Lavoro, il governo pone la fiducia

La Repubblica: “La sfida del governo, ‘Fiducia sul Jobs Act’. Scatta la rivolta nel Pd”, “La minoranza: ‘Conseguenze politiche’. Rischio scissione”, “Renzi vede sindacati e imprese. Camusso: dialogo impossibile”.
In evidenza, con foto: “Ora Ebola fa paura all’Europa. Infermiera contagiata a Madrid”, “È il primo caso, 30 sotto controllo”.
In taglio basso, il richiamo al colloquio con Vincenzo Armanna, ex dirigente Eni: “’Descalzi agli ordini dei nigeriani’”, “Eni, parla il grande accusatore: cinquanta milioni di tangenti”.
E la foto sull’avanzata dell’Is: “La bandiera nera dell’Is sulla roccaforte dei curdi”, “La battaglia di Kobane”.

La Stampa: “Lavoro, il giorno della verità”, “Il governo mette la fiducia, e alle 8 Renzi vede i sindacati: collaborate”, “La minoranza Pd in rivolta: la legge così non va. Novità sul demansionamento: resta, ma a parità di salario”.
A centro pagina, con foto dei coniugi norvegesi Moser: “Medicina, un Nobel per marito e moglie”, “Premiati O’Keeff e i coniugi Moser: hanno scoperto le cellule del cervello che ci fanno muovere nello spazio”.
Sotto la testata:”Ebola, primo caso in Europa: infermiera contagiata a Madrid”.
E le bandiere nere a Kobane: “Isis avanza: caduta la città al confine con l’Occidente”, “Bandiere nere a Kobani, vicino alla Turchia”.

Il Corriere della Sera: “‘Noi vescovi siamo qui per cambiare’. Inaugurato il Sinodo. Il Papa: parlate chiaro. Apertura del relatore ai divorziati risposati”. “La Chiesa. Il Segretario speciale monsignor Forte: la dottrina non deve essere una clava che giudica. Il peso dei tradizionalisti”.
In alto: “Lavoro, il governo chiede la fiducia. Renzi: dal 2015 tassa unica sulla casa”.
A centro pagina: “È una infermiera la prima contagiata di Ebola in Europa”. “Madrid: ha curato un missionario”.
A fondo pagina le polemiche sulla partita di calcio Juventus Roma, dopo che ieri la consorte di Andrea Agnelli ha risposto all’ira di Totti.

Il Sole 24 Ore: “Voto di fiducia sul Jobs Act. Modifiche, ma non sull’articolo 18. Un maxiemendamento su ammortizzatori e mansioni. La minoranza Pd attacca. Oggi l’incontro a Palazzo Chigi con le parti sociali”. Il quotidiano offre anche una intervista con l’Ad di una multinazionale, la Novartis, che dice che la sua azienda è pronta ad investire in Italia “ma servono regole certe”.
Di spalla: “Francia e Ue allo scontro sul bilancio anti-rigore. Bruxelles minaccia azioni contro Parigi”. “Atene cresce e taglia il fisco”.
A centro pagina: “Aumenta il gettito di Iva e rendite. Tengono le entrate fiscali nei primi otto mesi dell’anno (-0.4 per cento)

Il Fatto: “Fiducia sull’articolo 18. Renzi distrugge la sinistra”, “Annuncio del governo per ottenere lo scalpo del Jobs Act prima del vertice con la Merkel. La minoranza Pd ‘in rivolta’: ma voterà sì. Stamattina il premier vede i sindacati, ma si concede solo dalle 8 alle 9. Camusso: ‘Un’ora sola ti vorrei’”.
In taglio basso, sul “pm del caso Mori”: “Scarpinato, manomessa la videosorveglianza”, “Rafforzate le misure di sicurezza per il magistrato. Nel suo ufficio era già stata lasciata una lettera intimidatoria e sulla porta di fronte allo studio era apparsa la scritta ‘attento’”.

Il Giornale: “Essere figlio di Berlusconi non costituisce reato. I giudici smontano il teorema dei Pm che volevano condannare Pier Silvio”. Il riferimento è alla sentenza del processo Mediaset.
L’apertura è per il voto in Parlamento: “Lavoro, Renzi mette la fiducia. Minoranza Pd in fibrillazione. Partite Iva, ennesima stangata”.
A centro pagina, con foto: “La pizza tossica e il terrorismo indigesto della Gabanelli”, a commento dello “scoop sui forni a legna” della trasmissione di Rai Tre.
E poi il quotidiano si sofferma su quelli che sarebbero i primi effetti in Italia delle sanzioni alla Russia: “Sanzioni, ecco i primi licenziamenti. L’imprenditore tessile Marani: a casa cinquanta persone per colpa del governo”.

Jobs Act, fiducia, Pd, governo

La Stampa titola: “Oltre all’articolo 18 cambieranno anche mansioni e numero di contratti”. Il quotidiano scrive che il governo ha lavorato fino a tarda notte sui nuovi testi del Jobs Act, con un emendamento che sarà presentato oggi in Senato in vista del voto di fiducia: in questo modo intende metter mano ad altri due punti molto delicati della riforma del lavoro, ovvero la questione dei possibili demansionamenti e la semplificazione dei modelli contrattuali. Raccogliendo così una parte delle sollecitazioni arrivate dalla minoranza del Pd. Sui licenziamenti si parte disciplinando meglio quelli economici e sostituendo l’incertezza del procedimento giudiziario con l’indennizzo monetario. Viene quindi abolita la possibilità di reintegro, che rimarrà per i licenziamenti discriminatori e disciplinari. La cosiddetta ‘tipizzazione’ delle varie cause di licenziamento, che si vuole molto ristretta per ridurre al minimo il potere discrezionale dei giudici del lavoro, sarà però fissata nei dettagli con uno dei tanti decreti attuativi che il governo dovrà varare una volta approvata la delega. A cambiare in modo significativo sarà anche il passaggio sui cosiddetti “demansionamenti”, che nell’attuale versione risulta indigesta e sinistra Pd e Cgil verrà esplicitato che la revisione della disciplina delle mansioni avverrà a salario invariato, in modo da impedire che si trasformi in un espediente utile solo a tagliare i salari. Cruciale è l’articolo 4, che introduce il contratto a tutele crescenti: l’idea è quella di rendere contestuali contratto unico e nuovi ammortizzatori. Visto che il nodo, almeno per il primo anno, resta il reperimento delle risorse per consentire il decollo di una vero meccanismo di flexsecurity in stile danese, se non ci saranno a disposizione nuovi fondi, i contratto a tutele crescenti che permette licenziamenti ‘liberi’ con un indennizzo crescente negli anni di servizio, nei primi tre anni non potrà essere introdotto.

La Repubblica: “Renzi blinda con la fiducia le modifiche all’articolo 18. ‘Casa, tassa unica nel 2015’”, “Nell’emendamento sul lavoro niente reintegro per i casi disciplinari”. Poi si riferisce delle reazioni in casa Pd e del “braccio di ferro” interno al partito. Stefano Fassina, in un tweet, “minaccia”: “se la delega resta in bianco è invotabile e ci saranno conseguenze politiche”; Gianni Cuperlo si appella al presidente del Consiglio per ché eviti la fiducia: Pippo Civati la ritiene un segnale di “profonda rottura”, Miguel Gotor la considera un “cedimento” al Nuovo Centro Destra. Torna a circolare “lo spettro di una scissione”, anche se “nessun esponente del Pd, in pubblico, lo ammette”. Il “retroscena” di Goffredo De Marchis riferisce di quanto sarebbe avvenuto ieri nel corso del Consiglio dei ministri che ha autorizzato la fiducia. A muovere Renzi in questa direzione sarebbero stati la paura dei franchi tiratori e la necessità di un’approvazione in tempi rapidi: “il mio obiettivo – avrebbe spiegato – è dare un senso unitario alla riforma, senza troppi strappi. Con i voti segreti e la battaglia sugli emendamenti questo obiettivo non sarebbe possibile. È un messaggio fondamentale non solo per l’Europa. Gli italiani devono capire dove vogliamo andare”.

Su La Stampa Marcello Sorgi collega invece questa decisione anche alla situazione di un centrodestra “fuori controllo”: il quadro politico della “doppia maggioranza”, ovvero senza e con Berlusconi, sul quale il governo aveva costruito fin qui il proprio equilibrio, si è dissolto. Il centrodestra andrà alle regionali senza aver trovato un accordo, Forza Italia è in crisi e neppure l’ex-Cavaliere è in grado di garantire l’appoggio dei gruppi parlamentari alle sue scelte: “la decisione di Renzi di porre la fiducia per serrare le fila della sua maggioranza e ottener un rapido sì del senato al Jobs Act nasce di qui”.

Il Fatto: “Il pugno di Renzi sul Senato”, “Domani voto di fiducia sul Jobs Act: il governo ha fretta e rifiuta il dialogo col Parlamento”. Per il quotidiano è “lo scalpo da offrire a Bruxelles”. Il quotidiano sottolinea come il governo debba affrontare un mese difficilissimo: dovrà infatti “duellare con la Commissione europea sui numeri della Legge di Stabilità”. A Bruxelles nessuno crede più alle promesse, dunque Renzi ha bisogno di un voto parlamentare: “il passo successivo è cercare di ottenere che alcune spese legate alla riforma -quella più rilevante è l’adeguamento degli ammortizzatori sociali- non concorrano al calcolo del deficit per i parametri europei: quello nel 2014 è già previsto al 3 per cento, ogni spesa extra farebbe scattare la procedura d’infrazione. A meno che non venga concessa una deroga”. Il presidente del Consiglio ha quindi insistito moltissimo per la convocazione del vertice europeo sul lavoro di domani a Milano: un vertice inutile, che non produrrà documenti, ma che costringerà i capi di governo europei ad applaudire le riforme renziane, dando al governo italiano più forza negoziale a Bruxelles. E per certi aspetti “il momento è favorevole”: la Francia ha annunciato che non ha intenzione di ridurre drasticamente il deficit, la Germania ha visto crollare ad agosto gli ordini del settore manifatturiero del 5,7 per cento rispetto a luglio.
Per quel che riguarda il Pd, secondo Il Fatto “la minoranza ribelle mugugna ma si arrende”: i bersaniani sono “irritati dalla scelta di chiudere il dibattito, però cedono: ‘Certo che votiamo, altrimenti arriva il soccorso di Forza Italia”.
La Repubblica intervista il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e riassume così il contenuto delle sue dichiarazioni: “Difendo i diritti, ma ai sindacati dico non potete perdere la fiducia della gente”, “sento il dovere di contrastare difese corporative e veri e propri privilegi”. Leggendo l’intervista, si legge che, per quel che riguarda l’articolo 18, Pisapia considera la proposta di riforma “uno scalpo che il centrodestra vuole per dimostrare che ha sconfitto un simbolo. Ma non è un simbolo, è una tutela doverosa in uno stato di diritto, peraltro molto ridimensionata rispetto al passato visto che riguarda solo i licenziamenti discriminatori, ingiusti e ingiustificati. Renzi dice che non è un problema e che quindi si può cambiare. Se non è un problema, perché cambiare?”.

Sul Corriere Maria Teresa Meli cita Matteo Renzi, che dice di non vedere “problemi” nel Pd. “La fiducia passerà”, dicono tutti, compreso Cesare Damiano, perché “la fiducia è una fiducia multiuso”, diretta sia all’esterno, per far capire che l’Italia può fare le riforme, che all’interno, cioè al Pd. “Persino Corradino Mineo non vede praticabile la scissione”, si legge nell’articolo dedicato al Pd. “Eppure il malumore nel partito è tangibile”, e la “minoranza dura e pura” di Fassina e Cuperlo, che ha perso pezzi, ha comunque vinto le primarie in Calabria contro il candidato di Renzi. Secondo il retroscena ci sarebbero due battaglie: una interna alla minoranza e una interna alla maggioranza. Il 20 ottobre, in Direzione Pd, si parlerà di forma partito, dopo il dibattito sulle tessere e i tesserati.
Sulle primarie calabresi un altro articolo del quotidiano milanese: “La vecchia guardia Pd si vendica. Battuti i veti di Roma”.
Sullo stesso quotidiano Massimo Franco (“Uno scontro a sinistra forse non cercato ma inevitabile” scrive che la decisione di Renzi di porre la fiducia pone il premier “in rotta di collisione” con un “pezzo del suo stesso partito”, ma cita anche le dichiarazioni di domenica scorsa del renziano Matteo Richetti, che “ha mostrato qualche perplessità sul modo in cui il premier lancia alcune delle sue proposte”, come ha fatto per il tfr. Una “estemporaneità che semina disorientamento e rischia di approdare ad un nulla di fatto”.

Stefano Folli sul Sole 24 Ore scrive che “chiedere la fiducia al Parlamento su una legge delega non è affare di tutti i giorni”, e anzi che si potrebbe senz’altro definire la mossa del premier “una forzatura”. Dunque la battaglia nel Pd si concluderà con “l’umiliazione della sinistra del partito, che è stata prima contenuta e poi disgregata”, e probabilmente oggi “Susanna Camusso seguirà la sorte del Pd anti-renziano e sarà indotta ad accettare una decisione governativa che vorrebbe contrastare senza però averne più la forza”. Dunque il premier si presenterà a Milano al vertice Ue “non proprio a mani vuote”. E anche se non dovessero esserci conseguenze positive immediate sull’economia, “il valore politico e mediatico dell’operazione è ben chiaro al presidente del Consiglio che saprà sfruttarlo a dovere, a cominciare dall’incontro europeo di Milano”. Un appuntamento che però non ha “l’ufficialità” di un vero vertice Ue, e ci si arriva con Francia e Germania che – come l’Italia – sembrano parte di un club “di chi pensa prima alle elezioni è solo dopo al futuro dell’Europa unita”.
Da segnalare ancora sul Sole 24 Ore una indagine che rileva come ci sia un “boom di consensi” per il Pd di Renzi tra le piccole e medie imprese.

Quanto a Forza Italia, Il Giornale scrive che gli azzurri sono “sulle barricate”, non apprezzano la fiducia su un “testo confuso” e “generico”. Per questo Berlusconi avrebbe dettato la “linea dura”. E Gasparri “punta il dito contro un Renzi che ‘concepisce la politica come un’immensa recita da mandare in onda sui palcoscenici più visibili'”. “‘Il vertice europeo è di fatto privo di contenuti e lo si vorrebbe riempire a colpi di voti di fiducia in materia di lavoro per dare la sensazione ai leader europei che in Italia qualcosa si sta muovendo'”, dice Gasparri citato dal quotidiano milanese.

Sul Corriere: “La doppia strategia di Berlusconi. L’ex premier non intende sostenere le mire sul lavoro: creano più problemi che altro. Ma per evitare la crisi e le urne i forzisti sono pronti ad assenze decisive in Senato”.

Sul Sole 24 Ore Franco Debenedetti (“La vera riforma dell’articolo 18”) scrive che l’unica riforma che non si riduce ad essere l’ennesimo scontro all’interno della sinistra è sancire che in caso di licenziamento ingiustificato per motivi disciplinari il datore di lavoro possa – in luogo del reintegro – procedere con un indennizzo quantificato ex ante. E la riforma deve valere per tutti, i nuovi lavoratori e quelli attualmente occupati.

Finanziaria, italiana e francese

Sul Corriere si dà conto delle “buone notizie dalle entrate fiscali (l’Iva cresce del 3,2% pari a oltre 2 miliardi nei primi 8 mesi di quest’anno)”, e scrive che ieri è stata una “giornata frenetica di contatti e riunioni a Palazzo Chigi per mettere a punto gli ultimi dettagli della legge di stabilità, da approvare in Consiglio dei ministri entro il 15 ottobre. Ne hanno discusso il premier, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il commissario per la spending review , Carlo Cottarelli”. L’obiettivo della manovra “da 24 miliardi, la crescita, l’occupazione e i consumi. Come previsto nel Def 11,5 miliardi non andranno coperti, alimentando il deficit, ma senza superare il 3% del Pil. Il resto verrà dai tagli ai ministeri e da altri tagli di spesa. Non ci saranno nuove tasse, assicura il governo. Per il bonus fiscale all’esecutivo servono 7 miliardi. Altri due saranno necessari nel capitolo di sgravi alle imprese sul costo del lavoro, ma si sta verificando anche l’ipotesi di ridurre l’Irap. È rimasta in piedi l’ipotesi di un aumento selettivo dell’Iva, al di là delle clausole di salvaguardia: questa mossa sarebbe favorita dal periodo di deflazione. Previsto un miliardo per i Comuni in deroga ai vincoli del patto di stabilità per stimolare gli investimenti”. Secondo il quotidiano il governo punterebbe inoltre alla “razionalizzazione” e dunque ad agevolare aggregazioni fra le utility . Altri importanti risparmi verranno con le nuove misure previste per l’acquisto di beni e servizi nella Pa attraverso le centrali uniche. Un altro miliardo andrà alla scuola. Secondo i calcoli del ministero dell’Economia è inoltre necessario un miliardo e mezzo per i nuovi ammortizzatori sociali. Da non sottovalutare le spese indifferibili: missioni di pace, 5 per mille, fondi per Anas, Ferrovie (stimati in 2-3 miliardi). C’è l’ipotesi di intervenire di nuovo sull’Imu per ripristinare le detrazioni fisse anche per i figli: questo intervento potrebbe costare 1-2 miliardi”.
Lo stesso quotidiano, in una corrispondenza da Bruxelles, scrive che il bilancio della Francia va verso una bocciatura da parte della Commissione Europea: “Il ‘no’ della Commissione aprirebbe la strada alle sanzioni. Valls ottimista: convinceremo Bruxelles”. La Francia, si ricorda, si era impegnato a scendere sotto il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil, ed ha invece annunciato che nel 2014 tale rapporto sarà al 4,4 per cento. Commissione e governo francese hanno per ora smentito che sia imminente una bocciatura, perché al 15 ottobre mancano ancora 8 giorni e poi la Commissione ha tempo fino al 30 novembre per un giudizio (un eventuale giudizio negativo però arriverebbe sicuramente prima). Ma se il piano francese venisse bocciato tra i Paesi europei si aprirebbe una spaccatura, e ci sarebbero conseguenze anche per l’Italia – che è messa meglio con il rapporto deficit-Pil ma molto peggio per il suo debito pubblico “da guerre stellari”.

La Chiesa si rinnova

Il Corriere, nel raccontare il Sinodo sulla famiglia, scrive che “c’è grande attesa, soprattutto in tema di ‘situazioni difficili'”, ovvero divorziati risposati ma anche coppie di fatto. Di certo ci si aspetta un rinnovamento, anche se il Papa ha detto che non occorre aspettarsi risposte definitive in questa settimana, “visto che ci sarà un secondo Sinodo tra un anno” e nel frattempo “verranno consultati i fedeli”. Bruno Forte, segretario speciale dell’Assemblea, ha tuttavia detto: “Se dovessimo ripetere quel chesi è sempre detto non servirebbe fare un Sinodo”.
Sullo stesso quotidiano una intervista a Velasio De Paolis, canonista vaticano, uno dei cinque porporati che alla vigilia del Sinodo hanno firmato un libro contrario alle aperture a divorziati e risposati prospettate dal cardinale Kasper nella relazione introduttiva che gli ha affidato Papa Francesco. Il testo – spiega De Paolis – risale per la verità a tre anni fa, che dunque nega il “complotto” contro il Papa. Dice che è ovvio che i risposati appartengano alla Chiesa, “nessuno ha mai detto il contrario”. Per avere la comunione “una persona non deve avere gravi peccati” e “deve prima pentirsi, confessarsi”, e se una persona vive permanentemente con una persona che non è il coniuge “l’impedimento è permanente”. Il titolo: “Ma la convivenza è un peccato che impedisce di avere la comunione”.

Il Foglio, con Giuliano Ferrara, scrive che “il pastore dell’essere deve nutrire di spirito l’ascolto sinodale. Ma il facilismo è ambiguo, diffidare dell’intelligenza è ambiguo”. L’articolo è dedicato ai “rischi del Vaticano III”.

Eni

Due intere pagine de La Repubblica sono dedicate all’inchiesta Eni: l’attuale amministratore Claudio Descalzi è sotto accusa per una presunta tangente da 200 milioni di dollari pagata dall’Eni per il giacimento nigeriano Opl-245 nel 2011, l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni è indagato in due inchieste per corruzione (una tangente pagata al governo algerino per favorire Saipem). Parla con il quotidiano “il grande accusatore Eni” Vincenzo Armanna, ex manager della società: “’Il rais nigeriano mi disse: Descalzi è ai miei ordini’”, “Maxitangente sui pozzi, parla il manager che gestì l’affare: ‘In Italia imposero il mediatore, 50 milioni tornarono in mazzette’”, “l’intermediario era legato a Scaroni tramite un legale vicino al finanziere Micheli. Ad Abuja si diceva che i soldi erano per Paolo”. “In Eni – dice – hanno tentato e stanno tentando di distruggere la mia reputazione, la mia storia professionale”. Il 30 luglio scorso, accompagnato dal proprio avvocato, si è recato spontaneamente al Palazzo di giustizia di Milano e per 11 ore ha risposto alle domande dei pm.

Internazionale

Sul Corriere l’inviato al confine turco-siriano Lorenzo Cremonesi scrive della “bandiera Isis al confine turco”, alla periferia di Kobane, assediata dai miliziani islamisti, e “la resistenza curda comincia a cedere”. I miliziani hanno issato la loro bandiera nera su un palazzo di quattro piani alle pendici di Mishtaur. I curdi, che ribadiscono che non lasceranno la difesa i Kobane, al contrario di quel che fece l’esercito iracheno, dicono che i jihadisti sono almeno 10 mila. Per gli eventuali bombardamenti dal cielo – che finora non hanno prodotto risultati – il problema – scrive il quotidiano – è che i curdi siriani non hanno alcun coordinamento con gli americani, e dunque non forniscono le coordinate sui punti da bombardare.

Sul Sole: “Non bastano i raid a fermare il Califfato”, specialmente nell’Iraq occidentale e nel nord della Siria. Il quotidiano cita David Richards, ex capo di Stato maggiore britannico, che ha definito “senza senso” la scelta di chi ha inviato i Tornado in Iraq senza prevedere una “complementare strategia di terra”. La mancanza di informazioni per poter sapere dove bombardare è “paradossale”, scrive il quotidiano, se si considera che la Cia è presente con un “gran numero di personale” a Baghdad ed Erbil, e se si considera che in Siria da tre anni è attiva a fianco degli insorti.

Su La Repubblica: “Bandiera nera su Kobane, i miliziani dell’Is piegano i peshmerga”, “Gli estremisti vicine al cuore della città simbolo., Disperata la resistenza: armi anche alle anziane”. E il quotidiano intervista lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, che dice: “Usare la forza non basta per battere quest’esercito di fanatici”, “è necessario un governo multietnico in Iraq che abbia la fiducia delle diverse comunità”, “e una cosa molto interessante è che ci sono Paesi sunniti che si stanno unendo alla battaglia contro lo Stato islamico. Se si riesce a dimostrare che non sono rappresentanti dei sunniti nella regione, può essere l’embrione di una soluzione non militare. Però è necessario contenerli militarmente, perché questo è quello che sono, un esercito. Un esercito di invasione”.

E poi

Tanto La Stampa che La Repubblica intervistano il sindaco di Parma Pizzarotti. La Repubblica: “Pizzarotti, sfida a Grillo: ‘Ormai la leadership è diventata un problema’”. La Stampa: “’Ci serve un leader candidabile’. Pizzarotti sfida Di Maio per il dopo Grillo”, “Il sindaco: ‘Luigi è competente, ma non basta. Dobbiamo dialogare’”.

Sul Corriere Luca Mastrantonio scrive della diffusione delle teorie cospirazioniste, e si sofferma sul “pensiero” di Naomi Wolf, scrittrice americana, già intellettuale organica ai Democratici Usa, che sulla sua pagina Facebook ha prima accusato il governo Usa e giornali come il New York Times per aver voluto “spacciare per veri i video con cui i terroristi dell’Isis giustiziano gli ostaggi”. “In assenza di ulteriori conferme si tratta – lascia intendere – di falsi”. E poi il referendum scozzese, il cui esito sarebbe stato truccato. E ancora Ebola: secondo la Wolf le truppe americane mandate in Liberia sarebbero state mandate lì non per contrastare l’epidemia ma per militarizzare il Paese e l’Africa, e forse per venire contagiate e diffondere così il virus anche negli Usa.
Sul Sole 24 Ore spazio per la “promozione” di Federica Mogherini come Miss Pesc, dopo l’audizione al Parlamento Europeo. Beda Romano scrive che “Mogherini convince l’Europarlamento”. Sulla Russia – che era punto su cui era stata criticata da alcuni Paesi Ue – la Mogherini ha detto che l’Ue dovrà nei prossimi anni “rivedere profondamente” le relazioni con Mosca. Oggi – dopo la crisi Ucraina – la Russia “non è un partner” ma rimane “un Paese strategico nel mondo e un nostro grande vicino”. Mogherini ha promesso un approccio con un “mix di assertività e diplomazia”. La Mogherini viene promossa – scrive il quotidiano – anche dal Carnegie Europe, per bocca del suo direttore. “Ha massima flessibilità verbale senza troppe asperità”, ha detto.

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