Il Corriere della Sera. “Segnali di sfiducia dai mercati. Borse giù, Milano la peggiore per l’incertezza del voto. Giornata negativa nella Ue. La Banca centrale europea ha 103 miliardi di titoli italiani”. A centro pagina le notizie sull’alluvione a Catania, “la gente sui tetti, polemiche sul mancato allarme meteo”.
Il Sole 24 Ore: “Piazza Affari maglia nera: -3,13 per cento. Spread a 291. La Bce: nel 2011-2012 comprati 103 miliardi di titoli italiani (il 6 per cento del totale). Di spalla le elezioni: “Sul voto l’incognita della tenuta di Monti”, il titolo dell’analisi di Roberto D’Alimonte.
La Repubblica: “Napolitano: non farò il bis. Il presidente esclude la rielezione. La Corte dei conti: gli scandali della Lombardia peggio di Tangentopoli”. Di spalla prosegue l’inchiesta di Concita de Gregorio sul Vaticano e la Chiesa: “’Lobby gay nella Curia’, il Vaticano sotto shock. Spunta l’ipotesi di togliere il segreto al rapport prima del Conclave”. A centro pagina la notizia sull’andamento dei mercati finanziari: “Tremano le Borse, sale lo spread. Crisi, così la Bce salvò l’Italia”.
La Stampa: “Elezioni, il giorno delle piazze. Appello di Bersani agli elettori di destra”. “Stasera Grillo a Roma: saremo un milione. Firme false, Cremona indaga Albertini. Corte dei conti: Lombardia peggio di Tangentopoli”. E poi Napolitano, che dice “niente bis al Colle”. A centro pagina la “svolta” dei vescovi tedeschi: “Nei casi di stupro pillola del giorno dopo. Ma il farmaco non deve avere effetti abortivi”.
Secondo Libero “Grillo inciucia con Prodi. Lo ‘scouting del Pd nel Movimento 5 stelle è cominciato. Terreno per una prima possibile intesa, l’elezione del capo dello Stato. E Mortadella si è già incontrato in segreto con Casaleggio”.
Il Giornale si occupa di Grillo, Bersani, Monti e Giannino: “Il condonato, il bugiardo, il furbetto, il mitomane”. Di Grillo si ricorda che “fa il moralizzatore ma ha sanato i suoi guai”, di Bersani che “parla di code per l’Imu ma è una bufala”, Monti “tira in ballo la Merkel ma viene smentito”, e Giannino “Millanta titoli e dimissioni, ma è tutto falso”.
L’Unità: “Togliere il ticket è possibile”. “Polemiche dopo la proposta Pd di abolire i dieci euro aggiuntivi. Marino: ecco come faremo”.
Sondaggi
Sul Corriere della Sera Maria Teresa Meli scrive che “si fanno ma non si dicono, e si sfornano in continuazione” sondaggi (la cui diffusione è vietata nei quindici giorni precedenti il voto, ndr), e “raccontano tutti – punto in percentuale in più, punto in percentuale in meno – la stessa storia: il movimento 5 stelle si sarebbe piazzato al secondo posto, giusto dietro il Pd. E la forbice tra le due forze politiche sarebbe ampia. Ma a preoccupare il Pd ci sarebbero anche i sondaggi che riguardano Monti, poiché non è detto che il listone del premier riesca a guadagnare al Senato un numero adeguato di seggi. Il problema è che se Bersani non riuscirà ad ottenere una vittoria piena pure a Palazzo Madama, avrà bisogno come il pane di un gruppo di sostegno montiano: Scelta civica dovrebbe cioè ottenere almeno 15 o 20 senatori, quelli che, in caso di pareggio, servirebbero al Pd per consentirgli di metter in piedi un governo di centrosinistra.
Ma nelle ragioni chiave i montiani starebbero arrancando, senza riuscire a sottrarre voti consistenti al centrodestra.
Anche sul Sole 24 Ore Roberto D’Alimonte torna a ricordare che il prossimo governo del Paese dipenderà dal voto del Senato. In questo ramo del Parlamento, “può succedere di tutto: nel 2006 la Casa delle libertà arrivò prima su sette regioni su diciassette, e questo bastò per dare al Cavaliere 155 seggi contro i 154 dell’Unione di Prodi. La Casa delle libertà vinse infatti in Regioni “pesanti”: Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio, Puglia e Sicilia, oltre al Friuli Venezia Giulia. Secondo D’Alimonte se la lista del premier scende sotto l’8 per cento in alcune regioni al Senato, tutto può succedere. Oggi rispetto al 2006 la differenza la fanno Grillo e Monti. Basta che Bersani perda la Lombardia e si scenderebbe a 162, ovvero solo 4 seggi oltre la soglia di maggioranza. Se pure il centrosinistra vincesse la Lombardia, ma Berlusconi prevalesse in Veneto e Grillo (o lo stesso Berlusconi) in Sicilia, la coalizione di centrosinistra si fermerebbe comunque a 159 seggi. L’esito più probabile di queste elezioni è che il centrosinistra abbia bisogno di Monti per fare il governo.
Sicuramente, scrive D’Alimonte, Berlusconi non può ottenere la maggioranza assoluta dei seggi al Senato, visto che sicuramente il centrosinistra vincerà in Toscana, Emilia, Marche, Umbria e Basilicata.
Celentano per Grillo
Il Fatto quotidiano pubblica un articolo di Adriano Celentano titolato “E’ l’unica scelta per cambiare”. Celentano cita il proverbio secondo cui il popolo ha il governo che si merita, e si chiede quale sarà dunque il prossimo che ci meritiamo: “Mancano solo tre giorni al responso, e la sorpresa credo che sarà grande: nonostante la partitocrazia si affanni a divulgare che, quand’anche Grillo vincesse, non sarebbe in grado di governare perché non ha esperienza. Certo, questo è vero. Ma quelli che hanno esperienza fino ad ora dove ci hanno portato? Se è vero che invochiamo il cosiddetto CAMBIAMENTO, non abbiamo altra scelta. Dobbiamo votare per lui”. Poi sulla sfida della Regione Lombardia: “Anche Ambrosoli, che è un bravo avvocato, non ha esperienza di governo. Ma dobbiamo votare per lui se vogliamo che le cose cambino, perché lui è il nuovo”.
Grillo visto da sinistra
Scrive Libero che il principale sponsor della candidatura di Romano Prodi al Quirinale, ovvero il Pd, starebbe ragionando su una convergenza inedita per assicurargli l’ascensore con il Colle: quella con i parlamentari che saranno eletti con il Movimento di Beppe Grillo: “Lo stesso Prodi, che in pubblico si nasconde, in privato al Quirinale e all’appoggio dei grillini ci pensa ancora, tanto da averne discusso nei giorni scorsi con Gian Roberto Casaleggio, lo stratega del movimento, in un incontro che avrebbe dovuto rimanere segreto”.Secondo Libero il banco di prova dello scouting annunciato da Bersani nei confronti degli eletti grillini sarà proprio quello della creazione di una maggioranza variabile per eleggere il prossimo presidente della Repubblica facendo a meno dei voti del centrodestra.
Europa intervista il segretario Bersani e gli chiede conto dell’uso del termine ‘scouting’. E Bersani spiega che ha usato questa parola perché “non conosciamo l’attitudine di questo nuovo gruppo”, “io non vado a reclutare nessuno, voglio solo capire quale atteggiamento avranno, se si potrà ragionare su questa o quella riforma. Io non ho riserve mentali sul Movimento 5 Stelle, ne ho sull’eterodirezione e su un meccanismo che non assomiglia alla democrazia”.
Di Grillo parla anche Nichi Vendola, che ieri ha risposto ai lettori su Vine, il nuovo social media utilizzato da Unita.it in questa campagna elettorale. Il “populismo di Grillo” rappresenta “una spericolata costruzione di una retorica estrema e mescolata”, in cui si incontrano assolutamente contraddittori il catastrofismo ambientalista, le battute omofobe, il rimpianto di Berlusconi, le aperture a CasaPound, la maledizione delle banche e la difesa accanita del segreto bancario. E’ per molti versi qualcosa di comparabile con il Berlusconi degli esordi e anche con la Lega Nord, con alcuni elementi di novità. La Lega aveva il populismo della piazza, del popolo delle montagne e delle valli e la sua prorompente fisicità. Il Carroccio aveva convocato un popolo in una comunità di rancore. Berlusconi aveva invece immesso la sua straordinaria capacità di populismo televisivo inventando il sublime passaggio dalla propaganda alla pubblicità. Grillo è riuscito a mettere insieme questi due elementi più un terzo, internet e i social network. Perché lui è contemporaneamente la piazza fisica, la piazza televisiva – che domina come un re assoluto rendendo invasiva la sua assenza – e poi la rete. Da questo punto di vista emerge anche il carattere artificiale dell’opera di Antonio Ingroia nel tentativo di mettere in piedi con Rivoluzione civile qualcosa di simile attraverso la concreta negazione di ciò che dice. Ha messo ineieme quattro partitini per fare da competitor al partito di Grillo. Entrambi fanno parte del cantiere della demolizione attivo in questa campagna elettorale. Solo che da Rivoluzione civile ci si sarebbe aspettati un programma più coraggioso e di sinistra. Invece le proposte di Ingroia sulla giustizia sono al di fuori della Costituzione e financo di un moderno stato di diritto. A questi duri e puri vorrei ricordare che il garantismo è sempre stato una delle più belle bandiere della sinistra, e aver ceduto su questo punto è una delle ragioni della sconfitta subita finora”.
La Stampa intervista Antonio Ingroia, candidato premier, che dice: “Non mi sono dimesso né credo che mi debba dimettere dalla magistratura. Come un avvocato, un medico, un giornalista che dopo l’esperienza parlamentare tornano a fare il loro mestiere, così un magistrato deve poter rientrare in servizio, ma non nella Procura dove ha svolto indagini delicate. Teorizzo che occorrono professionisti prestati alla politica e oggi è ipocrita negare che ognuno abbia delle proprie idee. Il punto è che svolta il proprio mestiere senza essere fazioso, senza avere pregiudizi. O peggio”. Su Grillo, “è un’idrovora, risucchia tutto. Per la verità noi meno, ma Berlusconi e Lega si stanno prosciugando”. Il Movimento 5 Stelle “è un fenomeno interessante, intercetta la stanchezza verso la politica”.
Su La Repubblica segnaliamo due analisi del fenomeno Grillo: Adriano Sofri (“La corsa del Pd tra Pugaciov e pm” e Massimo Recalcati (“da Freud al Cavaliere il fantasma populista”).
Sofri ripercorre gli ultimi mesi della politica italiana. La candidatura Monti resuscita Berlusconi, che “annaspava” e Berlusconi si è precipitato a raccogliere l’insofferenza e l’esasperazione popolare verso il governo Monti, poiché non ha “il senso di responsabilità e delle convenienze che frena Bersani”. Il segretario Pd “oscilla a lungo tra la moderazione dialogante verso Monti e l’impegno a raddrizzare la rotta. Oltrettutto ha accanto a lui dirigenti che fanno della alleanza subalterna a Monti l’asse della politica futura del Pd”. Poi arriva la vicenda del Monte dei Paschi “vero tornante critico” della campagna. E non il Pd l’imputato, ma “un peculiare intreccio senese di correnti contrapposte dentro e fuori del Pd e della massoneria, spesso trasversali”. Nel giugno scorso il comune di Siena viene commissariato. Allorché la campagna di Bersani “prendeva respiro” e affrontava le cose essenziali, a cominciare dal lavoro e dai diritti, imperversava lo scandalo Mps. La differenza con Tangentopoli è che allora persone persuase di essere impunite paura e vergogna del carcere: “Vent’anni non sono bastati a riformare i costumi d’affare”, ma a cancellare la vergogna e la paura sì. La sarabanda di scandali sarebbe stata pane per i denti di Rivoluzione civile, “assembramento” di “pubblici ministeri e di partiti residui, per lo più autoritari, aspiranti a costruire ‘la vera sinistra’”. Ma per Sofri il voto a questa lista è non soltanto sprecato e vantaggioso per la peggior destra, ma mostra uno sconcertante elettoralismo. Neanche gli scandali o l’esasperazione sociale basteranno a gonfiare “le vele di una ‘estrema sinistra raffazzonata’, perché c’è Grillo”. D’altra parte, “tra uno che sullo stretto vuole fare il ponte e uno che l’attraversa a nuoto, è sciocco meravigliarsi che la gente applauda il secondo”. Fa sorridere che lo si chiami comico, Grillo è “un attore che si identifica con il suo personaggio e non gli mette limiti. Da molti anni recita la parte del capo che riscatta un popolo”. Ma “un attore che si identifica pienamente e a lungo con il proprio ruolo fuori dalla scena diventa qualcosa d’altro: un impostore”. Per Sofri la storia di Grillo è scritta ne “La figlia del capitano” di Puskin: “c’è un brigante, Pugaciov, che dice di essere lo zar Pietro III e si mette alla testa di una rivolta gigantesca. Dopo la caduta, in ceppi, prima di essere giustiziato, a chi gli chiede pietosamente che cosa l’abbia spinto a quella pazzia, risponde fiero: io un giorno sono stato zar. Succederà così anche a Grillo”. La conclusione è per Bersani e il Pd: traggano la lezione, le primarie e il loro rinnovamento non sono affatto un confine oltrepassato dal vecchio al nuovo, “il rinnovamento è un processo senza fine”.
Grillo visto dal centro
Sul Movimento 5 Stelle il Corriere della Sera si sofferma sulla “paura” che affiorerebbe in Monti: “Grillo esprime le preoccupazioni che io esprimo”, ha detto ieri il premier a Porta a Porta. “Io sono così insoddisfatto della politica bipolare e tradizionale quanto le piazze di Grillo. La differenza è che lì c’è la protesta come da noi, ma stento a vedere la proposta che possa migliorare l’Italia. Le persone che votano Grillo e voterebbero sì a un referendum sull’uscita dell’Italia dall’euro poi dovrebbero riempire delle piazze ancora più grandi per protestare contro lo stato catastrofico in cui l’Italia entrerebbe. Ci vogliono proteste ma anche proposte”.
Grillo visto dal centrodestra
La Stampa parla di “crisi della Lega in Veneto, perché risulta indigesta agli elettori l’alleanza con Berlusconi, e Grillo starebbe facendo razzia dei delusi. Ci si occupa del
sindaco di Verona e segretario della Lega Veneta Flavio Tosi, delle sue preoccupazioni relative alla ipotesi che Grillo si sia impossessato già del “bottino” e si riferiscono le sue parole sul segretario Maroni: deve certamente rimanere segretario della Lega Nord, perché un nuovo congresso porterebbe a galla le tensioni, ma, con l’alleanza Pdl, è vero che Maroni può vincere in Lombardia, “altrove, come qui in Veneto, la metà dei nostri elettori non l’hanno mandata giù”.
La Repubblica intervista il sindaco di Verona Flavio Tosi, che parla della Lega, che dovrebbe diventare “un contenitore che aggrega chi la pensa in modo simile su cose che riteniamo fondamentali per uscire dalla crisi”. Il Carroccio “deve evolvere. Se a Verona mi fossi presentato solo con l’appoggio del mio partito non sarei mai diventato sindaco”. La nuova Lega tresca con la vecchia Dc? “Sono segretario del Veneto, è normale che intrattenga rapporti con altre forze politiche. Sì, ho incontrato Gianni Fontana, che è veronese come me. E penso che la politica della Dc prima dello sfascio di Tangentopoli abbia fatto del bene al Veneto e all’Italia intera”. Sulle prossime elezioni: “Abbiamo puntato tutto sulla Lombardia”; l’alleanza con il Pdl: “Non è stato facile spiegare agli elettori che ci presentavamo ancora con chi aveva tradito sostenendo Monti. Poi ha prevalso la strategia politica, e devo dire che Berlusconi si sta battendo come un leone”. Sull’Imu: “Non so quanto sarà in grado di rispettare certe promesse. La vedo dura andare in Europa e dire che restituiremo le tasse messe l’anno scorso”.
Su Libero le pagine 2 e 3 si occupano della ascesa di Grillo, con “avviso ai delusi di Pdl e Lega” firmato da Renato Besana: “Chi è di destra non può votare Beppe, optare per il comico non significa spedire in Parlamento lui ma una sfilza di autonomi e noTav”. Sulla pagina di fianco si scrive che il Cavaliere lancia “l’operazione 5 Stelle”, per bloccare la fuga di consensi “verso i ‘blach bloc grillini”. Si racconta dunque il livello di allarme su Grillo che si è innalzato in tutti i partiti, “a iniziare da quello di Berlusconi”. “Urge appello estremo e convincente al voto utile: Berlusconi è alla ricerca delle parole giuste”. Parole che sarebbero in una analogia storica che dalla ‘war room’ di Palazzo Grazioli spiegano così: “C’è un parallelo storico evidente con il 48. Anche allora c’era la possibilità di fare una scelta di protesta. Votare Guglielmo Gianni, il fronte dell’Uomo qualunque, che insieme ai liberali e al partitino di Nitti comprendeva il Blocco nazionale. Se molti moderati lo avessero fatto avrebbe vinto il Fronte popolare egemonizzato dal Pci. E saremmo finiti nella parte non libera del mondo. Insomma, “voti Grillo, ma stai levando un voto ai moderati”, “e una minoranza proveniente dal vecchio Pci aspetta solo questo per prendersi il Paese”.
E poi
I quotidiani continuano ad occuparsi del prossimo Conclave, su cui, secondo La Stampa, incombe come una mannaia l’incognita della relazione cardinalizia sugli scandali sessuali e finanziari in Curia. Prima di lasciare il Vaticano, Benedetto XVI potrebbe togliere il segreto alla relazione di tre saggi su Vatileaks, in modo che i Cardinali elettori ne prendano visione alle Congregazioni Generali, che inizieranno il primo marzo, con la sede vacante. I tre “commissari” (cioè i porporati ultra ottantenni Julian Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi saranno ricevuti dal Papa prima di giovedì 28 (il giorno in cui Benedetto XVI lascerà il pontificato) come ha lasciato intendere ieri mattina il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. La loro relazione – scrive La Stampa – certifica quella “sporcizia” che Ratzinger aveva indicato nella famosa relazione del venerdì santo del 2005, che si annida anche nella Curia romana, come dimostra il furto delle carte private nell’appartamento papale.
Su La Repubblica segnaliamo un reportage di Bernardo Valli dall’Egitto, per raccontare “il sogno tradito dei figli di piazza Tahrir”. “Chi cavalca la rivoluzione, almeno per ora, è la grande forza di destra del mondo arabo: una forza dominante, clericale, reazionaria e liberista: quella dei Fratelli Musulmani”, scrive Valli. “A favorirla, nella conquista del potere, è stato il movimento insurrezionale di piazza Tahrir, democratico e per sua natura progressista”. “Le speranze dei laici sono oggi riposte anche nell’esercito, che pure a lungo è stato considerato un nemico”.
Secondo Il Fatto Obama ha chiesto la grazia per i 23 agenti americani condannati in via definitiva per il sequestro di Abu Omar. E Napolitano, stretto tra la richiesta americana, la scadenza del suo mandato, le problematiche politiche di un simile gesto, le azioni legali pendenti davanti alla Cassazione e alla Consulta, sta meditando sul da farsi. Il prossimo capo di Stato potrebbe essere Romano Prodi, che già una volta oppose il segreto di Stato, ma potrebbe essere anche un personaggio ostile, magari eletto con i voti di Sel e di Grillo. Il Fatto riferisce che il portavoce del Quirinale Cascella ha confermato che la richiesta da parte Usa è stata avanzata, e ricorda anche le parole che Napolitano dedicò alla questione, sollecitato dai giornalisti, allorché disse che era stato sollevato un conflitto di attribuzione contro l’interpretazione che la Cassazione ha dato della sentenza della Consulta sul segreto di Stato. Tradotto, secondo Il Fatto: alla richiesta di grazia di Obama Napolitano ha risposto chiedendo agli Usa di aspettare la decisione della Corte Costituzionale che potrebbe annullare la sentenza di condanna risolvendo il conflitto di attribuzione in un senso favorevole al presidente del consiglio Monti, dando torto ai giudici. L’annullamento permetterebbe alla Cassazione di emettere una nuova sentenza di annullamento della condanna. Il Fatto interpella Matilde Sanzalone, avvocato difensore di due dei tre imputati Usa condannati: “Non so nulla di una richiesta di grazia che potrebbe peraltro esser presentata solo dopo che una sentenza è divenuta defintiva, cosa che per ora riguarda solo sei dei miei assistiti del processo in Cassazione. Non ho ricevuto una telefonata dall’Ambasciata americana né dai miei assistiti, anche se va detto che non necessariamente la richiesta di grazia deve passare dal legale”.