marco Biagi – l’Adapt, e invita la ministra Madia ad abbandonare “la nozione di riforma come evento palingenetico” per sostiturila con la nozione di “cambiamento continuo” nella PA.
Da segnalare sul Corriere una intervista al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Danilo Errico. Se il governo italiano decidesse un intervento in Libia l’esercito è pronto, scrive il Corriere citando il Capo di Stato Maggiore. “Cercheremo di fare ciò che ci sarà richiesto. Confido che il governo ci darà le risorse necessarie, anche se c’è la crisi”. Parla anche dell’esercito impegnato in funzioni di ordine pubblico con l’operazione “strade sicure” e del prossimo Giubileo.
Da segnalare sul Sole 24 Ore una intervista a Geert Wilders, Presidente del Partito delle Libertà olandese: “Via l’Islam, Olanda fuori dall’euro”. L’intervistatore descrive il suo ufficio a L’Aja, tra “vignette iconoclaste sull’Islam, una bandiera israeliana, testate di giornali che celebrano le battaglie del leader”. Dice: “Purtroppo il Corano non si presta a interpretazioni, credono che sia la parola di Allah. I musulmani possono essere diversi, moderati o estremisti, ma c’è un unico, totalitario Islam”. Wilders concede che “ci sono musulmani ben integrati, che rispettano le nostre leggi e i nostri valori e sono i benvenuti. Io distinguo tra le persone e l’ideologia”. Contro il terrorismo “l’Olanda dovrebbe uscire da Schengen, reintroducendo i controlli alle frontiere, togliere la doppia cittadinanza a quanti non rispettano le nostre leggi e i nostri valori ed espellerli”. Wilders parla di un “modello analogo alla Svizzera”, ovvero “un Paese ricco che è parte del mercato interno ma non della Ue e dunque può adottare leggi sue sull’immigrazione o tenere referendum indipendenti”.