Il Corriere della Sera: “Terrore e spari a Bruxelles”, “Lotta all’Isis. Indagine sulla strage di Parigi, forze speciali in azione per ore. Quattro agenti feriti”, “Nel blitz ucciso un sospettato. Due in fuga con le armi. Sotto assedio due asili”. Con un reportage di Marco Imarisio: “Il fantasma di Salah nel nuovo covo”.
A centro pagina: “Elezioni per il sindaco, Meloni pronta a sfidare Berlusconi”.
Di fianco, i titoli sulle primarie Usa: “Trump vince in Florida e Rubio lascia la corsa”, “Clinton batte ancora Sanders”. Ne scrive Giuseppe Sarcina. E Maria Laura Rodotà, di fianco: “I nove segreti da sapere su Donald”.
A fondo pagina: “Un patto sul divorzio prima delle nozze”, “Pronta la legge per introdurre in Italia i ‘love contracts’. ‘Passerà la paura di sposarsi’”. Di Monica Guerzoni.
In prima anche la politica in Francia :“Juppé è tornato (per vincere)”, di Aldo Cazzullo. E un commento di Gian Antonio Stella sul settantesimo anniversario del voto alle donne in Italia: “Donne al voto, festa e pregiudizi”.
Sulla colonna a destra un intervento di Claudio Magris sul tema adozioni: “Non è giusto trasformare ogni desiderio in diritto”.
L’editoriale in apertura a sinistra è firmato da Federico Fubini su “Deflazione e timori”: “Il virus dei prezzi calanti”.
La Repubblica ha in apertura un’intervista del direttore Mario Calabresi e Gianluca Di Feo al presidente egiziano Al Sisi: “’Avrete la verità su Regeni’”, “Intervista al presidente egiziano Al Sisi: prometto alla sua famiglia che troveremo gli assassini. ‘Il rapporto tra i nostri Paesi non è mai stato così forte, mi interrogo sulla tempistica del delitto’”.
Più in basso: “Giorno di fuoco a Bruxelles, ucciso un terrorista”, “Un altro blitz, città paralizzata: ‘Gruppo legato alla cellula di Parigi’”. Ne scrivono Andrea Bonanni e Carlo Bonini.
Sul ritiro parziale della Russia dalla Siria l’analisi di Bernardo Valli: “Siria, i costi della Russia”.
A fondo pagina, le primarie Usa: “Hillary e Trump avanti. Rubio: ‘Lascio le primarie’”. Se ne occupa l’inviato a Miami Federico Rampini.
In apertura a sinistra, lo “scandalo appalti” a Roma, con un’intervista di Stefano Cappellini al commissario del Campidoglio: “Tronca: Roma e la legalità? Si parla troppo e si fa ancora meno”.
Sulle elezioni a sindaco nella Capitale: “Le quattro destre per il Campidoglio”, di Claudio Tito.
La storia di R2/La copertina: “Più social e nuovo look. La primavera dei musei”, “Sale riaperte e pagelle dei visitatori: cos’è cambiato con la riforma”. Lo spiega Dario Pappalardo.
La Stampa: “Bruxelles, torna la paura. Caccia ai terroristi in fuga”, “Uno ucciso, due scappano, feriti quattro agenti”.
Dalle primarie americane: “Trump trionfa anche in Florida. Ora la nomination è più vicina”, “Il miliardario repubblicano supera nettamente Rubio. Tra i democratici Hillary batte ancora una volta Sanders”, scrive Paolo Mastrolilli.
In apertura a sinistra: “Meloni si candida e nel centrodestra scoppia il caos”, “Svolta a Roma: in pista ora sono quattro”, “Berlusconi: niente mamma-sindaco. Poi attacca: così Giorgia si suicida”.
E Giovanni Orsina spiega: “Perché la Lega abbandona l’ex Cavaliere”.
In prima anche un commento di Giovanni Sabbatucci: “I populismi che minacciano la stabilità”.
E di fianco l’intervista all’ex presidente del Consiglio Mario Monti, che dice: “Merkel sta agendo da vera statista”, “Sui migranti Angela fa ciò che le sembra giusto sfidando l’impopolarità. Questa è leadership”.
Più in basso, intervista al leader degli indipendentisti dell’Ukip Nigel Farage: “Pronti a rovesciare i governi falliti”, “’Addio destra e sinistra, siamo ribelli antisistema. Noi inseguiamo l’autodeterminazione”.
Al caso Meloni è dedicato il “Buongiorno” di Massimo Gramellini: “Meloni amari”.
Sulla colonna a destra, sull’omicidio di Luca Varani a Roma: “I genitori di Luca: pena di morte per gli assassini”.
Il Fatto: “Nomine di Finanza e Servizi: allarme rosso al Quirinale”, “Grandi manovre. Preoccupazioni per il Gen. Saltalamacchia (Toscana) all’Aisi”, “Tensione sull’agenzia della sicurezza interna -su cui punta forte il premier- e su Toschi, in pole per la GdF. ‘Monitorate’ dal Colle anche le caselle dell’Aeronautica e della Marina Militare. Stop su Carrai”.
Sotto la testata, intervista a Cesare Romiti, che dice: “’Agnelli e io avremmo detto no alla Stampubblica’”, “’Il giornale unico danneggia la concorrenza’”. Di fianco, con foto di John Elkann: “capitani di sventura: i figli come i padri del salottino anni 80”, “Vizi eterni. Conta sempre il potere e mai il prodotto”.
In prima anche un’intervista al senatore Pd Massimo Mucchetti: “Mucchetti (Pd) denuncia: 0’Le mani di Lotti e Renzi sulle Bcc e la merchant bank al governo’”.
Su “donne e politica” e “affollamento a destra”: “La Meloni sfida Bertolaso (e B.): ‘Mi candido a Roma’”. E un commento di Daniela Ranieri: “Silvio & Guido, ridicoli tutori delle puerpere”.
Di fianco, un commento di Antonio Padellaro: “Viva Pannella, ma nessuno l’ha fatto senatore”.
Più in basso: “100 mila firme in soli 4 giorni all’appello del No alle schiforme”, “Per la Costituzione. Boom di adesioni al manifesto sul referendum”, “Lo hanno già firmato, tra tanti altri, Gustavo Zagrebelsky, Alessandro Pace, don Ciotti e Toni Servillo. Il testo che sfida il ddl Boschi in sole 24 ore ha raddoppiato le adesioni. Un buon segnale per la consultazione”.
A questo tema è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Forza Caligola”.
Il Giornale: “Meloni, oh mamma mia…”, “La leader di Fdi (incinta) oggi si candida a sindaco di Roma col sostegno della Lega”, “Ma Berlusconi non indietreggia: il candidato è Bertolaso”.
A questo tema è dedicato l’editoriale del direttore Alessandro Sallusti.
Poi, in un riquadro sul tema “Gravidanza e campagna elettorale”: “Vista da lui”, ovvero Giordano Bruno Guerri, “Comunque vada lei ci rimette qualcos”; e “Vista da lei”, Daniela Missaglia scrive: “Ma Giorgia non si perda quei momenti irripetibili”.
A centro pagina: “L’Isis torna a sparare in Europa”, “Bruxelles ancora nel panico”, “Blitz contro una cellula coinvolta negli attacchi di Parigi: ucciso un terrorista, feriti 4 agenti”.
E, con foto di Oriana Fallaci: “Moralisti, guru e no global. Tutti i nemici della Fallaci”, “Un saggio su Oriana”. Di Alessandro Gnocchi.
Gian Micalessin firma un commento sulla situazione in Medioriente: “Le 7 mosse di Putin per lo scacco siriano”.
Sulla colonna a destra il quotidiano ricorda che domani sarà in edicola con il libro dell’economista Sergio Ricossa “Elogio della cattiveria”.
E sulla situazione banche un commento di Camilla Conti: “Mina vagante”, “La crisi Mps spaventa il governo (e tutto il sistema”).
A Bruxelles, ieri.
La Repubblica, pagina 2: “Battaglia a Bruxelles a colpi di kalashnikov, ucciso un jihadista”, “Quattro poliziotti feriti durante un blitz anti-terrorismo. Strade e scuole blindate. Continua la caccia all’uomo”, scrive Andrea Bonanni da Bruxelles dando conto della sparatoria di ieri nel quartiere di Forset, in cui investigatori belgi e francesi si trovavano fianco a fianco per quella che era un’operazione congiunta.
Sul Corriere l’inviato a Bruxelles Ivo Caizzi spiega che la perquisizione in un appartamento era legata alle indagini per la strage di Parigi di novembre. Il bilancio è di quattro poliziotti feriti e un sospetto terrorista ucciso, mentre altri due sarebbero fuggiti. A pagina 3 il reportage di Marco Imarisio. Dive si legge che l’appartamento del quartiere di Forest (una città di 50 mila abitanti dell’area metropolitana di Bruxelles) era in una palazzina semiabbandonata, in una via del quartiere multietnico: gli inquirenti lo avevano segnalato come una possibile base utilizzata da Samir Bouzid e Soufiane Kayal, i due uomini di nazionalità ancora sconosciuta sospettati di aver aiutato Salah Abdelslam a preparare la logistica della strage dello scorso novembre. Era l’ultimo domicilio conosciuto di una donna che lo scorso ottobre aveva affittato una stanza a Charleroi, dove sarebbero state custodite le armi e gli esplosivi di Parigi. “Non era routine, ma quasi”, scrive Imarisio: “le informazioni raccolte nei giorni precedenti riferivano di un covo ‘freddo’, ovvero disabitato. Errore. Non il primo, in un Paese che secondo l’Icsr, il centro Internazionale per lo studio della radicalizzazione, ha la maggior percentuale di jihadisti per numero di abitanti ma continua ad avere anche un sistema di intelligence bizantino, con la polizia investigativa divisa in sei corpi, ognuno dei quali ha la propria rappresentanza nei diciannove distretti dell’area metropolitana di Bruxelles”.
Su La Repubblica ne scrive Carlo Bonini: “Pochi agenti e indagini sbagliate, la polizia belga messa sotto scacco”, “I due principali ricercati, Salah Abdelslam e Mohamed Abrini, non erano l’oggetto della nuova caccia. Di loro non si sa nulla”.
Il caso Regeni
Su La Repubblica, alle pagine 2 e 3, l’intervista di Mario Calabresi e Gianluca Di Feo al presidente egiziano Al Sisi: “Vi prometto la verità sulla morte di Regeni”, “Questa morte è uno shock anche per l’Egitto. Ciò che è accaduto è terribile e inaccettabile, sconvolge tutto il nostro popolo”, “Gli investigatori lavorano giorno e notte. E non si fermeranno finché non troveranno i colpevoli. Il loro team sarà presto in Italia”. Dice Al Sisi: “Sulla morte di Regeni ci sono molti interrogativi che dobbiamo porci: il primo è sulla tempistica, in particolare sulla scoperta del corpo. Perché è accaduta durante la visita di una delegazione italiani di imprenditori con il ministro dello Sviluppo economico, che erano al Cairo per rafforzare la nostra collaborazione? Perché è accaduto mentre le relazioni tra noi hanno raggiunto un livello senza precedenti dal punto di vista economico e politico? Un’altra domanda inevitabile è capire chi ha interesse a boicottare o bloccare l’ampia collaborazione tra Italia e Egitto sul fronte dell’energia e della sicurezza, in una fase di turbolenza di tutta la regione”. Insomma, per il presidente egiziano “l’obiettivo è colpire l’economia egiziana e isolare il Paese”. E “questa è una ritorsione per la grande guerra che l’Egitto sta conducendo contro le forze del terrorismo e dell’estremismo.
Il Corriere ha un “colloquio” di Fiorenza Sarzanini con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, di ritorno dal Cairo: “’Su Giulio sevizie anche peggiori. Adesso incontrerò i suoi genitori”, dice. “Abbiamo un impegno formale del procuratore generale sulla massima collaborazione per arrivare alla verità e questo, al momento, ci soddisfa. Vedremo nelle prossime settimane come si evolverà il lavoro comune, però una cosa deve essere chiara: noi forniremo tutto il supporto necessario, ma i titolari delle indagini sono i magistrati egiziani”. Il risultato principale della missione al Cairo è stato il fatto che si sia ottenuta “l’assicurazione che nessuna illazione venga fatta sulla figura dello studente, sulla sua rettitudine. Si è sgombrato il campo da tutte le falsità e i sospetti circolati sinora e questa è una buona base dalla quale ripartire”; “siamo convinti che quanto accertato dai medici legali italiani possa contribuire a stabilire cosa è accaduto, tenendo conto che le sevizie scoperte sono addirittura più gravi di quelle riscontrate durante il primo esame svolto in Egitto. E infatti lo stesso collega egiziano ha dovuto riconoscere come il delitto sia di una ferocia efferata”.
Su La Stampa: “Caso Regeni, falsa la pista della lite per strada al Cairo”, “Sostenuta dal procuratore, smentita dalle analisi sul pc del ricercatore”, “Nuovo tentativo di depistaggio. La indagini però mostrano però che Giulio il 24 gennaio era su Skype e Facebook”. Era stato il procuratore generale d’Egitto Nabil Sadeq, a comunicare al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, l’esistenza di un supertestimone che, lo scorso 24 gennaio, avrebbe visto Regeni litigare con uno straniero vicino al consolato italiano al Cairo. Ma non è vero -scrive Grazia Longo- perché dall’esame del pc del ricercatore risulta chiaramente che Regeni il 24 gennaio non uscì di casa, come dimostrano varie comunicazioni via Facebook, Skype e l’attività di ricerca e studio.
Primarie Usa
Su La Stampa: “Trump conquista la Florida, ma è battaglia negli altri Stati”, “Il senatore repubblicano Marco Rubio sconfitto in casa. Tra i democratici netto successo di Hillary su Sanders”. Ne scrive Paolo Mastrolilli.
La Repubblica: “Florida per Clinton. Trump batte Rubio che getta la spugna: ‘No alla paura’”, “I repubblicani scelgono il governatore Kasich in Ohio dove si impone Hillary”, “Obama in campo contro il tycoon di New York: ‘E’ una macchia per l’America’”. Ne scrive Federico Rampini da Miami.
Sulla stessa pagina, Anna Lombardi racconta un dibattito in una chiesa a Chicago. Protagonista il regista Spike Lee, che dice: “’Solo Sanders lotta per noi neri’”, “Ha gli stessi obiettivi di Martin Luther King”. E attacca i Clinton: “Bill è responsabile del più importante numero di arresti di qualsiasi altro presidente d’America”, che ha colpito in particolare gli afroamericani”
Il Corriere: “Trump vince, Rubio lascia. E Clinton vola”, scrive Giuseppe Sarcina da Miami. “Il magnate conquista la Florida, roccaforte del suo rivale repubblicano. Ma cede l’Ohio a Kasich. Inc casa democratica Hillary in vantaggio su Sanders nei cinque Stati dove si è votato per le primarie”. Alla pagina seguente: “Little Avana si divide a destra. Ma boccia il disgelo di Obama”, “I cubani di Miami restano repubblicani: ‘Non si tratta coi dittatori’”.
Su Il Messaggero un articolo di Anna Guaita da Cleveland, Ohio: “Ohio, lo Stato che indica la rotta”, “Da sedici anni chi vince qui diventa sempre presidente”. Ha votato per George Bush nel 2000 e nel 2004, per Obama nel 2008 e nel 2012.
Populismi, forze anti-sistema
Il Tempo intervista Marion le Pen, nipote di Marine e “star” del Front Nationale: “’Tifo per Salvini. Insieme cambieremo l’Europa’”. Che idea di Europa? “Un’Europa alternativa all’Unione europea, un’Europa delle Nazioni”. Le viene ricordato che dopo la strage del Bataclan aveva detto: “ci hanno venduto il paradiso multiculturale e ora ci svegliamo all’inferno”. Conferma: “La battaglia per l’identità sarà quella decisiva dei prossimi anni in gran parte dei Paesi europei”.
Su La Stampa intervista di Marco Zatterin a Nigel Farage, leader dell’Ukip e presidente del gruppo Efd al Parlamento europeo, in cui si trova anche il M5S: “’Addio destra e sinistra. Noi, i ribelli antisistema’”, “Il capo dell’inglese Ukip: rovesceremo i governi falliti. Il trionfo dell’Afd? Una scossa per la Germania’”, “Ciò che spaventa gli eurocrati è che se lOndra lascerà l’Ue e starà bene, altri popoli alzeranno la testa”, “Il fattore dominante per i partiti antisistema è il desiderio di autodeterminazione democratica”, “Beppe Grillo è una forza della natura. Abbiamo in comune la passione nel comunicare”.
Su La Stampa un’analisi di Giovanni Sabbatucci: “I populismi che minacciano la stabilità”. Crescono “un po’ dappertutto e mostrano insospettate capacità di tenuta. Li chiamiamo ‘partiti populisti’, ‘movimenti radicali’ o ‘forze antisistema’. Ma è inutile tentare di raccoglierli sotto un’unica definizione: fra loro hanno in comune solo la tendenza a contrapporsi alle tradizionali forze di governo (liberali, cattolici, socialdemocratici), a contestare in radice le regole e i principi ispiratori dell’integrazione europea, a cavalcare le reazioni di paura e di sconcerto suscitate dalle ristrettezze dei bilanci statali, dalla minaccia dell’islamismo radicale e dall’emergenza migranti. Non tutti questi movimenti possono, a rigore, essere classificati come ‘antisistema’, né, accetterebbero di definirsi tali. Se i greci di Alba dorata ostentano i loro simboli neonazisti, se gli ungheresi di Jobbik non si curano di nascondere il loro antisemitismo, il Front Nationale francese, sotto la guida di Marine Le Pen, è da tempo alla ricerca di una rispettabilità patriottica che lo allontani dalle sue radici fasciste. In Polonia e in Ugnheria le forze nazional-populiste sono saldamente al governo, occupando lo spazio altrove riservato ai partiti moderati. I gruppi che si caratterizzano soprattutto per le loro posizioni anti-Ue, come lo Ukip di Nigel Farage nel Regno Unito, l’AfD di Frauke Petry in Germania e gli stessi nazionalisti austriaci di Fpo, si dipingono come autentici liberali. In Olanda, il Partito della libertà di Geert Wilders sposa la polemica anti-islamica a posizioni libertarie in tema di diritti civili. Il quadro si complica ancora se ci spostiamo verso sinistra. In quest’area i partiti socialisti ‘ufficiali’ hanno sofferto più degli altri per l’erosione del welfare. Hanno dunque perso consensi a vantaggio di formazioni nuove (Podemos in Spagna, Cinque Stelle in Italia), o hanno dovuto cedere parte del loro elettorato a partiti più nettamente connotati a sinistra (in Grecia Syriza ha di fatto preso il posto del Pasok), o, come i laburisti di Jeremy Corbin, si sono spostati essi stessi su posizioni radicali”. Appare a rischio, secondo Sabbatucci, anche “la plurisecolare solidità del sistema statunitense: mai in passato due personaggi come Donald Trump e Bernie Sanders, populisti di opposto conio, avevano raccolto contemporaneamente tanti consensi nei rispettivi partiti”. La frammentazione prodotta “dall’affermarsi di nuovi movimenti per natura alieni dalla logica delle alleanze crea, nell’immediato, un grosso problema di governabilità”. Sabbatucci ne conclude che questa è una buona ragione per dotarsi di strumenti elettorali capaci di semplificare e stabilizzare il sistema delle forze in campo e, per quanto imperfetto, in Italia lo strumento adatto alla bisogna è l’Italicum.
Turchia, immigrazione
Sul Corriere alle pagine delle idee e commenti, un intervento di Ricardo Franco Levi sull’emergenza immigrazione: “Europa-Turchia, un accordo necessario con alcuni punti fermi”, “Il piano sui migranti elaborato dalla cancelliera Merkel è una prospettiva quasi indispensabile. Ma deve essere respinta l’idea di calpestare procedure e regole nel processo di adesione di Ankara nell’Ue”, “Sui principi (di legalità, democrazia, difesa della libertà di espressione) non si deve transigere e sarebbe sbagliato cambiare ora posizione”.
Meloni sì, Meloni no, Forza Italia e Lega
Il Giornale: “Il Cavaliere non cambia i piani, ‘Bertolaso è il candidato di tutti’”, “Il presidente azzurro tiene il punto. Fonti del partito: ‘Se Giorgia vuole schiantarsi sul Marco Aurelio facci apure’. Possibili ripercussioni nell’intesa con la Lega Nord”. Scrive Fabrizio De Feo che “Fratelli d’Italia e anche l’ala più dialogante della Lega continuano a proporre una soluzione che veda Bertolaso city-manager e capolista di Forza Italia accanto alla Meloni. Il diretto interessato non vuole prendere in considerazione questa ipotesi. ‘Non credo che la Meloni abbia bisogno di me per fare la campagna elettorale’, dice il candidato sindaco, ospite a Porta a Porta. Se la Meloni diventasse la candidata unitaria ‘ne prenderei atto. Abbiamo donne e bambini ai confini che soffrono, io sono sempre stato vicino ai più poveri, domani mattina prenderei un aereo, andrei ad aiutarli e sarei il medico più felice del mondo’”.
Il direttore Alessandro Sallusti scrive: “Siamo alla fine della storica coalizione che dal ’94 si contrappone, spesso con successo, alla sinistra? Siamo onesti, probabilmente sì. E’ un male assoluto? Altrettanto onestamente, probabilmente no”. E ricordando che il 50% degli italiani dichiara di non andare a votare perché scontento dell’offerta politica tanto a destra che a sinistra, sottolinea che “chi ha meno da perdere, paradossalmente, è proprio Forza Italia, oggi stimata al minimo -dal 12 al 145- della sua storia. Senza alleati scomodi e invadenti, senza dover ricorrere al compromesso infinito o rispondere di colpe non sue, in teoria dovrebbe risalire la china del consenso”.
Sul Corriere l’analisi di Massimo Franco su “le due destre destinate a un ruolo gregario” : e si sottolinea il paradosso per cui una frattura figlia del declino berlusconiani e del protagonismo lumbard si consuma nella Capitale e non in Lombardia.
Sulla stessa pagina, in un’intervista, il presidente leghista della Regione Lombardia, Roberto Maroni, dice che la scelta sul candidato sindaco a Roma andava lasciata a Berlusconi, ma “questa è una crisi romana, non nazionale” e “le battaglie non si vincono facendo la guerra agli alleati”.
Il “retroscena” di Francesco Verderami: “’L’ho pure fatta ministro’. L’amarezza del leader di FI e la corsa per la successione”. Alle pagine precedenti, in un altro “retroscena” di Paola Di Caro si dà conto del punto di vista di Giorgia Meloni e di Fdi: non si può accettare che Berlusconi “ci consideri qualcosa di suo, senza una nostra autonomia”, alla Lega “è stato concesso tutto”, a Fdi nulla (dice, per esempio, Ignazio La Russa).